La parrocchia,
i movimenti. Certo. E anche le libere associazioni laicali, previste
dal diritto canonico. E poi le forme della vita consacrata, che stanno
sulla dorsale del paradosso e dell’inquietudine, dell’azzardo e della
sapienza evangelica, della quale non si deve scipire il sale,
aggiustandosi giudiziosamente sull’indolore conciliazione degli opposti.
«Sono venuto per guarire i peccatori». «Sono venuto per dividere i
padri e i figli». «Il mondo non può capire, perciò non può amarvi». «Dio
ha tanto amato il mondo da dare il Figlio».
Il Papa ha stigmatizzato questo annacquamento della bellezza e della trasparenza della tensione evangelica che deve abitare le forme-di-chiesa, impiegando il folgorante ossimoro della «mondanità spirituale», ricevuto da un coltissimo teologo gesuita e grande maestro di spirito, Henri de Lubac. Papa Francesco, con quella sua soave ruvidezza, con la quale trapana il nostro levigato gergo ecclesiasticamente corretto, non ha esitato a parlare di «clericalismo ipocrita» (che avvolge anche i laici) e di «cristiani da salotto» (che non esclude i consacrati). Questa mondanità spirituale consiste essenzialmente nell’imborghesimento del proprio rispettabile status ecclesiastico, e nella ricerca di aggiustamento mondano delle forme comunitarie, sospinte a modellarsi secondo la logica delle affinità elettive e delle complicità corporative, dei club esclusivi e delle clientele selezionate. Profili che il mondo riconosce come ovvia conformazione alle ragioni dell’interesse di parte e del privilegio di casta. Questa deriva mondana è la più pericolosa, perché mantiene l’aura spirituale di una compiaciuta "distinzione" religiosa. Dissimula lo svuotamento dello spirito evangelico nella vischiosità di rapporti che il mondo giudica corretti e di opere che il mondo giudica utili. La mondanità spirituale può avere un’aria molto distinta e per bene, ma di certo rende indistinta la differenza dello stile evangelico. La conseguenza più grave – la più temibile per il cristianesimo – è nel fatto che questo stile della forma ecclesiale, addomesticato al mondo ed estraneo agli uomini, si chiude proprio per coloro che devono essere irradiati e toccati, liberati e salvati dalla misericordia e dalla tenerezza di Dio.
Il Papa ha stigmatizzato questo annacquamento della bellezza e della trasparenza della tensione evangelica che deve abitare le forme-di-chiesa, impiegando il folgorante ossimoro della «mondanità spirituale», ricevuto da un coltissimo teologo gesuita e grande maestro di spirito, Henri de Lubac. Papa Francesco, con quella sua soave ruvidezza, con la quale trapana il nostro levigato gergo ecclesiasticamente corretto, non ha esitato a parlare di «clericalismo ipocrita» (che avvolge anche i laici) e di «cristiani da salotto» (che non esclude i consacrati). Questa mondanità spirituale consiste essenzialmente nell’imborghesimento del proprio rispettabile status ecclesiastico, e nella ricerca di aggiustamento mondano delle forme comunitarie, sospinte a modellarsi secondo la logica delle affinità elettive e delle complicità corporative, dei club esclusivi e delle clientele selezionate. Profili che il mondo riconosce come ovvia conformazione alle ragioni dell’interesse di parte e del privilegio di casta. Questa deriva mondana è la più pericolosa, perché mantiene l’aura spirituale di una compiaciuta "distinzione" religiosa. Dissimula lo svuotamento dello spirito evangelico nella vischiosità di rapporti che il mondo giudica corretti e di opere che il mondo giudica utili. La mondanità spirituale può avere un’aria molto distinta e per bene, ma di certo rende indistinta la differenza dello stile evangelico. La conseguenza più grave – la più temibile per il cristianesimo – è nel fatto che questo stile della forma ecclesiale, addomesticato al mondo ed estraneo agli uomini, si chiude proprio per coloro che devono essere irradiati e toccati, liberati e salvati dalla misericordia e dalla tenerezza di Dio.