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giovedì 23 febbraio 2017

LA CROCE TAGLIA TUTTO QUELLO CHE CI FA INCIAMPARE NEL CAMMINO DI FEDE VERSO IL CIELO


La sete di Gesù è un desiderio d'amore e di salvezza per ogni uomo. "Il grido di Gesù sulla croce, "Ho sete" è penetrato nell'anima di Madre Teresa e ha trovato terreno fertile nel suo cuore. Placare la sete di amore e di anime di Gesù in unione con Maria, Madre di Gesù, era divenuto il solo scopo dell'esistenza di Madre Teresa, e la forza interiore che le faceva superare sé stessa e andare di fretta da una parte all'altra del mondo al fine di adoperarsi per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri" (S. Giovanni Paolo II). Il Signore parla a ciascuno di noi che siamo di Cristo, riscattati, comprati al caro prezzo della sua vita per la missione più grande, avvicinare a ogni uomo il Regno di Dio. Coloro che non lo conoscono hanno infatti il diritto di incontrarlo nei suoi fratelli. Per questo basta un bicchiere d'acqua donato ai discepoli nel Nome di Cristo per non perdere la ricompensa che è Gesù stesso che, facendosi ricompensa in noi, lo diviene anche per le persone che aprono il cuore a Lui attraverso la nostra sete. Per questo San Paolo definisce gli apostoli come la spazzatura del mondo, messi all'ultimo posto come spettacolo per il mondo. La Croce, con le sofferenze, le persecuzioni, gli affanni tipici dell'apostolo, sono il sale nel quale ci sciogliamo per deporre la salvezza nel mondo. E come fece con il Signore, il demonio ci assedia ogni giorno per farci scendere dalla Croce, far perdere cioè il sapore al sale e diventare scandalo. I piccoli che hanno iniziato a credere nel vedere in un cristiano Colui che lo ha inviato e hanno iniziato a camminare nella Chiesa, sono ancora molto deboli nella fede. Possono subire scandali da coloro che, per superbia, non sono più di Cristo ma dell'avversario. Da te e da me... Ma Gesù conosce il nostro cuore, la fonte da dove nascono gli scandali, e ci mostra la via per combatterli: permanere nel suo amore, legati alla Croce, come Isacco sul Moria. Il timore di perdere la primogenitura e rendere vana la missione affidata spinge infatti i cristiani nella lotta quotidiana per dare morte alle membra che ancora appartengono alla terra: le mani, i piedi e gli occhi di cui parla Gesù, ovvero demonio, carne e mondo. E' il cammino di ogni giorno, il combattimento a volte cruento e doloroso così indispensabile ad ogni missione. Il cammino di Giacobbe che passa per il guado del Jabbok, tappa fondamentale nella sua formazione che lo preparava all'incontro pacificatore con il fratello Esaù, senza il quale non sarebbe potuto diventare il padre delle tribù di Israele. La scoperta e l'accettazione della propria debolezza rivelata da Dio per benedirla e accoglierla, ha permesso a Giacobbe di umiliarsi dinanzi al fratello che temeva per avergli sottratto la primogenitura. Così, appoggiandosi a Dio, ha potuto sperimentare il potere del suo Nome (presenza) nel quale ha visto compiersi l'impossibile della riconciliazione con Esaù, memoriale fondamentale per entrare con fiducia negli eventi dolorosi che lo aspettavano. Doveva infatti entrare nella notte di angoscia per la scomparsa del suo amato Giuseppe, prima che la Provvidenza glielo riconsegnasse come un segno profetico della vittoria di Dio sul peccato che si sarebbe compiuta con la liberazione dei suoi discendenti dalla schiavitù dell'Egitto. Per questo, quasi come un'eco delle parole di Gesù sulla violenza da fare alle proprie membra occasione di scandalo, Giacobbe è stato ferito ed è uscito zoppo dalla lotta con Dio. Meglio compiere la missione ed entrare nella vita e nel Regno zoppo che con due piedi; perché è meglio appoggiare a Dio la propria debolezza che fallire fondandosi su se stessi. Zoppo, cieco, monco, ma forte con Dio, ecco il mistero della debolezza feconda del discepolo. Quella dello Jabbok è immagine delle notti che anche noi incontriamo nella storia, grembo benedetto che ci plasma nell'umiltà con cui appoggiarci a Dio per vivere in pace con i fratelli e compiere, in essa, la missione che ci è affidata. Come Giacobbe divenuto Israele, anche il discepolo è un eletto, contrassegnato per una missione: per questo sarà schiacciato, ferito. Come fu per Santa Teresa di Calcutta, che nella notte oscura ha sperimentato la presenza di Cristo vivo in lei al di là del sentimento. Tutti, infatti, saranno salati con il fuoco. C'è un fuoco che rimanda allo Spirito Santo, e un fuoco che è immagine dell'amore e della gelosia divina. La storia di ogni uomo, e in modo particolare dei discepoli, è purificata da queste fiamme che divorano ogni scandalosa ipocrisia. La croce ne è lo strumento incandescente sulla quale Cristo ci attira per condurci a Gerusalemme, il destino al quale siamo chiamati ad accompagnare questa generazione. Per non fallire ed essere gettati fuori come un rifiuto nella Geènna, il Salmo dice che, piuttosto di dimenticare Gerusalemme, è meglio che si paralizzi la mano destra, tagliata direbbe Gesù. Accettiamo allora di essere deboli e di avere bisogno perfino di un bicchiere d'acqua: accogliamo cioè le difficoltà, le sofferenze e i combattimenti di ogni giorno come il fuoco del suo amore che ci fa umili per amare chi ci è accanto e non cadere nel fuoco eterno della sua assenza. Così, nello stesso tempo, come Giacobbe ad Esaù, offriremo a tutti, con il darci un semplice bicchiere d'acqua, l'occasione di darlo a Cristo, con il quale sulla croce sperimentiamo la sete della loro salvezza.

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