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venerdì 20 agosto 2021

 


20 agosto SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE
« ... Vorrei ora soffermarmi solo su due aspetti centrali della ricca dottrina di Bernardo: essi riguardano Gesù Cristo e Maria santissima, sua Madre. La sua sollecitudine per l’intima e vitale partecipazione del cristiano all’amore di Dio in Gesù Cristo non porta orientamenti nuovi nello statuto scientifico della teologia. Ma, in maniera più che mai decisa, l’Abate di Clairvaux configura il teologo al contemplativo e al mistico. Solo Gesù – insiste Bernardo dinanzi ai complessi ragionamenti dialettici del suo tempo – solo Gesù è “miele alla bocca, cantico all’orecchio, giubilo nel cuore (mel in ore, in aure melos, in corde iubilum)”.
Viene proprio da qui il titolo, a lui attribuito dalla tradizione, di Doctor mellifluus: la sua lode di Gesù Cristo, infatti, “scorre come il miele”. Nelle estenuanti battaglie tra nominalisti e realisti – due correnti filosofiche dell’epoca - l’Abate di Chiaravalle non si stanca di ripetere che uno solo è il nome che conta, quello di Gesù Nazareno. “Arido è ogni cibo dell’anima”, confessa, “se non è irrorato con questo olio; insipido, se non è condito con questo sale. Quello che scrivi non ha sapore per me, se non vi avrò letto Gesù”. E conclude: “Quando discuti o parli, nulla ha sapore per me, se non vi avrò sentito risuonare il nome di Gesù” (Sermones in Cantica Canticorum XV, 6: PL 183,847). Per Bernardo, infatti, la vera conoscenza di Dio consiste nell’esperienza personale, profonda di Gesù Cristo e del suo amore.
E questo, cari fratelli e sorelle, vale per ogni cristiano: la fede è anzitutto incontro personale, intimo con Gesù, è fare esperienza della sua vicinanza, della sua amicizia, del suo amore, e solo così si impara a conoscerlo sempre di più, ad amarlo e seguirlo sempre più. Che questo possa avvenire per ciascuno di noi!
In un altro celebre Sermone nella domenica fra l’ottava dell’Assunzione, il santo Abate descrive in termini appassionati l’intima partecipazione di Maria al sacrificio redentore del Figlio. “O santa Madre, - egli esclama - veramente una spada ha trapassato la tua anima!... A tal punto la violenza del dolore ha trapassato la tua anima, che a ragione noi ti possiamo chiamare più che martire, perché in te la partecipazione alla passione del Figlio superò di molto nell’intensità le sofferenze fisiche del martirio” (14: PL 183,437-438). Bernardo non ha dubbi: “per Mariam ad Iesum”, attraverso Maria siamo condotti a Gesù. Egli attesta con chiarezza la subordinazione di Maria a Gesù, secondo i fondamenti della mariologia tradizionale.
Ma il corpo del Sermone documenta anche il posto privilegiato della Vergine nell’economia della salvezza, a seguito della particolarissima partecipazione della Madre (compassio) al sacrificio del Figlio. Non per nulla, un secolo e mezzo dopo la morte di Bernardo, Dante Alighieri, nell’ultimo canto della Divina Commedia, metterà sulle labbra del “Dottore mellifluo” la sublime preghiera a Maria: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,/umile ed alta più che creatura,/termine fisso d’eterno consiglio, …” (Paradiso 33, vv. 1ss.).
Queste riflessioni, caratteristiche di un innamorato di Gesù e di Maria come san Bernardo, provocano ancor oggi in maniera salutare non solo i teologi, ma tutti i credenti. A volte si pretende di risolvere le questioni fondamentali su Dio, sull’uomo e sul mondo con le sole forze della ragione. San Bernardo, invece, solidamente fondato sulla Bibbia e sui Padri della Chiesa, ci ricorda che senza una profonda fede in Dio, alimentata dalla preghiera e dalla contemplazione, da un intimo rapporto con il Signore, le nostre riflessioni sui misteri divini rischiano di diventare un vano esercizio intellettuale, e perdono la loro credibilità. La teologia rinvia alla “scienza dei santi”, alla loro intuizione dei misteri del Dio vivente, alla loro sapienza, dono dello Spirito Santo, che diventano punto di riferimento del pensiero teologico. Insieme a Bernardo di Chiaravalle, anche noi dobbiamo riconoscere che l’uomo cerca meglio e trova più facilmente Dio “con la preghiera che con la discussione”. Alla fine, la figura più vera del teologo e di ogni evangelizzatore rimane quella dell’apostolo Giovanni, che ha poggiato il suo capo sul cuore del Maestro.
Vorrei concludere queste riflessioni su san Bernardo con le invocazioni a Maria, che leggiamo in una sua bella omelia. “Nei pericoli, nelle angustie, nelle incertezze, - egli dice - pensa a Maria, invoca Maria. Ella non si parta mai dal tuo labbro, non si parta mai dal tuo cuore; e perché tu abbia ad ottenere l'aiuto della sua preghiera, non dimenticare mai l'esempio della sua vita. Se tu la segui, non puoi deviare; se tu la preghi, non puoi disperare; se tu pensi a lei, non puoi sbagliare. Se ella ti sorregge, non cadi; se ella ti protegge, non hai da temere; se ella ti guida, non ti stanchi; se ella ti è propizia, giungerai alla meta...” »
Benedetto XVI, Udienza generale, 21/10/2009

 




Omelia alla Santa Messa dei primi vespri nella Solennità di Sant’Agapito martire

Palestrina, Piazza Regina Margherita, Martedì 17 agosto 2021

Signor Sindaco, illustri autorità, cari sacerdoti, diaconi, consacrate, fratelli e sorelle nel Signore!

Celebriamo la Santa Messa rendendo grazie a Dio per aver dato alla nostra Chiesa un Santo Patrono del tenore di Agapito: giovane e martire!

Tanto spesso parliamo male dei giovani e invece Agapito ce li fa rivalutare, ce li deve far rivalutare!

Di nobile famiglia prenestina del III secolo dopo Cristo, fu inviato a Roma per studiare il diritto romano e lì aderì alle prime comunità cristiane dell’Urbe. Non dobbiamo certo pensare a una Chiesa di Roma come è la nostra – strutturata, istituzionalizzata … – ma aderì a quelle comunità di giudei attratti dal cristianesimo che anche grazie alla predicazione di Pietro iniziarono a leggere insieme la Parola di Dio, a celebrare insieme l’Eucaristia, a fare la carità tra i propri membri e ai poveri che incontravano e che per la loro fedeltà al Vangelo divenivano attraenti e capaci di aggregare anche i pagani.

Era una Chiesa costituita da piccole comunità – quella dei tempi di Agapito –, dove non esistevano certo le Parrocchie ma dove si seguiva l’insegnamento degli Apostoli, dove ci si riferiva a Gesù e si aderiva a Lui: morto e risorto per la salvezza di tutti coloro che lo accoglievano!

Una Chiesa piccola ma che dava fastidio perché metteva in crisi l’economia del Pantheon. Come in altre città ove sorgevano grandi templi a dèi pagani, intorno a tali templi l’Imperatore – in questo caso Aureliano – avevano fatto sorgere grandi commerci e vedevano la nuova religione cristiana come qualcosa di pericoloso, che avrebbe potuto nuocere all’economia cittadina.

Agapito fu così invitato a lasciare la sua religione come molti altri cristiani, soprattutto giovani, proprio per evitare che tale nuova religione proveniente dall’Oriente si potesse diffondere. Agapito si oppose e preferendo seguire il Signore, rinnegò se stesso, i suoi interessi personali. Sentiva che Gesù lo amava, aveva donato per lui la sua vita sulla croce e Agapito sentiva che non poteva non seguirlo, non ri-amarlo. Agapito era un giovane e come i giovani estremamente libero. Libero di rinunciare ad ogni altro amore pur di non distaccarsi dall’amore di Dio. Fu così perseguitato e più volte messo a morte ma sempre passò illeso davanti ad ogni tipo di persecuzione. Da Aureliano fu mandato nuovamente nell’antica nostra Preneste con la speranza che lo splendore del Tempio della dea Fortuna lo attraesse più di Cristo. Ma la sua fede fu forte. Come Cristo accettò la Croce, rinnegò tutto ciò che appare vita ma non lo è perché felicità fatua, di un momento. Scelse di perdersi per Cristo, di perdersi nel Suo amore infinito optando per l’Amore che non ha fine con la morte e, senza vergogna, fu fedele a Cristo fino a quando, poco fuori dalla nostra città, fu martirizzato a soli 15 anni!

Agapito divenne così per noi ed è per noi anche oggi prezioso riflesso di Cristo Giovane che risplende ma non per farci ripetere ogni anno sterili tradizioni ma per stimolarci e farci uscire dalla sonnolenza che anche noi cristiani del XXI secolo abbiamo. Nell’Esortazione Apostolica post sinodale Christus vivit scritta da Papa Francesco il 25 marzo 2019 dopo la celebrazione di un Sinodo dei Vescovi sui giovani, il Papa dice: “molti giovani santi hanno fatto risplendere i lineamenti dell’età giovanile in tutta la loro bellezza e sono stati nella loro epoca veri profeti di cambiamento; il loro esempio mostra di che cosa siano capaci i giovani quando si aprono all’incontro con Cristo” (CV, 49). E il Papa continua: “Attraverso la santità dei giovani la Chiesa può rinnovare il suo ardore spirituale e il suo vigore apostolico. Il balsamo della santità generata dalla vita buona di tanti giovani può curare le ferite della Chiesa e del mondo, riportarci a quella pienezza dell’amore a cui da sempre siamo stati chiamati: i giovani santi ci spingono a ritornare al nostro primo amore (cfr Ap 2,4). Ci sono santi che non hanno conosciuto la vita adulta e ci hanno lasciato la testimonianza di un altro modo di vivere la giovinezza …”. Agapito è stato uno di questi ma tanti altri, forse meno conosciuti, nell’anonimato e pur con le loro fragilità vivono la santità.

Permettete di ricordare qui il nostro giovanissimo Willy Monteiro che lo scorso anno, il 6 settembre, per sedare una rissa, per difendere un suo amico non esitò a perdere la vita. Probabilmente anche Willy che non è mio compito beatificare non era perfetto, anche nel suo cuore, grano e zizzania crescevano insieme come nel cuore di tutti. Ma aveva conosciuto Cristo, era cresciuto nell’Azione Cattolica di Paliano, i genitori gli avevano trasmesso la fede. E così il buono che c’era in lui, nel momento della difficoltà di un amico, è emerso: ha amato!

Ma come lui sono convinto che tanti, tantissimi altri giovani sono capaci di bene, di bello, di giusto, di buono, di autentico … sono capaci di Dio e con Gesù sono capaci di perdere se stessi per dare la vita per gli altri.

La maggioranza di noi qui presenti, stasera, è di adulti.

Vorrei allora invitarvi a guardare i giovani con più misericordia, a dar loro maggiore fiducia, a coinvolgerli maggiormente nelle nostre comunità ecclesiali e civili. I giovani sono capaci di cose grandi e belle!

Non omologhiamoli in un “sono ormai irraggiungibili” … “non credono più …”, “sono perduti” … ma piuttosto domandiamoci: “come li ascoltiamo?”, “come ci rapportiamo con loro?” A volte ci lasciamo intimorire dalla loro fisicità, dai loro tatuaggi, dai loro modi strani di vestirsi, dai loro linguaggi, dagli errori che alcuni di loro fanno – anche grossi – e pensiamo che tutti siano solo violenza, telefonini, droga, alcool? Perché non proviamo a vincere la paura del contatto con loro? Perché non riapriamo tutti e a tutto campo un dialogo con loro fatto non tanto di lezioni ripetute, di richiesta che partecipino ai nostri gruppi parrocchiali che a volte sentono lontani dal loro vissuto reale, e non li ascoltiamo?

“Un giovane – sono sempre parole di Papa Francesco – non può essere scoraggiato, la sua caratteristica è sognare grandi cose, cercare orizzonti ampi, osare di più, aver voglia di conquistare il mondo, saper accettare proposte impegnative e voler dare il meglio di sé per costruire qualcosa di migliore”.

Cari fratelli e sorelle, non rubiamo loro allora la speranza! Non impediamo loro di sperare un mondo migliore, più giusto, più fraterno, più autenticamente cristiano!

A voi adulti, sacerdoti, insegnanti, uomini e donne delle istituzioni chiedo di rispettare i giovani nella loro libertà e nello stesso tempo di accompagnarli. Tale richiesta la rivolgo ancor più forte alle famiglie ed auspico che pastorale giovanile e pastorale famigliare nella nostra diocesi camminino sempre più insieme fin dagli anni in cui i ragazzi si avvicinano alla comunità cristiana per ricevere i sacramenti.

Come chiedevano i giovani stessi durante il Sinodo dei Vescovi su di loro e con loro, auspico che tutti trovino accompagnatori che siano cristiani fedeli impegnati nella Chiesa e nel mondo, in continua ricerca della santità, che si facciano loro confidenti che non giudicano; che ascoltino i veri bisogni dei giovani e siano capaci di dar loro risposte adeguate per farli sentire amati e capaci quindi di prendere consapevolezza di sé. Per questo ogni educatore sia consapevole dei propri limiti e si presenti loro non come uno che sta su un piedistallo dal quale, se caso mai dovesse crollare, produrrà effetti devastanti sui giovani stessi, ma si presenti loro come un uomo che non vuole seguaci passivi ma si pone al loro fianco in un cammino teso ad educare tutti a far uscire allo scoperto il bene che ciascuno porta in sé, quel bene che Dio ha messo nel cuore di ciascuno e che si chiama Cristo Gesù! Che dobbiamo annunciare non tanto e non solo con le prediche ma soprattutto con la vita donata per Cristo e quindi anche per i fratelli.

E infine ai giovani, sia ai presenti che agli assenti, sia ai credenti che a quanti sono nel dubbio o nell’indifferenza vorrei dire stasera che la Chiesa vuole loro bene, che desideriamo il loro bene, la realizzazione dei loro sogni, di quella speranza che non devono farsi rubare dal mondo adulto!

Che questa festa di Sant’Agapito segni l’inizio di un rapporto nuovo tra giovani e adulti, giovani e istituzioni, giovani e Chiesa. Un rapporto fatto di ospitalità e di proposta di quella fede alla quale Agapito aderì probabilmente perché fuori da ogni schema religioso precostituito, da ogni schema che chiede ciò che non è essenziale: lasciarsi amare da un Dio che si perde nella morte per noi per risorgere affinché lasciandoci amare anche noi diveniamo capaci di amore, di donare la vita per amore Suo e dei fratelli e così costruire una nuova civiltà: la civiltà dell’amore! Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palest

martedì 17 agosto 2021

 



"Vuoi essere perfetto?" Una domanda che non si può eludere, altrimenti non si diventa "discepoli" di Cristo. Lui invita il giovane a convertirsi, ad andare per la strada opposta: mentre il mondo ti invita a comprare tutto, Gesù ci invita a vendere tutto! Ci apre il Cielo sulla terra, mentre il mondo ci spalanca l'inferno sulla stessa terra. Non si tratta di un "consiglio" evangelico per preti e suore. E' l'unica condizione per seguire Gesù. Perché Lui è Dio, e la perfezione è essere suo discepolo. Non c'è altra felicità che un rapporto intimo ed esistenziale con Lui. Non ci sono comandamenti da "fare" e "osservare"; c'è solo da accogliere Cristo nella propria vita, e mettersi a seguire le sue orme. Obbedire a Lui è l'unica via per la vita. Lo aveva compreso San Francesco, che ha colto il momento in cui il Signore gli offriva una vita davvero straordinaria, ha "venduto tutto e dato ai poveri", ed è rimasto nudo dinanzi al suo padre nella carne, perché aveva conosciuto il Padre celeste. Era libero, perché figlio di Dio, cioè cristiano. Aveva scoperto che la vita che voleva era quella di ogni giorno, con le sue difficoltà, le pene, le disillusioni, le purificazioni di sogni e desideri - e Dio sa quanto duro è stato per Francesco... anche con le regole da rispettare, che lui non avrebbe voluto... Ma proprio per questo era la vita unica e irripetibile, da gustare in ogni secondo, perché ogni "attimo" è dato da Dio per farne risuonare in cielo la fragranza dell'amore. Ogni attimo è un'occasione da non farsi sfuggire per amare, donarsi, senza riserve. Allora l'eco di quel momento si inerpica in Cielo, e vi si aggancia per l'eternità. Cioè quella parola, quel gesto, quella partita di calcio, quell'ora di studio, quel fare l'amore con la tua sposa, quel giorno in ufficio, quelle ore date a tuo figlio per ascoltarne le difficoltà, per litigarci chissà, tutto l'amore che colma gli attimi che si susseguono nella vita diventano immortali, scritti in oro nel Cielo. Saranno per sempre parte della vita eterna per la quale siamo nati. Per questo siamo chiamati a vendere tutto, a rimanere senza nulla a coprirti le spalle per "farti un tesoro nel Cielo"; senza questa esperienza, che cioè Cristo è risorto e ha vinto la morte, e per questo la vita eterna dipende da Lui e non dai beni è inutile, non si diventa cristiani, e si resterà con la tristezza del "se" senza risposta, nel dubbio che si vada a finire come "concime per i fiori". Senza Cielo, solo sogni da inseguire, e la realtà a spezzarli. Coraggio, Cristo è anche oggi di fronte a te e a me, è vivo e ci aspetta per sperimentare, nella totale debolezza, nella nuda realtà, la sua risurrezione. Non c'è nulla di incolore, di sciapo, di routinario, di noioso. Nulla, perché in tutto possiamo seminare l'amore, cioè noi stessi con Cristo. I sogni te li portano via, basta poco. La realtà, invece, non può portartela via che il demonio, inducendoti proprio ad evaderla con i sogni. Invece siamo chiamati ad essere totalmente attaccati alla realtà, a quella di questo momento, di questa persona, di questo fatto. E' qui, e aspetta solo d'essere accolto e amato; aspetta solo la nostra carne risorta con Cristo, che già non muore più nel fallimento, nella solitudine, nella frustrazione




 


CHIAMATI ALLA GERUSALEMME CELESTE
La "salvezza" è l' "impossibile all'uomo" che Dio rende "possibile". Con le parole di oggi, Gesù priva di forza qualsiasi moralismo e pelagianesimo (eresia di chi crede di salvarsi con le proprie forze e i propri meriti), rivelando al contempo la friabilità di ogni morale laica. L'orizzonte che attende ogni uomo è il Regno dei Cieli, non un regno che trasformi ideologicamente la terra in Cielo; la salvezza è entrarvi perché chiamati, e non può essere il frutto degli sforzi umani. Si tratta di pura gratuità; all'uomo carnale piegato orgogliosamente su se stesso, la Grazia purtroppo riesce terribilmente indigesta. Come al "giovane" che se ne va "triste" perché "aveva molti beni"; cioè voleva "fare" qualcosa di "buono" possedendo la sua vita, quella degli altri e il mondo intero. Povero illuso... Voleva "fare" un atto eroico con cui guadagnarsi una medaglia, e invece nel regno di Dio, nella Vita eterna, per primi entrano gli ultimi, e non i primi, cioè gli eroi secondo il mondo... Nel corteo trionfale che entrerà in Cielo dopo la battaglia combattuta sulla terra, i primi saranno i più deboli, i piccoli, feriti, quelli che nel mondo sono considerati gli "ultimi", stolti e insensati a perdere tutto per Cristo. Saranno "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani". E grideranno "a gran voce: « La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello »". Eccoli quelli che entrano nella Vita! E che cosa hanno "fatto"? "sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta. perché l'Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi" (Cfr Ap 17). A un ricco non interessa lavare le proprie vesti; si illude di averne così tante da poterle cambiare ogni giorno, e magari buttare quelle sporche. Ha tutto, e crede di sfuggire così la "grande tribolazione". Per questo, "difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli". Pietro e gli apostoli restano "costernati": stanno con Gesù da tempo, hanno intuito che è Lui la "benedizione" promessa a chi è fedele all'Alleanza e obbediente alla Torah; ha moltiplicato il nulla, certo che è Lui la vera ricchezza, la fecondità, il raccolto, la gioia; è Lui la vita che non muore, sempre sovrabbondante. Ma sanno che proprio la ricchezza dell'uomo è segno della benevolenza di Dio... e sanno che la ricchezza potrebbe consistere anche in poche cose, difese con le unghie... Nella domanda di Pietro è riassunta quella di tutti quelli che, avvicinandosi a Cristo, restano sbalorditi dalle sue parole; in fondo è come se dicesse: ehi, qui non si salva nessuno... Ma Gesù, invece, sta annunciando la verità che può dischiudere all'umiltà e alla libertà di un mendicante, cioè un autentico catecumeno, uno che sta imparando a seguirlo per diventare suo discepolo. E dice a tutti che è inutile illudersi: anche oggi, per ciascuno di noi sarà "difficile", anzi "impossibile", "entrare nel regno dei cieli". Per questo occorre, infatti, "vendere" ciò che si "possiede", donare il ricavato ai poveri e "farsi" così un "tesoro nei cieli". Senza il certificato che garantisca di averlo, come un segno che la nostra Patria ormai è lì nel Cielo, ci sarà "impossibile" varcare la soglia del Regno dei Cieli. Resteremmo degli stranieri... Ma è proprio questo l'impossibile, vero? Chi, a parte Sant'Antonio del deserto, San Benedetto, San Francesco e altri santi, ha dato "tutti" i suoi beni ai poveri? Dai, che qui siamo tantissimi che stiamo seguendo Gesù senza averlo fatto... Infatti, molto sale ha perduto il sapore, molti cristiani divorziano, sono incapaci di perdonare, e vivono seguendo il mondo... Sì, sarebbe più facile l'inimmaginabile di un "cammello che passi per la cruna di un ago" che tu ed io diamo via tutti i beni e ci "salviamo" dalla corruzione. Gesù non sceglie a caso le parole: la porta attraverso cui si accede al Regno è "stretta" come la "cruna di un ago", angusta come la Croce. E' più facile che un cammello passi attraverso un foro così piccolo che per vederlo, a volte non bastano neanche gli occhiali, che tu ed io distendiamo oggi le nostre braccia sulla Croce. Troppo possediamo per poterci donare.

domenica 15 agosto 2021

 


CON GLI OCCHI DI MARIA PER VEDERE IL CIELO IN OGNI EVENTO DELLA NOSTRA VITA
Tutto di Maria era, da sempre, per il suo Figlio, e così tutto di Lui è stato per Lei. Maria ha offerto tutta se stessa per dare la vita terrena al suo Figlio, ed Egli ha donato a Lei la Vita immortale. “Questo è il nucleo della nostra fede nell’Assunzione: noi crediamo che Maria, come Cristo suo Figlio, ha già vinto la morte e trionfa già nella gloria celeste nella totalità del suo essere, in anima e corpo” (Benedetto XVI). Ma non si tratta di un dogma solo perché proclamato da Pio XII il 1° novembre del 1950. In quel giorno il Papa ha sigillato la fede e l’esperienza viva e incontrovertibile della Chiesa. Essa crede e annuncia ciò che sperimenta quotidianamente: Cristo è risorto ed è asceso al Cielo e da lì ha donato alla Chiesa il suo Spirito. Da quel giorno la vita della Chiesa, come il corpo e l’anima di Maria, è “assunta” in Cielo: pur camminando nella storia essa vive la vita di Cristo. I passi veloci della Figlia di Sion sul crinale delle montagne di Giuda sono, da allora, i passi urgenti degli apostoli di ogni tempo che annunciano il Vangelo; ma sono anchei passidegli eventi e delle persone che, guardati con gli occhi di fede di Maria, ogni giorno ci abbracciano in un saluto che rivela l’autentico progetto di Dio: “Io so i pensieri che medito per voi, pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza” (Ger. 29,11). Per esperienza i cristiani, nella moglie, nel marito, nei figli e colleghi, anche quando si fanno nemici e tolgono la vita, sanno discernere l’ “avvenire” celeste che li attende; con ferma “speranza” possono allora consegnarsi alla croce e alla morte del proprio “io” che l’amore suppone, nella certezza che, proprio dove il mondo non può resistere e divorzia, abortisce, trascina in tribunale e scatena guerre, vi è deposta la Vita che non muore. La fede di Maria, infatti, attesta che in loro accadrà quello che Lei ha sperimentato: la “beatitudine” per aver creduto alla predicazione e la “benedizione tra tutte le donne” e gli uomini per la fede che vince il mondo; la “benedizione” di vivere per Gesù, il “frutto del loro grembo”; donando la propria carne a Lui nell’amore, la vedranno trasfigurata e incorruttibile in Cielo, del quale sono una primizia i momenti più difficili, i roveti ardenti nei quali vivono, come Maria, senza che il fuoco delle passioni li consumi. Così anche noi siamo chiamati ad annunciare che il Cielo esiste: attraverso la debolezza della nostra carne, evidente nella scontrosità del carattere, nelle nevrosi e nelle insicurezze, anche nelle ferite inferte dai peccati rese gloriose dal sangue di Cristo, dalle quali la sua luce filtra e illumina i luoghi e i tempi della nostra vita. Essa ha già conosciuto il riscatto dalla tirannia della superbia, non attende futuri che non si realizzeranno mai – società civili senza macchia, con politici onesti, giudici giusti, banche solidali, famiglie senza tensioni. Il Cielo, infatti, si affaccia sulla terra in coloro che, nella Chiesa, imparano a vivere come Maria, umile perché felice della sua realtà, l’unica possibile dove Dio compie l’impossibile. Maria è nostra Madre e i nostri occhi assomigliano ai suoi, disegnati per vedere Dio in ogni istante

 



Oggi l'arca santa e viva del Dio vivo, colei il cui seno aveva portato il proprio Creatore, riposa nel tempio del Signore, tempio non fatto da mano d'uomo.
Davide, suo antenato e parente di Dio, danza di gioia; gli angeli danzano in coro, gli arcangeli applaudono, e le potenze del cielo cantano la sua gloria...
Come potrebbe cadere in potere della morte, colei che ha fatto sgorgare la vera vita per tutti?
Certo, in quanto figlia dell'antico Adamo, si sottomette alla condanna formulata contro di lui; suo Figlio, infatti, la Vita in persona, non si è sottratto ad essa; ma, in quanto Madre del Dio vivo, è giusto che lei sia innalzata presso di lui...
Come può essere che colei che ha ricevuto in sé la Vita in persona, senza principio né fine, non sia viva per sempre?
Un tempo, i primi progenitori della nostra razza mortale, inebriati dal vino della disubbidienza..., con lo spirito appesantito dall'intemperanza del peccato, si erano addormentati nel sonno della morte; il Signore li aveva cacciati ed esiliati dal paradiso dell'Eden. Adesso, come il Paradiso potrebbe non ricevere, non aprire gioiosamente le sue porte a colei che non ha commesso peccato e ha dato alla luce il figlio dell'ubbidienza a Dio e al Padre?...
Poiché Cristo, che è la Vita e la Verità ha detto: “Dove sono io, là sarà anche il mio servo”, come, a maggior ragione, sua madre non dovrebbe condividere la sua dimora?...
Ora dunque “gioiscano i cieli”, la notte respinga le sue tenebre e il suo abito di lutto...
Infatti viene esaltata la città viva del Signore, Dio delle potenze.
Dal santuario di Sion, dei re portano il dono inestimabile; coloro che Cristo ha stabilito principi di tutta la terra, gli apostoli, accompagnano la Madre di Dio, sempre vergine, nella Gerusalemme di lassù, che è libera ed è la nostra madre.
San Giovanni Damasceno

giovedì 12 agosto 2021

 


IL PERDONO TRASFORMA IL CUORE NELLA LIBERTA' DI AMARE
Con la parabola di oggi Gesù vuole illuminare Pietro e quindi la Chiesa sul "perdono d cuore", quello autentico, l"accordarsi" tra due fratelli di cui aveva parlato poco prima. Esso è una Grazia, la più grande che potremmo ricevere da Dio. E' l'unica esperienza che cambia radicalmente la vita, simile a quella di un condannato a morte che, nel momento in cui si sta eseguendo la sentenza, riceve appunto "la grazia" e vede aprirsi le porte della cella: la sua pena è stata cancellata, è libero e vivo. Per il "servo" della parabola, il dover rifondere diecimila talenti era proprio come una condanna capitale; si trattava, infatti, di una somma esorbitante, se si pensa che un talento era pari a seimila denari e che uno stipendio medio era di trenta denari: per radunare tale cifra un lavoratore dipendente avrebbe dovuto lavorare centosessantaquattromila anni! Per questo "il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito". Per salvarsi, quel servo poteva sperare solo in un atto di clemenza del re. Infatti, "essendo caduto" recita l'originale greco, il servo comincia a "supplicare" il re, ma solo "di avere pazienza con lui perché gli avrebbe restituito ogni cosa" e non di "avere pietà e condonargli il debito", che sarebbe stata la sua unica possibilità di salvezza. Il "servo", infatti, era stato "venduto", ormai solo un atto di clemenza del re avrebbe potuto salvarlo, perché il debito con Dio è inestinguibile, se non a prezzo della vita, come la stessa Legge prescriveva. E non solo con la propria, ma anche con quella della moglie e dei figli, come appare nel vangelo. Il peccato che rompe con Dio, infatti, distrugge "tutto", la famiglia, il futuro dei figli, si sparge come un'epidemia, rende schiavi e uccide. Allora, perché il servo si infila in una promessa che non sarebbe stato in grado di mantenere? Per capire bisogna guardare al contesto ebraico della parabola. Già il salmo 38 affermava che "nessuno può riscattare se stesso, o dare a Dio il suo prezzo"; infatti "per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare per vivere senza fine e non vedere la tomba" (Sal 48,8-10). Solo Dio può offrire il "kofer" del riscatto, un termine derivante dal radicale ebraico "kpr" che significa "coprire - espiare", presente nel termine "kippur", la festa dell'espiazione e del "perdono", che potrebbe essere il contesto di questa parabola. Essa infatti risponde alla domanda di Pietro sul "perdono" al fratello, originata dalle parole di Gesù circa l'atteggiamento da avere nel caso di un fratello che abbia peccato contro un altro fratello. Yom Kippur si celebrava dieci giorni dopo Rosh Ha-Shanah, il capodanno civile ebraico. Esso si chiamava anche Yom Ha-Din, “giorno del giudizio”. I giorni di festa erano giorni di giudizio. Secondo la Mishnà, nel giudizio ”Dio passa in rassegna il suo gregge", come facevano i pastori che “esaminavano”, le pecore. I rabbini dicevano che durante il primo giorno dell’anno sono chiamati tutti gli uomini per passare dinanzi al Trono di Dio; seduto sul suo trono Dio giudica il suo popolo, come un generale passa in rassegna l’esercito, o come un pastore le sue pecore. Ogni uomo è registrato in uno dei tre libri che sono davanti al re: quello dei peccatori ostinati per i quali non c'è speranza, quello dei santi, e quello dei mediocri, per i quali ancora c'è speranza. Ed è esattamente quello che accade nella parabola, nella quale il regno dei cieli è paragonato "a un re che volle fare i conti con i suoi servi". Gli "viene presentato uno che è debitore di una cifra che non ha". Attenzione che questo è importantissimo, perché con questa scena inizia il giudizio. Il servo passa davanti al trono del Re, e risulta insolvente; si tratta di capire se fa parte dei peccatori incalliti e chiusi alla Grazia o dei mediocri. Dalla sua preghiera intuiamo che faccia parte di questi ultimi, perché chiede al Re ancora un po' di tempo: "Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa". Rosh Ha-Shanah, infatti, inaugurava i "dieci giorni terribili” (yamim noraim) che precedevano Yom Kippur, giorni decisivi, perché rappresentano il tempo che Dio offre al pentimento e alla conversione prima di emettere il giudizio definitivo. E come si realizza la conversione? "Perdonando di cuore" il fratello, perché Dio ha cambiato il "cuore" di pietra in "cuore" di carne! Infatti, "appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari". E qui si rivela il suo "cuore" ammalato, ancora pietrificato. Il tempo di conversione è la possibilità di accogliere e far crescere in sé la misericordia di Dio. E' il tempo in cui sperimentare che davvero Dio ha perdonato la propria mediocrità accogliendola nelle sue viscere capaci di rigenerarla in santità. Ma, entrando nei "dieci giorni terribili", il "servo" dimostra che non aveva accolto il perdono del Re. Non aveva confidato in Lui, non ricordava che prima ancora della creazione dell'uomo e del suo peccato, Dio aveva creato la misericordia e la possibilità di pentirsi. In fondo non conosceva il suo re, probabilmente perché qualcuno, un suo "nemico" invidioso e geloso, gli aveva parlato male di lui; e poi si sa, tra sudditi, l'immagine del re quasi mai è buona... Per questo non ha avuto l'audacia per chiedere l'impossibile che è possibile solo a Dio, e, infilandosi in una strada senza uscita, aggiunge egli stesso una condizione impossibile da rispettare: "ti restituirò ogni cosa". Il re, sapendo che quel servo non ce l'avrebbe potuta fare, si "impietosisce", spontaneamente, e "lo lascia andare condonandogli il debito". Letteralmente, lo "scioglie" dal suo debito, lo libera completamente per entrare da riscattato nei "dieci giorni terribili". Ci si aspetterebbe stupore, gioia, gratitudine, e invece nulla, quel servo non appare certo un "graziato". Infatti, "essendo uscito" dal carcere, ormai libero, si comporta come se fosse ancora un condannato "legato" al suo debito. E' impressionante, il servo sembra di marmo! Mette i brividi l'assoluta mancanza di compassione; neanche un briciolo di quella che aveva appena sperimentato nel suo "Signore". Niente, era stato graziato ma sembra che non fosse accaduto a lui. Era passato dalla morte alla vita eppure si comportava come uno ancora chiuso nel sepolcro... Perché? Perché era ancora "legato" all'immagine distorta del re che gli impediva di "conoscere", ovvero sperimentare davvero chi egli fosse, come accade al servo di un'altra parabola che nasconde il talento sottoterra, definito "malvagio" come lui. Aveva sì sperimentato la "pietà" del Re, ma il pensiero malvagio continuava a "legarlo" al debito che aveva contratto. Nonostante fosse stato "sciolto" nel suo cuore era ancora "legato" al suo passato... Nascondendogli la misericordia ottenuta, infatti, il demonio continuava a tenerlo al guinzaglio: non è possibile che ti abbia condonato tutto; lo hai mai visto fare da qualcuno? Se neanche tuo padre, neppure tua madre.... Si ti hanno perdonato, ma mai senza condizioni. Un debito condonato non esiste, ci deve essere un inganno sotto, attento... Copriti le spalle, è una trappola, di sicuro il re piomberà a casa tua esigendoti qualcosa... Vedrai come, appena trovi un altro lavoro e cominci a guadagnare, il re ti troverà e si prenderà tutto, e poi ti venderà... E così il servo, "afferrato e soffocato" da quell'immagine distorta e dal pensiero di dover ancora restituire, comincia ad "afferrare e soffocare un servo come lui". Qui è il punto: colui che, una volta "uscito", ha "trovato" è la sua stessa immagine, proprio come se si fosse guardato in uno specchio. E' "come lui", e per questo, intimandogli "paga quel che devi!", non fa che ripetere quello che diceva a se stesso. Dalla prigione era "uscito" solo il suo corpo, il cuore e la mente erano rimasti dentro, incatenati nella menzogna e nella paura di morire. Il demonio si era messo di traverso tra lui e Dio, e stoltamente gli aveva dato ascolto, chiudendo gli occhi sulla misericordia di Dio. Da "mediocre", invece di diventare "santo" il giorno di Kippur, quello del giudizio finale che avrebbe "coperto" ogni sua colpa, precipita tra i peccatori senza più speranza tra le mani degli "aguzzini".
Fratelli, il servo è l'immagine di quanti, pur nella Chiesa, non hanno ancora sperimentato il perdono di Dio; "sciolti" realmente attraverso i sacramenti, restano "legati" al loro passato perché non hanno smesso di ascoltare il demonio che continua ad ingannarli mirando alla loro disperazione. Come spesso accade a noi, perché il nostro ego gonfiato dalla superbia non smette di illudersi; anche quando "cadiamo" il demonio ci ripete che siamo come Dio, e per questo potremo rialzarci... Sono state solo le circostanze esterne a noi a farci cadere. Ma contemporaneamente restiamo "legati" a un'immagine moralistica di Dio, quella delle autorità che abbiamo conosciuto, dei genitori o dei professori, dei superiori, dei fratelli maggiori. E così siamo spinti da una parte dall'inganno moralistico di dovercela fare con i nostri sforzi, dall'altra dall'illusione di essere come "il re" e quindi di riuscire a restituire "tutto", cioè la Grazia che abbiamo perduto, la "vita" divina che non abbiamo difeso dal peccato! Che stolti siamo. Non ci basta essere "caduti" per capire che non siamo come Dio. Per impedirci di credere all'annuncio della Chiesa, aprirci alla Grazia e sperimentare un perdono immeritato, il demonio punge il nostro orgoglio e ci ruba l'amore di Dio. No, non può amarmi così, sino alla fine dei miei peccati; non può amarmi anche se commetto "settanta volte sette" lo stesso peccato. Nessuno lo ha fatto, forse qualcuno può arrivare a stento a "sette volte", quello che Pietro pensava fosse il massimo possibile... Da buon ebreo, gli sarà venuta in mente la Torah, nella quale Dio stabiliva che chiunque avesse ucciso Caino avrebbe subito la vendetta sette volte; camminando con Gesù, ascoltando la sua Parola, vedendo i suoi gesti pieni di misericordia e compassione, ha intuito che il Maestro avrebbe rovesciato la vendetta in perdono. Ma non poteva immaginare che Gesù avrebbe dilatato all'infinito quella misericordia: dicendo che bisogna "perdonare" chi ci ha fatto del male "non solo sette, ma settanta volte sette", Gesù va oltre Caino e arriva a uno dei suoi discendenti, Lamek, che si vantava di aver ucciso un uomo per una sola scalfittura e diceva: “Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamek settantasette”. Un parossismo vendicativo senza limiti, che Gesù capovolge in un perdono senza misura. Pietro non poteva prevedere che dicendo "settanta volte sette", Gesù stava annunciando il suo perdono; il flagello avrebbe straziato la sua carne, ad ogni sferzata miliardi e miliardi di peccati si sarebbero abbattuti su di Lui, perché, piantati sin dentro il suo intimo, li potesse portare sulla Croce e inchiodarceli, per frantumarli nel suo amore infinito. Sappiamo che per gli ebrei i numeri sono molto importanti; una parola che ha il valore numerico di quattrocentonovanta è "tanim", che significa "perfetto", "completo". La parabola di oggi allora, rispondendo alla questione posta da Pietro ma che tutti abbiamo dentro, non ci impone nulla; ci invita semplicemente ad entrare nel "mistero di Dio". Il "peccato" che "qualcuno" compie "contro di noi" è lo stesso che tu ed io abbiamo commesso e continuiamo a commettere; è questo il cuore della parabola: non si tratta di misurare i confini della pazienza e del perdono; non esistono manuali dell'esperto perdonatore cristiano. Esiste l'amore di Dio, da accogliere stupiti e semplici. Allora avremo uno sguardo diverso su noi stessi e sugli altri, e non ci servirà nessuna regola da seguire di fronte ai peccati dei fratelli, perché si tratta solo di amare nell'amore con cui siamo amati e che "precede il nostro agire". Allora sapremo vivere ogni giorno come un "giorno terribile" nel quale convertirci e lasciare che il perdono che ci ha raggiunti si dilati verso il fratello che pecca contro di noi. Sì, ogni giorno ci svegliamo siamo "mediocri", ma ogni giorno possiamo essere trasformati in santi perché Cristo "copre" e cancella ogni nostro peccato. Allora, alziamoci la mattina come fosse "Rosh Ha Shanah", l'alba che inaugura per noi il giudizio. Sì, cadremo ogni giorno, ma Cristo ha dato la vita per noi, e possiamo chiedere a Dio di avere misericordia di noi in quel giorno, e di aiutarci a diffonderla con la nostra vita, per giungere a sera come a "Yom Kippur", e addormentarci nella pace del Regno di Dio. E ciò si compie nella Chiesa, perché in essa i fratelli si "perdonano di cuore" perché sanno di essere tutti debitori dello stesso Padre, ma stanno sperimentando che Cristo "ha pagato per noi all'eterno Padre il debito di Adamo, e con il sangue sparso per la nostra salvezza ha cancellato la condanna della colpa antica" (Exultet di Pasqua). Per questo possono testimoniare al mondo la Buona Notizia del perdono dei peccati, annunciando che: "ecco, la mia infermità si è cambiata in salute! Tu hai preservato la mia vita dalla fossa delle distruzione, perché ti sei gettato dietro le spalle tutti i miei peccati" (Is 38,17).

mercoledì 11 agosto 2021

 


TRANSITO DELLA MADRE S.CHIARA
Poi, facendosi più vicino il Signore e già quasi stando sulla soglia,
Chiara vuole che le stiano accanto sacerdoti e frati spirituali, che le
ripetano la Passione del Signore e sante parole. E appena tra di essi le
appare frate Ginepro, famoso per saper vibrare ardenti giaculatorie al
Signore, con calde parole dal cuore, animata da rinnovata letizia gli
chiede se abbia lì pronto qualcosa di nuovo riguardo al Signore. Ed egli,
aprendo la bocca, dalla fornace del cuore ardente libera fiammeggianti
scintille di parole, e la vergine di Dio trova grande consolazione nelle
sue parabole.
Infine si volge alle figlie in lacrime, raccomandando loro la povertà del
Signore e ricorda lodando i benefici divini. Benedice devoti e devote
sue e implora larga grazia di benedizione su tutte le Donne dei
monasteri poveri, sia presenti che futuri. Chi potrebbe narrare il resto,
senza piangere?
Sono lì presenti quei due benedetti compagni del beato Francesco, dei
quali uno, Angelo, lui stesso in lacrime, consola le afflitte; l’altro,
Leone, bacia il giaciglio di Chiara morente.
Volgendosi poi a se stessa, la vergine santissima parla silenziosamente
alla sua anima:
Va’, sicura e in pace, anima mia benedetta.
Va’, poiché Colui che t’ha creato e santificato, ti ha amato sempre teneramente,
come la madre il suo figliolino.
Benedetto si’ Tu, Signore,che mi hai creata!
Ti ha amato sempre…
Interrogandola una delle sorelle a chi stesse parlando, rispose: “Io parlo
all’anima mia benedetta”. E ormai quella gloriosa scorta non era molto
lontana. Volgendosi infatti a una figlia, le domanda: “Vedi tu il Re della
gloria, che io vedo, o figlia?”.
Su un’altra pure si posò la mano del Signore e con gli occhi del corpo
vide tra le lacrime una beatificante visione. Trafitta invero dal dardo di
un profondo dolore, volge lo sguardo verso la porta della casa: ed ecco,
entra una schiera di vergini in bianche vesti e tutte hanno ghirlande
d’oro sul capo. Si avanza tra loro una più splendente delle altre, dalla
cui corona, che appare alla sommità come un turibolo traforato,
s’irradia un tale splendore da mutare in luce del giorno l’oscurità dellanotte tra le pareti della casa. Si avvicina al lettuccio, dove giace la
Sposa del Figlio e, chinandosi su di lei con tenerissimo amore, le dona
un dolcissimo abbraccio. Le vergini distendono un pallio di
meravigliosa bellezza e, tutte a gara servendo, rivestono il corpo di
Chiara e ne adornano il talamo.

martedì 10 agosto 2021

 


SULLA GRATICOLA DELL'AMORE DI CRISTO IL PROFUMO DEI CRISTIANI SALVA IL MONDO
Come San Lorenzo che celebriamo oggi, siamo chiamati a entrare nella terra dove il Seminatore ci ha seminato. Dove sei "caduto" oggi come un "chicco di grano"? Nella tua famiglia, nel tuo fidanzamento, nella tua comunità cristiana, in quell'ufficio. Ogni centimetro della tua storia, infatti, è la terra dove ogni giorno il Signore ti depone perché tu vi muoia. Hai pensato a questo quando ti sei svegliato? Forse no. Anzi, è più facile che abbia pensato il contrario, a come evitare di morire, perché la morte significa tomba, e tomba significa solitudine. Invece oggi il Signore ci dice che proprio chi non muore rimane solo! Proprio un fidanzato che non si sacrifica mortificando la sua libidine rimane solo, mentre invece è convinto che possedendo la fidanzata nell'unione sessuale sconfiggerà la solitudine... E così per una coppia sposata e per un prete. Sì fratelli, morire ci fa paura perché siamo ancora schiavi dell'inganno del demonio. Il serpente, infatti, non a caso striscia sulla "terra", pronto a morderci e a iniettarci il veleno dell'incredulità con la sua lingua di menzogna. E così accade che, pur seminati, non ci lasciamo seppellire nelle profondità della terra, e continuiamo a vivere infecondi. Amiamo la nostra vita, i desideri, i criteri, i sentimenti, i peccati senza renderci conto di respingere così la vita eterna. Per questo ci sentiamo così spesso soli, e le ingiustizie che subiamo hanno il potere di ucciderci, come i rifiuti, le incomprensioni, le umiliazioni. Ma c'è speranza, perché Dio è fedele come lo è stato con Lorenzo. Seminato a Roma a servizio del Papa Sisto II come un frutto di Cristo - i semi si trovano nei frutti - perché lo aveva incontrato come un seme caduto e morto nella sua terra: aveva cioè dato la sua vita per lui e con lui era risorto! Il Padre, infatti, non semina qualsiasi chicco, ma solo chicchi di grano, ovvero quelli che portano in sé la stessa natura di Cristo, il Chicco per eccellenza. Hai sperimentato o no che Lui si è lasciato seppellire nei tuoi peccati, e che proprio nella tua tomba ti ha preso per mano ed è risuscitato portando alla luce della vita che non muore il molto frutto che eri tu? Se lo hai dimenticato perché di nuovo il serpente ti ha morso coraggio, il Signore ti aspetta ancora nella terra che hai davanti. Scendi nelle profondità del tuo matrimonio, del tuo fidanzamento, della relazione con i tuoi figli e con i fratelli, del tuo lavoro e della tua malattia. Scendi e odia la tua vita in questo mondo, rinnega cioè il tuo io e fai posto a quello di Cristo. Lui è già sceso dove ora ti sta chiamando ad inoltrarti. Perché morire significa seguirlo e servirlo come Lorenzo, che nel buio e nell'umidità della cella ha scoperto la terra dove morire per non restare solo. In essa, infatti, ha potuto annunciare il Vangelo e battezzare un altro carcerato che ha riacquistato la vista... La sua testimonianza ha convertito addirittura il carceriere, che ha finito con il morire martire anche lui... Allora, entra nella terra, e muori; prendi su di te l'ingiustizia e il rifiuto, così salverai i tuoi figli. Scendi nella terra e mortifica la tua carne, così porterai come "frutto" la tua fidanzata o il tuo fidanzato, tua moglie e tuo marito, le persone a te affidate, per unirti a loro nella vita eterna di Cristo ritrovata nel suo amore incorruttibile. Coraggio, seguiamo il Signore dove la nostra carne non vorrebbe, e sperimenteremo che è proprio dove Lui "è Dio" e anche noi "saremo in Lui", perché ogni lembo di terra dove il chicco muore ha già dentro, come ogni seme, il germe del Cielo.
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10 AGOSTO. SAN LORENZO, DIACONO E MARTIRE
Come nessun uomo buono lo è solo per se stesso e la sapienza di un sapiente non giova a lui solo, così ogni virtù autentica ha questa proprietà: che chi la possiede in grado luminoso può ritrarre molti dalle tenebre dell’errore; nessun esempio quindi è più utile per istruire il popolo di Dio quanto quello dei martiri. L’eloquenza può facilmente perorare una causa, la ragione può riuscire a persuadere, ma gli esempi restano sempre più efficaci e più forti delle parole; e vale molto più insegnare con le opere che coi discorsi.
Ora, in questo eccellente genere di insegnamento, come risplende bene per dignità e gloria il beato Lorenzo la cui passione rende illustre questo giorno! I suoi stessi persecutori lo poterono constatare, quando la sua meravigliosa forza d’animo, attinta all’amore di Cristo come a suo principio, non solo non cedette, ma servì a fortificare anche gli altri con l’esempio della sua pazienza.
Il furore delle autorità pagane infieriva contro le membra più elette del corpo di Cristo e ricercava soprattutto coloro che appartenevano all’ordine sacerdotale. Fu allora che l’empio persecutore si accese d’ira contro il levita Lorenzo, il quale esercitava funzioni preminenti non solo nell’amministrazione dei sacramenti, ma anche in quella dei beni della Chiesa. Egli si riprometteva un doppio guadagno dall’arresto di un tal uomo: se infatti fosse riuscito ad avere da lui la consegna dei beni ecclesiastici, lo avrebbe anche facilmente allontanato dalla vera religione.
Perciò il persecutore, avido di denaro e nemico della verità, è armato di doppia passione: di avarizia per strappargli il denaro e di empietà per distaccarlo dal Cristo. Al custode incorrotto del sacro tesoro chiede la consegna dei beni della Chiesa, dei quali era avidissimo. Ma il santo levita, mostrandogli dove li aveva riposti, gli presentò una turba innumerevole di cristiani poveri, per il cui vitto e vestito aveva speso quelle ricchezze inalienabili, le quali apparivano tanto più integralmente conservate, in quanto più santamente spese.
Il predone, deluso nelle sue brame e pieno di odio contro quella religione che aveva insegnato un tale impiego delle ricchezze, tenta di attaccare un tesoro ben più prezioso: cerca, cioè, di sottrarre a colui dal quale non aveva potuto ricavare alcun vantaggio in denaro, quel deposito che lo rendeva più santamente ricco.
Ordina dunque a Lorenzo di rinnegare Cristo e si prepara a vincere con crudeli supplizi quella incrollabile fortezza d’animo del levita.
Rallegriamoci dunque, carissimi, di gioia tutta spirituale e, considerando la fine di questo illustre eroe, gloriamoci nel Signore «mirabile nei suoi santi» (Sal 67,36 Volg.), che li ha costituiti nostri protettori e modelli.
Egli ha voluto manifestare la sua gloria in tutto l’universo, di modo che dal sorgere del sole al suo tramonto risplenda la fama dei suoi ministri e, come Gerusalemme è stata glorificata da Stefano, così anche Roma lo sia per merito di Lorenzo.
Dalla sua preghiera e dal suo patrocinio, confidiamo sempre di essere soccorsi e, poiché secondo le parole dell’Apostolo «tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù, saranno perseguitati» (2Tm 3,12), procuriamo di fortificarci con lo spirito di carità e di armarci con una fede solida e costante per superare tutte le prove.
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa

lunedì 9 agosto 2021

 

Lo scontro sarà con islam e Cina, ma il futuro è cristiano»

  • 09-08-2021

La Bussola intervista il politologo Reynié: «Islamismo e totalitarismo cinese conducono due guerre: contro la separazione tra politica e religione e contro la democrazia. Diventa inevitabile che i cristiani siano perseguitati». Ma il futuro è cristiano: «L'Occidente cerca di conquistare il favore dei paesi musulmani per ragioni geopolitiche con risultati pietosi».

Per il politologo Dominique Reynié non ci sono dubbi: “cristianesimo e democrazia hanno il destino legato: è inevitabile che i cristiani siano perseguitati. La sfida è nel modello cinese e in quello islamico”. È così che Reynié professore di scienze politiche a Sciences Po Paris e direttore del celebre think tank francese, Foudation for Political Innovation, ha deciso di curare Le XXI e siècle du Christianisme (Éditions du Cerf). E alla Nuova Bussola Quotidiana racconta parte della genesi di un lavoro, coadiuvato da dieci analisti, per condurre un’indagine senza precedenti: il futuro è nelle mani del Cristianesimo.

Professore, come si può definire cristiano il ventunesimo secolo?
La questione religiosa occupa un posto centrale nella vita e nella cosa pubblica mondiale. Nel mio libro faccio notare che oggi, a livello globale, l'84% delle donne e degli uomini si dichiara credente. Il cristianesimo stesso si sta espandendo. I cristiani sono 2,3 miliardi di fedeli (31% di tutti i credenti). Seguono i musulmani, con 1,8 miliardi di fedeli (24%), indù (1,1 miliardi, o 15%), buddisti (500 milioni, o 7%) ed ebrei meno dell'1%. Stiamo entrando in un'era che è allo stesso tempo meno democratica, più religiosa e in cui la tecnoscienza avrà un ruolo più importante.

Quale contributo ha dato la cultura cristiana alle istituzioni europee e alla modernità? E quale potrebbe ancora regalare in futuro?
Le idee di una condizione umana universale, di pari dignità, di diritti umani fondamentali e di una messa in discussione critica dei poteri non esisterebbero senza il cristianesimo. Il cristianesimo è alla base dell'idea di democrazia. Un’idea che nasce da un intreccio di Gerusalemme, Atene e Roma, ebraismo, filosofia greca e diritto romano. E che ha influito anche nella separazione tra religione e Stato.

E la Chiesa come istituzione?
È essa stessa una fonte troppo poco conosciuta e tuttavia decisiva della civiltà elettorale come la conosciamo. Per dieci secoli, il millennio medievale, la Chiesa è rimasta l'unica istituzione dove l'elezione non è scomparsa. La Chiesa ha fortemente contribuito al trionfo del principio fondamentale che l'autorità non può essere legittima senza aver ottenuto il consenso dei governati. Il contributo del monachesimo medievale alla “civiltà elettorale” è importante.

È reale lo scontro tra musulmani e cristiani in Europa?
Considerando che nel mondo islamico è vietato dirsi non musulmani, in un autoritarismo politico, sociale, religioso e culturale, ritengo che i dati sull’islam siano sopravvalutati. Ci sono anche molti non musulmani in Europa. E altri che si convertono al cristianesimo. Ma resta vero che l'Europa può diventare un campo di confronto tra musulmani e cristiani, tanto più che alcuni musulmani sono impegnati in un progetto politico, l'islamismo, con l'appoggio di reti potenti, come quella dei Fratelli Musulmani, e sempre più anche paesi aggressivi, come la Turchia o il Qatar.

Com'è possibile che il cristianesimo rimanga la fede più perseguitata?
Il cristianesimo è infatti oggi la religione più perseguitata: nell'Africa subsahariana, in Oriente, in Cina, in India. Nel libro riporto come secondo il World Index of Persecution of Christians il numero di cristiani uccisi per la loro fede è aumentato del 60% tra il 2019 e il 2020.

Dov’è che i cristiani soffrono di più la persecuzione?
La quasi totalità (91%) dei cristiani assassinati nel 2020, è nel continente africano. Questa è una delle conseguenze della crescita dei gruppi jihadisti nell'Africa subsahariana. Ma il fatto che il cristianesimo sia in via di estinzione là dove è nato, in Oriente, dipende dal fatto che è una delle forze che fondano la società civile di fronte all'autorità politica e ha uno sguardo critico sul potere e sul suo esercizio: è portatore della separazione tra il politico e il religioso, per questo spaventa.

Spaventa soprattutto l’islam?
L'islamismo e il totalitarismo cinese stanno conducendo sia una guerra alla separazione tra politica e religione sia una guerra alla democrazia. Cristianesimo e democrazia hanno un destino legato: diventa inevitabile che i cristiani siano perseguitati.

Quali sfide l'islam impone all'Europa cristiana e sono riconosciute come tali?
Se da un lato c’è il modello cinese che incarna il potere politico che prende totalmente il controllo della sfera religiosa confiscando ogni indipendenza, dall’altro c’è quello islamico. L’islamismo è la religione che rappresenta anche il potere temporale: un’altra versione di un sistema totalitario. Questa è la sfida che l'islamismo pone all'Europa. E ne nasce un’inevitabile confronto tra democrazia e cristianesimo.

Il genio cristiano ha prodotto una civiltà a vocazione universale. Ora che i cittadini non si sentono più eredi, quale pensa sarà il destino dell'Europa?
È il momento storico del declino delle grandi ideologie politiche. Tuttavia, queste ideologie servivano da cornice per il pensiero, come sistema per rappresentare il presente e per proiettarsi nel futuro. L'Europa riscoprirà sistemi di credenze, religiosi o politici. Probabilmente si ritroverà nel cristianesimo. Ho intitolato il mio libro “Il XXI secolo del cristianesimo” per ricordare la longevità di questa religione. Considerando la profondità delle sue radici, pensando a tutto ciò che questa religione ha attraversato e tutto ciò a cui è  sopravvissuta, si è portati a pensare che non stia per scomparire.

Ieri, culla del Vangelo, domani il Medio Oriente diventerà un museo della Chiesa. Perché l'Occidente continua a ignorare la persecuzione?
La risposta è difficile. Gli occidentali subiscono il loro passato di impero. L'ignoranza li porta a confondere tutto. Sono sicuro che molti immaginano che i cristiani d'Oriente siano venuti come colonizzatori con i crociati. Sappiamo ancora che i cristiani sono sei secoli avanti rispetto ai musulmani in Oriente?

La tendenza è quella di giustificare ogni cosa...
L'Occidente cerca di conquistare il favore dei paesi musulmani, o quanto meno di offenderli il meno possibile. Lo fa per ragioni geopolitiche, ma i risultati sono molto modesti, se non pietosi.

La libertà di culto sopravvivrà nel 21° secolo?
La globalizzazione pone all'umanità domande serie: i nostri doveri verso la vita, l'universalità della condizione umana, l’uguaglianza, la solidarietà, l'etica dell'azione. Le religioni non possono tacere. La libertà di culto è la prova della condizione di separazione tra politica e religione. Possiamo dire che non c'è libertà o religione se Dio è obbligatorio, come nei regimi islamisti, o se devi essere iscritto al Partito, come in Cina.