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martedì 31 ottobre 2017

Avvenire e le menzogne di un vescovo sulla contraccezione

  • 31-10-2017
Distanza uomo donna
Bisogna fare le barricate quando in nome dell’amore, della libertà e del progresso, ci vogliono rubare il piacere e la pienezza del sesso. E, sebbene spiaccia, bisogna farle anche quando a tentare, con la menzogna, di privarci di uno dei doni più grandi di Dio sia un vescovo emerito cattolico.
Su Avvenire di domenica scorsa monsignor Luigi Bettazzi ha praticamente spiegato che Paolo VI firmò l’enciclica Humanae Vitae, che ribadisce il divieto alla contraccezione, per timore, un po’ come quando la Chiesa "aveva paura della democrazia". Ora, a parte il falso storico, dato che il papa si pose coraggiosamente contro la maggioranza (sia fuori sia nella Chiesa), Bettazzi sostiene che allora si temeva di dire che l’amore viene prima della procreazione, come se l’apertura alla vita in ogni circostanza possa sminuire il bene fra uomo e donna.
Oltre che colpire per la mancanza di realismo, visto che la contraccezione separando il sesso dal suo fine procreativo è ciò che ha aperto la strada a divorzio, aborto, omosessualità e i figli in provetta (li rifiuto o li faccio quando li voglio), questa posizione è uno svilimento dell’amore coniugale, una paura di esso. E, dunque, in fondo, un sospetto su Dio e sul suo progetto sull’uomo. Perché, dire con Bettazzi che il sesso ha come primo scopo l’amore, che precede e può negare quello della generazione, è come dire che Dio è sadico, avendo pensato di mettere fra le implicazioni del sesso qualcosa che si può contrapporre all’amore fra uomo e donna.
Ne discende che è meglio controllare ed esercitare un potere sul sesso come progettato da Dio, dove sia la creatura a comandare sul Creatore illudensosi di uscirne vincitori come fece Eva. Peccato che ciò non possa non accadere senza le conseguenze nefaste che derivano dal recidere il legame intrinseco fra unione, massimo piacere e generazione, con cui Dio ha voluto proteggere il sesso da qualsiasi riduzione. Se, infatti, il sesso non fosse generativo (come vorrebbe la mentalità contraccettiva) potrebbe facilmente trasformarsi nel suo contrario, la separazione dell’uomo dalla donna: “Ti prendo fino a che mi dai il piacere che voglio, perciò ingerisci da sola la pillola chimica, accetta la barriera del profilattico fra noi e se non funziona abortisci”. Al contrario, l’apertura alla vita e i metodi naturali, che implicano il sacrificio di entrambi i coniugi, uniscono profondamente l’uomo e la donna come desiderano.
Perché, siamo sinceri, quale persona che non cerchi solo il piacere ma l’amore vero (ossia l’accoglimento di sé per sempre senza precondizioni) desidererebbe essere voluta solo a determinate clausole (solo se ingerisci veleni chimici) o fino ad un certo punto (ti prendo a patto che ci separi un po’ di lattice), senza accettare tutto ciò che il rapporto implica (sacrifici, figli, etc.)? Non sarebbe questo il vero svilimento dell’amore? Non è questo a permettere all’eros di essere ucciso dalla paura che nasce dalla sua altezza (agape), capace di accogliere anche gli imprevisti e i sacrifici che il rapporto implica?
Perché noi, da laici che vivono il matrimonio secondo l’insegnamento millenario della Chiesa, noi, che il monsignore definisce tradizionalisti rigidi, siamo sicuri di sì, sapendo bene che la contraccezione si usa solo quando si ha paura. Paura delle conseguenze dell’atto unitivo. Paura delle conseguenze dell’amore, per cui bisogna contraddirlo, bloccarlo, arginarlo. E così, oltre a fare violenza sul coniuge, si perde anche il piacere. Tanto che mai come oggi, dove il sesso è vissuto solo come godimento, il piacere viene meno e si cerca soddisfazione nei suoi surrogati come la pornografia, il sadomaso, la masturbazione, che però non basteranno mai al cuore umano.
Non a caso, nell’epoca moderna del sesso libero, gli psicologi registrano fra i problemi maggiori delle coppie la mancanza di desiderio sessuale (fra le cause mettono la contraccezione e l'ansia da prestazione, tipica di quando il fine del sesso è il solo piacere). Desiderio, che è tanto più grande quanto meno si ha paura di ciò che l’oggetto desiderato implica, mentre il timore ossessivo di perdere il controllo o di essere prestanti (e non lo dice la Chiesa ma lo sostengono i più laici dei sessuologi) smorza patologicamente il desiderio, uccide il piacere e indebolisce i legami.
È quindi evidente che ad essere rigido, fariseo, ad imporre paletti, ad uccidere il piacere, non è il cattolico fedele alla tradizione (ossia alla visione di Dio sull’uomo), che lo vive fino in fondo senza barriere né timori e quindi se lo gode pienamente (non c’è cosa più commuovente di ricevere completamente l’altro ed essere ricevuti senza condizioni o preoccupazioni), ma il progressista che ne teme la portata e quindi lo deve arginare, rendendolo uno spauracchio da cui difendersi che quindi perderà di attrattiva.
Perciò, anche se a sostenere il contrario è un vescovo, il cattolico non può negare che la contraccezione separi l’uomo e la donna, con colpi mortali al sacramento, introducendo in esso il terrore satanico della perdita della propria autonomia e del proprio controllo sul rapporto coniugale e abituando i coniugi ad usarsi tenendosi a debita distanza da una compromissione totale.
Ci pare quindi folle che la Chiesa, come ipotizza Avvenire, possa accettare la contraccezione, normando così l’assetto psicologico che questa comporta: accogliere il coniuge solo per quello che di piacevole può dare eliminando tutto ciò che si ritiene un peso. Non vogliamo credere che nostra Madre possa contribuire a rendere normale nei rapporti l’egoismo che Cristo è venuto a sconfiggere morendo per amore. Soprattutto sapendo che l’apertura alla contraccezione (separazione dell’atto unitivo da quello procreativo) è l’apripista teorico anche all’aborto, al divorzio, alla fecondazione assistita e all’omosessualità, come già accaduto nell’Occidente laico.
Al contrario, difendiamo il divieto della Chiesa alla contraccezione come suo sì alla salvaguardia dell’amore vero, che non pone limiti o condizioni. Un amore che lasciato agire fino alle sue ultime implicazioni diventa così potente da riuscire a rendere l’uomo collaboratore di Dio, capace di generare vita, costi quel che costi. Perciò il coronamento dell’amore, il suo vertice divino non può che essere nel sesso come donazione esclusiva e totale, come apertura alla vita, ossia come sacrificio di sé per accogliere pienamente un Altro.


1 Novembre. Solennità di Tutti i Santi



αποφθεγμα Apoftegma

Ma come possiamo divenire santi, amici di Dio?
Per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie,
né possedere carismi eccezionali.
E' necessario innanzitutto ascoltare Gesù
e poi seguirlo senza perdersi d'animo di fronte alle difficoltà.
L'esperienza della Chiesa dimostra che ogni forma di santità,
pur seguendo tracciati differenti, passa sempre per la via della croce,
la via della rinuncia a se stesso.
L'esempio dei santi è per noi un incoraggiamento
a seguire le stesse orme,
a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio,
perché l'unica vera causa di tristezza
e di infelicità per l'uomo è vivere lontano da Lui.
Benedetto XVI, 1 Novembre 2006







SANTI PERCHÈ AMATI, PERDONATI E LIBERATI COME UNA PRIMIZIA DEL CIELO OFFERTA AD OGNI UOMO


La santità è una speranza invincibile incastonata nella forza infinita d'una chiamata. Ancora prima di vedere la luce Dio ci ha chiamati alla santità «mettendoci da parte» nel mondo per «ereditare la Terra del suo Regno» e mostrarne a tutti le primizie. «Forza e coraggio, perché Io sono con te ovunque tu vada»: sono le parole del Signore rivolte a Giosuè fermo dinanzi al Giordano; le ripete anche a noi ogni giorno, chiamandoci a passare il guado. Sulla riva opposta vi è la Terra Promessa, la santità compiuta nell’eterno e pieno appartenere al Signore. In mezzo è il torrente di oggi e domani, persone e fatti che Dio ha preparato per noi. Davanti ad esso vi siamo noi con la paura della santità, che è quasi certezza di non farcela. La stessa di Giacobbe dinanzi al guado dello Jabbok, solo e in trappola, e quel fiume oscuro che lo aspettava, come un presagio di morte. Giacobbe era un peccatore, ha mormorato e giudicato, ha ingannato e rubato, ma portava sigillata nel fuoco la sua primogenitura; ha lottato con Dio, non ci stava a «perdere la vita». Poi un colpo secco all’anca e non era più quello di prima. Umiliandolo a zoppicare Dio ne aveva fatto un santo. Ora Giacobbe conosceva la propria debolezza benedetta con un nome nuovo, «Israele», che significa «Forte con Dio». Ecco dunque un santo, il più debole con il Più forte. Tu ed io che trasciniamo i piedi, incapaci di tutto ma aggrappati alla sua misericordia. Lo abbiamo visto anche un istante fa, quando per nulla abbiamo sbranato il fratello, per poi chiedergli balbettanti perdono. Se Dio non ci avesse creato friabili come fette biscottate non avrebbe potuto mostrare al mondo la sua santità. Per questo la debolezza è la nostra «beatitudine», anticipo di quella che sazia la moltitudine dei Santi che ci hanno preceduto nel Cielo. Celebrandoli oggi riviviamo il cammino della Chiesa nei secoli, colmi di gratitudine perché è anche la nostra storia. «Santi subito», perché no? «Consolati» quando il mondo è «afflitto». «Sazi» e riconciliati in mezzo agli «affamati di giustizia». «Miti» come agnelli in una società di lupi. «Operatori di pace» mentre il mondo prepara la guerra. «Puri» dove tutto è sporco. «Misericordiosi» con chi ci è nemico e ci «perseguita». «Santi per causa di Cristo», «esultanti e felici» del suo amore che abbraccia la nostra «povertà» per far risplendere negli «insulti e nelle menzogne» il volto santo di Dio.


Giosuè e il Popolo passano il Giordano



Una speranza invincibile e la forza infinita d'una chiamata: la santità è un'elezione, un esser messi a parte per qualcosa di speciale, per abitare la Terra. I santi sono gli eredi della Terra dove scorre latte e miele. Il Cielo. Tra le pieghe della festa di oggi, dietro la santità si scorge la storia di un Popolo. Ad ogni beatitudine si odono le eco dei passi degli umili, dei piccoli, di un resto. I riscattati che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti e le hanno rese candide nel sangue dell'Agnello.

E' Lui che, vittorioso sul peccato e sulla morte, precede i suoi nella Galilea che è il mondo in attesa del Regno. E' Lui il Santo che ci fa santi. Oggi siamo tutti dinanzi alla Terra, come Giosuè. Le parole del Signore ci invitano a non aver paura, ad essere coraggiosi e forti, a non scoraggiarci dinanzi alle difficoltà, ai popoli che abitano la nostra eredità.

A non aver paura di noi stessi, dei nostri peccati, dei nostri limiti, delle nostre debolezze, dei nostri difetti. Sono tanti e numerosi come i Popoli che abitavano la Terra che si dischiudeva dinanzi agli occhi di Giosuè. "Forza e coraggio" gli ripeteva il Signore sull'erta di quel monte, "perché il Signore è con te ovunque tu vada". Forza e coraggio sono l'altra metà della povertà. 

Come Giacobbe dinanzi al guado dello Jabbok, solo e in trappola, e quel fiume oscuro che lo aspettava, come un presagio di morte. Giacobbe era un peccatore, ha mormorato e giudicato, ha ingannato e rubato, ma portava sigillata nel fuoco la sua primogenitura; ha lottato con Dio, non ci stava a «perdere la vita». Poi un colpo secco all’anca e non era più quello di prima. Umiliandolo a zoppicare Dio ne aveva fatto un santo. Ora Giacobbe conosceva la propria debolezza benedetta con un nome nuovo, «Israele», che significa «Forte con Dio». Ecco dunque un santo, il più debole con il Più forte

Tu ed io che trasciniamo i piedi, incapaci di tutto ma aggrappati alla sua misericordia. Lo abbiamo visto anche un istante fa, quando per nulla abbiamo sbranato il fratello, per poi chiedergli balbettanti perdono. Ma solo chi ha conosciuto davvero, come Giacobbe, la propria debolezza, può abbandonarsi con una sconfinata fiducia in Colui che lo chiama.

E' la fede che coniuga nei santi la forza e il coraggio. Essi vivono aggrappati a Colui che ha legato il demonio, ha sconfitto uno ad uno i Popoli che usurpavano l'eredità, e con Lui entrano a prenderne possesso. Un Popolo santo, separato, consacrato in Colui che lo ha amato di un amore unico, gratuito, infinito. 

Il Signore ci annuncia oggi la beatitudine di chi abita, felice, nella sua Terra. Che ci è data, come primizia, nella Chiesa, il mistero d'amore e comunione che supera ogni nostro limite carnale. Anche oggi, come ad ogni mattino che si apre dinanzi a noi, ci troviamo sul monte con il Signore. E su quel monte ammantato dalla rugiada d'ogni alba della nostra vita, Lui ci chiama ad entrare nella Sua eredità. Ogni aurora che ci accoglie ci dona il Suo Spirito Santo che ci fa figli, coeredi di un Destino meraviglioso.

Lo Spirito di fortezza perché non cediamo al timore dinanzi alla Croce che ci attende. Ecco la nostra vita santa che ci fa santi. Ogni evento in cui ci imbattiamo, ogni persona che incontriamo è la Terra preparata per noi, la nostra eredità. Nostra moglie oggi, così come si sveglierà; nostro marito è la terra che ci farà sante quando tornerà nervoso e intrattabile dal lavoro; nostro figlio che si è appena messo un orecchino; nostra figlia che ha sbattuto la porta e se ne è andata in discoteca; nostra suocera che non ce ne fa passare una, con quel sorrisetto ironico che dice tutto; il collega che ci ha infilzato calunniandoci con il capo reparto. E il cancro che ci ha visitato, la cassa integrazione, lo sfratto.

Ogni fatto della nostra vita ci fa santi, perché in ciascuna ora che segna le nostre esistenze Lui ci precede, combatte per noi come già ha fatto innumerevoli volte nel passato; anche quando eravamo schiavi del peccato in Egitto dove ci ha salvati, redenti, amati d'un amore eterno. Lui ci precede nella camera operatoria e nel dialogo serrato con i figli; allora, perché temiamo di vivere e chiamare gli altri a vivere una vita santa, piena, compiuta nell’amore? Perché ci accontentiamo di galleggiare mentre possiamo essere santi?

La sola possibilità per essere felici, noi e la nostra famiglia, i fratelli, gli amici è lasciare che Dio ci faccia santi, conducendoci nella Terra dove consegnarci per amore, nel compimento della promessa che ci ha chiamati alla vita. Desideri la santità per tuo figlio? O piuttosto un lavoro, la salute e altre cosette così? Non desideri che conosca l’amore che lo perdona e lo trasforma in figlio di Dio, in un santo offerto al mondo?

Chi di noi, oggi, non sta vivendo almeno una delle situazioni descritte dalle “beatitudini”? Ma forse non pensiamo d’essere “beati”. Sfortunati, vittime di un’ingiustizia, ma “beati” perché “piangiamo, abbiamo fame, siamo perseguitati, ci insultano e calunniano”? Per favore, chi pensa che tutto questo sia la felicità è da rinchiudere in un manicomio criminale.

Ma Gesù ci annuncia proprio questo. Non solo, ma ci svela che siamo “noi” questi “beati”. Sei beato e non te ne stai rendendo conto. Guarda bene tuo marito, tua moglie; fissa tuo figlio. Guarda te stesso, ma guardati bene.  E lascia che le parole di Gesù illuminino i volti, e raggiungano le storie di ciascuno, scovando anche nella tua i momenti in cui hai visto Lui operare in te. L’hai sperimentata la beatitudine, ma forse non ci hai fatto caso o il demonio te l’ha cancellata dalla memoria. La stai sperimentando, ma forse ti sembra la cosa più naturale del mondo.

Quando? Ora, che sei ancora sposato, ed è in virtù della sola Grazia di Dio che ha reso “vita” possibile, e anche felice, quello che il mondo, la carne e il demonio dicono essere un assurdo. Hai gustato la beatitudine quando hai perdonato chi ti aveva tolto l’onore. Di certo la tua beatitudine si specchia nel sorriso di tuo figlio, che è la vittoria di Cristo sui tuoi peccati, sull’egoismo, l’avarizia e la concupiscenza.

Ciò significa che la “beatitudine” per la quale siamo nati sgorga dalla gratitudine. Chi oggi non è grato a Dio, sta perdendo la propria felicità, quella che gli spetta. E’ frustrato, vive contro se stesso. Ma la gratitudine non si compra al mercato. E’ il frutto di un lungo cammino di “purificazione” dello sguardo “del cuore”; è la meta di un serio percorso di conversione alla verità per diventare “poveri in spirito”.

E’ il figlio di Dio gestato nel seno della Madre Chiesa, che, illuminato dalla Parola spalmata sui fatti della propria storia, ha sperimentato l’amore di Dio e per questo lo vede in tutto. E per tutto è grato, rende grazie, vive in pienezza l’eucarestia, che non a caso era l’ultimo evento vissuto da un catecumeno la notte di Pasqua, dopo aver ricevuto il battesimo e la cresima.

Era entrato nella terra della gratitudine, immagine del Paradiso. Gustava le delizie dello Shabbat, del riposo che è la contemplazione dell’opera di Dio nella propria vita. Poteva cantare e far festa, “rallegrarsi ed esultare” perché sapeva che proprio la persecuzione certificava la sua appartenenza a Cristo, che stava vivendo la sua morte e la sua resurrezione.

Come non essere grati, ed esplodere in una liturgia di ringraziamento per essere stati “separati” dal mondo per vivere la vita di Cristo! Come non essere felici per essere stati strappati dal peccato e dall’infelicità per gustare il perdono che ricrea! Come non desiderare questa “beatitudine” per chi ci è accanto, per il mondo intero? Come non perdere la vita per annunciarla sino agli estremi confini della terra perché nessun uomo ne resti escluso?

Il Signore ha pensato a te e a me, ai nostri figli per condurci per mano al possesso della nostra eredità, la sua stessa santità. Lui, il Santo, ci ha scelti. Lui nella Chiesa illumina gli occhi della nostra mente per comprendere a quale speranza siamo chiamati, "quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi" . La speranza di esserne partecipi purifica i nostri cuori e le nostre menti e ci fa ogni giorno santi come Lui: poveri con Lui, afflitti con Lui, miti con Lui, affamati e assetati con Lui, puri, operatori di pace, perseguitati con Lui. Piccoli, deboli, pieni di difetti e di contraddizioni. Eppure santi.

Sino al giorno in cui saremo “eletti” a far parte del “Paradiso”. Nel tempo e nello spazio, sulla terra, ci prepariamo a vedere trasformata la chiamata in elezione attraverso il cammino che ci offre la Chiesa. Perché è pur vero che molti sono i chiamati e pochi gli eletti. La santità è una cosa seria, è soprattutto una missione per salvare i peccatori.

Per passare all’altra riva, alla “terra celeste”, abbiamo bisogno di fratelli maggiori che ci confortino, ci mostrino le tracce disseminate sulla strada della santità. Di testimoni della fedeltà di Dio, come lo fu Elisabetta per la Vergine Maria. Per questo celebriamo oggi la santità di tutti coloro che ci hanno preceduto in questo cammino, che hanno gustato le primizie della Terra promessa nelle pieghe dell'esistenza quotidiana. Celebriamo la comunione con i santi, nella quale possiamo, in un certo senso, “approfittare” della loro santità per imparare a viverla nella nostra storia. 

Come accade in una famiglia dove i genitori e i fratelli maggiori mettono a disposizione i loro beni per i fratelli più piccoli, che non possono sostenersi da soli. Così “funziona” anche la comunione nella Chiesa terrestre, nelle nostre comunità concrete: nessuno dice “sua” la Grazia che riceve, ma la mette a disposizione per il bene di tutti. Così siamo uniti ai santi che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato la veste con il sangue dell’Agnello, e vivono nel Cielo. Ci donano le primizie, per darci forza e coraggio nel viaggio e nella battaglia per raggiungerli.

Affrettiamoci dunque ad entrare oggi nella Terra santa che ha allargato i confini sino ad includere anche la città della nostra vita. L’ha conquistata Cristo con la sua Croce e la sua risurrezione! La nostra vita, il nostro corpo, tutto di noi è preparato per divenire il tempio santo per la sua santità. Consegniamoci oggi e ogni giorno a Cristo, così come siamo, perché faccia di noi un’immagine fedele del Santo che ci ha chiamato.

Dal Samba a Buddha, come si oltraggia la Madonna

  • 31-10-2017
Dopo essere comparsa in una scuola di samba in pieno carnevale ed essere stata omaggiata da bellezze come Preta Gil, nel pieno delle commemorazioni dei 300 anni dal ritrovamento dell’immagine di Nostra Signora di Aparecida, la stessa fu posta ai piedi di Budda in un atto interreligioso che si è svolto sabato scorso. Il manifesto che annunciava l’incontro è eloquente: si vedono Budda e la Vergine uno di fianco all’altro.
Le foto e i video dell’avvenimento hanno provocato molte proteste sulle reti sociali del Brasile. Si vedono il cardinale Dom Odilo Scherer e il vescovo diocesano di Osasco, Dom Joao Bosco Barbosa, presidente della Commissione nazionale vita e famiglia della conferenza episcopale, oltre al padre redentorista Joao Batista de Almeida, rettore del Santuario Nazionale di Aparecida, e una decina di sacerdoti, che partecipano a quello che molti sulle reti sociali hanno definito un gesto blasfemo.
Il fatto che la statua della Madonna sia stata posta ai piedi del Budda, e l’offerta di incenso da parte del cardinale e del vescovo  hanno colpito la sensibilità di molti, oltre alle preghiere in comune. “I martiri del cristianesimo di ogni tempo svergognati” ha scritto una persona. Ricordando che proprio per il rifiuto di offrire incenso alla statua dell’imperatore o degli dei i martiri romani andavano a morire.
Il sito brasiliano  fratresinunum.com scrive: “Dopo aver ricevuto decina di manifestazioni di protesta, ci siamo decisi anche noi a unire la nostra alle voci per fare riparazione alla Vergine Santissima, oltraggiata in maniera tanto irriverente da un relativismo grandissimo. Inginocchiamoci davanti all’immagine santa di Nostra Signora e preghiamo, chiedendo perdono per tutta questa confusione”.
Come fanno giustamente notare i colleghi brasiliani, la natura di questo evento esula molto dalla finalità di un incontro per la pace e la giustizia. “Si tratta di una vera mancanza di rispetto a Nostra Signora. Questa serie di oltraggi deve finire!”

lunedì 30 ottobre 2017






αποφθεγμα Apoftegma

L’uomo, anche se creato per contemplare la luce dall’alto,
è stato scacciato dal paradiso per colpa dei suoi peccati
e, per conseguenza, le tenebre regnano nella sua anima,
facendogli perdere l’appetito delle cose dell’alto
e portare la sua attenzione verso le cose del basso.

San Gregorio Magno










L'AMORE DI DIO SVELA L'IPOCRISIA SATANICA E SLEGA LE CATENE CON CUI CI TIENE SCHIAVI ALL'EGOISMO


Gesù «insegna di sabato» per accompagnarci a scoprire in esso il suo amore infinito. Per Israele «Shabbat» è un frammento di Cielo deposto sulla terra. Celebrarlo fedelmente astenendosi dai 39 lavori proibiti significa impedire al tempo di chiudersi su se stesso in un angosciante «eterno ritorno». «Shabbat» infatti segna il cammino della vita consegnato da Dio sul Sinai: è una sosta nella fatica, la gioia nel dolore, la memoria sempre viva del destino a cui ogni uomo è chiamato. «Shabbat» custodisce e fa gustare la fragranza della Terra Promessa, accoglie ogni uomo nella gratuità dell’amore di Dio per aprirlo alla lode. «Shabbat» è la misericordia di Dio che cerca il peccatore. E proprio in giorno di «Shabbat» una donna «curva» e «legata da satana» «era là», in quella sinagoga. aSenza dire una parola, senza far nulla ascoltava Gesù. Non era «venuta a farsi curare», non lo aveva chiesto, ma, essendo «figlia di Abramo», ne custodiva con fede la promessa nell’attesa del suo compimento. Anche noi siamo «legati» da satana, «curvi» sotto il peso dei peccati che ci impediscono di «drizzarci» per amare chi ci è accanto. Non possiamo liberarcene «in nessun modo», tanto meno attraverso il moralismo «ipocrita» del «capo della sinagoga» che si «sdegna» dell’amore gratuito di Dio. Come lui spesso anche noi, genitori, preti, educatori, scambiamo per «lavoro», impegno, sforzo, strategie, l’opera della Grazia che proprio il sabato profetizza, e finiamo con il chiuderne le porte a tutti. Orgogliosamente incapaci di accettare di essere deboli e peccatori, crediamo di curarci e curare attraverso i nostri sforzi, nel «dolore» e nel «sudore» dei «sei giorni» di lavoro. Ci illudiamo così di stare in piedi, mentre restiamo per «diciotto anni» – la nostra vita lontana dal «giardino» – «curvi» sulla terra a cercare tra «spine e cardi», la felicità che solo il «sabato» della Misericordia può donarci. Ma l’unico «modo» per «guarire all'istante» è «essere là» come quella donna, nel seno della Chiesa nostra madre che ci accoglie così come siamo nel compimento dello «Shabbat». Anche oggi nell’Assemblea Santa, nella comunità cristiana, il Signore ci «vede», ci «chiama»; ci annuncia la «libertà», ci «impone le mani» perdonandoci i peccati, per donarci il suo Spirito. Ascoltiamo allora il suo «insegnamento» che ha il potere di «scioglierci» dalla «mangiatoia» dove lo spirito malvagio ci «tiene infermi» a saziare le nostre concupiscenze; lasciamoci condurre ad «abbeverarci» alla fonte della Grazia che sono i sacramenti, per celebrare «esultanti» nella liturgia le «meraviglie» del suo amore, «glorificando» Dio con i fratelli.




La Parola guarda, chiama a sé e libera. La Parola si fa mani che toccano le infermità, e raddrizzano. La Parola schiude alla lode chi è curvo, incapace di raddrizzarsi in alcun modo. La Parola compie il sabato del riposo, il destino cercato, sperato e mai raggiunto. 

E finalmente sei arrivato Signore, mi hai guardato, mi hai chiamato. Mi hai guarito. Curvo sui miei pensieri, sulle mie ansie, sulle mie nevrosi. Le paure per un passato non risolto, pesante come un macigno sul mio presente. Una offesa, chissà. Un'ingiustizia non digerita, ed eccomi da anni accasciato e incapace di sollevare lo sguardo. Si, questa è la mia vita. I peccati, gli inganni del demonio come una mano sulla nuca a obbligarmi con gli occhi abbassati. Non un pezzo di cielo, lo sguardo sempre sul selciato, senza sapere da dove vengo e dove vado. Ma sei arrivato, oggi, con il tuo amore. Hai vinto l'ipocrisia moralista delle regole di facciata, buone solo a far schiava la gente. Il cuore hai cercato. Eccolo allora il mio cuore. E' pronto per te, guariscilo Signore. E' giunto finalmente il sabato eterno delle tue nozze con la mia povertà. 

Per questo Gesù insegna di sabato proprio per rivelare cosa sia il sabato. Esso vede, chiama a sé e guarisce: shabbat è la porzione di Cielo dischiusa nel tempo, il kairos che, come una ferita, spezza la trama grigia dei giorni; shabbat impedisce al tempo di chiudersi su se stesso, e spegnere così la speranza. La donna inferma, curva e incapace di drizzarsi è immagine del nostro tempo senza shabbat. La nostra storia che ha smarrito il sigillo dell'Alleanza, la caparra della vita eterna, la breccia che circoncide la carne aprendola ad un destino più grande. Questa donna è immagine di ciascuno di noi curvo sui suoi pensieri, sulle ansie, sulle nevrosi. Incapaci di rizzarci dalle paure per un passato non risolto, pesante come un macigno sul presente. Una offesa, chissà. Un'ingiustizia non digerita. I peccati, gli inganni del demonio come una mano sulla nuca a obbligarci con gli occhi abbassati. Non un pezzo di cielo, lo sguardo sempre sul selciato, senza sapere da dove veniamo e dove andiamo. 

Ma Gesù colma shabbat; Egli denuncia l'ipocrisia che si indigna della libertà facendo di shabbat un idolo muto. Di chi rende le nostre chiese, la Parola, il Signore stesso come lo shabbat pervertito dal capo della sinagoga: un peso in più, un moralismo, una garanzia sulla vita che uccide la vita. Gesù guarda oggi la nostra vita, non se ne scandalizza, e dischiude le porte di shabbat perchè esso accolga il nostro tempo curvo sul non senso. Gesù ci dona oggi shabbat in tutto il suo splendore, nel suo sapore unico di festa e libertà. Oggi ci scioglie dalle catene delle menzogne e ci conduce a mangiare e a bere i frutti della terra, la vita autentica per la quale siamo nati.    

domenica 29 ottobre 2017

Sarah: manca fede nell'Eucaristia, viviamo troppo in superficie per comprendere ciò che celebriamo

Sarah: manca fede nell'Eucaristia, viviamo troppo in superficie per comprendere ciò che celebriamo

«Come dovremmo dunque raccoglierci in silenzio e adorazione, come Maria ai piedi della Croce, davanti a Dio che muore per i nostri peccati in ciascuna delle nostre Eucarestie? Come dovremmo mantenerci nel silenzio e nell’azione di grazie davanti a Dio Onnipotente che soffre la Passione a causa delle nostre ribellioni, delle nostre indifferenze e delle nostre infedeltà? Viviamo troppo spesso alla superficie di noi stessi per comprendere ciò che celebriamo.
La mancanza di fede nell’Eucarestia, presenza reale di Cristo, può condurre al sacrilegio. Gesù è isolato a causa dell’odio crescente dei farisei, che formano contro di lui una coalizione sempre più forte, obbligando i suoi ascoltatori a separarsi da lui. Oggi ci sono cristiani che si coalizzano per allontanare Gesù e la sua dottrina da coloro che cercano onestamente la verità. È sempre più solo tra gli uomini che lo odiano o non sanno come amarlo, perché sono incapaci di conoscerlo come Egli è. Tuttavia ci sarà sempre un piccolo gregge che vuole conoscerlo e amarlo.
Gli uomini devono imperativamente riscoprire la Pasqua che celebriamo in ogni Eucarestia. La grazia di Pasqua è un silenzio profondo, una pace immensa e un sapore puro nell’anima. È il sapore del cielo, lontano da tutte le esaltazioni disordinate. La visione di Pasqua non consiste in un’ebbrezza di spirito; è la scoperta silenziosa di Dio.
Se la Messa potesse essere, ogni giorno, come quella del Golgota e come il mattino di Pasqua! Se le preghiere potessero essere altrettanto lucide, se Cristo risorto potesse sempre risplendere in me nella sua semplicità di Pasqua… Pasqua segna il trionfo della vita sulla morte, la vittoria del silenzio di Cristo sul grande fracasso dell’odio e della menzogna. Cristo entra nel silenzio eterno.
La Chiesa deve ora proseguire la missione di Gesù attraverso la sofferenza e la morte di ogni giorno, vissute nel silenzio, nella preghiera, nella supplica e in una grande fedeltà».

L'insegnamento definitivo e profetico di Humanae vitae

  • 29-10-2017
Convegno Humanae Vitae
Ieri, presso la Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino di Roma, Voice of the family ha organizzato un convegno per ribadire l’attualità di un’enciclica profetica di cui l’anno prossimo ricorrerà il cinquantesimo anniversario. Eppure molti, anche all’interno della Chiesa, mirano a mettere in discussione “Humanae Vitae di Paolo VI, anche se oggi più che mai questa enciclica dimostra la sua verità”. Ne è convinto, padre Serafino Lanzetta, uno dei relatori del convegno che ci ha spiegato perché.
In occasione dei 50 anni di Humanae Vitae si stanno moltiplicando discussioni e convegni a riguardo, ci spieghi perché è importante riparlare oggi di questo documento.
È molto importante celebrare il 50° di Humanae Vitae perché si tratta di un insegnamento magisteriale autentico e definitivo riguardante la regolazione della nascite. La forma è quella di un'enciclica papale, quindi di un intervento ordinario del magistero, ma il modo di proporlo e la materia trattata, in continuità con l’interrotta Tradizione della Chiesa, così da leggere Gaudium et spes alla luce di Casti Connubi di Pio XI e del Catechismo Romano nato dopo il Concilio di Trento, depongono a favore di un insegnamento definitivo.
Qual è il portato dottrinale e immutabile di Humanae Vitae?
Si condensa sostanzialemente nel fatto che ogni atto matrimoniale deve necessariamente conservare la sua intrinseca relazione alla procreazione della vita umana, evitando perciò ogni azione che ostacoli il raggiungimento del suo fine intrinseco: il concepimento. Paolo VI a modo di sintesi coniugò inscindibilmente due aspetti dell’amore umano e sacramentale del matrimonio: quello unitivo e quelle procreativo. Tale inscindibile connubio deve realizzarsi in ogni singolo atto coniugale come sua intrinseca verità. La contraccezione pertanto viene ad essere inquadrata come strumentalizzazione del matrimonio, sia nel suo fine unitivo che procreativo: è una manipolazione dell’amore che rendendo uno si apre alla pluralità, al bene della vita. La contraccezione è perciò contraria non solo alla procreazione ma anche all’amore. Questo in modo profetico ci dice l’enciclica di Paolo VI.
Eppure l’anniversario di Humanae Vitae viene usato anche da coloro che mirano a cambiare l'insegnamento della Chiesa sulla morale. Basti pensare a come è stato presentato il corso sull'enciclica dell’università Gregoriana da Avvenire, per cui questo documento non avrebbe il sigillo dell’infallibilità e per cui “la grande domanda sullo sfondo è quella di capire come mettere in sintonia il quadro normativo di Humanae Vitae con la tensione al rinnovamento alla luce del primato della coscienza che si respira in Amoris Laetitia".
Purtroppo a volte si ha un’idea di infallibilità magisteriale quasi meccanica, se non addirittura da raggiungersi con il consenso delle maggioranze. O si pensa che il Papa sia sempre infallibile in ciò che dice, perché ogni sua parola verrebbe dallo Spirito Santo, oppure che al contrario sia sempre non infallibile (quando non direbbe quello che tutti vogliono sentire), ignorando invece che c’è un’infallibilità ordinaria del magistero, la quale consiste nella reiterazione dello stesso insegnamento in modo diacronico: attraverso i secoli e quale patrimonio di una dottrina ritenuta sempre, dovunque e da tutti. Humanae Vitae ribadisce definitivamente (il Vaticano II si era chiuso lasciando aperta la questione sulla regolamentazione della nascite, quindi richiedeva una parola chiara e definitiva in merito), che l’atto coniugale deve essere sempre indirizzato alla procreazione. Ciò lo dice Paolo VI, ma facendo eco alla dottrina contenuta nella Rivelazione, insegnata dai suoi Predecessori e vissuta dalle famiglie cristiane.
Se non è possibile cambiare l’insegnamento sulla morale sessuale di Humanae Vitae senza sovvertire la dottrina cristiana, con che argomenti si usa un'esortazione apostolica come Al per mettere in discussione un’enciclica?
Il tentativo teologico-morale di superare l’enciclica di Paolo VI consisterebbe non nel negare direttamente e apertamente l’insegnamento morale che contine, il che si configurerebbe come un'eresia conclamata, ma di superare piuttosto l’impostazione neoscolastica e giusnaturalistica che soggiace all’enciclica con un approccio più personalista. Amoris Laetitia contribuirebbe a spostare l’accento morale dalla legge alla persona e infine alla dignità della persona perfino nell’uso dei metodi naturali. Questo basterebbe per un cambio di paradigma nel valutare la dottrina morale che condanna la contraccezione: favorire la persona includendo in una moralità dell’amore idealmente fecondo i singoli atti sterilizzanti e contraccettivi. La parte nel tutto di un amore non troppo stretto e normativo come quello della legge naturale ed evangelica. Questo certamente, sebbene con belle parole, costituirebbe un sovvertimento della dottrina morale rivelata da Dio.
Come mai c'è tanta confusione in merito alla morale sessuale e perché questo è, di fatto, il punto più colpito da coloro che mirano a sovvertire le fondamenta del magistero cristiano?
La morale cristiana è l’applicazione concreta dei principi dottrinali rivelati e il compimento pratico del cammino verso la salvezza e la santificazione. Diluendo la morale diventa più facile accedere al dogma perché se ne dia un’interpretazione più consona ai tempi, in continua evoluzione rispetto alla storia degli uomini. Se però la dottrina morale viene indebolita da un approccio personale contro uno metafisico ed essenziale, il fondamento stesso della morale, che è Dio rivelante, diventa più morbido: potremmo così accostarci ad un Dio più Padre che giudice, più amico che maestro, ecc. E indebolita la morale, le verità di fede sono lasciate all’interprete di turno. Se infatti si dice che la contraccezione rimane in sé un male (ideale), ma nel concreto gli atti matrimoniali non si configurerebbero mai come contraccettivi perché animati dall’amore che supera le barriere delle scelte umane concrete, allora si mette in discussione l’identità naturale e sacramentale del matrimonio. Il matrimonio sarebbe un contratto ideale e non più la comunione indissolubile di tutta la vita, di tutte le scelte, di tutti gli atti. Negando la morale si nega prima la ragione e poi la fede.
Come risponde all’obiezione che si fa al cristianesimo di aver avvelenato la cosa più bella della vita, l’eros, con i suoi cartelli morali?

Dicono che la morale cristiana rappresenterebbe il tentativo di ingabbiare con regole normative un principio che invece si configura come vitale nell’uomo: il fluire della vita attraverso la passione e il desiderio. La disciplina cristiana avrebbe distrutto l’amore umano. Per recuperare i cocci di questo amore dovremmo quindi abolire la morale sessuale. Di fatti se si pensa che la morale coniugale di Humanae Vitae sia troppo stretta e difficile per le famiglie cristiane si sostiene proprio questa tesi. Peccato che liberandosi del cristianesimo la morale è riuscita a liberarsi perfino di se stessa: siamo infatti arrivati ad una vera dittatura del sesso e alla sua mercificazione.
Perché fede e morale sono inscindibili? Cosa rispondere ad un mondo, anche cristiano, che ci convince che le norme e le regole di Dio sono secondarie alla fede?
Fede e morale sono inscindibili. La fede illumina il comportamento dell’uomo, mentre il comportamento morale rimanda alla fede creduta. Per avere un’idea molto precisa di questa inscindibilità dobbiamo pensare a Gesù che è via, verità e vita. Egli è la verità che attraverso la via ci conduce alla vita eterna. La verità è la fede, la via è la morale e la vita è il possesso eterno di Dio nell’amore. La morale dunque è la via illuminata dalla verità che ci conduce alla Vita. Eliminare la morale dalla fede significherebbe dire che Cristo è una verità astratta, una sorta di teorema matematico che non ha nulla a che fare con la nostra vita. Al contrario eliminare la fede dalla morale significherebbe ridurre la vita cristiana a un fare senza più l’essere, senza la Luce che viene dall’alto e perciò a una vita vuota.
Come contrastare la secolarizzazione, interna anche alla Chiesa, mostrando la bellezza della legge naturale e divina?
Dicevo all’inizio che Humanae Vitae è stata profetica nel mostrare che la contraccezione è contraria alla verità dell’atto coniugale e alla verità dell’amore. Di fatti la deriva ipersessualista dei nostri giorni è nata dal manifesto di una libertà sessuale senza regole. Sconnettendo la procreazione dall’unione e favorendo solo quest’ultima in ragione dell’imperativo dell’amore siamo finiti, da un lato a dover proteggere soprattutto i più piccoli dalla manipolazione ipersessualista che regna e dall’altro a dover fare i conti con la fluidità del sesso, una sorta di reazione di massa al tentativo "pornomane" che regna un po’ dovunque e come volontà di uscire dalla gabbia dell’omologazione, facendosi invece una sessualità secondo i propri gusti. Il rifiuto dell’inscindibilità dell’amore e della procreazione sta producendo dei mostri di cui tutti ora paghiamo le conseguenze. Dovremmo perciò metterci dalla parte dell’enciclica di Paolo VI per essere profeti autentici e per salvare il mondo dalla deriva e l’uomo dalla perdizione eterna. Dobbiamo rispettare la legge di Dio e così costruire veramente una società umana. La Chiesa è chiamata ad essere profeta, ad insegnare la verità dell’amore di Cristo e non ad allinearsi alla mentalità del mondo. 

Manuel, il bambino che parlava con Gesù Eucarestia

  • 29-10-2017
Manuel copertina
Anche se nella sua giovanissima vita non avesse parlato a tu per tu con Gesù, la storia di Manuel resterebbe senza alcun dubbio un prodigio meraviglioso. Un bambino che a soli quattro anni affronta la malattia come fosse un’inesauribile storia d’Amore con il suo Gesù. Un piccoletto che offre il suo dolore innocente sino al sangue per «convertire più anime possibili». Un fanciullo che a 9 anni nasce al Cielo in festa, così sicuro del Paradiso tanto da non vedere più i confini tra Cielo e terra. Ecco, entrare nella storia di questo mistero basterebbe a sciogliere anche i cuori più induriti, «quelli che – dice Manuel - non conoscono il Tuo amore». E però quel bambino di Calatafimi, in quel paesello di 6 mila anime disperso fra le colline sicule dell'agro segestano, quel piccolo bambino, con il suo Gesù, ci parlava per davvero.
Certo, servirebbe narrare degli oltre 30 cicli di chemioterapia, del trapianto, delle operazioni e trasfusioni di sangue, delle metastasi diffuse, degli inenarrabili dolori sofferti nel dolce corpicino, ma neppure i racconti più dettagliati basterebbero per comprendere la Via Crucis che Manuel ha percorso per cinque anni, da quella mattina del 2005 in cui il piccolo si sveglia con un forte dolore alla gamba destra e una fastidiosa febbriciattola che gli toglie l’appetito. La diagnosi arriverà una manciata di giorni più tardi presso l’ospedale pediatrico di Palermo, dove Manuel viene trasportato d’urgenza per un tracollo repentino delle condizioni di salute: i referti medici parlano di “un’infiltrazione massiva di neuroblastoma di IV stadio che ha intaccato le creste iliache del bacino”. In una parola: tumore. A soli 4 anni. Eppure, leggendo le pagine del diario che mamma Enza ha ricomposto con le lettere del figlioletto e i racconti dei suoi testimoni, non si può che faticosamente arrendersi a quella che per il bambino restava una “semplice” evidenza: la battaglia di Manuel è stata gioiosa e gloriosa. In quella battaglia contro il male, combattuta con una fortezza dell’Altro mondo, in quella battaglia in cui è caduto e andato a morire, davvero Manuel ha vinto tra le potenti braccia di Dio Padre.
C’è un reale imbarazzo nel dover selezionare alcuni stralci dell’esistenza di Manuel essendo la sua vita uno sterminato campo di spiritualità incarnata, in cui si possono raccoglie i fiori più preziosi. Una spiritualità così profonda sin nella sua più tenera età. Come racconta suor Prisca, in servizio presso l’ospedale di Palermo, dove il bambino viene subito sottoposto all’operazione di asportazione del tumore e ai primi cicli di chemioterapia: «Era piccolissimo, ma prima di fare la terapia veniva sempre in cappella e incontrandomi mi diceva: "Suor Prisca, portami in sacrestia, perché voglio vedere Gesù in Croce!". Poi teneramente lo prendevo in braccio e gli mettevo la testolina vicino al tabernacolo. Era felicissimo perché voleva essere il più caro amico di Gesù. E poi recitavamo insieme il Santo Rosario e con emozione lo ascoltavo ripetere le litanie a memorie». Il racconto della sorella francescana del Vangelo, che appartiene alle prime tappe di Manuel sulla via della Croce, è rivelatore di quello che accadrà al frugoletto nei tempi a venire: attraverso la recita assidua del Santo Rosario, la Madre Celeste lo condurrà per mano da Suo figlio. La ricezione di Gesù Eucarestia diventerà l’unico vero centro della sua esistenza, sino ad arrivare - negli ultimi tempi di vita terrena - a nutrirsi del solo corpo di Cristo.
E’ infatti la Mamma Celeste che dai primissimi giorni di malattia entra nei racconti del bambino in modo insistente. Dapprima perché – dice Manuel – le Ave Maria lo fanno «stare meglio»: chiede spesso di recitarle specialmente nei momenti di dolore perché «lo fanno passare» o in quelli di paura perché «donano la forza e la pace». Ma più passa il tempo, più i racconti di quella Madre speciale prendono corpo, si fanno vividi, quasi palpabili. Come in quel pomeriggio di settembre. Manuel è esausto nel corpo per le interminabili terapie e affranto nell’animo per non poter raggiungere gli amici all’apertura dell’anno scolastico, il piccolo chiede allora alla Madonnina una consolazione speciale. Un tripudio di fuochi d’artificio imprevisti si accenderà nel cuore della notte, sotto gli occhi increduli di mamma Enza che fissa il cielo sbigottita dalla finestra dell’ospedale: solo qualche ora prima aveva teneramente compatito quel figlio così sicuro che annunciava «Questa notte ci saranno i fuochi. La Madonnina mi farà questo favore, ne ho bisogno!». Sono incalcolabili le volte in cui il bambino, ricorrendo alla Sua santa protezione, viene esaudito sopra ogni aspettativa ed è altrettanto incalcolabile l’amore che Manuel nutre per la Regina del Cielo. Ancora: il 13 ottobre 2007, sarà proprio Lei ad aiutare il figliolo ad incontrare per la prima volta il suo grande Amico Gesù. E’ il giorno della Prima Comunione: Manuel ha solo 6 anni, ma date le allarmanti condizioni di salute ed il suo inestimabile desiderio di ricevere il Corpo di Cristo, il piccolo ottiene dal vescovo il permesso di anticipare il Sacramento dell'Eucarestia che riceverà dal cappellano, padre Mario, presso la piccola chiesa del nosocomio. La giornata tanto attesa però non promette bene, al risveglio il bambino è visitato da pesanti dolori alla gamba tanto da non potersi alzare dal letto, teme perciò di non riuscire a recarsi in cappella. Verso mezzogiorno e contro ogni previsione il male sparisce. Manuel lo spiega così: «La Madonna ha detto: “Non può Manuel prendere Gesù zoppicando”. E così ha fatto la magia e mi ha fatto guarire. Grazie, Madonnina del mio cuore!».
Ed è proprio con l’Eucarestia che iniziano gli assidui colloqui con Gesù. Ogni qual volta il bambino riceve il Corpo di Cristo cade in profonda contemplazione: se in chiesa si sdraia sul tappeto ai piedi dell’altare, se costretto a letto dalle terapie o dai dolori si copre tutto col lenzuolo, sino in viso. Quando riemerge, il fanciullo riferisce con massimo riserbo alla mamma o ai due padri spirituale – padre Ignazio Vazzana e il carmelitano fra Giuseppe - i suoi colloqui con Gesù, che negli ultimi tempi si fanno sempre più assidui e raggiungono livelli impressionanti. Difficili da decifrare e perfino da credere possibili in un bambino così piccolo. Eppure sono accaduti. Come il dopo-Comunione di una mattina di agosto: Manuel ha appena ricevuto l’Ostia consacrata da Piero, il ministro dell’Eucarestia. Dopo il ringraziamento, dice alla mamma: «Gesù nella Comunione mi ha detto una frase bellissima: “Il tuo cuore non è tuo, ma il mio ed io vivo in te». Poi aggiunge: «Non ho capito bene queste parole, me le puoi spiegare?». La mamma non sa cosa rispondere, con la testa che viene bombardata da mille interrogativi. Che cosa sta succedendo a suo figlio? In quell’istante non le riesce che di recitare l’illuminante frase di san Paolo: «Io vivo, ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (Gal. 2,20). Il bisogno di stare con Gesù si fa totalizzante tanto da spingere Manuel a supplicare il vescovo di Trapani così: «Vescovo. Desidero tanto avere Gesù Eucarestia a casa mia! Così posso adorarlo quando voglio! Non ti preoccupare, il posto dove fare il tabernacolo c’è!». Nonostante l’insistenza, la richiesta non potrà essere esaudita, ma Manuel troverà consolazione nell’ «immensa felicità di poter servire la Messa» nella cappella della Curia, vestito con la tunica della prima Comunione. Qualche tempo più tardi la supplica al vescovo si trasformerà in un'accorata disposizione: «Vescovo, per favore, puoi dire ai tuoi sacerdoti di abituare tutti ad almeno cinque minuti di silenzio per poter parlare e ascoltare Gesù nel proprio cuore? Pensa all’ultima persona che fa la Comunione, non ha nemmeno il tempo di dire “Ciao” a Gesù!». Il perché lo spiegherà in un'altra lettera che il piccoletto sentirà l’urgenza di scrivere a tutti, amici e non, con la sapienza di un teologo e l’autorità di un uomo di Dio: «Gesù è presente nell’Eucarestia. Lui si fa vedere e sentire nella santa Comunione. Non ci credete? Provate a concentrarvi, senza distrarvi. Chiudete gli occhi, pregate e parlate perché Gesù vi ascolterà e parlerà al vostro cuore. Non aprite subito gli occhi perché questa comunicazione si interrompe e non torna mai più! Imparate a stare in silenzio e qualcosa di meraviglioso succederà! Una BOMBA DI GRAZIA!».
Cardinali, vescovi, sacerdoti, consacrate o semplici laici, chiunque sia innamorato di Gesù e sente parlare di Manuel desidera conoscerlo e trascorrere un po’ di tempo in sua compagnia. La casa e l’ospedale diventano un via-vai di amici e interi conventi alzano al Cielo suppliche e lodi per questo piccolo gigante della fede. Senza dubbio uno degli aspetti che più sconvolge e converte chi gli sta intorno, è il modo in cui Manuel vive la sofferenza: è un fiore sbocciato ai piedi della Croce per adorare e abbracciare Gesù. Una Croce in cui Manuel vede con inenarrabile chiarezza la sua missione: «Mamma davvero esistono persone che non amano Gesù? Dobbiamo portare a Lui più anime possibili». Amore, sacrificio e offerta di sé sono realtà inscindibili per Manuel, come spiegherà candidamente un giorno alla sua mamma: «Per amare Gesù devi pregare molto, lavorare bene, studiare e fare sacrifici per offrirli a Gesù». Scarifici? Chiederà spiegazione la madre. «Per esempio - replica il bambino - non vuoi mangiare pasta con le zucchine e tu la mangi lo stesso e lo offri per amore di Gesù». Ecco cosa racconta don Ignazio che, dall’età di 7 anni sino alla fine, lo ha seguito come padre spirituale: «Manuel mi diceva sempre che Gesù gli aveva donato la sofferenza e che aveva bisogno di essa perché insieme dovevano salvare il mondo (dal momento che Gesù lo aveva proclamato GUERRIERO DELLA LUCE). Manuel ha sempre lottato come un vero guerriero, ad imitazione di Cristo, fino al dono di tutta la sua vita per la salvezza e la conversione di tutti. Ricordo ancora in maniera viva la grande capacità di sopportazione della sofferenza che aveva, solo per amore di Gesù. Diverse volte mi chiamava la mamma dicendomi di convincere Manuel a prendere almeno la Tachipirina per alleviare i dolori grandi che aveva. Lui mi rispondeva che voleva aspettare ancora un po’ di tempo prima di prenderla perché Gesù aveva di bisogno della sua sofferenza in quel giorno per salvare le anime. Verso la fine, quando dopo la scintigrafia, i medici si accorgono di due masse tumorali in testa, Manuel ci rivela un dono grande che Gesù gli aveva fatto. Manuel in quei giorni aveva forti dolori di testa e non sapeva cosa avesse realmente. Dopo una Comunione scoppia in pianto e confida alla mamma e poi a me ciò che Gesù gli aveva detto. Noi gli abbiamo chiesto cosa avesse, dato che piangeva, e lui ci disse che Gesù gli aveva fatto un regalo speciale ed essendo felice piangeva per questo: Gesù gli aveva donato due spine della sua corona e queste le aveva ora sul suo capo. Io sono rimasto scioccato nel sentire ciò, perché questo è umanamente inspiegabile. C’è stata una coincidenza perfetta dei fatti: due masse tumorali in testa e le due spine della corona di Gesù che le erano state donate sul capo».
E però, nonostante grandi dolori e sofferenze, gli amici quasi mai lo sentono lamentarsi, a tutti ripete che sta bene e - anche nelle peggiori condizioni - trova sempre un motivo per ringraziare. Il bambino emana gioia, speranza, lode e amore per la vita, combatte con il sorriso. Eppure è sulla Croce. Arrivano gli ultimi giorni, l’agonia. I valori dell’emoglobina scendono ai minimi storici. I medici sospendono anche le trasfusioni: è il segnale della capitolazione totale. Ciò nonostante il cuore del guerriero riesce a battere ancora per quattro giorni, con meraviglia dei medici. La mamma capisce subito: “Manuel, hai fatto un altro patto con Gesù vero?”. Il piccolo fa cenno di sì: evidentemente sta offrendo le sue ultime gocce di vita per qualcuno di cui nessuno conoscerà mai il nome. Alla madre avrà disposto ogni dettaglio: in quel giorno indosserà la tunica della Prima Comunione e al posto del cuscino la sua testa dovrà poggiare sulla Bibbia al passo di Geremia (17,14) dove sta scritto: «Guariscimi, Signore, e io sarò guarito; salvami e io sarò salvato, poiché tu sei il mio vanto». Le dice anche che ella non piangerà, anzi che nessuno dovrà perdersi in pianti e schiamazzi, ma che tutti insieme dovranno raccogliersi in preghiera, sicché i suoi funerali potranno rispecchiare la grande festa che lui vivrà nei Cieli. Quei Cieli che in terra sono più aperti di quanto non si possa immaginare. Il 20 luglio 2010 Manuel nasce in Paradiso.