Pagine

sabato 30 luglio 2016

SOLO L'AMORE E' LECITO




"Non ti è lecito" gridava Giovanni Battista, e non per un rigido legalismo, ma perché sei creato per essere libero, felice, e non ti è lecito andare contro natura, il peccato non si addice all'uomo, genera la morte, sempre. Le parole di Giovanni illuminano Erode, sono dirette al fondo del suo cuore, laddove è deposto il seme della verità, del bene, della giustizia. Sono parole capaci di riportare alla luce quel frammento di umanità che, seppure sepolto da una montagna di menzogne, alberga nel cuore di ogni uomo. Erode si era infilato in una strada senza ritorno, condannandosi ad una vita sterile, chiusa nell'egoismo. Una vita infelice: "Se uno prende la moglie del fratello è una impurità, egli ha scoperto la nudità del fratello; non avranno figli" (cfr. Lv. 18,16 e 20,21). La concupiscenza lo aveva accecato per trasformarlo in oggetto della maledizione più grande, quella di non avere figli; non vi era cosa più disonorante che scendere nella tomba senza una discendenza, perché era il segno di una vita senza frutto, scivolata via senza amore, senza consistenza, una vita in fumo. Quante volte ci ritroviamo, come Erode, preda di passioni ed entusiasmi che spengono lo sguardo in una fobia illusoria e annichiliscono ogni discernimento. I romanzi e i film e i tentacoli dei media e della cultura ci hanno lavato il cervello sino a farci credere che quando si muove qualcosa nel petto e ti prendono i crampi allo stomaco, allora è l'amore che bussa alla porta. I ragazzi vivono nell'illusione della grande passione, confusa con il grande amore. Non aspettano altro che il momento per lasciarsi andare. E allora ogni piccolo terremoto ormonale, comune del resto anche agli animali, è subito accolto con fasti e onori, come la visita di un imperatore. E si alimenta la passione come quando si monta la panna: la "quantità" è la stessa ma a forza di sbatterla aumenta di volume, e sembra crescere anche di peso. Così anche la passione è alimentata e fatta crescere a dismisura con messaggini e chat, e il telefono caldo 24 ore al giorno ogni giorno; la mente è rapita in un sogno che sembra realissimo, si accettano compromessi pur di non guardare in faccia la realtà e prendere le cose con calma; non si può accettare, infatti, che l'amore autentico abbia bisogno della testa e della ragione per imbrigliare la passione e consegnarla al sacrificio che la purifica e la trasforma in dono. I nostri figli non hanno compreso - anche e soprattutto perché nessuno glielo ha spiegato - che perdere la vita per Cristo non fa perdere la testa, mentre perdere la testa per un uomo o una donna fa perdere la vita. Ovvero, amare davvero sino a donarsi e perdere la vita non fa mai diventare irragionevoli e perdere la testa. Chi ama in Cristo e la sua ragione è illuminata dalla fede, è sempre lucido, anche quando "cede" alla follia di perdonare l'imperdonabile e caricarsi dei peccati altrui. La misericordia, infatti, non sarà mai frutto della passione. Al contrario, perdere la luce della ragione e del discernimento nello stordimento della passione e della concupiscenza, impedisce il donarsi senza riserve, perché la carne esige sempre il contraccambio, e la vita scivola via. Senza una Grazia speciale essa è incapace di consegnarsi gratuitamente all'altro, nel rispetto, nel sacrificio e nella pazienza. Ai nostri figli - come a noi del resto - non basta "temere" Giovanni Battista, ovvero ascoltare la Parola di Dio, essere nella Chiesa, neanche pregare. E' fondamentale che abbiano, nei momenti importanti, qualcuno che, come Giovanni Battista, vinto da quella che Papa Francesco chiama "l'inquietudine per la salvezza del fratello", è disposto a giocarsi la testa per loro: "L’inquietudine dell’amore spinge sempre ad andare incontro all’altro, senza aspettare che sia l’altro a manifestare il suo bisogno" (Papa Francesco). I figli hanno bisogno di padri che li amano così tanto e così gratuitamente da essere liberi per dire loro la verità: "non ti è lecito!", e non per nevrosi ma per amore. Padri e madri consapevoli che dicendo questo verranno forse decapitati dai propri figli... E non solo. Le mogli hanno bisogno di mariti come Giovanni Battista, liberi sino in fondo, che le tirino fuori da nevrosi e pensieri tristi e figli della menzogna, che generano complessi e paure; così come i mariti necessitano di mogli forti e sante che annuncino loro la verità, facendoli scendere dalla nuvola nella quale si nascondono, tra deliri di onnipotenza e infantilismi cronici, sindrome del quarantenne e ansie da prestazioni; anche una ragazza ha bisogno di un fidanzato che le parli con fede nella verità, rispettandola e custodendola per l'uomo che Dio ha pensato per lei, forse lui ma non si sa; così come un ragazzo non può restare legato a una fidanzata che, per paura, taccia la verità e, per non perderlo, lo lasci scatenare nelle pulsioni più basse. Una parrocchia e una comunità hanno bisogno di un pastore che ami "sino alla fine" le sue pecore, sino a perdere la testa e la vita per loro, perché nessuna resti nell'inganno del demonio, ma conosca la Verità e la verità le faccia libere per amare ed entrare nella Vita eterna. E così tra di fratelli di ogni comunità nella Chiesa, la verità innanzitutto, con dolcezza e carità. Così tra amici, senza spremute affettive che avvelenano. 


Tutti abbiamo bisogno di "martiri" che ci testimonino la Verità. Certo, per poter essere liberi e non temere di dire "non ti è lecito" è necessario, come Giovanni Battista, vivere nel deserto, ovvero aver tagliato con il mondo e i suoi criteri. Aver rinunciato al "potere" di Erode che si nutre della morte dell'altro; ogni potere, infatti, a casa, in ufficio e a scuola, sino ai palazzi de re e dei governanti, non può affermarsi se non uccidendo l'altro, per sentirsi vivo, per saziare la concupiscenza sempre più esigente, per non lasciar spazio ai nemici... Per essere liberi occorre dunque avere l'esperienza del deserto, dove conoscere Cristo che ha preso su di sé ogni nostro peccato, ogni parola e gesto illecito per distruggerlo nella sua misericordia; occorre imparare a vivere nella vita nuova che Dio fa sorgere dalla nostra morte. E saper lottare con Cristo nel deserto delle tentazioni, essere "martiri" con Lui, e sperimentare che l'uomo non vive di solo pane ma di ogni parola che esce dalla bocca del Padre; aver visto la propria debolezza amata da Dio, senza esigenze e moralismi; soprattutto, avere l'esperienza che quando Dio ha detto "non ti è lecito" non è stato per limitare, frustrare e togliere la la libertà come insinuato dal serpente ai progenitori, ma per amore; "non ti è lecito" è la verità che apre alla libertà, il cammino all'umiltà dei figli di un Padre buono che dà loro solo cose buone. "Non ti è lecito" buttare la tua vita perché "è lecito", sano e santo solo spenderla nell'amore. Ma Erode non può. Il rancore di Erodiade, alla quale aveva consegnato l'anima, lo trascina nell'abisso, perché l'accendersi di una passione spalanca sempre il passo a peccati più gravi. Erode ha soffocato la ragione nella carne, e quando la sua carne si adagia in un «banchetto» che ne sazia le voglie, seduto sulla propria anima, si ritrova sordo e cieco, perde la memoria delle parole del profeta, e promette e consegna la sua vita ad un'immagine effimera, il corpo seducente di una ragazza, che appare ai suoi occhi come l'albero dell'Eden, «buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza». Ed è morte, della Verità prima, della sua anima poi. Per questo, il Vangelo di oggi ci chiama a conversione, noi che spesso siamo come Erode. A guardare senza sconti la nostra vita, a lasciarci illuminare sui compromessi, sulle situazioni pericolose nelle quali ci troviamo, proprio dove non abbiamo forza e volontà per tagliare, voltare pagina e abbandonarci alla fedeltà di Dio. Quell'amicizia che ci insinua calunnie sugli altri, quell'affetto troppo corposo, che ha già messo il laccio al cuore e ci ha deposto sul piano inclinato che conduce al tradimento; quel rancore che arde, sordo, sotto la cenere del tempo che vorremmo capace di essiccare il peccato; quell'adulazione che risuona nelle nostre orecchie e ci pianta al centro di un universo che ci appare ogni giorno più ostile a tutto quanto facciamo e pensiamo. Per questo l'episodio di Erode ci invita a chiedere a Dio la grazia del cuore di Davide, pronto al pentimento, a rientrare in se stesso come il figliol prodigo, ad ascoltare la voce dei profeti che, con amore e fermezza, ci chiamano a conversione: ispirati da Dio, i pastori, i catechisti, i fratelli, i genitori, il coniuge, illuminano quanto, nella nostra vita, «non è lecito» ed è destinato a restare senza figli, svelando la parte di noi che, infeconda, appartiene alla terra ed è incapace di ereditare il Cielo. E obbediamo alla Chiesa per imparare la libertà di Giovanni, sino a perdere la testa per Cristo per mostrare al mondo che all'uomo "è lecito", è adeguato, solo l'amore autentico rivelato nella Croce.

giovedì 28 luglio 2016

E la festa degli italiani si tinge di arcobaleno

                     
    
27-07-2016   Redazione                       
Lodovica Comello
Ma lo fanno apposta o sono semplicemente deficienti (nel senso letterale del termine)? È una domanda che non si può evitare all’ennesima, incredibile gaffe (ammesso che di questo si tratti) di chi si occupa di organizzare spettacoli legati a manifestazioni della Chiesa italiana. È così successo che ieri sera a Cracovia la “festa degli italiani”, dove è intervenuto in video-conferenza anche il Papa, è stata presentata da Lodovica Comello.
Il nome è sicuramente sconosciuto ai più, ma non ai giovani e a un certo pubblico “di nicchia”: l’attrice italiana è stata infatti protagonista della serie tv argentina “Violetta” che, negli anni scorsi, ha avuto un grande successo tra gli adolescenti. Cosa c’è di male?, vi chiederete. Semplicemente che la stessa Lodovica Comello lo scorso 26 giugno è stata la madrina ufficiale del grande Gay Pride di Milano.
Non ci stupisce che in CEI a queste cose non si faccia più caso, o addirittura che ci sia anche qualcuno che le voglia, ma sicuramente non è così nel popolo cristiano. Anche perché certe “associazioni di immagini” sono molto più efficaci di cento catechesi. Un problema in più per le famiglie, che ora sanno che oltre a ciò che propina la scuola di stato e la cultura dominante, devono stare attente anche alle proposte culturali del vertice della CEI.

PESCATI DAL MARE DELLA MORTE NUOTIAMO NEL MONDO ANNUNCIANDO IL VANGELO CON CUI STRAPPARE IL PROSSIMO ALLA CATTIVITA' DEL DEMONIO
Pazienza e misericordia, timore e pietà scandiscono il tempo del nostro pellegrinaggio. Siamo pellegrini in terra straniera, le cose a cui incolliamo i nostri cuori e i nostri sensi non ci soddisfano. Siamo nel mondo, ma non siamo del mondo.Viviamo nella carne, ma non viviamo per la carne. E' il mistero della nostra vita. Come pesci tratti dal mare cerchiamo un'acqua che, in apparenza, assomiglia alla vita vera per la quale siamo stati creati. Ma non è così. Siamo una specie unica e del tutto particolare. Siamo nati e salvati per un'altra Patria, per il Cielo. Gli inganni, le menzogne, le tentazioni ci sospingono con irruenza verso l'abisso da cui siamo stati tratti. Mentre nel nostro intimo lo Spirito Santo ci sussurra "Vieni al Padre". Benedetto XVI, inaugurando il suo pontificato, ricordava un'immagine cara ai Padri: "Per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio.Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui" (Benedetto XVI, Omelia di inizio Pontificato)Per questo ogni istante che ci è dato è l'attesa d'un compimento. La chiave della nostra vita è tutta qui: un'attesa che geme come nei travagli del parto. Siamo stati pescati dalla rete di Cristo. La sua Croce ci ha salvati dall'abisso della morte. Ma non è finita. Siamo pesci buoni, come il grano buono, e belloPesci puri, "commestibili" secondo la Legge, lavati, salvati, santificati dal sangue di Cristo. Ma conviviamo con quelli cattivi, impuri secondo la traduzione dell'originale, segni di morte che nessun ebreo poteva mangiare. Sono accanto a noi. Pesci cattivi che rendono impuri, che tagliano fuori dal popolo della promessa, che sottraggono l'eredità promessa. I pensieri, i desideri, gli sguardi, le concupiscenze. La carne senza lo Spirito. Accanto a noi, dentro di noi. E' il combattimento d'ogni giorno, nel quale però, come scriveva Péguy, “il Padre ha messo nelle nostre mani, nelle nostre deboli mani, la sua
speranza eterna”. La speranza donata a Pietro dalle mani di Cristo che lo tiravano fuori dall'abisso nel quale era caduto per la sua incredulità. Anche Pietro, come ciascuno di noi, prima d'essere pescatore, ha sperimentato cosa significhi essere pescato dal fondo della debolezza, della carne e dell'incredulità.

Anche oggi vi saranno angeli inviati dal Padre a separare il buono dal cattivo, il puro dall'impuro. Anche oggi messaggeri della Buona Notizia ci incontreranno per salvarci. Che il Signore ci conceda di non indurire il nostro cuore, di lasciarci amare e riconciliare, di essere strappati alle menzogne e ai veleni del nemico. Che oggi, anticipo della fine dei tempi, il Signore ci faccia ancora suoi, che getti nella fornace tutto quello che in noi ci separa da Lui, tutto quello che ci impedisce di amarlo e lodarlo, le nostre impurità. E ci doni la misericordia e la pazienza di fronte alla storia, nella quale è Lui che agisce. La pazienza della speranza, la perseveranza dell'amore: "Quando Cristo ha guardato la Maddalena con uno sguardo furtivo per la strada, era una cosa semplice: era un richiamarla con una semplicità ad una semplicità in cui la purità dominava, ridominava; contraria alla sua storia, ma non contraria alla sua possibilità presente" (Mons. Luigi Giussani). La pazienza di sapersi ogni giorno bisognosi di essere ri-pescati, ogni giorno strappati alla carne e alla memoria di una storia impura per sperimentare la nuova, pura e feconda possibilità presente. Appoggiati alla sua fedeltà, che è il sigillo profetico che ci svela l'autenticità e la credibilità dell'eterna. Capire tutte queste cose è vivere la promessa -le cose antiche - illuminata dall'amore di Cristo - la cosa nuova - che non delude. In pace, pieni di una gioiosa speranza, entriamo anche oggi in questo nuovo giorno dove ci attende il nostro destino, il nostro dolcissimo Signore. "Per incontrare la speranza, bisogna essere andati al di là della disperazione. Quando si arriva fino al colmo della notte, si incontra un’altra aurora […] Non sperano se non coloro che hanno avuto il coraggio di disperare delle illusioni e delle menzogne nelle quali trovavano una sicurezza che essi prendevano falsamente per speranza” (George Bernanos). E Lui è alle porte, e bussa anche ora. E' questa la novità più bella. La nostra felicità. 

mercoledì 27 luglio 2016

Francesco e il Sultano, la “scandalosa” storia di quell’incontro


san-francesco-13

Lo so, si rischia di essere ripetitivi nel ricordare ancora l’incontro che avvenne fra il sultano Malik al-Kamil e il santo di Assisi nel 1219. Mi sento però costretto dal fatto che puntualmente, su siti e giornali di matrice cattolica in questi tempi di emergenza islamica, ricompaia l’immagine dolciastra di un Francesco tutto sorrisi e scuse e quella di un sultano lungimirante e accomodante. Niente di più falso!
Nella vita di san Francesco d’Assisi narrata da san Bonaventura, il Serafico insieme al suo compagno, Pietro di Cattanio, si recò in Terrasanta “tra gli infedeli, a portare con l’effusione del suo sangue, la fede nella Trinità”. Secondo il Doctor Seraphicus la spinta che muove Francesco a recarsi nei luoghi in cui imperversava “una guerra implacabile” tra Cristiani e Saraceni, era la conquista della “sospirata palma del martirio” e la conversione degli infedeli. Anche Dante scrive così di Francesco nella Divina Commedia: “Per la sete del martiro nella presenza del Soldan superba predicò Cristo e l’altri che ‘l seguiro” (Paradiso XI, 100-102). Ed è sempre da san Bonaventura che apprendiamo quanto violento fu l’incontro con le guardie del sultano. “Ma ecco che alcune guardie saracene, subito s’avventano su di lui come dei lupi e li arrestano; li malmenano con ferocia e disprezzo; li coprono d’ingiurie; li battono con sferze; li legano con dure catene. Dopo mille tormenti, sfiniti, per disposizione di Dio, vengono tratti alla presenza del sultano, come Francesco desiderava”. Sulla durezza dell’accoglienza di Francesco presso il sultano scrive anche un biografo recente, il danese Giovanni Joergensen: “i due frati (frate Illuminato, ndr) furono trattati duramente, ma Francesco, a forza di gridare continuamente: «Soldano, Soldano!», poté finalmente ottenere d’esser condotto alla presenza del comandante dei credenti”.
Sempre dal Bonaventura apprendiamo la grande fede che muove Francesco nel partecipare alla Quinta Crociata, rispondendo alla domanda del Sultano sul motivo della sua presenza in Egitto: “Non da uomo, ma da Dio siamo stati mandati, per mostrare a te e al tuo popolo la via della salute e annunziarvi il Vangelo”. A queste parole, è opinione assai comune tra i biografi di San Francesco, il Sultano rimase particolarmente colpito tanto che invitò il santo di Assisi a rimanere con lui. Ma Francesco rispose così: “Si, volentieri rimarrò con te, se tu e il tuo popolo vi convertirete a Cristo”. Francesco, secondo Bonaventura (che riprende molti elementi da Tommaso da Celano, primo biografo del santo), intima il Sultano alla prova del fuoco. Se il Serafico fosse sopravvissuto alle fiamme lui e il suo popolo si sarebbero convertiti a Cristo. Il Sultano, per paura di una rivolta popolare, rifiutò l’estrema prova, ma non poté che rimanere sbalordito dall’enorme fede del piccolo frate.
Va detto che San Francesco mai si oppose di fatto alla Crociata, definendola “la santa impresa”, in quanto con essa si sarebbe giustamente restituito alla cristianità i luoghi sacri della Redenzione sottratti con la forza dagli islamici. Dell’incontro con il Sultano c’è però un documento che viene per lo più ignorato, se non censurato, dalle ricostruzioni più ecumeniche e pacifiste del santo. Parliamo della testimonianza scritta di frate Illuminato (colui che era fisicamente presente all’incontro fra Francesco e il Sultano) e che riporta ciò che, con molta probabilità, fu realmente detto in quello storico colloquio. Il Sultano sfida Francesco, addirittura, rifacendosi al Vangelo: “Il vostro Dio ha insegnato nei suoi Vangeli che non si deve rendere male per male […] Quanto più dunque i cristiani non devono invadere la nostra terra?“. Ma Francesco (che ancora non era andato a scuola di ecumenismo!) così replicò: “Non sembra che abbiate letto per intero il Vangelo di Cristo nostro Signore. Altrove dice infatti: ‘Se un tuo occhio ti scandalizza, cavalo e gettalo lontano da te’ […], con il che ci volle insegnare che dobbiamo sradicare completamente […] un uomo per quanto caro o vicino — anche se ci fosse caro come un occhio della testa — che cerchi di toglierci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Per questo i cristiani giustamente attaccano voi e la terra che avete occupato, perché bestemmiate il nome di Cristo e allontanate dal suo culto quelli che potete. Se però voleste conoscere il creatore e redentore, confessarlo e adorarlo, vi amerebbero come loro stessi“. Parole chiare, di un Santo che aveva abbracciato con amore la Croce di Cristo fino al martirio e che aveva chiara quale fosse la vera priorità di un cristiano, parole che oggi, forse, suonerebbero come scandalose in qualsiasi consesso cattolico.

SIAMO LE PERLE PREZIOSE DEL TESORO NASCOSTO NELLA TOMBA TROVATO E RISUSCITATO DAL SIGNORE



Sia come sia, oggi è un giorno fantastico. Qualcuno si è innamorato follemente di ciascuno di noi. Qualcuno ci ha "cercato", ci ha ardentemente desiderato, ci ha trovato laddove eravamo, nascosti e impauriti. Ci ha amato di un amore sconosciuto. Qualcuno "ha gioito" al vederci. E, pieno di quella gioia, "ha venduto tutto per acquistare noi". Per te e per me, per ogni uomo della terra, ha dato tutto se stesso: la propria vita, il proprio sangue, sino all'ultima goccia. Questo Qualcuno è Gesù, che ha visto in te e in me il suo tesoro, la sua perla preziosissima. Ai suoi occhi, infatti, siamo la sua amata perfetta, la sua colomba, e desidera poter saziarsi del nostro sguardo, ascoltare la nostra voce, e farci felici. Eccolo anche oggi cercarci appassionato e venirci incontro come lo Sposo del Cantico dei Cantici, sporcarsi per noi, scendere sino al giardino nel quale ci siamo nascosti, nelle nostre ore che ci appaiono sempre uguali, nel grigio di relazioni trascinate, nell'insignificanza di un lavoro che non ci soddisfa, di un'estate forse obbligata in città, al capezzale di un'amicizia evaporata. Ecco l'Amato scendere nel "suo giardino" di delizie, il "campo" che ha acquistato al prezzo della sua vita, laddove è stato crocifisso, sepolto ed è risorto. Il suo giardino che è oggi questa nostra vita, questa nostra storia per la quale forse mormoriamo, che non accettiamo, che vorremmo correggere, limare, imbellire. Ecco l'Amato "scavare" nella fossa dove siamo precipitati, la stessa nella quale è stato sepolto come un seme piccolissimo. Lui, esperto rabdomante dell'anima, ci scova negli angoli più bui, nelle solitudini più tristi, laddove ci siamo rintanati per piangere, per accarezzarci le disillusioni e i sogni infranti, per coccolarci il cuore ferito. E' l'amore dell'Amato che sente il profumo dell'amata a distanza siderale. Per Lui il nostro odore è comunque un profumo soave e inconfondibile, anche se confuso tra mille altri odori e sapori, anche in mezzo al fetore acre di spazzatura e cibo andato a male, tra la corruzione e la perversione di una vita ricevuta come un fiore pronto a sbocciare e sprecata nelle spirali dell'egoismo. Incontrarci è la sua gioia, salvarci e amarci è il suo unico desiderio, l'essenza della sua natura. Eccolo allora entrare anche oggi nelle nostre angosce, attraverso il mistero di fatti che forse non comprendiamo, le parole sarcastiche di chi ci è accanto; la Chiesa ci annuncia oggi che in ogni evento e persona è Lui che ci ama di amore gelosissimo, e per questo "scava" intorno a noi una fossa che ci illumini sulla vanità di ogni affetto che non abbia in Lui l'inizio e il compimento. Il suo amore ci strappa dall'effimero al quale restiamo abbracciati, come un bimbo al suo orsacchiotto. Ma gli idoli hanno bocca e non parlano hanno orecchi e non sentono, hanno mani e non palpano. Gli idoli ci trasformano in ciò che essi sono, burattini nelle mani di un altro, il nemico della nostra felicità. Ma Gesù viene sempre con misericordia, perché non ci giudica e ha deciso, anche oggi, di tirarci fuori dai pasticci che sono le conseguenze dei nostri peccati; viene a fare di noi, Pinocchi capricciosi e senza spina dorsale, delle persone vive. Viene a trarci dalle fauci della balena, proprio come accadde a Pinocchio: ci strappa dalla morte per insegnarci a vivere, ad entrare nella realtà e curare l'orto e guadagnarci da vivere e accudire Geppetto, ovvero amare chi ci è accanto, spendendo noi stessi per loro. Sì, il Signore viene a "scavare" nella nostra tomba, ci "trova" e ci prende tra le mani, mette il suo sigillo sulla nostra vita, ci "nasconde di nuovo" laddove eravamo, ma non è più la stessa cosa. 





Lui ormai ci ha "trovato", siamo il suo tesoro! Siamo ancora laddove Egli ci ha "trovato", ma il tempo che si è inaugurato dall'incontro con Lui, dall'ascolto della predicazione nella Chiesa, è impregnato del suo amore; è "contemporaneo" all'offerta di se stesso per noi, è come assorbito nel suo Mistero Pasquale, è già un tempo redento, il primo passo per essere immersi nell'acqua che ci farà rinascere a vita nuova. Per questo, misteriosamente, il nostro restare nella terra in attesa di Lui, diviene il tempo fecondo della conversione: mentre Gesù va a dare la sua vita per noi, sperimentiamo il prezzo del suo amore nella nostra vita. E' un'immagine del catecumenato, dell'iniziazione cristiana, del tempo nel quale sperimentare il potere del suo amore nella nostra debolezza. Nella terra in cui siamo "nascosti di nuovo" cresce "il tesoro" della fede che dà valore a tutto il "campo" che è la nostra vita, e non solo, ma anche quella di coloro che ci sono affidati. E' molto importante questo "nascondere"; Gesù ci ha "nascosto" nelle viscere della Chiesa per proteggere la sua opera in noi. Per questo anche noi dobbiamo imparare a saperci "nascondere", a proteggere le Grazie che il Signore ci dona. A non vantarci di nulla, a non dimenticare che tutto il bene che nasce in noi è frutto della gratuità del suo amore, come fece San Francesco che "Cercava con ogni cura di nascondere nel segreto del suo cuore i doni del Signore, perché non voleva che, se gli erano occasione di gloria umana, gli fossero pure causa di rovina”. Anche noi, che siamo chiamati come lui a ricevere le stigmate dell'amore di Cristo, a essere trasformati in Lui e in Lui a vivere crocifissi, dobbiamo imparare da ciò che fece Francesco dopo l'episodio de La Verna: "E diceva spesso: «Il mio segreto è per me, il mio segreto è di Dio! Beato quel servo che custodisce nel suo cuore i segreti del Gran Re!». Aveva sperimentato quanto è nocivo all'anima comunicare tutto a tutti. E sapeva che "non può essere uomo spirituale colui che non possiede nel suo spirito segreti più numerosi e più profondi di quelli che potevano essere letti sul viso e conosciuti e giudicati dagli altri". E ciò è possibile solo se resteremo uniti alla Chiesa, dove pregare e ascoltare assiduamente la Parola e nutrirci dei sacramenti. Difendere il "tesoro" è difendere Cristo in noi, il bene più grande, l'unico, nel quale possiamo partecipare della sua stessa gioia. Gioire in essa è gioire per quello che siamo, per l'amore con il quale siamo amati; e ci fa entrare in una verità che distrugge perfezionismo, moralismo e orgoglio. Gioia vera, umiltà autentica. Siamo nulla, deboli, fragili, peccatori ma un tesoro è nascosto in noi. Solo il suo sguardo pieno di compassione è capace di trarlo alla luce, perché tra le sue mani creatrici, risplenda del suo valore, l'infinito valore della sua immagine impressa in ciascuno di noi, lavata e restaurata dal suo sangue, e riportata alla luce dalla sua resurrezione.  Per questo il Signore ha comprato "tutto il campo", non solo quell'appezzamento dove ha individuato il tesoro. Tutta la nostra storia, tutto di noi è oggetto delle sue attenzioni, del suo amore. Nulla in noi è da buttare, nulla nella nostra storia è stato, è e sarà senza senso.Ci ha amati per trasformarci in Lui, e continuare ad amare, in noi, ogni peccatore. Siamo un "tesoro" destinato a tutti i poveri della terra. Capito? Per questo la gioia di Cristo è così grande: perché ci amati come se fossimo gli unici al mondo, ma contemporaneamente ha visto in noi il suo tesoro da regalare a chi nulla ha, le infinite grazie con le quali ci colma perché giunga il suo amore a chi non lo ha conosciuto o ha perduto la sua amicizia. Quante volte ci disprezziamo, ci buttiamo via e pensiamo male di noi stessi, del nostro fisico, del nostro carattere, delle nostre storie. Disprezziamo ciò che per Gesù ha un valore immenso, anche i difetti, che tra le sue mani brillano come perle preziosissime, anche i peccati che Lui ha perdonato, destinati ad essere un segno di speranza per il mondo, per chi ci è accanto. Mentre noi vorremmo cancellare quanto di più prezioso il Signore ha voluto riscattare e fare suo. Ecco la radice di tante nostre sofferenze: guardarci con occhi diversi da quelli con i quali ci guarda Gesù. Se avessimo oggi il suo sguardo su di noi, la sua pazienza, la sua misericordia, il suo amore.... Abbiamo "cercato" tanto, come il "cercatore di perle", il senso della nostra vita. Tutta la vita è un "andare in cerca" di perle preziose: l'amicizia, gli affetti, il lavoro, lo studio, il matrimonio, i figli, la musica, le montagne e il mare, anche una partita di calcio. Ma, trovatele, non ci saziano. Continuiamo il viaggio, perché noi abbiamo bisogno della "perla di grande valore", come il Padre, dopo aver creato l'universo ha avuto bisogno di creare l'uomo per riversarvi il suo amore e donargli tutto il creato; come Cristo ha avuto bisogno di noi per compiere la sua vita e amarci sino alla fine S', alla fine del suo viaggio ha "trovato" noi, e pieno di gioia ha lasciato che lo spogliassero di tutto. Aveva "trovato" te e me, capito? a nulla gli serviva tutto il resto, perfino la sua dignità di Figlio di Dio ha abbandonato, pur di salvare te e me e farci suoi per sempre. E per questo ha ritrovato, insieme a noi, la sua dignità, e il Cielo, e la vita che non muore! Per questo "trovare la perla di grande valore" che è Cristo è la pienezza della gioia! Nulla le si può paragonare. Tutto di noi tendeva ad essa. Tutto di noi anelava a Cristo. E la cosa sorprendente è che "trovare" la perla significa proprio farsi trovare da Lui. La possiamo "trovare" perché Lui ha trovato noi. Lasciamoci amare allora, oggi. Lasciamoci riscattare, riconciliare, rigenerare. L'incontro con questo amore ci farà liberi, schiavi di tutti perché liberi da tutti. Colmi di un tale amore venderemo tutto a nostra volta, e non sarà sacrificio, e non sarà un semplice commercio di cose sante, religiosità del dare e avere destinata alla delusione. Sarà amore, quello autentico che sa e può camminare nella notte oscura dove tutto, dinanzi al Signore, perde il falso valore per acquistarne il giusto. Per questo sarà naturale non anteporre nulla all'amore di Cristo, e dare tutto perché Lui ci ha dato tutto se stesso. Come non annunciarlo a tutti, uscire per le strade, le piazze, ovunque, e gridare la gioia di un incontro, l'unico, capace di salvare, colmare, ridare vita, valore, senso e pienezza a ogni centimetro della vita di ogni uomo? Chi ha incontrato l'Amato non può più essere indifferente, è trasformato in un cercatore di tesori tra i campi del mondo, in famiglia innanzitutto, nel campo del marito e della moglie, dei figli e dei suoceri, e poi al lavoro, a scuola; ovunque c'è un pezzo di terra da "scavare" con l'annuncio del Vangelo, e dare per esso la nostra stessa vita, per riconsegnare alla luce della Vita i forzieri nascosti dalla malvagità del nemico. E' questo il mistero gioioso del Regno al quale siamo chiamati, la missione della Chiesa che ci ha accolto come il tesoro più prezioso del suo Amato. 
Come i Satanic Temple impongono il silenzio ai cristiani
                      
    
di Benedetta Frigerio                      27-07-2016
Phoenix, il dibattito al consiglio cittadino
Mentre settimana scorsa a Pensacola, in Florida, David Suhor invocava satana in apertura al Consiglio comunale cittadino, martedì centinaia di cristiani si sono radunati per pregare in riparazione all'atto blasfemo. L'uomo, cofondatore della Satanic Temple, setta satanica attivissima in Usa da tempo e uscita allo scoperto con azioni pubbliche negli ultimi due anni, è stato interrotto da alcuni membri della chiesa metodista presenti in assemblea che si sono messi a pregare Dio finché il presidente del consiglio comunale, Charles Bare, non li ha invitati a uscire dall'edificio: «Se deviate da quanto ritengo un'invocazione appropriata, dovrò allontanarvi dalla seduta», ha dichiarato il presidente. Tanto che quanti hanno continuato a pregare sono stati allontanati dalla polizia. Ovviamente l'episodio ha rimesso in discussione la tradizionale invocazione a Dio che ha sempre dato inizio alle sedute comunali, da sostituire con il silenzio come auspicato dal satanista Suhor: «Scambiamola con un momento di silenzio che lasci libero ciascuno di pregare o meno, secondo la propria coscienza».
L'azione dei satanisti non è isolata. Anzi, sta cercando di farsi largo per tutto il paese tramite la medesima strategia. Se infatti nel maggio del 2014 un club studentesco dell'università Harvard aveva ospitato la riproduzione da parte dei Satanic Temple di una messa nera satanista (Lucian Greaves, fondatore della setta, aveva dichiarato che sarebbero stati «scimmiottati i rituali di altre religioni» e che sarebbe stata utilizzata «un'ostia»), nel luglio del 2015 veniva rimossa una statua dei dieci comandamenti posta davanti al parlamento dell'Oklahoma in rappresentanza delle radici giudaico cristiane degli Stati Uniti. Al suo posto la setta avrebbe voluto porre una statua con un diavolo sotto forma di caprone, sulle cui ginocchia ci si può sedere, che educa due bambini che lo guardano sorridendo. La Corte Suprema dello Stato davanti alla disputa aveva optato per l'eliminazione di ogni simbolo religioso. Una decisione ovviamente salutata dai satanisti come «una vittoria. Satana è il simbolo della ribellione di fronte alla tirannia». A dicembre dello stesso anno, presso il Parlamento della Florida, oltre al presepe, l'albero di natale e un calendario ebraico, era stata posta una statua di satana, sebbene solo nel 2013 la proposta dei satanisti fosse stata rifiutata come molto offensiva.
Di fronte all'azione insistente della setta, gli unici a cercare di opporsi sono sempre stati i cittadini cristiani, in maggioranza protestanti, cercando di riparare con la preghiera. Mentre nessuna voce autorevole della Chiesa cattolica si è levata per chiedere di celebrare Messe riparatorie ed indicare il pericolo di una setta che parla delle proprie azioni come «performance a scopo educativo» per produrre «benevolenza» invocando satana, «l'eterno ribelle, l'opposizione all'autorità arbitraria che difende la sovranità personale». Così Greaves ha dichiarato al “Metro Times” di Detroit, aggiungendo che satana è a favore dei «diritti gay (…) una delle cose che ci stanno più a cuore», perché «il matrimonio è un sacramento», da riconoscere «sulla base della libertà religiosa. Chiunque voglia farlo può alzare la mano e avrà il suo matrimonio celebrato da Lucien Greaves. Non vediamo l'ora di diffonderci in Michigan sulla questione dei diritti gay». Naturalmente a favore dell'aborto, «noi sentiamo anche il dovere di proteggere le donne da procedure come l'ecografia». Nessuna reazione quindi da parte dei vescovi locali, ingannati anche dal fatto che la setta, dopo aver cercato di imporre le proprie preghiere o i propri simboli demoniaci, accetti sempre il compromesso dell'istituzione di spazi neutri, piuttosto che di momenti silenzio.
Lo stesso copione è stato inscenato lo scorso febbraio a Phoenix, dove il Consiglio comunale aveva accolto la richiesta da parte dei Satanic Temple di aprire la seduta con un'invocazione a satana sostitutiva della preghiera a Dio. Dopodiché l'amministrazione aveva optato per l'abolizione di ogni orazione da rimpiazzare con un momento di silenzio, anche in questo caso accolto dai membri della setta come un grande traguardo. Infatti, come aveva fatto notare alla Cna commentando l'episodio Padre Vincent Lambert, noto esorcista americano, il vuoto non è mai neutrale e in esso «l'unico a essere ridotto al silenzio è Dio». E aveva aggiunto che siccome l'uomo desidera Dio e il suo «cuore è inquieto, oh Signore, finché non riposa in te (…), quando Dio è silenziato da certi ambienti, come un Consiglio comunale, si crea un'ulteriore distanza fra l'umanità e Dio, accrescendo il vuoto della società interna. È in questo vuoto che abita satana». Non ci si illuda dunque, per evitare ogni scontro, di salvarsi tacendo o rimuovendo dagli spazi pubblici i simboli della fede cristiana.
Neanche un prete sgozzato in chiesa dagli islamisti risveglia politici e vescovi dal sonno della ragione

                     
    
di Riccardo Cascioli                           27-07-2016
Don Jacques Hamel
Come ogni mattina da quando, per ragioni di età, non era più parroco, don Jacques Hamel celebrava la messa feriale del mattino, alle 9, nella “sua” chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, parrocchia di 20mila anime della diocesi di Rouen, nel cuore della Normandia. Con lui, come ogni mattina, tre suore e altri due fedeli. Ma ieri qualcosa non è andato come le altre mattine: due giovani islamici armati di coltello hanno fatto irruzione durante la messa e hanno bloccato i presenti. Poi hanno costretto l’84enne don Jacques a mettersi in ginocchio.

E mentre si preparavano a sgozzarlo davanti a quell’altare dove si stava rinnovando il sacrificio di Cristo in croce, uno di loro ha preso il posto del prete e si è lanciato in un sermone in arabo, ha testimoniato suor Danielle, una delle religiose presenti riuscita a fuggire un attimo prima che i criminali infilassero il coltello nella gola di don Jacques. «È stato orribile», ha detto suor Danielle, e insieme al prete anche un altro fedele è stato colpito ed è in gravissime condizioni. La religiosa ha anche detto che i due, evidentemente fieri della loro azione, hanno ripreso tutta la scena, immagini che sicuramente ora sono nelle mani della polizia che ha ucciso i due non appena hanno messo la testa fuori dalla chiesa.
Come ormai per un riflesso, tutti i media hanno immediatamente detto che si trattava di due persone con disturbi mentali, ancor prima che si conoscessero le generalità, e il bello è che hanno continuato a scriverlo anche dopo che è stato reso noto che i due erano “soldati” dello Stato Islamico. In particolare uno dei due, un 19enne, era un foreign fighter fallito, ovvero aveva tentato l’anno scorso di entrare due volte in Siria per combattere ma era stato bloccato dagli agenti turchi e rimandato in Francia. Qui si è fatto un annetto di galera prima che un giudice gli concedesse i domiciliari malgrado il parere contrario della procura antiterrorismo parigina. Ed ecco i risultati. Davvero una gran bella dimostrazione di serietà da parte delle istituzioni francesi che – dopo la serie di attentati che stanno colpendo la Francia da oltre un anno – danno prova di una “leggerezza” a dir poco sconcertante. Tanto più che, si viene a sapere, Saint-Etienne-du-Rouvray è un noto covo di estremisti islamici, radunati attorno alla locale moschea.
Don Jacques è morto così, in odio alla fede, ma quel che è successo nella diocesi di Rouen è un chiaro salto di qualità del terrorismo islamico in Europa: i luoghi di culto sono diventati un obiettivo, uno scenario che in troppi pensavano fosse relegato al solo Medio Oriente. Ma ora, come ha giustamente notato un comunicato dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), il Medio Oriente è arrivato da noi, a conferma di una profezia che non più di un anno fa aveva fatto l’arcivescovo di Mosul, Amel Nona, in una intervista al Corriere della Sera.

Rileggiamo quelle parole: «Per favore, cercate di capirci. I vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla. Occorre che ripensiate alla nostra realtà in Medio Oriente perché state accogliendo nei vostri Paesi un numero sempre crescente di musulmani. Anche voi siete a rischio. Dovete prendere decisioni forti e coraggiose, a costo di contraddire i vostri princìpi. Voi pensate che gli uomini siano tutti uguali. Ma non è vero. L'islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra».
Parole chiarissime, e puntualmente confermate, ma che ancora sono ben lontane dall’essere comprese. Ancora dopo il terribile assassinio a Saint-Etienne-du-Rouvray, la preoccupazione maggiore di politici, ecclesiastici e intellettuali è quella di ripetere banalità e menzogne: “non è uno scontro di civiltà”, “i terroristi non sono l’islam”, “l’islam è una religione di pace”, e così via. E anche chi dice finalmente che «siamo in guerra», poi fatalmente dimentica di indicare quale sarebbe il nemico ed eventualmente come combatterlo.
Diciamola tutta: questo atteggiamento non è sorprendente da parte di leader mondiali che da 15 anni ci ripetono irresponsabilmente che i cambiamenti climatici sono una minaccia peggiore del terrorismo internazionale. E continuano a fare i vertici sul clima mentre gli scoppiano le bombe sotto al sedere. Non solo, da anni hanno come massima preoccupazione di promuovere i diritti gay e i matrimoni omosessuali, come potrebbero occuparsi di banalità come le migliaia e migliaia di islamici – cittadini o immigrati che siano – che non aspettano altro che il giorno in cui ci sottometteranno alla sharia? Pensiamo soltanto a casa nostra e confrontiamo le energie e risorse messe in campo da Renzi per far passare la legge sulle unioni civili con quelle dedicate alla sicurezza e alla lotta all’estremismo islamista: qualcuno ricorda un solo atto di governo significativo per mettere sotto controllo la minaccia terroristica?
E non è che dal punto di vista ecclesiale vada molto meglio: l’ecclesialmente corretto vuole che non si parli mai di islamici quando ci si riferisce ai terroristi, che l’islam sia sempre definita una religione di pace, che non si deve discriminare in fatto di immigrazione (anzi, se facciamo vedere che accogliamo i musulmani facciamo anche più bella figura). E quando accadono fatti come quello di ieri ecco che si parla genericamente di odio e violenza nel mondo a cui non bisogna cedere.
Nessuno vuole vendetta né rispondere con l’odio a chi ci odia e, come dice l’arcivescovo di Rouen, dobbiamo anzitutto rispondere con la preghiera. Certo, la preghiera è la cosa più importante: preghiamo per l’anima di don Jacques, per i feriti (fisicamente e spiritualmente) nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, preghiamo per la conversione degli islamici, tutti gli islamici non solo i terroristi, e preghiamo anche per la pace nel mondo. Ma non è vero che possiamo solo pregare, se con questo si intende chiudersi in chiesa immaginando che Dio possa fare da solo quello che ha affidato a noi come compito, quasi fosse una magia. Così si lascia solo campo libero alla barbarie. La preghiera non è uno spiritualismo astratto; al contrario, è una comprensione più vera della realtà, ci dovrebbe donare la capacità di comprendere tutti i fattori in gioco e il coraggio di affermare e perseguire la verità.
Se l’islam pone chiaramente una sfida, il vero problema che oggi abbiamo davanti è la nostra civiltà, ormai agonizzante e incapace di dare ragione della sua identità davanti al nemico che l’assale. Il vero problema è anche in una Chiesa che ormai si preoccupa principalmente di aggiustare le cose del mondo e non di annunciare Cristo come speranza e destino per ogni uomo. La grande lezione di Giovanni Paolo II sull’identità dell’Europa è ormai archiviata, così come il magistrale discorso di Benedetto XVI a Ratisbona sulla sfida che accomuna Occidente e islam; per non parlare dei criteri sull’immigrazione suggeriti 15 anni fa dall’allora arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi che – se presi sul serio – ci avrebbero risparmiato i tanti problemi di cui oggi assaggiamo appena l’antipasto. Tutto inascoltato e dimenticato.

Adesso vanno di moda vescovi e opinionisti del “dialogo” e dell’accoglienza “senza se e senza ma”, che pensano di affrontare problemi complessi con slogan e frasi fatte. Ovviamente corteggiano gli islamici radicali e pensano di essere superiori perfino alle giuste norme di diritto internazionale che distinguono tra il diritto a migrare e il diritto all’invasione. Purtroppo, per questi neanche il sangue di don Jacques basterà a risvegliarli.

lunedì 25 luglio 2016

Dissetati al calice della Misericordia serviamo Cristo in ogni uomo offrendo la vita


Il Signore aveva appena annunciato, per la terza volta, il suo destino: Passione, Croce e Resurrezione. Acqua fresca sui discepoli. I loro interessi, le loro aspirazioni più profonde soffocavano le parole serie e gravi del Maestro. Il cuore dei più intimi di Gesù era esattamente come il nostro. Vi albergava una perversione di fondo, la brama di potere, di prestigio, che significa l'invincibile desiderio di "essere". In tutto, anche nell'accompagnare il Signore, il nostro cuore è profondamente piagato di vanagloria e di egoismo. Un'inguaribile tendenza a fare di tutto quel che ci è dato di vivere, soprattutto delle nostre relazioni, qualcosa che ci sia propizio, che porti acqua al mulino dei nostri bisogni, affettivi e carnali, per poterci sentire vivi. Nulla in noi è gratuito, l'orizzonte dei nostri pensieri, dei nostri atti, anche quelli che paiono intessuti dell'amore più puro, è il nostro inaffondabile "io". Scambiamo Dio con "io", naturalmente, senza rendercene conto. Come Giacomo, come Giovanni. Proviamo a scandagliare il nostro cuore e ne vedremo delle belle. Nelle parole, lacci. Negli sguardi, ventose. Negli atteggiamenti, esche. Nelle opere, catene. La prova? Nelle delusioni che proviamo, nei rancori che ci prendono, nella gelosia che ci taglia il cuore. Ci diciamo pronti a qualsiasi cosa, a "bere qualunque calice", pur di "sedere alla destra e alla sinistra" del più forte di tutti. Pur di essere come Dio. E, spesso, ci buttiamo davvero nel fuoco; le passioni,

domenica 24 luglio 2016

Shalom Carmen, donna libera e amante di Gesù

di Angela Pellicciari                          24-07-2016
Carmen Hernandez, morta a 85 anni, iniziatrice insieme con Kiko Arguello del Cammino Neocatecumenale.Grande intellettuale? Certamente Carmen lo è stata. Ma non basta. Perché accanto all’intelligenza, all’immediata percezione dei nodi centrali dei diversi problemi, Carmen ha avuto un’attenta, minuta, costante attenzione alla vita delle singole persone che incontrava. Anche i più lontani da lei. Donna senza barriere ideologiche, senza moralismi, avvicinava tutti con uguale attenzione, semplicità e fermezza. Donna che poteva a volte sembrare dura. Perché mai ha fatto compromessi. E perché diceva sempre la verità, non facendo attenzione a chi aveva davanti, fosse pure l’uomo più potente del mondo. Donna libera.
Libera perché amante di Gesù. Di quel Gesù che l’ha chiamata da bambina alla missione. Che l’ha formata negli anni facendole prendere parte alla sua passione e dandole prova della sua risurrezione. Perché, lo diceva spesso, non si può risorgere se prima non si muore. Chimica, teologa, lettrice indefessa dei padri e dottori della Chiesa come di tutta la letteratura teologica contemporanea, attenta studiosa dei pronunciamenti e documenti pontifici, Carmen, figlia di una famiglia molto ricca, agli inizi degli anni sessanta ha passato due anni in Israele lavorando come cameriera in case di famiglie ebraiche. Di qui l’amore per la terra di Gesù, la conoscenza della vita del Messia a partire dai luoghi e dalle pietre da lui calpestate. La geografia che si fa storia. La storia che si capisce a partire dalla geografia.
La conoscenza di Israele, della liturgia e della letteratura ebraiche, della concreta vita del popolo ebraico, ha segnato non solo la fede di Carmen, ma ha anche cambiato la vita dei fratelli del Cammino che, dietro di lei, hanno scoperto, vissuto

sabato 23 luglio 2016

La profezia di de Foucauld: «Così l’islam ci dominerà»

di Charles de Foucauld                        23-07-2016
Charles de Foucauld in AlgeriaForse nessun europeo è stato così vicino ai musulmani d’Africa come il beato Charles de Foucauld (1858-1916), che a loro ha dedicato la vita fino al martirio. A distanza di quasi cent’anni, una sua lettera a René Bazin, scritta due mesi prima della morte, suona come una vera profezia che fa riflettere. Eccola

Ritengo che se, lentamente, dolcemente, i musulmani del nostro impero coloniale del Nord Africa non si convertono, sorgerà un movimento nazionalista simile a quello della Turchia. Si formerà un’élite intellettuale nelle grandi città, educata in Francia, ma senza lo spirito né il cuore francese, un’élite che avrà perso la fede islamica, ma che ne conserverà il nome per influenzare attraverso di essa le masse.
D’altra parte, la massa dei nomadi e dei contadini resterà ignorante e distante da noi, fermamente maomettana, portata all’odio e al disprezzo contro i francesi, contro la nostra religione, contro il nostro dominio, non sempre benevolo. Il sentimento nazionalista e barbaresco crescerà nell’élite colta. Quando troverà l’occasione, per esempio durante qualche situazione difficile per la Francia, interna o esterna, utilizzerà l’islam come una leva per sobillare le masse ignoranti e così cercare di creare un impero musulmano indipendente in Africa.
L’impero francese in Africa — Algeria, Marocco, Tunisia, Africa occidentale — ha 30 milioni di abitanti. Grazie alla

Si può vivere da orfani o da figli



ConversioneSi può vivere da orfani o da figli. Schiavi o liberi. Infelici o felici. Chiediamoci in questa Domenica d’estate se viviamo da figli liberi; o se siamo schiavi di un sorriso, di un’attenzione, di un affetto. Diceva Papa Francesco: “I nostri bambini, i nostri ragazzi soffrono di orfanezza!” Oggi più che mai il mondo ci offre gadget per orfani, kit di sopravvivenza per anime prosciugate di senso e sostanza. Li abbiamo visti i nostri figli? Sembrano automi, la mano si infila in automatico nella tasca ogni tre, quattro minuti per tirar fuori lo smartphone, e lo sguardo inebetito a fissarne lo schermo, sperando un commento, un post, qualcosa che riempia il vuoto pneumatico di un tempo che ha il solo compito di scivolare via come una parentesi tra un messaggio e l’altro. E ora con il gioco dei Pokemon, tutti dietro alla realtà virtuale, sino a morirci, come purtroppo le cronache ci raccontano. Ma forse anche noi, padri e madri, siamo incapsulati nella stessa nevrosi che fa della vita un pedaggio da pagare per entrare nelle grazie degli altri, “sprecata” come quella dei nostri figli.
Allo stesso modo, una preghiera piena di parole “sprecate” è il sintomo di chi si sente tradito, inutile, disprezzato, dimenticato ai bordi della storia che conta, delle scelte importanti, e tenta, con le parole,

venerdì 22 luglio 2016

Scontri di inciviltà


di CostanzaMiriano
oca-in-onto-contenutoTra chi, di fronte agli atti di terrorismo di matrice islamica sostiene, in nome di un vago irenismo, che si tratti di gesti folli, come se non avessero un fondamento teologico, e chi sostiene invece che siamo allo scontro di civiltà, io mi colloco istintivamente più vicina a questi ultimi. Ma non sono certa che si tratti proprio di uno scontro: più esattamente, credo che siamo alla collisione tra una civiltà e una non civiltà. Dove la civiltà è quella musulmana, mentre la nostra, quella occidentale, è la stanca, satolla, assuefatta e imbarbarita discendenza della magnifica civiltà europea – occidentale e orientale – che era nata dai valori cristiani inculturati nella ragione greca e latina portate al massimo splendore dalla fede.
Quella stessa civiltà che però poi ha rifiutato Dio, ha messo al centro l’individuo con tutti i suoi desideri ma senza alcun senso del limite, e che poi, imbolsita dalla sazietà, ha deciso di suicidarsi. In

VULTUM DEI QUAERERE

FRANCESCO
COSTITUZIONE APOSTOLICA
VULTUM DEI QUAERERE
SULLA VITA CONTEMPLATIVA FEMMINILE

1. La ricerca del volto di Dio attraversa la storia dell’umanità, da sempre chiamata a un dialogo d’amore con il Creatore.[1] L’uomo e la donna, infatti, hanno una dimensione religiosa insopprimibile che orienta il loro cuore alla ricerca dell’Assoluto, a Dio, del quale percepiscono - non sempre consapevolmente - il bisogno. Questa ricerca accomuna tutti gli uomini di buona volontà. Anche molti che si professano non credenti confessano questo anelito profondo del cuore, che abita e anima ogni uomo e ogni donna desiderosi di felicità e pienezza, appassionati e mai sazi di gioia.
Sant’Agostino nelle Confessioni lo ha espresso con efficacia: «Ci hai fatti per te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te».[2] Inquietudine del cuore che nasce dall’intuizione profonda che è Dio a cercare per primo l’uomo, attraendolo misteriosa­mente a Sé.
La dinamica della ricerca attesta che nessuno basta a sé stesso e impone di incamminarsi, alla luce della fede, per un esodo dal proprio io autocentrato, attratti dal Volto del Dio santo e insieme dalla «terra sacra che è l’altro»,[3] per sperimentare una più profonda comunione.
Questo pellegrinaggio alla ricerca del Dio vero, che è proprio di ogni cristiano e di ogni consacrato in

Il Papa ricorda Carmen Hernández: “Donna che ha speso la vita nell’annuncio della Buona Novella”


In un messaggio a Kiko Argüello, Francesco esorta i membri del Cammino Neocatecumenale a “mantenere viva l’ansia evangelizzatrice” della co-iniziatrice scomparsa il 19 luglio


CTV
Papa Francisco e Carmen Hernandez“Ringrazio il signore per la testimonianza di questa donna, animata da sincero amore alla Chiesa, che ha speso la sua vita nell’annuncio della Buona Novella in ogni ambiente, anche, quelli più renitenti, non dimenticando le persone più emarginate”. Con queste sentite parole Papa Francesco ha ricordato Carmen Hernández, co-iniziatrice del Cammino Neocatecumenale, scomparsa lo scorso 19 luglio ad 85 anni, in un messaggio di cordoglio inviato a Kiko Argüello.
Il telegramma del Pontefice è giunto nel giorno in cui a Madrid, nella Cattedrale della Almudean, mons. Carlos Osoro Sierra ha celebrato i funerali della donna, insieme a numerosi altri vescovi e cardinali. “Ho appreso con emozione la notizia della morte della signorina Carmen Hernández, sopraggiunta al termine di una lunga esistenza segnata dal suo amore per Gesù e da un grande slancio missionario”, scrive il Pontefice.
“In quest’ora di doloroso distacco”, il Papa si dice quindi “spiritualmente vicino con affetto ai familiari e all’intero Cammino Neocatecumenale, di cui lei è stata co-iniziatrice, come pure a quanti hanno apprezzato il suo ardore apostolico concretizzato soprattutto nell’indicare un itinerario di riscoperta del battesimo e di educazione permanente alla fede”.
Francesco affida quindi l’anima di Carmen Hernández “alla divina bontà, affinché la accolga nel gaudio della Pasqua Eterna” ed incoraggia “coloro che l’hanno conosciuta e quanti aderiscono al Cammino Neocatecumenale a mantenere viva la sua ansia evangelizzatrice, operando in fattiva comunione con i vescovi e i sacerdoti ed esercitando la pazienza e la misericordia con tutti”.

giovedì 21 luglio 2016

Famiglia e matrimonio: la Corte Costituzionale rumena dice SÌ

I Rumeni attendevano con ansia il pronunciamento della Corte Costituzionale sul matrimonio e la famiglia.
matrimonio_matrimonio gay_Erano state raccolte in pochissimo tempo qualcosa come 3 milioni di firme (il sestuplo di quanto richiesto dalla normativa) per modificare la costituzione del Paese in modo che fosse protetta inequivocabilmente la famiglia fondata sul vero matrimonio, il matrimonio tra un uomo e una donna, e non qualsiasi altro tipo di convivenza.

Così si fonda la famiglia vera, quella naturale.
Finalmente la Corte  si è pronunciata e ha dichiarato la modifica  ammissibile. Ora la questione torna in Parlamento dove continua l’iter previsto perché si completi la modifica costituzionale.
Ci complimentiamo con l’associazione romena Coalitia Pentru Familie, La Coalizione per la Famiglia, un’organizzazione che comprende decine di associazioni che promuovono i valori della famiglia. Il Comitato che ha raccolto le firme è composto di 16 membri e comprende artisti, imprenditori, giornalisti, operatori sanitari e membri delle principali chiese in Romania: ortodossa, romano-cattolica, cattolica di rito orientale, battista e pentacostale.
La proposta di modifica costituzionale era stata depositata al Senato rumeno lunedì 23 maggio.
La nuova formulazione  per l’articolo 48, par. 1 della Costituzione recita: «La famiglia è l’unione

Gänswein: principi magisteriali non possono essere modificati da mezze frasi o note a piè di pagina

di Marco Tosatti
Gänswein: principi magisteriali non possono essere modificati da mezze frasi o note a piè di paginaGeorg Gänswein, segretario di papa Benedetto XVI, e Prefetto della Casa pontificia, nei giorni scorsi ha rilasciato una lunga intervista allo Schwäbische Zeitung, in cui con molto candore ha parlato di sé, del Pontefice regnante e della Chiesa tedesca. Chi è interessato può trovare qui l’originale.
Il fatto di essere stato segretario di Benedetto XVI, e il suo lavoro precedente alla Congregazione per la Dottrina della Fede rappresentano “un marchio di Caino” agli occhi di molti nella Chiesa in Germania. Il che rende improbabile che possa tornare in Germania come vescovo. Nelle diocesi tedeschi, il Capitolo della cattedrale gioca un ruolo importante nella selezione dei candidati, e in generale, ha detto Gänswein, i membri non sono noti per “avere la più grande lealtà verso Roma”. E non ha comunque “ambizione di diventare un vescovo diocesano”. E comunque, ha detto, la Chiesa tedesca ha un grande problema, e sono i soldi. La legge tedesca dà alla Chiesa una percentuale sulle tasse pagate. Ciò fa della Chiesa tedesca un ente molto ricco, e il secondo datore di lavoro dopo lo Stato. Ma se decidi di non registrarti più come cattolico, sei fuori. “Sì, questo è un

Accolti nel mistero d'amore che ci fa figli nei quali risplende il volto del Padre per ogni uomo


Dio ci ama, ed è l'unico a renderci beati, felici. Perché? Perché lo possiamo "ascoltare" e "vedere" compiute le sue parole. Nella Chiesa, infatti, il cuore e la mente sono illuminati dallo Spirito Santo che Dio effonde nei nostri cuori aprendoli all'ascolto e al discernimento. Le Parabole, immagini dipinte dalla Parola del Signore perché siano svelati i pensieri di molti cuori, ci sono spiegate nell'intimità alla quale ci ha chiamati la sua imperscrutabile volontà. Strappati alla menzogna, siamo oggi, per Grazia, nella cerchia dei suoi amici. E questa è la vita, meravigliosa e beata, che ci è offerta come un anticipo di quello che sarà il Cielo. Anche noi eravamo meritevoli d'ira, come tutti. Eppure la sua misericordia ci ha aperto gli occhi, perché l'opera che Lui compie in noi ogni giorno, sia essa stessa una parabola per il mondo. La Parola che convoca e crea, in ogni luogo e in ogni momento, la sua Chiesa, facendo crescere in essa i suoi eletti, sino alla statura adulta della fede; così, essi diventano i compagni dell'Agnello, crocifissi con Lui per la salvezza d'ogni uomo. E' questa l'unica nostra beatitudine, seguirlo ovunque vada, stretti nella sua intimitàEssere cioè sacramento di

mercoledì 20 luglio 2016

Mattarella giudice sulla sentenza pro stepchild

di Andrea Zambrano   20-07-2016Il presidente della Repubblica Mattarella“E’ l’ultima carta utile per fermare la stepchild adoption per via giudiziale”. I 36 senatori che hanno scritto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ne sono convinti. Dopo gli ultimi pronunciamenti di giudici sull’adozione di bambini per le coppie omosessuali, solo un intervento del Capo dello Stato, nella sua prerogativa di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, potrebbe fermare la deriva che sta sdoganando il nuovo istituto che aprirebbe le porte all’utero in affitto, ma che non è stato inserito nella legge Cirinnà-Renzi-Alfano.
E’ questo l’obiettivo di fondo con il quale un gruppo di senatori di sei gruppi parlamentari (tutti ad eccezione di 5 stelle, Pd e Sel) ha deciso di chiedere l’intervento del Capo dello Stato per denunciare il mancato rispetto delle leggi. La questione è di procedura, ma evidenzia una forzatura dell’ordinamento giuridico e una evidente spaccatura tra la Procura generale della Repubblica e la Corte di Cassazione.
In sostanza: quando il Ministero degli Interni e le procure competenti hanno sottoposto il ricorso su recenti pronunciamenti di tribunali in merito all’adozione di figli per coppie omosessuali, a rispondere non doveva essere la prima sezione della Cassazione, bensì le Sezioni Unite.
E’ un passaggio non da poco, perché per tutte le questioni importanti e decisive che riguardano leggi

La ferocia degli jihadisti e la nostra rassegnazione Così l’Europa ha già perso la guerra agli islamisti

di Anna Bono                          20-07-2016
Fiori sulla strada del massacro a NizzaSappiamo che i musulmani apprendono dal Corano e dagli hadith le loro regole di comportamento: dal Corano, indiscutibile perché parola di Dio increata, e dagli hadith, che riportano quel che Maometto ha fatto e ha detto nel corso della sua vita, perché il Profeta era infallibile nelle azioni e nei pensieri. I musulmani per lo più derivano da quei testi la convinzione che, per andare in paradiso, sia necessario e sufficiente osservare il meglio possibile le prescrizioni della shari’a, la legge islamica che da essi si ricava.
Altri musulmani, però, una minoranza, ritengono che non basti, che per meritare il paradiso occorra oltre tutto costringere gli altri fedeli all’osservanza della shari’a, punirli se trasgrediscono o se si convertono a un’altra religione, e sottomettere all’islam tutta l’umanità, fino all’ultimo uomo. “Jihad” per i primi è sforzo interiore, personale verso una perfetta fede, per i secondi è anche guerra, santa guerra per difendere l’islam e per imporlo con la forza al mondo intero.
Pensano di avere ragione, i jhadisti, perché è stato Maometto, l’infallibile, a dare inizio al jihad dopo essersi trasferito con i suoi seguaci dalla Mecca a Medina. Da diversi versetti del Corano attingono, inoltre, diritti e doveri di usare violenza sugli infedeli, discriminarli, ingannarli.  Sappiamo anche come sono nati al Qaida e quel che ne è seguito. Le sconfitte sempre più gravi subite dai popoli islamici e, per contro, l’affermazione della civiltà cristiana occidentale, il suo successo economico e culturale, oltre che militare, hanno prodotto nei musulmani reazioni diverse.
L’islam, per tornare a essere forte e potente o se non altro per creare condizioni di crescita e sviluppo umano, deve

martedì 19 luglio 2016

Addio a Carmen Hernández, instancabile evangelizzatrice innamorata di Cristo
La co-iniziatrice del Cammino Neocatecumenale è scomparsa oggi pomeriggio a 85 anni


© Camino Neocatecumenal
Carmen HernándezEra uno spirito libero Carmen Hernández, co-iniziatrice insieme a Kiko Argüello del Cammino Neocatecumenale. Di quella libertà di cui vivono solo le persone che hanno incontrato Gesù Cristo nella loro vita e hanno capito che tutto il resto passa in secondo piano.
Alle 16.45 di oggi è morta a 85 anni, nella sua casa paterna di Madrid, dopo una lunga malattia che l’aveva costretta a stare a riposo per un anno e mezzo. Lei che nella sua vita non si era mai fermata, che insieme a Kiko aveva girato il mondo per annunciare il kerygma, la Buona notizia, a cominciare da quelle baracche alla periferia di Madrid dove vi si era trasferita sul finire degli anni ‘60 per portare la Parola in mezzo agli zingari, ai reietti, ai criminali.
Una strada che aveva scelto Dio per lei, come amava ripetere, visto che i suoi progetti e quelli della