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sabato 30 giugno 2018

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SS. Primi martiri della Chiesa di Roma
L'odierna celebrazione, introdotta dal nuovo calendario romano universale, si riferisce ai protomartiri della Chiesa di Roma, vittime della persecuzione di Nerone in seguito all'incendio di Roma, avvenuto il 19 luglio del 64.
Dopo la festività congiunta dei due apostoli, il nuovo calendario vuole appunto celebrare la memoria dei numerosi martiri che non poterono avere un posto peculiare nella liturgia.
Perché Nerone perseguitò i cristiani? Ce lo dice Cornelio Tacito (Annales 15,44,2-5): « Siccome circolavano voci che l'incendio di Roma fosse stato doloso, Nerone presentò come colpevoli, punendoli con pene ricercatissime, coloro che, odiati per le loro abominazioni, erano chiamati dal volgo cristiani ».
Ai tempi di Nerone, a Roma, accanto alla comunità ebraica, viveva quella esigua e pacifica dei cristiani. Su questi, poco conosciuti, circolavano voci calunniose. Nerone scaricò su di loro, condannandoli ad efferati supplizi, le accuse a lui rivolte. Del resto le idee professate dai cristiani erano di aperta sfida agli dèi pagani gelosi e vendicativi... « I pagani - ricorderà più tardi Tertulliano - attribuiscono ai cristiani ogni pubblica calamità, ogni flagello. Se le acque del Tevere escono dagli argini e invadono la città, se al contrario il Nilo non rigonfia e non inonda i campi, se vi è siccità, carestia, peste, terremoto, è tutta colpa dei cristiani, che disprezzano gli dèi, e da tutte le parti si grida: “i cristiani ai leoni!”.
Nerone ebbe la responsabilità di aver dato il via all'assurda ostilità del popolo romano, peraltro molto tollerante in materia religiosa, nei confronti dei cristiani: la ferocia con la quale colpì i presunti incendiari non trova neppure la giustificazione del supremo interesse dell'Impero. Episodi orrendi come quello delle fiaccole umane, cosparse di pece e fatte ardere nei giardini del colle Oppio, o come quello di donne e bambini vestiti con pelle di animali e lasciati in balia delle bestie feroci nel circo, furono tali da destare un senso di pietà e di orrore nello stesso popolo romano. « Allora - scrive ancora Tacito - si manifestò un sentimento di pietà, pur trattandosi di gente meritevole dei più esemplari castighi, perché si vedeva che erano eliminati non per il bene pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di un individuo », Nerone.
La persecuzione non si arrestò a quella fatale estate del 64, ma si prolungò fino al 67.
Tacito racconta nei suoi Annali della persecuzione dei primi martiri di Roma - i protomartiri romani - nella quale fu ucciso anche Pietro. Il fatto avvenne nei giardini neroniani, cioè nel Circo di Gaio e Nerone che era alle pendici del colle Vaticano. L’attuale obelisco di piazza S. Pietro era al centro della spina di tale Circo che segnava il percorso sul quale si sfidavano le quadrighe nelle corse.
L’obelisco fu spostato da Papa Sisto V (Felice Peretti) che volle erigerlo dinanzi alla basilica. Il sito originario in cui era posto è attualmente indicato da una lapide in terra posta alla sinistra della basilica vaticana, poco oltre l’attuale nartece, che ricorda così l’ubicazione del Circo nel quale furono martirizzati Pietro ed i suoi compagni nell’anno 64 d.C..
Sul fianco destro del Circo, proprio sotto l’attuale basilica, sorgeva una necropoli a cielo aperto, nella quale Pietro venne sepolto dopo il martirio. Parte della necropoli è stata riportata alla luce dagli archeologi nel secolo scorso. Essi hanno potuto così raggiungere nei loro scavi il luogo della sepoltura del primo degli apostoli. Il sito è attualmente visitabile, con ingresso proprio a fianco del luogo dove era anticamente eretto l’obelisco.
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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 8,5-17.
In quel tempo, entrato Gesù in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava:
«Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente».
Gesù gli rispose: «Io verrò e lo curerò».
Ma il centurione riprese: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito.
Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Fà questo, ed egli lo fa».
All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: «In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande.
Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».
mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti».
E Gesù disse al centurione: «Và, e sia fatto secondo la tua fede». In quell'istante il servo guarì.
Entrato Gesù nella casa di Pietro, vide la suocera di lui che giaceva a letto con la febbre.
Le toccò la mano e la febbre scomparve; poi essa si alzò e si mise a servirlo.
Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati,
perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie.
Parola del Signore
Commento di Origene (ca 185-253), sacerdote e teologo
Omelie sul Levitico, n°7; PG 12, 476
"Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli"
“Non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel Regno del Padre mio” (Mt 26,29). Se uno fra voi ascolta con orecchie pure, può intravvedere il mistero ineffabile...: il Salvatore aspetta, per bere il vino con noi; ci aspetta per rallegrarsi. Fino a quando aspetta? Finché egli non avrà consumato la sua opera, finché non saremo tutti sottomessi a Cristo, e Cristo a suo Padre (1 Cor 15,28). Poiché siamo tutti membra del suo Corpo, possiamo dire che, in un certo modo, egli non è sottomesso finché noi non siamo sottomessi con una sottomissione perfetta, finché io, ultimo dei peccatori, non sia sottomesso. Ma quando egli avrà consumato la sua opera e condotto ogni creatura al suo perfetto compimento, allora potremo dire che “è sottomesso” in coloro che egli sottomette a suo Padre, in coloro in cui egli ha consumato l’opera che suo Padre gli aveva affidata, perché Dio sia tutto in tutti (1 Cor 15,28).
Anche i santi che ci hanno preceduti ci aspettano, data la nostra lentezza e pigrizia; la loro gioia non è perfetta finché dobbiamo piangere i nostri peccati. Ne è testimone l’Apostolo che dice: “Dio aveva in vista... che essi non ottenessero la perfezione senza di noi” (Eb 11,40). Vedi: Abramo aspetta! Isacco, Giacobbe e tutti i profeti ci aspettano, per possedere insieme con noi la beatitudine perfetta!... Se sei santo, avrai la gioia di uscire da questa vita, ma questa gioia non sarà piena finché mancherà ancora un solo membro del corpo che dobbiamo formare tutti insieme. Anche tu aspetterai gli altri, così come ora sei atteso. Ora, se tu che sei soltanto un membro del corpo, non puoi godere la gioia perfetta finché anche solo un altro sarà assente, quanto più il nostro Signore e Salvatore che è allo stesso tempo l’autore e il capo del Corpo intero?... Allora avremo raggiunto quella maturità di cui parla l’Apostolo Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Allora il nostro pontefice berrà il vino nuovo nel cielo nuovo, sulla terra nuova, nell’uomo nuovo, con gli uomini nuovi, con coloro che cantano il cantico nuovo.



venerdì 29 giugno 2018


La Chiesa non è santa da se stessa; 
consiste infatti di peccatori, 
lo sappiamo e lo vediamo tutti. 
Piuttosto, essa viene sempre di nuovo santificata 
dall’amore purificatore di Cristo. 
Dio non solo ha parlato: 
ci ha amato molto realisticamente, 
amato fino alla morte del proprio Figlio. 
E’ proprio da qui che ci si mostra tutta 
la grandezza della rivelazione 
che ha come iscritto nel cuore di Dio stesso le ferite. 

Benedetto XV

«Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa; dove c'è la Chiesa, lì non c'è affatto morte ma vita eterna» (S. Ambrogio). Pietro e la Chiesa. E, in essa, la vita, e la fine della morte. E' questo il desiderio d'ogni uomo, il nostro desiderio d'oggi, il più profondo, il più intenso, l'anelito che freme insopprimibile in ogni parola, pensiero, azione. 



La vita e mai più nessuna morte. I peccati stessi gridano il nostro desiderio di felicità eterna, che si tramuta purtroppo in fuga da ogni sofferenza confondendo il piacere con l'eterno esistere a cui aspiriamo: “Io preferisco pensare che l’istinto sessuale sia un surrogato della religione e che il giovanotto che suona il campanello per cercare un postribolo, stia cercando Dio senza saperlo” (Bruce Marshall).
Anche le guerre, i divorzi, anche gli aborti, l’eutanasia e gli abomini genetici, la droga e il sesso sfrenato, e le nostre ore intrise di rabbia, malinconia, ribellioni e mormorazioni, le giornate rifugiate nel display di un tablet. 
Anche il gusto per il calcio e i mondiali, evaporato nel senso di frustrazione e vuoto percepito all’eliminazione dell’Italia, grida in noi il desiderio dell’eterno. Lo affermava il Card. Ratzinger quando spiegò il senso del gioco riferendosi alla Roma Antica: “la richiesta di pane e gioco era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata”.
Ed era “come se dicesse: guardate che, senza rendervene conto, perfino divertendovi a una partita della Nazionale in realtà con la bandiera della patria cercate la Patria perduta, cercate il Paradiso, cercate Dio” (Antonio Socci).
Non ci arrendiamo all'ineluttabile scorrere, v'è dentro un grido più forte di tutto, l'accorato appello lanciato ad una vita che sembra sorda ad ogni richiamo, che sfugge malvagia senza risposta. Tutti drogati di qualcosa o di qualcuno, sperando il cristallizzarsi, seppur effimero, d'un secondo almeno, un istante di tregua e di pace dove cullare le speranze deluse vissute solo in un sogno. 
Nella poesia “A Silvia”, Leopardi descriveva magistralmente i sentimenti che s’affastellano in noi:
"Questo è quel mondo? Questi
i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano”.
Il "vero" che ci travolge anche oggi, in famiglia, con quell’atteggiamento di tua moglie, con la porta che ti sbatte in faccia tuo figlio, spalancandoti così "ignude tombe", e dolori, e lacrime, e delusioni.
La vita, dunque, è come il cammino dei due discepoli di Emmaus, che avevano sperato in Gesù di Nazaret, profeta potente in parole ed opere; avevano riposto fiducia in Lui perché li liberasse dal giogo romano, immagine di ogni muro sul quale si infrangono le aspirazioni del cuore, e invece, anche Lui in una tomba da tre giorni. 
E le lacrime di Pietro, il tradimento e un amore strozzato nella paura di morire, nel terrore di fare la stessa fine atroce. Come noi, come ogni uomo, in Asia come in Europa, povero o ricco, uomo o donna, giovane o vecchio. Tutto infranto e i desideri ingoiati in una tomba, come quelle che si spalancano dietro ogni angolo delle nostre ore. 
Ma quella sera, all'imbrunire d'un giorno di paura, i chiavistelli della vita ben serrati, nella stanza d’una pasqua appena volata via, ecco d’improvviso apparire un volto incandescente di luce, una voce, un saluto di Pace che trapassa i muri e i cuori. La sua voce, il suo volto, le sue piaghe. E' proprio Lui, lo dicono i segni del suo amore inchiodato su un legno. E la gioia esplode, incontenibile: in quel cenacolo, in mezzo a quel manipolo terrorizzato, che è scappato, che ha tradito, l'amore era deflagrato come una bomba, l’amore sperato nascosto in una vita più forte del peccato.
E Pietro era lì; la roccia, primo tra gli apostoli, il primo ad essere perdonato, il primato del perdono. La beatitudine di Pietro è un perdono che né carne e né sangue possono rivelare, perché viene dal sepolcro, ha attraversato l'inferno, e si è fatto dono gratuito e immeritato. Pietro, perdonato e per questo roccia e fondamento della Chiesa, capace di “legare” a Cristo i peccatori e “scioglierli” dal peccato, eternamente.
Con Pietro nella Chiesa si apprende l'amore perché il Buon Pastore ne guida il cammino. E’ Cristo, il Pastore incarnato nel pastore terreno che ci è donato. Pietro, e ogni papa, schiude le porte del Cielo offrendo gratuitamente a ogni uomo l'amore di Dio. 
Sulla soglia del mondo Pietro è garante e custode della fede incarnata qui ed ora; apre le porte della sua casa, la Chiesa dov'è vivo Cristo, e accoglie ogni uomo nelle viscere di misericordia di Dio, perché sia curato e rigenerato, e divenga cittadino del Cielo. 
Per questo, Pietro presiede nella carità un pugno di poveri uomini strappati all’inganno, il segno dell'unica speranza che Dio offre all’umanità. Conferma ogni giorno la nostra fede, quando siamo chiamati a darne ragione tra i sofismi e le menzogne del pensiero mondano.
Pietro saio tu ed io per le persone che ci sono affidate. Hanno bisogno d’essere presieduti nell’amore che abbraccia anche il nemico; ci chiedono, forse male, d’essere confermati nei passi malfermi sul cammino della conversione.
I tuoi cari, tuo marito, tuo figlio, tua suocera, i parrocchiani, gli amici, gli indifferenti, tutti sono in attesa della Chiesa che gli annunci e gli testimoni che il grido con cui reclamano una vita senza più la morte ha trovato risposta in Cristo crocifisso e risorto. E non hanno che te e me, in quell’istante, in quel luogo.
Dialogo, tolleranza, rispetto, tutto va bene per le umane, povere forze spese ad arginare il male. La casa di Pietro, però, - la nostra casa progettata e costruita a forma di croce - annuncia l'amore eterno, l’unica Pietra sul quale si infrange la potenza di ogni male. La Chiesa, infatti, è il luogo dell’impossibile che si fa possibile, come accadde a Nazaret nel seno della Vergine Maria.
Come accadde a San Paolo. Nella sua storia possiamo leggere la nostra vita. Era deciso, sicuro, religioso, zelante. Era tutto per Dio; per Lui era disposto ad incarcerare, e a uccidere. Come noi, al lavoro, in famiglia, con amici e vicini. 
Abbiamo la Parola di Dio dalla nostra, ne siamo certi, dobbiamo estirpare l'errore. Discussioni senza fine, polemiche, al bar, nella pausa pranzo, tra una lezione e l'altra, a cena la sera con consorte e figli. 
Indossata la corazza della nostra giustizia corriamo anche noi ogni giorno verso Damasco, recando lettere che ci autorizzano a gettare in prigione chi pretende di uscire dai nostri schemi. Anche in Chiesa, nelle comunità dove camminiamo per convertirci, nelle riunioni, nelle assemblee. Preti, laici, non v'è differenza, portiamo tutti la stessa armatura di certezze che abbigliava San Paolo.
Ma è accaduto l’imprevisto, e riaccade oggi. Qualcosa a cui Saulo non era preparato, come nessuno di noi. Qualcuno è apparso sul suo cammino e ha smontato le sue certezze. Un fatto, un avvenimento, un incontro. E inizia la conversione, la Teshuvà, il ritorno al vero, al bello, al buono, al santo. 
San Paolo ha incontra Cristo, più forte d'ogni sua ignoranza, d'ogni suo passato. Una scintilla d'amore ed è nata una creatura nuova; accompagnato dalla Chiesa piena di misericordia, quella che aveva sin lì perseguitato, comprende che tutto nella sua vita era orientato a quell'istante. 
Dio lo aveva preparato, misteriosamente, senza moralismi, salvaguardando ogni millimetro della sua libertà, accompagnando i suoi passi, permettendo che si impantanassero nell'ingiustizia, che combinassero guai e si lasciassero dietro una linea di sangue e di dolore. 
Dio ha avuto pazienza, e lo ha atteso nel momento più virile della sua esistenza, laddove era lanciato verso il compimento d'una menzogna. E lì, sul selciato del suo cammino, lo ha amato e ricreato con un’elezione che lo generava in una missione che era l’opposto di quella a cui si era votato.
Nessun rimprovero, solo una luce ad illuminare il proprio nulla e subito un invio, una missione. La vita fantastica dell'apostolo delle genti sorgeva da lì, dal suo nulla. Sulla via di Damasco Paolo ha conosciuto la risurrezione di Cristo, capace di risuscitare anche la sua vita, di fare di un persecutore un perseguitato, di un determinato accusatore uno zelante annunciatore. 
I segni che accompagnano gli apostoli nella missione universale, per San Paolo hanno cominciato a compiersi in quel mezzogiorno che lo ha lanciato, con lo stesso ardore, con più zelo, sulle strade che aveva detestato, quelle dell'annuncio infaticabile del Vangelo.
Oggi appare anche a noi Cristo. Attraverso la predicazione della Chiesa, la liturgia di questa solennità, gli ammonimenti dei fratelli, il “perché” che ha fermato Saulo ci viene incontro nella situazione concreta che stiamo vivendo. Perché perseguitiamo il Signore, incarnato in nostra moglie, nei nostri figli, nei colleghi, nella suocera?
Perché abbiamo dimenticato Lui e il suo amore, seppellendo nella tomba degli inganni mondani la sua chiamata. Ma Lui ci viene incontro, ha avuto pazienza, la tenerezza che abbiamo sperimentato nella Chiesa, che non ci ha mai respinto, ma sempre risollevato, senza moralismi, senza esigenza. 
E fa di noi i suoi apostoli, lanciandoci in tutto il mondo, lavoro, scuola, casa, supermercato, parrocchia; e forse sino agli estremi confini della terra, come presbitero chissà, o tra le mura di un convento a pregare per ogni uomo, o formando famiglie sante che siano luce per i pagani, come San Paolo. 
Ci manda oggi laddove abbiamo combinato macelli con i nostri peccati, sui sentieri che abbiamo sporcato con le maldicenze, con i giudizi, con i compromessi, con le bugie, con le concupiscenze, con l'arroganza e la superbia. 
Ci invia come Pietro e Paolo, la nostra vita come un segno della sua misericordia, del Cielo che attende ogni uomo, perché tutti possano vedere, credere, e conoscere il Signore

sabato 23 giugno 2018


Il messaggio del Battista 
è quello di invitare il popolo di Israele 
a guardarsi dentro e a convertirsi 
per poter riconoscere, nell'ora della salvezza, 
Colui che Israele ha sempre atteso e che ora è presente. 
Giovanni impersonifica in questo senso 
l'ultimo dei profeti 
e l'economia specifica della speranza dell'Antica Alleanza.

Benedetto XVI

RINATI CON CRISTO NELLA VITA NUOVA CHE ANNUNCIA AL MONDO IL SUO AMORE


Insieme al Signore e alla Vergine Maria, Giovanni Battista è l'unico "Nato di donna" del quale la Chiesa celebra la natività. Significa che nella sua nascita vi è qualcosa che riguarda tutti noi. Giovanni, infatti, il "nome nuovo" scelto da Dio, significa "Dio fa grazia oraper una storia nuova che può cominciare ora. La tua e la mia, e quella di ciascun uomo "battezzato" nelle viscere d’amore a cui tutti aneliamo. Che cos' è la nostra vita se non una continua ricerca di misericordia? Di un amore che ci accolga nel suo grembo senza condizioni, così come siamo, che non presenti conti da pagare, per il quale non doversi acconciare? Un amore che ci faccia liberi d’essere esattamente quel che siamo. "Nessuno nella nostra parentela porta il nome" di questo amore, la carne non la prevede. I rapporti, infatti, si infrangono tutti sul limite severo della debolezza carnale. E ciascuno di noi è il frutto di una storia concreta di debolezze, come quella del Popolo di Israele, l’eletto incapace di reggere la prova della libertà. Una storia di schiavitù e liberazioni, di adulteri e perdoni, simile a una strada sconnessa e piena di buche, ma che segue un percorso certo e diritto sulle orme di una promessa: l'avvento del Messia, il Salvatore, il Figlio che compirà, con la sua carne, la Legge impossibile per la nostra carne. In questa storia, Giovanni è la soglia della speranza, l’uscio socchiuso sul compimento di ogni promessa. La sua nascita dal grembo sterile di Elisabetta, immagine di Israele sterile vigna senza frutto, ne è il segno. Tutta la storia si coagulava in quel grembo, come oggi anche la nostra giunge a questo giorno come una "contrazione" nel grembo di una madre. Tutto ciò che ha reso infeconda la nostra vita può diventare il segno dell'amore che trasforma la morte in vita. Come accadde al principio della storia con Isacco, figlio insperato di Abramo e di Sara, gli avvizziti patriarchi. Una storia di salvezza iniziata con il miracolo che ne profetizzava il compimento. Anche il nostro apparire nel mondo è stato un miracolo d'amore; ma poi, di fronte alle sofferenze, il demonio ha avuto ragione della nostra debolezza, e, ingannandoci, ci ha chiuso nel grigio dell'egoismo sterile di chi ha smesso di credere all'amore di DIo. Per strapparci alla deriva del mondo occorreva un miracolo: Giovanni, la misericordia di Dio, la sua Grazia proprio ora, quando forse tutto sembra remarci contro. Non l’abbiamo conosciuta nella carne, non v’è n’è traccia nella storia del mondo. E’ un nome nuovo, l'assoluta novità di uno sguardo posato su Cristo, il Messia capace di salvarci e far bella la nostra vita di oggi: famiglia, lavoro, amicizie, tutto rinnovato perché compiuto nell'amore. Giunge oggi Giovanni, la Parola di Dio per noi. Parla al nostro cuore e ci annuncia la buona notizia che è finita la nostra schiavitù. Ai rapporti malsani inchiodati ai compromessi, al dare e avere d’ogni nostra relazione, ai padri che vorrebbero fare dei propri figli il prolungamento di se stessi, e ai figli schiacciati dall'eredità carnale dei propri genitori, anche quella di peccato e violenza. 



Ecco oggi la buona notizia per le nostre storie sterili che sembrano non aver nulla di nuovo da dire, per gli anziani ormai rassegnati, per i giovani cui il mondo ha sottratto la speranza; per le coppie sedutesi sulla routine, quando il volto del marito e della moglie appaiono ormai come un soprammobile in più; ai preti e religiosi infilatisi, senza accorgersene, nell'accidia che dà spazio ai compromessi e inaridisce lo zelo; ai tanti presi al laccio dell'insoddisfazione che li schiaccia in una continua, sterile, rivendicazione di diritti; a chi non riesce più a vedere la propria vita, e quella di chi è accanto, come un prodigio. Attraverso Giovanni è annunciata oggi a ogni uomo la buona notizia: come "la mano di Dio era su di lui", sigillo della nuova ed eterna alleanza, così la mano del Padre è su di noi, per realizzare qualcosa di assolutamente nuovo, e fare, della nostra vita, una porta spalancata verso il Signore Gesù. Oggi possiamo guardare la nostra vita con occhi diversi. Dio, infatti, "ha esaltato anche in noi", come in Elisabetta, "la sua misericordia". Si è chinato sulla nostra sterilità e ne ha fatto un prodigio di fecondità. Giovanni è immagine del nostro cuore assetato d’amore, il segno dell’intimo di noi che anela a Cristo. La misericordia attesa e bramata bussa oggi al nostro cuore, Giovanni ce la offre gratuitamente a nome del Messia. Oggi si compiono "i nostri giorni del parto", e tutto di noi brilla di luce nuova: ogni istante del passato trasfigurato nel miracolo d’amore del Signore. Nulla è impossibile a Dio, non vi è sterilità che non possa essere trasformata in fecondità, nessun peccato che non possa essere perdonato. La nostra storia ci ha condotto a quest’oggi di Grazia e di gioia. Tutto in noi, ogni evento e ogni persona apparsi della nostra vita, come doni di Dio, hanno preparato l’incontro con la sua misericordia. Lasciamoci "meravigliare" di fronte all'amore di Dio, ai dettagli che lo avvicinano alle nostre giornate. Come Giovanni, "cresciamo e rafforziamoci nello Spirito", perché ci attende una missione meravigliosa, quando e come Dio vorrà, dove Lui ha già pensato: Annunciare il Messia, l’atteso delle genti. Fin dal grembo materno ci ha chiamati, oggi ce lo rivela. Siamo amati, salvati, redenti, perdonati, e la nostra vita è un vaso attraverso il quale Dio offre al mondo la sua misericordia; per questo, tutto di noi è un prodigio, il più grande, le braccia distese nella consegna di noi stessi per gli altri. Che timore, che gioia! Davvero, “che sarà mai questo bambino?”, che sarà mai la nostra vita? E quella di tuo figlio, anche se in questo tempo sembra seppellito tra grugniti e ira. Il Signore, giorno dopo giorno, ce lo rivelerà, ma sappiamo già che giungerà esattamente dove è approdata la vita di Giovanni: a divenire, nel martirio, un segno, una luce che indichi la salvezza, l'Agnello che toglie il peccato del mondo. In famiglia, al lavoro, a scuola, ovunque, questa vita concreta è un prodigio, il segno autentico ed efficace dell'amore che salva ogni "ora", che fa di ogni istante il principio di una novità che riscatta e infonde pace e felicità. Gettiamoci allora, senza paura, nell’avventura che Dio ci ha preparato.