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sabato 25 marzo 2017


NELLA CHIESA CHE CELEBRA LA PASQUA, LA LUCE DELLA PAROLA DI CRISTO ILLUMINA LA NOSTRA VITA TRASFORMANDO IL FANGO IN UN PRODIGIO D'AMORE
Una madre affranta dopo una visita dal ginecologo; la diagnosi è spietata, sindrome di down. Un padre con gli occhi rapiti nel vuoto,  seduto su una panca cercando nei ricordi suo figlio mentre correva dietro a un pallone.  Uno schianto, e ora è nella stanza a fianco, disteso sul letto che sarà tutta la sua vita. Un bambino zuppo di lacrime chiama la sua mamma abbracciando una bara.
Il fumo acre di polvere e fuoco sembra alzarsi nel cielo come mani in preghiera,  fin lassù, da dove son piovute le bombe su ospedali e scuole; e case, tante case, normali, con la cucina e la minestra sul fuoco, con il salotto e l’albero di Natale, con la stanza dei piccoli seminata di giocattoli. E in pochi secondi più nulla.
Perché? Perché proprio a me? Perché muoiono i bambini? Perché li rubano e li violentano? Perché mia moglie se n’è andata? Perché ho perso il lavoro? Perché il male? Di chi la colpa di tanto dolore?
Ecco, questa domenica, la domenica  “laetare” che innesca la gioia della Pasqua,  la Chiesa depone sull’uscio di queste domande una notizia sconvolgente, un Vangelo: c’è una risposta a ogni sussulto del male, dal più piccolo al più grande.
C’è una risposta alla libertà sporcata dall’orgoglio satanico; c’è una risposta a ogni dolore che il mondo non riesce a deglutire. C’è una risposta a tutto quello che non ha risposta: “chi ha peccato, lui o i suoi genitori”.
Tutti intuiamo che ci sia un’origine del male. Ma nessuna risposta, filosofica o religiosa che sia, ha mai convinto nessuno. Non lì, nell’intimo più profondo, dove in ogni uomo è deposto un granello di vita eterna che non sa tacere, e grida, e graffia le pareti del cuore, e martella la mente, che no, non può essere così, come noi ce la siamo raccontata.
Alla fine siamo rimasti soli con il nostro male, che prende la storia e la schianta nella disperazione. Soli come il “cieco”, sul ciglio della vita a raccogliere gli schizzi di fango che il male ci spruzza addosso.
Soli, che vuol dire ciechi dalla “nascita”, perché “nel peccato mi ha concepito mia madre”. Alla nostra origine vi è una “piscina” nella quale abbiamo assorbito la corruzione. E questo ci scandalizza, perché non possiamo accettare di essere stati gestati deboli nel seno di una madre debole.
Molti dei nostri problemi nascono qui; il cammino che si dice debba percorrere un ragazzo, affrancandosi dai propri genitori, tagliando il cordone interiore per assumere la propria identità, è soprattutto la lotta contro le proprie origini ferite dalla debolezza, dal peccato.
I figli, se da un lato vogliono assomigliare ai genitori nelle loro qualità, dall’altro vorrebbero cancellare la parte ereditata che a loro non piace, sia l’asperità del carattere o la cellulite.
Ogni figlio vorrebbe essere migliore, scrollandosi di dosso difetti e ipocrisie della generazione precedente. Il ’68, al netto delle ideologie che l’hanno prima ispirato e poi cavalcato, nasce da questa indomita necessità di purificazione, perché sia esorcizzato e sconfitto il male.
Il risultato fallimentare di ogni ribellione e rivoluzione, in casa come nelle piazze, è sotto gli occhi di tutti. Più male, più raffinato, più crudele. Perché il male è dentro di noi, ereditato insieme ai cromosomi. E’ nel cuore dell’uomo come una possibilità che determina la libertà.
Già, la libertà; tutti dicono di lottare per lei, ma non è vero. Siamo piuttosto tutti contro di lei, perché, confondendola con il male, ci scandalizza e ci fa paura; per questo ci impegniamo a limitarla, nel coniuge, nei figli, negli uffici, ovunque.
Non ci illudiamo, anche chi dice di lasciare libero l’altro è pronto a stringerli le mani sul collo non appena usi la libertà per fargli del male. Ogni dittatura, negli stati come nelle famiglie, è il tentativo goffo e demoniaco di rispondere alla domanda posta a Gesù: chi è stato così libero da peccare? Chi ha dato questa libertà sapendo che si sarebbe potuta aprire sul male?
Dio è stato, per amore. Eh no, amore proprio no. Guarda il mondo, guarda la mia vita, dov’è questo amore di Dio? In ogni domanda che ci poniamo sul male si cela un processo a Dio, sia per affermare che non è possibile che esista se ha permesso Auschwitz, sia per affrancarsi da Lui, prendendo in mano la propria vita. Perché il male accusa Dio, in ogni cuore.
Eccoci allora arrivati anche noi accanto a questo cieco. Eccoci confusi tra la folla, tra i farisei che si scandalizzano, tra i genitori che rifiutano il figlio. Eccoci ciechi dalla nascita, senza risposte.
Qui “passa” Gesù; ha attraversato la storia di male di ogni uomo per giungere oggi davanti a ciascuno di noi. Ci “vede” e riconosce in noi il suo destino, posando sulla nostra cecità lo sguardo del Padre che ci ha seguiti con misericordia sin dal grembo materno.
“Né lui, né i suoi genitori hanno peccato, ma è perché siano manifestate in lui le opere di Dio”. Ecco come gli occhi di Dio ci “vedono”; ecco come “vedono” ogni male, la sofferenza degli innocenti, il peccato e i suoi frutti di morte: ogni tomba è per Lui un grembo dove deporre suo Figlio perché “operi” il suo amore.
Dio, infatti, non ci ha mai abbandonati, non ci ha giudicati, ci ha amato sempre, sino a “inviare” suo Figlio nel fango che è tornata a essere la nostra vita. Non ha impedito il male perché non ha voluto toccare la nostra libertà. E’ in essa che risplende in noi la somiglianza con Lui.
Certo, la libertà è un rischio, è debole nelle creature. Ma se così non fosse non sarebbe libertà; se non includesse la possibilità di attraversarla per scegliere il male non sarebbe amore. Ed è quello che abbiamo fatto tutti.
Per questo Gesù ci dice che ci stiamo sbagliando: la cecità non è la conseguenza del peccato di qualcuno, è essa stessa il peccato. E’ alla nostra origine, quando “nasciamo” e ci affacciamo sulle situazioni e le relazioni che, interpretate dai sofismi del demonio, mettono in discussione l’immagine buona e amorevole di Dio.
Accogliendo la menzogna del serpente chiudiamo gli occhi su Dio e sul suo amore, per non riaprirli più. Questo è il peccato, ed è come se si fosse spenta la luce. Anche la creazione è divenuta cieca, il corpo, la terra, il cuore e la mente dell’uomo. I terremoti, le malattie, il dolore innocente sono proprio la negazione dell’amore.
Non dovrebbe morire un bambino, dovrebbe poter aprire gli occhi sul mondo e gustarne la bellezza. Non dovrebbe finire un matrimonio, dovrebbe aprire gli occhi ogni giorno sull’amore dei coniugi, libero, puro, disinteressato.
Ma è così, e ci si divorzia, si violenta, si ruba, si uccide. Si pecca e si soffre. E Gesù prende i nostri peccati, la nostra debolezza, prende il “fango” che traduce Adamo, e lo mescola alla sua “saliva”. Prende la nostra realtà e la sposa alla sua Parola, per “ungere” con l’amore i nostri occhi chiusi sull’amore.
E ci manda a “lavarci”, perché esiste un’altra “piscina”, quella di Siloe, dell’Inviato, del Messia dove rinascere a vita nuova, quella capace di entrare nella libertà e decidere per il bene.
L’episodio del vangelo di questa domenica è un altro scrutinio pre-battesimale della Chiesa primitiva. E’ proclamato nel mezzo della Quaresima per chiederci a che punto stiamo. Se ancora siamo scandalizzati del male e passiamo il tempo a cercare capri espiatori su cui riversare violenza e frustrazioni.
O se stiamo sperimentando il cammino del cieco. Cosa risponderesti a quella madre che ha perso il bambino, a quell’uomo al quale il terremoto ha strappato la casa, a quella moglie tradita? Sapresti dire “come ti sono stati aperti gli occhi”? Sapresti testimoniare che Gesù è il “profeta” che ti ha “visto” con amore e ti ha aperto gli occhi facendosi una carne con la tua debolezza per illuminarla con il suo amore?
Sapresti annunciare che Dio ti ama veramente, che nella Chiesa ti ha accolto immergendoti nella sua misericordia manifestando in te la sua opera? A questo siamo chiamati, imparando a prendere il rifiuto del mondo e di tanti religiosi, per testimoniare al mondo che abbiamo “visto” la risposta al male, l’abbiamo contemplata e sperimentata in Cristo risorto.
Avvenire a Renzi Si faccia una domanda si dia una risposta



   
   
di Andrea Zambrano                        25-03-2017
      

Esame di giornalismo: il candidato faccia un esempio di intervista in ginocchio.
Il malcapitato praticante potrebbe prendere a modello buona parte della stampa italiana, ma per una migliore e più aggiornata comprensione del fenomeno, il suggerimento arriva dalle colonne di Avvenire, il quotidiano dei Vescovi.
Intervista a Renzi. E fin qui, vabbè. D’altra parte è pur sempre premier occulto e segretario a metà di un partito al governo, anche se scisso.
L’intervistatore, cuor di leone, premette subito che, per assecondare la richiesta del fu rottamatore non verranno poste sul piatto domande sulla vicenda del padre e del suo braccio destro Lotti, entrambi indagati per l’affaire Consip né sulla legge in discussione sul fine vita. Della serie: non leggete l’intervista se siete a caccia di notizie.
“Ma sono tanti altri i temi che incalzano”, dice l’intervistatore. E come no? Tolto quelli più ghiotti, cioè quelli che più dovrebbero mettere in difficoltà l’intervistato, di temi ce ne sono a josa. Ad esempio se c’è vita su Marte.
Le domande sono quelle che passa il convento dell’agenda politica: l’anniversario dei Trattati di Roma, L’Unione europea a due velocità, la legge di stabilità, quei cattivoni di populisti della Lega. Tutto scorre senza sussulti con risposte classificabili sotto la voce: esattamente quello che ci aspetteremmo di sentire da Renzi. Ma l’attenzione viene catturata dalle domande su temi caldi anche per l’agenda del quotidiano dei vescovi, quelle cioè su famiglia, scuola e giovani, che costituiscono in un certo senso il core business di Avvenire visto il target di lettori.
E qui le risposte brillano per la faccia di bronzo dell’ex premier a cui si unisce una resa totale dell’intervistatore che a cercare di mettere in contraddizione Renzi non ci pensa proprio.
Eccole, con una breve chiosa.
DENATALITA’: “Non facciamo più figli e il problema non si risolve solo con misure puntuali - giuste e necessarie - ma con una rivoluzione nel modo di guardare al futuro e di concepire il dono della maternità nel rapporto con il mondo del lavoro e la conciliazione dei tempi". Sentire Renzi di dono della maternità, dopo aver strizzato l’occhio col suo governo a pratiche come l’utero in affitto è quanto meno ossimorico. E' come se Cannavacciuolo andasse avanti a forza di Quattro salti in padella.
Ma è vietato dirlo, così come sarebbe stato interessante chiedere a Renzi perché l’unico piano del governo in tema di denatalità, il cosiddetto Fertility Day, è stato bocciato dall’allora premier con la nota vicenda Lorenzin. Senza figli la popolazione italiana, che attualmente ha un tasso di sostituzione dell’1,3%, morirà. Viene da chiedersi dove era Renzi quando questi temi erano sollevati dai soliti uccelli del malaugurio. Risposta: era a Palazzo Chigi.
FAMIGLIA: “È un cambio di paradigma culturale quello che ci manca, oltre alle necessarie modifiche fiscali che le famiglie numerose (e non solo loro) ci chiedono, giustamente, da tempo”. Appunto; che cosa ha fatto il governo Renzi per sostenere le famiglie? Ha fatto la legge Cirinnà, che è dopo la legge sul divorzio, è la seconda grande svolta disastrosa sul concetto di famiglia. E poco importa che Renzi nell’intervista si dica favorevole alla proposta del Dem Stefano Lepri che ha presentato un ddl per il quoziente famigliare polemizzando con la Cirinnà su plurale di famiglie e famiglia. Per Renzi non sono temi all’ordine del giorno di questa legislatura. “Se ne parlerà con la prossima”, dice. Che è un po’ la risposta degli ateniesi a San Paolo: su questo ti ascolteremo un’altra volta…
SCUOLA: L’unico vago riferimento al mondo della scuola è quando, con giussaniana improntitudine, per lui abituato ad altre latitudini culturali, inserisce nel discorso una spruzzata di “rischio educativo”. Senza neanche peraltro inquadrarlo né motivarlo. A fronte di questa citazione “civetta” Renzi però verrà ricordato per la Riforma della Buona scuola, che è lo statalismo fatto a persona ed è una legge dove si parla più delle rivendicazioni sindacali degli insegnanti che della libertà educativa dei genitori. Il caso gender tra i banchi, ambiguo e quasi sdoganato, sta a dimostrarlo. Ma il quotidiano della Cei si accontenta di una citazione che, data l'enormità della posta in gioco, è un po' riduttivo come programma politico.
IMMIGRAZIONE: Per Renzi è un tema importante, ma secondario, dato che la vera urgenza è quella del lavoro. Eppure sotto il suo governo si è toccato il picco storico di sbarchi sul suolo italiano di migranti economici spacciati da rifugiati: 192mila. Abbiamo fatto, e stiamo facendo, il taxi del mare per migliaia di disperati illusi dai trafficanti di uomini. Però questo non è un tema importante per Renzi. E si vede neanche per Avvenire, visto il totem dell'accoglienza ormai imperante...
GIOVANI: Anche qui, stesso discorso: la questione giovanile è importante, ma non quanto il lavoro. Sarà per questo che il Governo Renzi non ha mai spiaccicato parola contro la legalizzazione delle droghe leggere che sta procedendo spedita in Parlamento?
Il candidato all’esame, una volta letta l’intervista potrebbe anche considerare che per servizi di questo tipo, possono andare bene anche i modelli di intervista alla Marzullo: si faccia una domanda, si dia la risposta.
L'ANNUNCIO CHE CI ACCOGLIE NEL GREMBO DI MARIA PER ACCOGLIERE L'AMORE DI DIO CHE CI SUOI FIGLI
Maria, l'amata, appare sulla soglia del Vangelo avvolta in un saluto imprevisto, un annuncio intrecciato su poche, essenziali parole. Attendeva le nozze, e con esse grazie e gioia, senza immaginare che Dio aveva scelto e preparato quella semplicità nascosta per farne la soglia dove deporre l'eterno. Un giorno come gli altri, confuso tra quello di molti altri, in una cittadina anonima lontana dalla storia che conta: sono questi il momento e il luogo pensati da Dio per fare possibile l'impossibile. L'incarnazione e la salvezza di ogni uomo cominciano qui, dove sembra che non vi sia nulla di speciale da attirare l'attenzione. Nulla tranne Maria, a riempire quella semplice ordinarietà con la fede e l'attesa immacolate. Maria non era in cerca di nulla di straordinario; era semplicemente dove l'aveva messa la volontà di Dio. Essere Immacolata Concezione significa essenzialmente questo, obbedire e restare lì, abbandonati a Dio, sereni e felici nella propria storia. Come Adamo ed Eva prima di cadere nel peccato. La menzogna del demonio, infatti, come un virus mortale, ha reso impossibile restare sul cammino tracciato dal Padre. La cifra del peccato originale è proprio questa impossibilità di vivere, in pienezza, l'istante che ci è dato; l'impossibilità di essere felici con questa storia qui, con questa famiglia, questo marito e questa moglie, questi figli e questi genitori, questo lavoro e questi professori. Il peccato ci ha sporcato il cuore e non riusciamo più a vedere l'amore di Dio in niente e nessuno; la realtà ci schiaccia, dobbiamo scappare, e cercare un po' d'aria in qualsiasi esperienza, basta che non sia la stessa di oggi. Il peccato ha reso impossibile il possibile di una vita abbandonata a Dio e al suo amore.



Maria no, non aveva bisogno di fuggire. Immacolata Concezione, non si era mai allontanata dal Paradiso: in ogni istante era "piena di Grazia", in ogni evento "il Signore era con Lei". Anche quel giorno, all'irrompere di quel saluto che, improvvisamente, Le svelava il mistero sino ad ora tenuto segreto anche a Lei. L'intimità con il Signore, la Grazia che accompagnava ogni suo passo nella volontà di Dio, sino a quel momento tutto era stato così naturale. Ma quell'invito a "rallegrarsi" che, lo sapeva, raggrumava in sé tutte le profezie sull'avvento del Messia, perché proprio a Lei? Era "turbata" Maria, di fronte a quel "saluto" nel quale si condensava una storia di peccati e misericordia che abbracciava generazioni. "Shalom", pace, era il segno del Messia, la speranza che i suoi fratelli s'erano scambiati da sempre, tenendola viva per non morire. Ora tutto era lì, a un millimetro da Lei; ogni uomo, ogni donna, ogni povero e ogni peccatore, tu ed io, eravamo tutti lì, sulla soglia del cuore di quella Fanciulla indifesa, la più piccola, l' "umile vergine" di Nazaret. Era giunta la "pienezza dei tempi", il compimento della salvezza; quell'istante nascosto agli occhi del mondo attirava ogni altro istante della storia, passato, presente e futuro. Quell'istante illuminava la purezza originaria di Maria: aveva compiuto la volontà di Dio perché anche Dio potesse compiere la sua volontà. La sua carne "vergine" era il frammento di Paradiso che Dio aveva preparato per deporvi il suo Figlio, la Carne che avrebbe reso ogni carne peccatrice un frammento di Paradiso. Maria doveva solo fare quello che aveva sempre fatto: accogliere l'amore di Dio, perché ai suoi occhi immacolati ogni volere di Dio non era che amore. Solo un Figlio da accogliere, il Messia da gestare e donare al mondo. Impossibile certo, "senza conoscere uomo", ma "possibile" a Dio che era "con Lei" da sempre. 



Ancora una volta, la più importante, quella decisiva, Dio doveva scendere in ciò che è impossibile all'uomo per aprire un cammino di speranza nell'ineluttabilità che tiene schiave le persone. Per farlo e fecondare l'umanità sterile aveva bisogno  della "verginità" di Maria, immagine di ogni situazione impossibile; per salvare i superbi aveva scelto e preparato la sua "umiliazione". Non c'era da "temere": quel concepimento e quel parto sarebbero stati opera della Grazia che l'aveva "colmata" da sempre. Lo Spirito Santo sarebbe "disceso" su di Lei per deporvi il Santo Figlio di Dio. Come quando si rivelò ad Elia, Dio non era nel terremoto, neanche in un vento gagliardo; Dio era in quella brezza soave che le sfiorava l'anima, nel soffio del suo Spirito che, dolce e delicato, bussava alla porta del suo cuore. Del resto, anche "Elisabetta sua parente, che tutti dicevano sterile, nella sua vecchiaia aveva concepito un figlio": il Signore le aveva regalato un segno da contemplare, per non venir meno dinanzi alla grandezza della sua elezione. Non restava che sciogliere le labbra per la risposta preparata dall'eternità. E Amen è stato, l'Amen degli Amen di Maria: "Il verbo con cui esprime il suo consenso, nell'originale, è all'ottativo, un modo verbale che in greco si usa per esprimere desiderio e perfino gioiosa impazienza che una certa cosa avvenga. Come se la Vergine dicesse: “Desidero anch'io, con tutto il mio essere, quello che Dio desidera; si compia presto ciò che egli vuole“." (Raniero Cantalamessa). Il Cielo è riaperto, la volontà di Dio ha trovato dimora nel desiderio puro di Maria. Da quell'istante nulla è stato e sarà più come prima. Nell'obbedienza di Maria è generata l'obbedienza del Figlio, perché Nazaret era il grembo del Getsemani. Madre e Figlio sono ora davanti a noi per donarci finalmente compiuto l'impossibile che ci fa paura. 



Guardiamoci dentro, che cosa oggi ci turba e ci schiaccia? Che cosa ci spinge a peccare per non soffrire? "Non temere!", proprio nel fondo dell'incapacità di assumere la nostra storia, plana oggi l'annuncio dell'angelo per deporvi il seme dell'impossibile già reso possibile: l'obbedienza alla volontà di Dio, restando nascosti nelle piaghe di Gesù incarnate nei dolori e nei tradimenti, nei fallimenti e nelle frustrazioni, nelle umiliazioni e nell'irrilevanza. "Non temere!", perché il turbamento che ci prende di fronte alla sproporzione tra quanto ci è annunciato e la povera realtà della nostra vita, è destinato a divenire gioia purissima. E' pronta per noi la gioia di Maria, madre della gioia del Messia risorto dalla morte, che ha distrutto il peccato e il suo regno di dolore. La gioia dell'obbedienza, che il mondo non conosce, la gioia della libertà di amare sino a donarsi totalmente, perché "nulla è impossibile a Dio": neanche perdonare il marito che ha tradito e il parente che ci ha calunniato; neanche giustificare con misericordia chi ci ha fatto la più terribile delle ingiustizie. "Nulla" ci deve spaventare: nella Chiesa nostra Madre risuona oggi come quel giorno l'annuncio dell'angelo. Basta ascoltare e dire con Maria il nostro amen che consegni a Cristo ogni centimetro della nostra carne perché ne faccia il tempio della sua gloria. Oggi Nazaret è la tua casa, il tuo matrimonio e la tua stanza d'ospedale, perché tutto di te è avvolto e impregnato dello Spirito Santo che compie in ogni istante e in ogni luogo il Mistero Pasquale di Cristo. "Non temere!", perché da oggi la Croce non fa più paura, la carne vittoriosa di Cristo l'ha trasformata in una porta dischiusa sul Paradiso. La novità dell'Incarnazione si rivela in un Popolo che cammina nel deserto della storia senza morire, il Corpo di Cristo che sale sulla Croce dalla quale tutti fuggono scandalizzati. Per questo, la nostra missione inizia ogni giorno appoggiati nella fede di Maria, per divenire con Lei "servi del Signore" nei quali "si compie l'incarnazione della Parola di Dio", annunciando a tutti che la sua volontà è amore e misericordia, sempre.

venerdì 24 marzo 2017

Cala l'8xmille alla Chiesa italiana? I pastori si dimenticano che anche le pecore nel loro piccolo...

Cala l'8xmille alla Chiesa italiana? I pastori si dimenticano che anche le pecore nel loro piccolo...

Qualche giorno fa ero con due amici cattolici, di quelli proprio inossidabili, ed è venuto fuori che quest’anno, per la prima volta in vita loro, non avrebbero dato l’8 per mille alla Chiesa cattolica. Non volevo crederci: se c’erano due persone di cui non lo avrei mai detto, erano loro. Il giorno dopo, manco a farlo apposta, sono apparsi online i risultati di un’indagine dalla quale risulta che la percentuale dei fedeli che quest’anno devolverà l’8 per mille alla Chiesa è la più bassa da dieci anni a questa parte, ed è scesa a picco nell’ultimo anno.

“Troppi scandali, la gente chiede trasparenza e legalità”, spiegano dalla Cei. Non so quali strumenti statistici abbiano per dare questa spiegazione, io statistiche non ne ho fatte, però di amici che si sentono parte viva della Chiesa ne ho moltissimi, e così ho indagato.

Con mio grande stupore, in tanti – non tutti, ma parecchi – hanno fatto quella stessa scelta quest’anno. Ho cercato di capire, perché io invece personalmente alla Chiesa darei il 1000 per mille, è continuerò a devolvere l’8, sempre.

La motivazione addotta dai miei amici cattolici “obiettori fiscali”, secondo la mia piccola e personalissima indagine, è esattamente opposta a quella data dalla Cei. Non è proprio per niente da cercare nel fatto che vogliono trasparenza e legalità, e non la trovano nella Chiesa. La verità è invece precisamente il contrario. È proprio perché sappiamo che l’uomo – tutti, compresi quelli di Chiesa – è cattivo, che abbiamo bisogno della Chiesa, cioè di chi ci metta in comunicazione con Dio. I sacerdoti non sono operatori sociali da cui pretendiamo onestà ed efficienza, sono coloro che aprono il canale con Dio: sacer dare. È vedendo la nostra povertà – e quella dei sacerdoti – che ci attacchiamo sempre di più alla Chiesa: siamo uomini affoganti, bisognosi di essere salvati, e per questo cerchiamo Dio. E vogliamo qualcuno che ci introduca al mistero, abbiamo bisogno di qualcuno che ci garantisca che quello che intuiamo non è un parto della nostra fantasia. Qualcuno che ci dica la Verità su noi stessi, non qualcuno che organizzi rivendicazioni di diritti umani, raccolte differenziate, spettacoli per intrattenerci.

Se devo sostenere economicamente qualcuno che mi dice che Marco Pannella è un punto di riferimento spirituale, allora l‘8 per mille piuttosto lo do, lo darei ai radicali. Meglio l’originale, piuttosto che una pallida copia. Se devo sostenere un ecologismo raffazzonato, piuttosto scelgo Greenpeace. Se devo finanziare l’affresco di Terni – che è prima di tutto un dipinto molto brutto – che non parla di redenzione, di salvezza, di vita eterna, ma semplicemente scatta una foto, mal realizzata, del reale, forse, ecco, preferisco di no.
Se devo sostenere chi non ha lottato, non ha speso una parola – salvo qualche eccezione – per impedire che venisse approvata la legge sulle unioni civili che come noi prevedevamo ha aperto la strada anche alle adozioni, se devo dare i miei soldi a chi ha smesso di annunciare la verità sull’uomo e sulla donna, e invece ha deciso che è meglio difendere i cosiddetti “diritti” delle persone omosessuali, allora finanzio l’Arcigay, non la Chiesa cattolica, perché quegli altri il loro lavoro lo fanno con grande efficacia e aggressività. Se devo sostenere i giornali diocesani che pubblicano articoli sulle unioni civili celebrate, salutandole con gioia, con un melenso linguaggio “inclusivo”, preferisco di no, e magari leggo altro, qualche autore omosessuale che almeno scriva bene davvero (tipo Michael Cunningham, per dire). Se qualcuno nella Chiesa dimentica che l’unica cosa di cui hanno davvero bisogno le persone omosessuali non è certo l’accoglienza, che da sola non serve a niente, ma qualcuno che apra loro lo spiraglio di un cammino di speranza e verità, se devo dire che va tutto bene così, che senso ha annunciare la salvezza, se non c’è più niente che grida, che mendica, che supplica di essere salvato?

Non so quanto sia affidabile il mio campione. Di certo qualcosa è cambiato: tanti credenti, che prima erano pronti a difendere i propri pastori, adesso si sentono da loro abbandonati. E non sono certo quelli che si scandalizzano per casi di mala gestione, non sono i cattolici che tirano fuori la vecchia tiritera dei preti pedofili, non è quello che addolora i miei amici, perché, come dicevo, noi lo sappiamo che gli uomini, anche di Chiesa, sono cattivi, ed è per questo che abbiamo bisogno di salvezza.

Io continuerò sempre a sostenere come potrò la Chiesa, mia madre, perché voglio per i miei cari e per me la salvezza eterna. Il mondo non ha bisogno di pastorali creative, di essere intrattenuto – se c’è una cosa di cui c’è sovrabbondanza oggi è proprio l’intrattenimento: nessuno oggi ha bisogno di essere distratto, ma aiutato a ritrovare il centro, e se devo essere intrattenuta vedo un film dei fratelli Cohen – il mondo chiede che la Chiesa sia sempre più coraggiosa nell’annunciare che questa vita è un passaggio per quella eterna.

Il mondo, infine, non ha bisogno che gli si dica che va comunque tutto bene così anche se dice no al disegno di Dio, perché il salario del peccato è la morte, e se nessuno te lo annuncia tu muori.
SHEMA' ISRAEL, OVVERO ASCOLTARE LA PAROLA DI DIO PER VIVERE LA VITA NUOVA IN CRISTO


La Pasqua si avvicina e la Chiesa oggi ci scruta chiedendoci: "vivi con sapienza?". La "saggezza" dell'uomo, infatti, consiste nel saper rispondere a una domanda, quella decisiva: "Qual'è il primo dei comandamenti?". La parola comandamento traduce diversi termini ebraici che indicano, tra l'altro, una parola che affida un incarico. Il comandamento è, dunque, una missioneLa domanda che appare nel Vangelo allora, può significare: "Quale è la missione che mi è affidata?". Per rispondere dobbiamo andare all'incipit del Decalogo, le Dieci Parole di Vita vergate con il fuoco dell'amore divino e rivelate sul Sinai. Esse iniziano con la memoria di un'esperienza: la liberazione dall'Egitto. Lo stesso incipit dello Shemà, nel quale l'amore esclusivo a Dio e al prossimo scaturisce dall'esperienza dell'unicità di Dio"Il Popolo ebraico attesta, compiendo il primo comandamento, che "solo il Signore suo Dio" può fare questo. Testimonia che ne è beneficiario. Accetta e decide, per quanto possibile, di assumere la liberazione dalla servitù del faraone. Vuole servire il solo Signore, rendergli culto, orientare tutte le sue forze, tutto il suo cuore, tutta la sua anima, tutto il suo tutto, a questo solo culto" (Marie Vidal, Un ebreo chiamato Gesù). Per questo lo Shemà è un annuncio, una profezia che sgorga da un memoriale, la rivelazione di un'identità: Ascolta Israele, il Signore è uno. La missione affidata a Israele prima e alla Chiesa poi, l'incarico che costituisce la vita di ciascuno di noi, rivela l'identità di Colui che incarica e affida la missione. Nella relazione di intima comunione tra Liberatore e liberato è gestato, nasce e si compie il comandamento più grande. Nel dialogo tra lo scriba e Gesù si legge in filigrana tutta la storia di Israele che, proprio in quel momento, trova pienezza e compimento. Per questo Gesù conclude congratulandosi con lo scriba dicendogli che non è lontano dal Regno di Dio: ascoltando le parole dello Shemà non pensa ad un impegno moralistico, ma rivede la sua vita salvata e condotta nella Terra Promessa, che diviene segno come quella del suo Popolo. Anche per noi risuonano in questa Quaresima le stesse parole, per ridestare in noi la memoria delle meraviglie compiute da Dio nella nostra vita, seno benedetto della missione che ci è affidata. Essa consiste proprio in ciò che la Quaresima significa, l'esodo dalla condizione servile alla libertà, dall'Egitto alla Terra Promessa, dalla morte alla vita, dal peccato all'amore totale e senza condizioni. Per questo al cuore della Quaresima vi è l'ascolto. In ebraico i termini "ascolto" e "obbedienza" coincidono: così, nella parola dello Shemà, l'ascolto si fa obbedienza, nella quale l'amore si rivela autentico e incorruttibile. Solo nell'obbedienza che si abbandona senza riserve all'amore di Cristo si compie il "comandamento più grande", il comandamento dell'uomo libero. Non esiste vita autentica dove non esiste libertà, perché non esiste amore laddove permane la schiavitù. Dove regna il faraone vi è disordine, (secondo l'etimologia del termine faraone), e l'uomo vive dissipato; cuore, anima e forze si combattono conducendo l'uomo a una schizofrenia interiore che lo distrugge. La sperimentiamo quando chiudiamo l'orecchio al fratello, al catechista, al presbitero, a Dio; e cominciamo a non raccapezzarci più, non capiamo la moglie, non riusciamo a perdonare il marito, al lavoro è una lotta senza pietà; lo stesso che accade ai figli quando non ascoltano e non obbediscono: nervosismo, insoddisfazione, la vita diventa come i pantaloni che indossano, sfilacciati eppure costosissimi. Apriamo allora l'orecchio in questo tempo di conversione e invitiamo tutti a farlo; molto meglio che discutere e polemizzare. Per perdonarci tra coniugi, per strappare i figli alla tristezza e ai peccati, mettiamoci all'ascolto della Parola, l'unica possibilità offerta all'uomo per essere libero davvero, affrancato dal potere del demonio: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". A chi consegnare se stessi se non a Gesù sul letto d'amore della Croce, dove Lui si è consegnato a noi? Dio infatti è "unico" perché il suo amore è l'unico che scende, con noi e in noi, nella sofferenza più profonda, nei dolori di un cancro, nelle angosce dei tradimenti e dei fallimenti, nei tormenti dei dubbi, in tutti gli istanti delle nostre vite. Lui è l'unico che ci ama così come siamo. Come dividere il nostro amore con idoli vani, inesistenti, incapaci di amare e di salvare? Non si tratta di un impegno e buona volontà, ma dell'amore a chi ci ha amato per primo, dal quale sgorga, naturalmente, l'amore al prossimo, il dono totale che giunge sino al nemico. Per questo lo Shemà è il "comandamento più importante", la roccia su cui erigere l'esistenza, la stabilità nell'instabilità, la certezza nella precarietà. Lo Shemà compiuto da Cristo crocifisso che ci attira a sé è il fondamento del matrimonio, del fidanzamento, dell'amicizia, del lavoro, della Chiesa stessa. Lo Shemà irrora di eternità tutto il transitorio della vita generando la libertà di amare in qualunque circostanza, senza illusioni, nella santa indifferenza che sbriciola ogni preteso assoluto che vorrebbe rubare mente, anima e corpo. Non vi è argomento di discussione, non vi è problema, difficoltà o sofferenza, non vi è precarietà, non vi è differenza e attrito, non vi è male che abbia ragione dell'amore che compie lo Shemà. Esso incarna il Cielo in ogni questione della terra, mette in fila le priorità e i valori, illumina le questioni più intricate. Lo Shemà è l'antidoto al fallimento dei rapporti: chi vive lo Shemà non dirà mai "non ti amo più, sono cambiati i miei sentimenti, non è più come prima", perché esso inchioda ogni relazione sul robusto Legno della Croce, il luogo della libertà che si fa dono, sia quel che sia, costi quel che costi. Lo Shemà è il sigillo della Grazia e dell'elezione a vivere sulla terra l'amore celeste, la missione affidata alla Chiesa e a ciascuno di noi. Se lo accogli e ascolti "non sei lontano dal Regno dei Cieli", e la Pasqua sarà per te l'esodo dalla terra al Cielo, dal peccato all'amore.

giovedì 23 marzo 2017

Ecco perché le Sentinelle in Piedi tornano in piazza in tutta Italia

   
   
di Benedetta Frigerio                                             23-03-2017
Sentinelle in Piedi
Va bene, è un dato: coloro che per sessant’anni hanno lavorato costantemente al fine di convincere il mondo cristiano occidentale che le foglie sugli alberi non sono verdi e che ciò che è evidentemente normale non lo è più, sembrano ormai vittoriosi. Perciò hanno qualcosa da insegnare a chi, accomodato su quanto guadagnato dai propri antenati, ha perso la capacità della lotta, che certamente non si può arrestare al primo e nemmeno al secondo o terzo fallimento.
Per questo, in un momento in cui allo scoraggiamento per la legalizzazione delle “unioni civili” si aggiunge il riconoscimento giurisprudenziale dell’adozione da parte di persone dello stesso sesso implicito nella ratio della norma (il sentimento dell’adulto è un diritto che prevalica qualsiasi altro), le Sentinelle in Piedi (Sip) hanno deciso di tornare in piazza con una veglia nazionale che si terrà in diverse città italiane sabato e domenica prossimi (qui ora e luogo). Le Sip lo fanno denunciando nuovi e molteplici disegni di legge contrari al diritto naturale, quello che ancor prima della venuta di Cristo era già alla base della civiltà occidentale. Basti pensare che dopo il ddl Scalfarotto, fermato grazie all’azione delle Sentinelle (le prime a manifestare contro un disegno di legge che introduceva il reato di opinione) cominciata nell’estate del 2013, ora si cercano di far passare norme come quella sul cyberbullismo e sulle fake news.
Scrivono le Sip: “Questo ddl, infatti, prevede una multa fino a 5 mila euro per “chiunque pubblichi o diffonda” online “notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti infondati o falsi”. Se poi la fake news è tale da “destare pubblico allarme”, “fuorviare settori dell’opinione pubblica” o promuovere “campagne d’odio”, l’articolo 2 aggiunge ai 5 mila euro di multa anche un anno di reclusione. Quando poi si arrivi a “minare il processo democratico, anche a fini politici”, gli anni di reclusione diventano due e l’ammenda sale a 10 mila euro”. Ma, continua il comunicato: “Chi stabilisce che una notizia sia falsa, esagerata o tendenziosa? Chi stabilisce dove e quando si tratta di una campagna d’odio? E poi cosa significa “minare il processo democratico”?” Insomma il rischio della polizia del pensiero unico è sempre più reale. L’altra norma autodistruttiva, in discussione alla camera, è quella sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat, note come “testamento biologico”). Queste, sancendo la menzogna dell’autodeterminazione del paziente e la possibilità di privarlo di cibo e acqua (“nutrizione e idratazione”, si legge nel ddl) danno man forte allo Stato etico che deciderà, in caso di dispute, quale malato incosciente, minore o incapace di esprimersi,  sia degno di vivere e chi no, “aprendo – continuano le Sip - pur non nominando mai esplicitamente questo termine, di fatto all’eutanasia”.
Ma se questo è lo scenario, appunto, perché, continuare a combattere? Perché scendere in piazza, magari ignorati dai grandi media con la sensazione che una piccola azione non potrà mai cambiare il corso di una valanga inarrestabile? E’ la domanda di tanti attivisti che dopo l’approvazione delle Unioni Civili, avvenuta anche per mano dei parlamentari cattolici che avevano promesso al popolo del Family Day di rappresentare la loro richiesta di non cedere a compromesso alcuno, si sono scoraggiati. Così, mentre parte dell’associazionismo laico e cattolico ha assunto toni bassi, per cercare compromessi che diano l’idea di non aver perso proprio tutto (basti pensare che il ddl sulle Dat è ormai accettato anche dalla Cei), altri si sono lasciati scivolare nel disimpegno disilluso: entrano anche nelle scuole paritarie ad insegnare ai nostri figli che il bullismo stigmatizza le persone in base al “genere” (termine fittizio nato per negare la sessualità come identità della persona)? Eh, si rispondono, dovremo accettarlo e cercare qualche rimedio (quale, se i figli non vedono i genitori troppo interessati nella difesa della verità, lasciando che a giudicare per loro sia il mondo?). Vogliono uccidere i dementi, i depressi o i bambini handicappati, come già avviene in altri paesi? Beh, aggiungono, speriamo che ai nostri parenti non accada mai, perché ormai questa è la legge.
Insomma, ci si dichiara già sconfitti prima che la guerra finale sia alle porte. Perché? Bisogna ammettere che sono molto più idealisti, e quindi ragionevoli, coloro che per sessant'anni hanno combattuto per farsi padroni della realtà contro tutti coloro che li prendevano per folli (compresi noi?).  Invece, “non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi ed impegnati possa cambiare il mondo. In verità è l'unica cosa che è sempre accaduta”, scrisse la femminista Margaret Mead. Insomma, loro ci hanno creduto e pur dovendo lavorare per oltre mezzo secolo all’instaurazione della menzogna, sono arrivati i tempi in cui pare siano riusciti nella loro pazza missione.
Eppure il beato Popielusko, ucciso dal regime comunista polacco che denunciava, scrisse che la menzogna aveva bisogno di tempo, potere e sforzi maggiori, mentre “non c’è bisogno di molti gruppi di uomini per proclamare la verità (…) perché la nostalgia della verità è connaturata all’uomo”. Certo è che, se non fossero i “buoni” i primi ad averne questa nostalgia e quindi a sperare, la verità non potrebbe mai rinascere. Diversamente, fosse fra dieci o cent'anni, sarebbe destinata a trionfare. Dipende tutto da quel piccolo gruppo di uomini che si batteranno sapendo che la storia non è già scritta, ma che la fanno gli uomini. E che la loro testimonianza, ne vedranno o meno i frutti non sarà certamente vana.
RISANATI DALLA PAROLA DI DIO ANNUNCIATA DALLA CHIESA PARLIAMO LA LINGUA NUOVA DELL'AMORE

Quante volte ci ritroviamo senza parole. "Muti", cioè "impuri" secondo l'originale, come i rapporti prematrimoniali, dialogo di corpi incapaci di dar voce allo spirito, perché ormai soffocato nell'egoismo di chi nulla di sé ha messo in gioco, ammutolito nella menzogna di gesti che esprimono ciò che non è, un dono per sempre sfigurato dalla concupiscenza. "Muti" come tanti rapporti tra marito e moglie, separati dal solco dei giudizi che solo il perdono potrebbe colmare; ma ne sono incapaci, e allora eccoli lì a parlarsi senza capirsi, litigate senza fine, e separazioni e divorzi, e violenze e disperazione. "Muti" come i rapporti tra genitori e figli, nascosti nella falsa amicizia - le mamme amiche, i papà amici - per non affrontare con i figli il rischio del confronto, del rifiuto e della crescita attraverso l'obbedienza alle parole dell'autorità. "Muti" perché incapaci di attenzione e pazienza come tanti rapporti tra colleghi, vicini di casa, parenti, compagni di scuola, in un parossismo di giustizialismi e legalismi che strozzano le parole della misericordia. "Muti" dinanzi ai bisogni dei poveri, con il cuore chiuso nella cassaforte dell'avarizia. Ma perché siamo diventati "muti"? L'altro, con le sue incognite, il carico di precarietà e sfuggevolezza, spinge all'amore gratuito, a spiccare il volo in un cielo di cui non si conoscono le proporzioni, a dimenticare se stessi e i propri schemi. A sacrificarsi, perché l'amore è sempre segnato da una ferita, come quella sul costato di Adamo, dischiusa per dare la vita a Eva sua sposa. E' la volontà di Dio che ci ha creati diversi, "maschio e femmina", per divenire l'uno per l'altro un "palazzo" dove accogliersi e donarsi. Ma il "palazzo" è stato conquistato dal demonio, l' "uomo forte" e "bene armato" di menzogne: prima ci esalta illudendoci di poter diventare come Dio, e poi ci disprezza sbattendoci in faccia che non lo siamo diventati, spingendoci nel mutismo che ci isola dal mondo per paura di fallire ancora una volta. Con la paura della morte Satana "fa la guardia" alla nostra vita diventata ormai "il suo palazzo"; "i suoi beni sono al sicuro" perché, mentre cerchiamo di sfuggire alla morte, ci "leghiamo" a lui sempre di più. Guardiamoci intorno: di fronte alla sconfitta di una cura o a un embrione probabilmente malato, ci ritroviamo "muti", senza parole di fronte al dolore e alla sofferenza dell'innocente. Così in ogni relazione che ci presenta sacrificio, rinunce, dolore e morte. E allora uccidiamo credendo di fare il bene ed esorcizzare la morte. E' il marchio di fabbrica dell'avversario, scambiare il bene in male e viceversa, identificare Gesù con il principe dei demoni e questi con Dio. Così, nel "palazzo" occupato dal demonio, è legittimo e auspicato il male: aborto, eutanasia, divorzio, e i tanti altri omicidi nascosti nelle passioni con cui togliamo agli altri la vita perché la nostra è agli sgoccioli. Infatti, "chi non è con Cristo è contro di Lui", contro la sua immagine impressa in ogni uomo. "Chi non raccoglie" il suo amore disseminato nella storia lo "disperde", come si disperde il seme nei rapporti muti che macchiano la bellezza feconda della sessualitàChi non è con Cristo è contro l'uomo, perché chi non raccoglie la sua immagine in ogni persona ne disperde la vita, frustrando il suo destino. Per questo siamo "muti", dispersi e soli nel "palazzo" della nostra vita, diventato ormai una tomba. La Quaresima ci aiuta a riconoscerlo, per imparare a desiderare e attendere la notte in cui Cristo, "uno, l'unico, più forte" del demonio, di nuovo distruggerà la morte che ci spaventa e dalla tomba in cui siamo precipitati risorgerà facendo di noi il suo "bottino". La Pasqua è l'opera di Dio che desta "meraviglia" in chi ha conosciuto solo la morte, perché in essa "giunge a noi il suo Regno", mentre il suo "dito" che ci ha creato ci "tocca per sanarci" e ricrearci. Sulla Croce dove l'invidia e le calunnie di chi lo identificava con "Beelzebul" lo hanno inchiodato, Cristo ha "strappato l'armatura in cui confidava" il demonio, mostrandoci che non è vero che Dio non ci ama, anzi. Tanto ci ama che non solo perdona ogni peccato, ma ci attira nella stessa intimità che unisce il Padre e il Figlio: "Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi". Con la sua morte Cristo ha riconquistato il "palazzo" da dove ha "scacciato i demoni"; con la sua resurrezione ne ha fatto il cenacolo dove Lui appare ogni giorno per "vincere" la paura e guarire i rapporti "muti" e sterili donandoci la capacità di amare in Lui oltre il peccato. Solo qui, raggiunti dalla Pasqua, i fidanzati sanno aspettare e sacrificarsi, gli sposi escono da se stessi per donarsi gratuitamente, i genitori trasmettono la fede educando con discernimento, e i figli obbediscono liberi dall'orgoglio; solo nel "Regno" ognuno è "per" il bene autentico dell'altro, lottando perché Cristo viva in lui, sapendone "raccogliere", anche tra i peccati, l'immagine originale. Dalla Pasqua nasce così la missione della Chiesa, il "bottino" di Gesù: gli schiavi liberati sono "distribuiti" nel mondo a farsi "Beelzebul", ovvero peccato, per chi giace ancora nelle tenebre. Non c'é da stupirsi e temere se chi ci è accanto traviserà i nostri gesti e le nostre parole, anzi. Quando accadrà sarà il segno che Cristo è vivo in noi, che sta lottando con satana per riconquistare con l'annuncio del Vangelo proprio chi ci perseguita.

mercoledì 22 marzo 2017


Asmodeo e i sette pericoli mortali del matrimonio.


Asmodeo. Vi ricordate questo nome? Sicuramente lo avete già sentito nominare anche se, forse, non riuscite a collocarlo in un contesto chiaro. Asmodai, chiamato anche Asmodeo, è un demone biblico. Asmodeo è considerato, oltre che il principe della distruzione, anche il demone della cupidigia, dell’ira e della lussuria.
Perchè vi racconto questo? Asmodeo è l’antagonista nel racconto biblico di Tobia e Sara, dove il protagonista è Dio. La storia di Tobia e Sara è la storia della incessante battaglia tra il bene e il male. Il campo di battaglia diviene la relazione sponsale di questi due giovani, che con l’aiuto di Dio riusciranno a portare in salvo se stessi e il loro matrimonio. Giovanni Paolo II in udienza del 1984 dice al riguardo:
 Questa prova della vita e della morte ha pure un altro significato che ci fa comprendere l’amore e il matrimonio degli sposi novelli. Infatti essi, unendosi come marito e moglie, si trovano nella situazione in cui le forze del bene e del male si combattono e si misurano reciprocamente.
Non voglio cercare di approfondire tutto il libro di Tobia, troppo ricco di simboli e io non abbastanza preparato, ma posso lanciare qualche spunto, gli stessi che sono serviti a me per riflettere sulla mia relazione con Luisa. Si, perché Tobia e Sara siamo noi e Asmodeo è presente in ogni matrimonio pronto ad attaccarlo e  distruggerlo, non appena trova uno spiraglio, una porta non ben protetta del nostro castello,  e a uccidere l’uno nel cuore dell’altra.
Partiamo dalla Parola biblica del libro:
Raguele udì queste parole e disse al giovane: «Mangia, bevi e sta’ allegro per questa sera, poiché nessuno all’infuori di te, mio parente, ha il diritto di prendere mia figlia Sara, come del resto neppure io ho la facoltà di darla ad un altro uomo all’infuori di te, poiché tu sei il mio parente più stretto. Però, figlio, voglio dirti con franchezza la verità. 11 L’ho data a sette mariti, scelti tra i nostri fratelli, e tutti sono morti la notte stessa delle nozze. Ora mangia e bevi, figliolo; il Signore provvederà». 12 Ma Tobia disse: «Non mangerò affatto né berrò, prima che tu abbia preso una decisione a mio riguardo». Rispose Raguele: «Lo farò! Essa ti viene data secondo il decreto del libro di Mosè e come dal cielo è stato stabilito che ti sia data. Prendi dunque tua cugina, d’ora in poi tu sei suo fratello e lei tua sorella. Ti viene concessa da oggi per sempre. Il Signore del cielo vi assista questa notte, figlio mio, e vi conceda la sua misericordia e la sua pace».
Sara è già stata data a sette mariti prima di Tobia e tutti sono morti la notte delle nozze.
Cosa rappresentano i sette mariti? Perché sono tutti morti? Chi è stato?
Il racconto diventa quasi un thriller. Tobia è pronto a correre il rischio e affronta la prima notte di nozze con Sara. E’ tranquillo perché sa di non essere solo, Dio è con lui.
Ora torniamo ai sette mariti morti. L’assassino non è il maggiordomo ma il nostro Asmodeo , di cui abbiamo parlato in precedenza, l’antagonista di Dio. Asmodeo vuole distruggere il patto nuziale e ogni marito morto rappresenta uno dei sette pericoli mortali a cui il matrimonio è esposto. Per elencarli con una breve spiegazione prendo spunto dai meravigliosi coniugi  Gillini e Zattoni e dal loro testo: La lotta tra il demone e l’angelo.
  1. L’ARROGANZA DI ESSERSI FATTI DA SOLI. Non riconoscersi figli e bisognosi dell’aiuto del Padre. Chi fonda tutta la propria vita matrimoniale sulle proprie forze e sul proprio amore è un illuso. Finché tutto va bene non abbiamo bisogno di Dio, del suo aiuto, del sacramento del matrimonio fonte di Grazia e di vita. Quando le cose dovessero iniziare ad andare male e le difficoltà e la sofferenza potrebbero entrare nella nostra storia, saremo pronti o Asmodeo ci ucciderà come il primo marito?
  2. LA COLPEVOLIZZAZIONE IMMOBILIZZANTE. Non possiamo vivere in modo sano il nostro matrimonio se non curiamo le ferite che ci portiamo dentro. Non siamo perfetti, abbiamo fragilità e imperfezioni. Dobbiamo accettare tutto questo ed essere capaci di amarci così e di farci amare nella nostra imperfezione. Stessa cosa per il nostro coniuge. Anche lui/lei è fragile ed imperfetto/a. Non puntiamo il dito sui suoi difetti ma troviamo il modo di trasformarli in occasione di amore oblativo di dono. In caso contrario la situazione potrebbe divenire insostenibile e faremmo il gioco di Asmodeo, che  ci ucciderebbe come il secondo marito.
  3. ARRENDERSI ALLE DIFFICOLTA’. Il matrimonio, come dice in modo molto bello Costanza Miriano, non è solo a forma di cuore, a volte assume la forma della croce. Sofferenza, prove e difficoltà ci potrebbero abbattere. Ci viene in soccorso Dio con la Sua Grazia. Noi dobbiamo però crederci, non perdere la speranza e la certezza che Lui è con noi e, che se anche non vediamo la fine del tunnel, proseguire e perseverare senza perdere la speranza è l’unica via, o se abbandoniamo la lotta,  faremo la fine del terzo marito.
  4. L’ASSENZA DI DIO. Crediamo in Dio, o almeno pensiamo di crederci, poi però le nostre scelte non tengono conto di Lui. Decidiamo da soli ciò che è bene e ciò che è male. Dio diventa più una figura di superstizione e tradizione, qualcuno di lontano a cui dedicare qualche rito vuoto di significato. Solo se Dio diventa nostro faro in ogni decisione importante e la Chiesa nostra madre, dove trovare le risposte ai nostri dubbi, allora riusciremo a non farci annientare come il quarto marito.
  5. LA RESA FIDEISTICA. E’ il contrario del quarto punto, ma altrettanto pericoloso. Far dipendere tutto da Dio, pensando che così tutto sarà perfetto. Dio ci ha fatto suoi figli e ci vuole liberi. Dio agisce nella nostra vita ma solo dopo che noi ci siamo messi in cammino. Ci chiede impegno, formazione, perseveranza e conoscenza dell’altro. Ci chiede di mettere in gioco tutto di noi, anche la nostra libertà e responsabilità. Solo se faremo tutto questo, allora Dio metterà la Sua Grazia per colmare le nostre povertà. In questo campo rientra anche la maternità responsabile. Lasciare a Dio la regolazione della nostra fertilità senza impegnarci nella conoscenza dei metodi naturali potrebbe ucciderci come il quinto marito.
  6. LA LUSSURIA. L’USO PRIVATISTICO DELLA SESSUALITA’. Su questo punto mi soffermo poco, l’ho già affrontato diverse volte. Dico semplicemente che se il rapporto fisico diventa esclusiva ricerca di piacere e l’altro/a una persona da usare il rapporto è destinato a fallire. Il rapporto fisico è autentico solo quando è manifestazione dell’amore oblativo di dono. L’amplesso fisico e l’amore erotico sono una parte essenziale dell’amore sponsale ma solo se vissuti in questo modo. L’unione dei corpi come segno dell’unione dei cuori, e la donazione totale del corpo come culmine di una vita di attenzione, servizio e donazione dell’uno verso l’altra. Solo così non moriremo come il sesto marito.
  7. DISCONOSCIMENTO DI LEALTA’ VERSO LA COPPIA. Uno dei due sposi non recide il cordone ombelicale con la famiglia di origine. Si sente ancora figlio/a prima che sposo/a. Hanno priorità sempre le necessità della famiglia d’origine prima di quelle della coppia. Così la volontà della famiglia d’origine schiaccia e a volte azzera le dinamiche e la libertà della coppia. Questo, presto o tardi, permette ad Asmodeo di distruggere l’unione.
Ognuno di noi si sente attaccato su uno o più punti maggiormente rispetto agli altri, ognuno nella sua relazione ha un suo punto debole, stiamo però attenti a non sottovalutare quello che il libro di Tobia così sapientemente ci insegna, riconosciamo il pericolo e disinneschiamolo con le armi della Grazia e della nostra volontà di andare oltre..
Insulti ai cardinali e "nuova Chiesa del popolo"

   
   
di Riccardo Cascioli                               22-03-2017
Enzo Bianchi e Alberto Melloni
C'è un’aria sempre più pesante nella Chiesa: chiunque osi soltanto mostrare qualche perplessità su alcuni interventi di papa Francesco o semplicemente ribadisca le verità di fede che la Chiesa ha sempre annunciato, finisce nel mirino dei nuovi giacobini. L’ultimo in ordine di tempo a fare le spese di questo clima è il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Gerhard Muller, che sarà questa sera a Trieste per un incontro nel quadro dell’iniziativa della cattedra di san Giusto.

Ebbene il suo arrivo è stato preceduto da una lettera di protesta del solito gruppetto catto-comunista, a cui ha fatto da sponda il quotidiano locale (laicista) Il Piccolo: “Raccolta firme contro l’arrivo del cardinale anti-Bergoglio”, titolava il giornale. Inutile ribadire che mai il cardinale Muller si è voluto porre contro il Papa, ma ormai basta affermare la centralità della dottrina nell’appartenenza alla Chiesa per scatenare la caccia alle streghe. E siccome non lo si può dire apertamente, si usa come pretesto la questione pedofilia: in questo caso Muller è diventato il capro espiatorio per le rumorose dimissioni di una vittima di abusi sessuali dalla commissione ad hoc istituita dal Papa (e ci sarebbe da riflettere sull’uso che si sta facendo di un dramma come la pedofilia per regolare i conti con vescovi non proprio in linea con l’attuale pontificato).
Il caso di Trieste comunque è grave, meriterebbe un intervento deciso da parte della Sala Stampa della Santa Sede, ma chissà perché ci sentiremmo di scommettere sul silenzio. Forse perché ultimamente assistiamo, ad esempio, a continue e impunite esternazioni imbarazzanti contro i cardinali che hanno firmato i Dubia, anche ad opera di persone ritenute vicine al Papa. È il caso presentato nei giorni scorsi dal vaticanista Sandro Magister, che ha pubblicato alcuni stralci degli interventi del vescovo Bruno Forte e dello storico della Chiesa Alberto Melloni lo scorso 9 marzo a Roma, in occasione di una conferenza. Se Forte ha indicato i seminatori di dubbi quale causa di «insicurezze e divisioni tra i cattolici e non solo», Melloni l’ha buttata sulla derisione definendo i cardinali «quattro ciliegie che si credono la metà del ciliegio».
Il 25 febbraio c’era stato invece un attacco pesante di don Vinicio Albanesi, fondatore della comunità di Capodarco, che ricevuto in udienza con la sua comunità, aveva invitato il Papa a lasciare perdere «quanti cincischiano con i dubia. Sono un po’ farisei e nemmeno scribi, perché non capiscono la misericordia con cui lei suggerisce le cose. Lei abbia pazienza. È una fatica, ma noi siamo con lei e la sosterremo sempre». Incredibile che si possa parlare così pubblicamente di cardinali davanti al Papa, ma c’è da dire che da parte del Pontefice non c’è stata alcuna reazione.

Un silenzio che può essere interpretato in modi diversi, ma certamente c’è chi lo capisce come un segnale che certi insulti si possano rivolgere tranquillamente. E si comporta di conseguenza. Del resto, duole dirlo, lo stesso papa Francesco nella recente intervista al giornale tedesco Die Zeit, ha espresso parole ben poco lusinghiere nei confronti del cardinale Raymond Burke. Il tema era la vicenda dell’Ordine di Malta, ma l’accusa di incapacità rivolta a quello che resta nominalmente il cardinale patrono dei cavalieri di Malta, è senza precedenti.
Ai Dubia dunque non arrivano risposte, in compenso arrivano insulti a chi li ha formulati. E soprattutto accuse di disobbedienza, di ostilità nei confronti del Papa, di seminatori di zizzania e via di questo passo. Ma per capire questi attacchi vale la pena ricordare chi sono i nuovi inquisitori. Abbiamo citato Alberto Melloni, persona che si picca di essere molto vicino a papa Francesco, e sicuramente tra i più insistenti nell’insulto ai cardinali dei Dubia.

Nell’incontro pubblico di cui all’inizio dell’articolo, Melloni dopo aver definito come «improprio lo strumento stesso delle domande fatte al Papa», afferma che vescovi e cardinali non hanno il diritto di trattare il Papa da imputato. Ora, a parte che i Dubia sono uno strumento previsto e molte volte usato per chiarire il senso di alcuni documenti e non solo; e a parte che nessuno ha trattato il Papa da imputato, bisogna ricordare che il Melloni oggi “papista” è lo stesso Melloni firmatario di un documento di aperta contestazione a san Giovanni Paolo II.

Correva l’anno 1989, Giovanni Paolo II era papa da 11 anni, e teologi e intellettuali di sinistra non potevano sopportare un’interpretazione del Concilio Vaticano II che non andasse nel senso di una rottura con la Chiesa precedente e della fondazione di una nuova Chiesa. Meno che mai potevano sopportare che il Papa nominasse dei vescovi non in linea con la rivoluzione in corso. Così dopo un durissimo testo del teologo moralista Bernard Haring (sarà un caso che ora sta tornando di moda?) che contestava il Papa in materia di morale sessuale, nel gennaio 1989 esce la Dichiarazione di Colonia, un attacco frontale al Papa firmato da 162 teologi di lingua tedesca. Iniziativa che viene poi replicata in Olanda, Spagna, Francia, Belgio e altri paesi.

E in maggio è seguita dalla Lettera ai cristiani di 63 teologi italiani, che non riconoscendosi nel Magistero di Giovanni Paolo II decidono di farsi loro stessi magistero rivolgendosi direttamente al popolo di Dio. Non solo Melloni è tra i firmatari: ovviamente ci sono i suoi soci della “Scuola di Bologna”, il fondatore Giuseppe Alberigo in testa; c’è il priore della Comunità di Bose Enzo Bianchi, c’è l’attuale vice-presidente della Conferenza episcopale italiana e vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla; ci sono i nomi più noti della teologia italiana, i cui testi tuttora fanno scuola nei seminari e nelle università pontificie. E molti di loro sono fra gli attuali “papisti”, censori e fustigatori di quanti ricordano che non esiste la Chiesa di Francesco ma esiste la Chiesa di Cristo.

Ma basta dare un’occhiata alle rivendicazioni di allora per capire cosa sta accadendo oggi: la richiesta di una “svolta pastorale”, libertà dei teologi dal Magistero, nomine dei vescovi fatte dal basso (ovviamente solo se progressiste), lo “spirito del Concilio” contro “la lettera del Concilio”, autonomia delle Chiese locali da Roma.
Allora c’era Giovanni Paolo II; adesso che c’è papa Francesco bandiera della “svolta pastorale”, invece gli stessi personaggi invocano il centralismo romano, nomine dei vescovi dall’alto in barba a tutte le procedure tradizionali, obbligo di una sola linea teologica, punizione severa per chiunque intendesse obiettare.
È l’evidenza che le posizioni di certi “papisti”, turiferari e guardiani della rivoluzione, non hanno niente a che vedere con l’amore per la Chiesa e per l’unità intorno al Papa: è solo un’operazione ideologica per fare avanzare un’agenda che rompe con la tradizione, al fine di affermare una “nuova Chiesa del popolo”. E si sa, quando il popolo lo vuole, non c’è spazio per Dubia