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venerdì 31 gennaio 2020

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GETTATI COME SEMI NELL'OSCURITA' DOLOROSA DELLA STORIA PERCHE' CRISTO DIA IN NOI IL FRUTTO DELL'AMORE
Il Regno di Dio non è un luogo circoscritto ma si può paragonare a un evento sempre in evoluzione. Lo può descrivere solo una parabola che racconta una storia. Il Regno di Dio è Cristo, che, come un seme, getta se stesso nella terra che è la nostra storia, ne assorbe speranze e fallimenti, gioie e dolori, anche i peccati, per trasformare tutto in un prodigio di amore robusto e fecondo. E' il Mistero Pasquale nel quale il corpo esanime di Gesù è trasformato in un corpo glorioso capace di dispensare vita eterna. Mette i brividi, eppure neanche l'uomo Gesù sapeva "come" ciò sarebbe accaduto. Per questo nel Getsemani, prostrato nell'angoscia, chiede al Padre di risparmiargli il calice della Passione. Quella notte Gesù si trovava proprio come un contadino che getta il seme in terra: questi sa che lì dentro accade qualcosa capace di trasformare quel puntino che teneva in mano in una pianta o in un albero, ma non sa come, nella terra, ciò si realizza. Il contadino, infatti, non è mai stato un seme, e per quanto le conoscenze scientifiche attuali ce lo sappiano spiegare, nessuno di noi ha mai vissuto l'esperienza di un seme gettato in terra. Così Gesù è dovuto entrare nell'ignoto, in quel passaggio doloroso e sconosciuto che il demonio ha colto a pretesto per tenerci schiavi tutta la vita. Sapeva che lo avrebbero preso, insultato, deriso, flagellato e appeso alla croce; sapeva che sarebbe morto e risorto, ma non sapeva quello che concretamente la sua carne avrebbe patito. Non aveva ancora conosciuto la morte, la tua e la mia. Era certo che il Padre non lo avrebbe abbandonato, ma doveva entrare senza istruzioni in quel pezzo di terra a forma di sepolcro; doveva, per essere il primogenito di molti fratelli, perché in Lui tutti noi, scelti e chiamati a far parte del suo Corpo vivo nella storia, potessimo entrare nella terra buia che ci attende per uscirne vittoriosi come un albero che abbraccia nella salvezza le Nazioni pagane, chi ci è accanto e per il quale sembra non esserci più speranza. Non sappiamo quali sofferenze ci attendono nel pezzo di terra dove Cristo unito a noi si getta per salvare. Ma l'esperienza che facciamo nella Chiesa ci dona occhi di fede per riconoscere nel momento in cui l'altro ci aggredisce e insulta, rifiuta e disprezza uccidendoci dentro, il kairos, il momento favorevole in cui la terra, dissodata dall'aratro della Croce e dalla presenza di Cristo nei suoi fratelli, si spacca per accogliere il seme. E' proprio nella persecuzione che il seme dei cristiani è sparso per fecondare la terra che sembra rifiutarli. Non sappiamo nemmeno quanto tempo dovremo restare in quel sepolcro spalancato dai peccati dell'altro. Lo sa una moglie abbandonata da un marito? Lo sanno il padre e la madre di un figlio che li detesta e se ne va di casa? Lo sa chi è stato truffato e derubato, insultato e calunniato? Lo sa un missionario rifiutato e perseguitato? No, nessun cristiano che offre la sua vita lo sa, ma ha la certezza che darà frutto, perché allo stesso modo l'amore di Cristo ha dato frutto in lui. Dove nel Vangelo si legge "mettere mano alla falce", l'originale greco ha apostellei, che significa inviare, da cui deriva apostolo. La mietitura è dunque l'invio degli apostoli, perché l'annuncio del Vangelo è già l'inizio della raccolta dei frutti! Non è questione di dormire o vegliare, perché il chicco pieno nella spiga non dipende dagli apostoli, che infatti nel Gestemani si addormentano. Dipende da Cristo e dalla sua obbedienza nel Getsemani, che vede già i frutti della sua Pasqua anche nel più grande peccatore, nelle zone del mondo più pagane e indifferenti al Vangelo. C'è una spontaneità del bene più forte del male che è sempre innaturale. Essa si sprigiona nell'uomo quando egli viene a contatto con l'origine e il compimento del bene; quando cioè Cristo tocca il suo cuore e vi entra per destarlo dal sonno dell'egoismo e risuscitare in lui e far crescere e fruttificare il seme divino che vi giace sin dalla creazione. E' quanto accade in chi è accolto e accompagnato nella Chiesa attraverso un lungo cammino iniziato con la semina della Parola; in virtù del suo potere, essa cresce in lui spontaneamente la vita nuova generata dai sacramenti che lo spingerà a stendere le sue braccia sulla croce di ogni giorno per accogliere i peccatori nella misericordia.

giovedì 30 gennaio 2020

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ILLUMINATI PER PORTARE OVUNQUE LA LUCE DELLA PAROLA E DELLA VITTORIA DI CRISTO SULLE TENEBRE DEL PECCATO
Cristo è la lucerna "portata", "che viene sul lucerniere”, secondo l'originale greco. E' Lui "che viene" attraverso i suoi Apostoli, ovvero risorto e vivo nella sua Chiesa. Intendiamoci, se non lo conosciamo di prima mano, sarà normale "mettere sotto il moggio o sotto il letto" la sua luce. Come? Fuggendo nei compromessi e nell'ipocrisia, perché il dubbio prevarrà sempre sullo zelo; la diffidenza, pur mascherata, impedirà l'ardore apostolico. La tiepidezza nasce sempre dall'aridità del cuore. Non si può amare Dio e gli uomini se non si ha l'esperienza del suo amore. Per questo “nessun segreto sarà tenuto nascosto”: non possiamo avere una doppia vita, un cristiano che va a messa ma vive le relazioni, il lavoro e il rapporto con il denaro come un pagano è la caricatura più ridicola che il mondo abbia visto. E con la storia Dio gli strapperà le maschere dietro le quali tenta di nascondersi. Perché chi è stato scelto e non ha Cristo, non ha nulla, e vedrà evaporare nel nulla anche ciò che crede di possedere. Non si gioca, Dio non può permettere che inganniamo il mondo. Esso giace avvolto nel buio, e ha bisogno della “lampada” che solo la Chiesa può mettere sul "lucerniere"; non può "metterla sotto il moggio o sotto il letto", annacquando il Vangelo nel pensiero mondano e screditarlo scappando dalla Croce! Può succedere anche a noi, se non custodiamo gelosamente la memoria di Cristo e cominciamo a “misurare” con avarizia il suo amore. E ciò accade soprattutto quando appare la Croce nella nostra vita. Se lo ascoltiamo finiremo col cadere ancora nella gelosia e nell'invidia, sino a spegnerci nell'accidia e nel cinismo che ci farà evitare di entrare nella storia che Dio ha preparato per noi. Nasconderemo la luce che ci ha salvato per nascondere noi stessi, ormai incapaci di amare e di uscire allo scoperto per offrirci agli altri. E in quell'angolo d'egoismo superbo lontano dal Golgota, “fuori” cioè dal raggio della Grazia, ci vedremo “tolto” quello che "abbiamo" già ricevuto, la pienezza della vita divina e la gioia che ne scaturisce. "Tolto" perché lo abbiamo disprezzato; "tolto" perché lo abbiamo già rifiutato e gettato via. "Quello che abbiamo" ricevuto gratuitamente, infatti, lo "abbiamo" perché sia donato altrettanto gratuitamente. La "lampada" che Cristo ha acceso in noi può brillare solo sulla Croce, il luogo dove si ama sino alla fine, dove la vita è consegnata appunto "senza misura". Lontano da essa saremo ovviamente “misurati con la stessa misura con la quale abbiamo misurato”: e risulteremo vuoti, senza nulla. Non si tratta perciò di durezza e severità, Dio non si vendica; ma dell’estremo atto d’amore con il quale Egli cerca di scuotere chi si è allontanato da Lui, perché dalle conseguenze dolorose di tale scelta riconosca i propri peccati e si apra alla sua misericordia. Ma coraggio, perché il Signore è buono, e con amore ci ammonisce oggi a ben “guardare” la Parola che ascoltiamo, secondo l'originale greco tradotto con "fate bene attenzione". Ci chiama ancora a fermarci e a guardare bene alla nostra vita nella quale la Parola si è incarnata e freme per continuare ad operare. Quante grazie abbiamo ricevuto! Quanti "segreti" ci sono stati svelati nella Chiesa! Quante volte abbiamo pensato che quell'evento doloroso avrebbe segnato la fine di progetti e speranze, e invece abbiamo visto che proprio attraverso di esso Dio ha moltiplicato la gioia nella nostra vita. Guardati attorno oggi, tua moglie, tuo marito, i tuoi figli, le persone che hai accanto; guarda te stesso, anche la tua debolezza, la fragilità, le contraddizioni, e ascolta la Parola del Signore. Essa "viene" a te per rinnovare i prodigi della Pasqua che hai già sperimentato, quelli di cui la Chiesa è testimone da duemila anni. "Guardare", infatti, è un verbo legato alla risurrezione, usato nel Vangelo per definire l'esperienza visiva dei discepoli dinanzi a Cristo risorto. Siamo dunque chiamati a guardare Cristo, a fissarlo e contemplarlo mentre ci dona “senza misura” la sua vita, perché attraverso di noi la vuol donare a ogni uomo. Anche oggi, e ogni giorno la Chiesa ci "dà" Cristo, nella Parola e nei sacramenti. Con Lui potremo restare crocifissi sul “candelabro” della storia che ci attende, sapendo che, come il roveto ardente di Mosè, la Croce ci brucia senza consumarci.

mercoledì 29 gennaio 2020

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NELLA CHIESA SIAMO TERRA BUONA DOVE LA PAROLA PREDICATA E FATTA CARNE IN NOI CONSEGNA AL MONDO IL FRUTTO DELLA PASQUA DI CRISTO

Il Vangelo di oggi ci annuncia che in noi c'è un frammento di Paradiso, e lì Gesù vuol seminare la sua Parola! La natura umana, infatti "non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata « concupiscenza »)". Ma "il Battesimo, donando la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l’uomo verso Dio; le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell’uomo e lo provocano al combattimento spirituale" (Catechismo della Chiesa Cattolica 405). Il battesimo, ecco il “mistero del Regno di Dio” che Gesù “ci confida” oggi! Come descritto nella parabola, nella Chiesa primitiva si giungeva al battesimo dopo una lunga preparazione che iniziava con la “semina”, ovvero con l’ascolto del kerygma, della Buona Notizia. I pagani raggiunti dallo zelo degli apostoli erano peccatori, schiavi delle concupiscenze, concubini e adulteri, non importava quanto fosse infeconda la loro terra. Importava che la Chiesa li avesse raggiunti, che i cristiani avessero offerto la testimonianza dei propri frutti chiamandoli alla fede, e che ascoltassero la predicazione che seminava in loro la Parola. E che iniziassero un serio cammino di conversione guidati dalla Chiesa, proprio perché il seme caduto nella “terra buona” dei catecumeni giungesse a maturazione. Un cammino di iniziazione cristiana nel quale essa potesse mettere radici e crescere sino a dare i frutti di una vita nuova nella "Grazia di Cristo", in virtù della quale “il sasso può diventare una terra fertile, la strada non essere più calpestata dai passanti e diventare un campo fecondo, le spine essere sradicate e permettere al seme di dare frutto liberamente” (San Giovanni Crisostomo). Si trattava di un lungo cammino di conversione perché doveva essere cacciato “satana” sempre pronto a “portare via la parola seminata in loro”. Occorreva vincere l’“incostanza” togliendo una ad una le “pietre” dal loro cuore perché in esso la Parola potesse mettere “radici” e resistere senza “abbattersi” “al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola”. Era necessario cambiare mentalità togliendo le “spine” del pensiero mondano, perché la Parola non restasse “soffocata” dalle “preoccupazioni del mondo, dall'inganno della ricchezza e da tutte le altre bramosie”. Il battesimo giungeva solo dopo questo cammino, che alcuni abbandonavano come afferma chiaramente il Signore nella parabola. Esso sigillava l'opera di Dio nel neofita, che, annegando nell’acqua l’uomo vecchio schiavo del peccato e per questo infecondo, risorgeva con Cristo come un figlio del Regno, pronto a offrire al mondo i suoi frutti, “dove il trenta, dove il sessanta, dove il cento”. Non tutti, infatti, sono chiamati con la stessa vocazione, ma in ciascuno la Parola produce il frutto necessario in quel momento, per quella persona che si trova in quella situazione. Per questo con la parabola di oggi Gesù ci ridesta perché torniamo al cuore e al fondamento della nostra chiamata; altrimenti, come accade per le parabole, non capiremo nulla della nostra vita. Perché essa sia compiuta e dia i “frutti” che Dio ha pensato per noi dobbiamo tornare al battesimo attraverso i cammini che la Chiesa ci offre. Solo così saremo le primizie del Regno che solca il mare della morte. Per questo “la barca” di Gesù che, “seduto”, annuncia il Vangelo e insegna la Verità come l'unico Maestro, è separata dalla terraferma: è il segno sua risurrezione!. Così è la Chiesa, la “terra buona” che risplende feconda; così le nostre comunità sparse nel mondo senza appartenergli; così ciascuno di noi, issati su quella barca per assumere il combattimento spirituale di ogni giorno per difendere la bellezza della vita celeste in noi, il frutto squisito dell'amore da offrire a chi ci è accanto.

martedì 28 gennaio 2020


San Tommaso d'Aquino 





 San Tommaso d'Aquino
                                    Sacerdote e dottore della Chiesa                                     









Un astro di luce particolare e inestinguibile brilla nel cielo del secolo XM; luce che attraversa i secoli, che illumina le menti: l'Angelico Dottore S. Tommaso.

Nacque ad Aquino nell'anno 1227 dal conte Landolfo e dalla contessa Teodora, parente di Federico Barbarossa, signori fra i più illustri di quei tempi.

Educato cristianamente fin dalla più tenera età, diede molti segni della sua futura scienza e grandezza.

A cinque anni fu affidato per l'educazione ai monaci benedettini di Montecassino. Vi rimase fino ai quattordici anni, fino a quando cioè i torbidi politici non decisero i genitori a riprenderlo entro le mura del proprio castello. Più tardi fu mandato all'Università di Napoli, ove, sebbene assai giovane, manifestò il suo potente ingegno, acquistandosi fama presso i condiscepoli e stima presso i maestri. Già si concepivano su di lui le più lusinghiere speranze, già i conti d'Aquino ed altri vedevano in lui il futuro campione del foro napoletano o romano, quando egli di colpo fece crollare tutti questi sogni, annunciando la sua decisione di entrare nell'Ordine di S. Domenico.

Da Napoli, per timore della famiglia che gli si opponeva decisamente, fu mandato a Parigi, ma nel viaggio, raggiunto dai fratelli, venne arrestato e ricondotto nel castello paterno di S. Giovanni a Roccasecca. Rimase prigioniero per circa un anno, vincendo tutte le difficoltà e le lusinghe. Per il suo angelico candore ed in premio della sua fortezza contro una grave tentazione, meritò d'essere cinto del cingolo di purezza da due Angeli, così che dopo d'allora mai più ebbe a subire tentazioni contro la bella virtù.

Aiutato dalle sorelle riuscì a fuggire, e tosto rientrò nel convento da cui era stato strappato. All'Università di Parigi studiò filosofia e teologia sotto il celeberrimo S. Alberto Magno e a 25 anni cominciò con somma lode a interpretare filosofi e teologi. Passò indi col suo maestro a Colonia, e qui ricevette la sacra ordinazione. Ritornato a Parigi come insegnante universitario sostenne lotte coi maestri secolari. Chiamato poi alla Corte Pontificia in qualità di teologo della curia romana vi rimase qualche anno, poi tornò a Parigi. È questo il tempo più fecondo del suo insegnamento. Da Parigi entrò in Italia e fu inviato da Gregorio X al Concilio di Lione. Ma nel viaggio mori a Fossanova, il 7 marzo 1274.

Raccolse, sistemò ed espose tutto lo scibile antico, e segnò le vie alle scienze nuove, tanto che non si esita a chiamarlo uno dei più grandi ingegni dell'umanità.

Mirabili ed eccelse furono le sue virtù. Tale e tanta fu la sua umiltà che ricusò l'arcivescovado di Napoli ripetutamente offertogli dal Sommo Pontefice. Il suo confessore ebbe a dire: « Fra Tommaso a 50 anni aveva il candore e la semplicità di un bambino di cinque anni ».

PRATICA. Impariamo da questo santo la fermezza nell'eseguire la volontà di Dio.

PREGHIERA. Dio, che illustri la Chiesa con la meravigliosa erudizione del tuo beato confessore Tommaso e la rendi feconda di tante opere, dacci, te ne preghiamo, d'intendere ciò ch'egli ci ha insegnato e di compiere, a suo esempio, ciò che ha fatto.



αποφθεγμα Apoftegma

Bisogna ricreare un clima autenticamente catto­lico, 
ritrovare il senso della Chiesa come Chiesa del Signore, 
come spazio della reale presenza di Dio nel mondo. 
Quel mistero di cui parla il Vaticano II 
quan­do scrive quelle parole terribilmente impegnative 
e che pure corrispondono a tutta la tradizione cat­tolica: 
"La Chiesa, cioè il regno di Cristo già pre­sente in mistero".

Card. Joseph Ratzinger



RINATI NELLA CHIESA NOSTRA MADRE IMPARIAMO DA MARIA A COMPIERE LA VOLONTA' DI DIO SINO ALLA CROCE DOVE ESSERE MADRE, FRATELLO E SORELLA DI GESU'


Il Signore fa nuove tutte le cose. Egli siede sul trono della Gerusalemme celeste, è l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine. E' sceso dal Cielo per riscattare ogni uomo precipitato fuori dal Paradiso. Ha vinto la morte e ha riaperto il cammino al Padre, alla comunione perduta con Dio. E' asceso al Cielo "conducendo prigionieri", e ha "ricevuto uomini in tributo", perché così "anche i ribelli abiteranno presso il Signore Dio". Il Vangelo di oggi è un'istantanea della Gerusalemme celeste descritta dall'Apocalisse: "Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro". E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate». Gesù è la novità che attira il passato, lo trasfigura e lo rende un presente compiuto nel suo amore e dischiuso su un futuro che non avrà fine. Nell'episodio narrato nel Vangelo odierno la Madre di Gesù e i suoi fratelli, stando fuori, mandano a chiamare Gesù. Ma tra loro e Lui vi è come un diaframma, un muro che li separa: "Attorno a Lui era seduta una folla". Attorno e seduta, e Lui al centro: il Maestro e i suoi discepoli, come Maria, ai piedi di Gesù, scegliendo l'unica parte buona che nessuno mai potrà strappare. I discepoli che ascoltano e per questo obbediscono e fanno la volontà di Dio sono madre e fratelli di Gesù. Gesù guarda quella folla che lo cinge come le mura della Gerusalemme di lassù, e ne attesta la familiarità nuova, il legame che supera carne e sangue, l'intimità che viene dal Cielo. I discepoli sono attorno a Lui come una corona cinge il diadema, stretti a quello splendore che ha rapito i loro cuori e le loro anime. 

Gesù infatti, "venne fra la sua gente, ma i suoi non l' hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità" (Gv. 1, 11 ss). Hanno visto Gesù nella sua gloria, la luce di una presenza unica nel dare senso, consistenza, pace e gioia alla loro vita; hanno intuito che in quell'Uomo, nelle sue parole, Dio stesso era con loro; Gesù tergeva le loro lacrime nella sua misericordia, le cose di prima, quelle che sino ad allora li avevano fatto soffrire, che sembravano pesare come un macigno, erano passate, trasfigurate nella profezia d'amore che traspariva dalle sue parole. Niente lutto, né affanno, né lamento, perché quel Maestro aveva deposto la speranza, il perdono, la vita laddove aveva regnato la morte. Per questo, come cuccioli in attesa di cibo, lo hanno ascoltato e ora erano lì, semplicemente seduti attorno a Lui. E' la Chiesa, Ecclesia, assemblea convocata per ascoltare e accogliere. Gesù li fissa girando tutto intorno lo sguardo e ne svela l'identità nuova e sorprendente: per il fatto di essere lì attorno a Lui e ascoltare la sua Parola sono il nuovo Israele convocato intorno al Sinai. Sono madre e fratelli di Gesù, generati in Dio e fecondi della stessa natura, dello stesso amore. La fede viene infatti dall'ascolto: è come per la terra assetata, arida e sterile bagnata dall'acqua che feconda e infonde vita e conduce a portare frutto. Ascoltare è aprirsi alla vita, per dare la vita.

Gesù non chiede nulla, non esige, non detta regole. Gesù ama e annuncia il suo amore. Gesù attira a sé donando se stesso perché è possa essere accolto e donare la nuova natura incorruttibile. Essere attorno a Gesù ascoltando la sua parola, cibandosi del suo amore fatto carne in Lui: questo è fare la volontà di Dio. Nel Vangelo non appare null'altro, inutile fantasticare e immaginare. Quegli uomini fissati dallo sguardi di Gesù ascoltano e per questo fanno: accolgono come Maria la Parola capace di generare in Lui Colui che è il Principio e il compimento, l'unico capace di colmare la vita nel compimento della volontà del Padre. La Chiesa non è programmare e fare, la Chiesa è amore, perché chi ascolta davvero accoglie, si dona, abbandona pesi e zavorre carnali, si lasca trasformare dalla novità dell'annuncio; chi ascolta ama e per questo compie la volontà di Dio. Come Gesù che ha compiuto la volontà del Padre nel Getsemani dove ha ascoltato, accolto e obbedito. La via crucis è stata poi il frutto benedetto di quell'ascolto drammatico fattosi obbedienza. 

Ecco dunque la Chiesa, la Gerusalemme di lassù, libera e "risplendente della gloria di Dio" il Cielo disceso sulla terra: "La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele...  Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello... Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello. Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte... Non entrerà in essa nulla d'impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello." (Ap. 21, 12 ss). La Gerusalemme che oggi accoglie noi, la Chiesa madre e maestra che ci consegna la Parola di Dio e i segni del suo amore. Nessun tempio costruito dagli sforzi umani. Certo, siamo chiamati ogni giorno al combattimento contro chi, continuamente, ci chiama a tornare alla carne, perché "fuori" c'è il passato nel quale abbiamo vissuto. C'è la madre della carne, non quella autentica dello Spirito. Sì, ogni istante la carne che ci ha generato per la morte "ci cerca" per indurci a pensieri, criteri e vita mondana. Ma ormai siamo creature nuove e potremo salvare questa generazione solo restando "dentro", nell'intimità con Gesù, senza compromessi con il mondo. Proprio per ascoltare Lui e non la carne potremo scendere alla carne di chi ci è accanto per attirarli nella volontà di amore di Dio. 

E' Cristo che ci chiama, laddove ci troviamo,  fuori dalla sua cerchia, schiavi dei nostri idoli, accampando diritti di parentela secondo la carne, chiamando Gesù ed esigendo da Dio che lasci di essere Dio per assecondare i nostri capricci. Ancora una volta oggi è Gesù stesso che ci attira e accoglie nella sua famiglia, e ci chiama a percorrere il cammino che anche Maria ha dovuto fare: passare dalla conoscenza secondo la carne a quella nuova dello Spirito. Conoscere Cristo seguendo la lampada dell'Agnello che illumina le orme sui sentieri della storia: stretti a Lui nell'ascolto della sua Parola, cibandosi del suo amore, per vivere pienamente ogni istante donato, ogni relazione, ogni evento come agnelli che offrono la vita. Madre e fratelli di Gesù, partorendo al mondo il suo amore, le porte della vita sempre aperte perché i poveri e i piccoli possano entrare a partecipare della stessa vita, ma ben serrate sul peccato e la menzogna. La vita sempre aperta su ogni uomo perché la notte non esiste più per chi è seduto attorno alla Luce. 

lunedì 27 gennaio 2020


ANCHE SE LE TENTAZIONI CI VORREBBERO FAR DUBITARE DELL'AMORE DI DIO CON LE BESTEMMIE DI CHI DISPERA DELLA SALVEZZA, NELLA CHIESA POSSIAMO APPOGGIARCI AL PIU' FORTE CHE LEGA IL PUR FORTE DEMONIO SMENTENDO CON LA CROCE LE SUE MENZOGNE  


Il Cielo, quando appare sulla terra, getta sempre scompiglio. Fin dal Principio, lo Spirito Santo, il respiro di Dio, l'amore che alberga nel seno stesso della Trinità, ha realizzato, come un fedele operaio, la volontà e la Parola del Padre. "Pensi alla creazione?; essa fu operata nello Spirito Santo che consolidava e ornava i cieli. Pensi alla venuta di Cristo? Lo Spirito l'ha prepa­rata e poi, nella pienezza dei tempi, l'ha realizzata discen­dendo su Maria. Pensi alla formazione della Chiesa? Essa è opera dello Spirito Santo. Pensi alla parusia? Lo Spirito non sarà assente neppure allora, quando i morti sorgeranno dalla terra e si rivelerà dal cielo il nostro Salvatore" (san Basilio, De Spiritu Sancto, 16 e 19). Sin dalla creazione lo Spirito Santo aveva messo ordine, e l'amore aveva dato senso ad ogni cosa. Separando e distinguendo, ha fatto e rivelato la Verità; innanzi tutto che l'uomo è creatura e non è Dio. Poi, che ha bisogno di Dio, e senza di Lui non può far nulla; anche quello che sembra poter fare da solo, non è altro che fumo, vanità, opere morte pronte a corrompersi. Ma l’uomo, ricolmo dello Spirito santo, è anche immagine del suo Creatore, creato per dialogare con Lui in obbedienza e amore. Penetrando nell'uomo, lo Spirito vi ha deposto il dono più grande, terribile e dolce ad un tempo, la libertà. In essa l'uomo avrebbe potuto amare davvero, ma anche odiare, obbedire o disobbedire. E fu disobbedienza, e fu un'altra separazione, tragica e dolorosa, come quella del caos che regnava prima della creazione. La naturale distanza tra Creatore e creatura poteva essere colmata dall’accoglienza dell'amore obbediente, eppure la disobbedienza ha chiuso il cuore dell'uomo allo Spirito Santo. Ma Dio, che non è un uomo, non si è arreso: "L'amore appassionato di Dio per il suo popolo — per l'uomo — è nello stesso tempo un amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia. Il cristiano vede, in questo, già profilarsi velatamente il mistero della Croce: Dio ama tanto l'uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore" (Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 10). Dio ha tratto il suo Figlio dalla carne della Vergine Maria come in principio aveva tratto Adamo dalla terra vergine. Lo Spirito Santo è apparso ancora sull'uscio della nuova e definitiva creazione. Nel seno di Maria, come nel seno dell'umanità, ha riportato l'ordine e il senso perduti, per non abbandonare più Gesù, il nuovo e perfetto Adamo, lo consacra in potenza nelle acque del Giordano; lo "getta" nell'arena del deserto per combattere e vincere nella lotta con satana; lo colma di sè per annunciare la Buona Notizia; lo assiste nei miracoli che liberano i poveri, i piccoli, i peccatori; lo sostiene con grida e gemiti nell'ora della prova; lo accompagna sul ciglio della vita per essere effuso, nell'ultimo respiro, su ogni uomo, un soffio infinito di amore e misericordia a perdonare ogni peccato.


Questa è l'opera dello Spirito Santo in Gesù di Nazaret, duemila anni fa a Cafarnao come oggi nella nostra vita. Sospinto da un amore incontenibile entra oggi nel caos che distrugge le nostre esistenze, nel disordine affettivo, nella confusione idolatrica che ci getta in ginocchio in una stolta adorazione di idoli muti, quali il denaro, il potere, l’onore, il rispetto, e poi il lavoro, le vacanze, i diritti vecchi e nuovi, l’autonomia superba travestita da libertà. Entra Gesù, «l'uomo più forte» nella nostra casa, e «lega l'uomo forte». E' forte il demonio, molto più forte di noi, e ogni sua parola, ogni suo inganno, mirano a un unico obbiettivo: farci dubitare di Dio, disperare del suo amore, «bestemmiare contro lo Spirito Santo». Il demonio sa che in Cristo ogni peccato sarà perdonato, conosce il cammino dato all'uomo per salvarsi e che consiste nella conversione e nell'umiltà, nel riconoscere i propri peccati e lasciarsi ferire dall'amore di Dio e consegnarli ogni sudiciume. «Belzeebul» significa infatti "Baal del sudiciume", signore dell'impuro. Il demonio sa che, sbattuto dinanzi alla Croce, non può assolutamente nulla. Per questo induce l'uomo a sottrarsi alla Croce, all'umiltà, al riconoscersi debole nella consapevolezza che satana esiste ed è forte; per questo si nasconde, e scuote la ragione mostrando l'assurdo di un amore che "si rivolge contro se stesso". In fondo vi è caduto anche Mosè, quando ha dubitato che Dio avrebbe potuto avere ancora misericordia di un Popolo tanto ostinato, e per questo non è entrato nella Terra. Ha dubitato anche Pietro, ed era satana, di fronte all'annuncio della stoltezza e della follia della Croce. Dubitiamo anche noi e ci risvegliamo sulla soglia della bestemmia contro lo Spirito Santo. La parola «bestemmia» traduce il termine greco «blasphêmía», che deriva da «ingiuriare» e da «reputazione», che in latino denota letteralmente la «diffamazione». Ci troviamo soggiogati da un aguzzino feroce, in situazioni inestricabili, il marito violento, il lavoro insopportabile, un'amicizia tradita, un figlio schiavo della droga, i debiti, la Croce,  e non vediamo nessuna via d'uscita ragionevole. Quando tutto ci sembra cospirare contro, anche i miracoli, le opere d'amore compiute da Dio in nostro favore, si rivestono di una tenebra sinistra, e cediamo al veleno del dubbio, «che non sia tutto un caso, un inganno?». E cominciamo ad insultare, a «diffamare» Dio. La storia della salvezza, la Croce gloriosa di Cristo che ci ha sottratti al caos, diviene ai nostri occhi un tragico scherzo del destino, coincidenze che ci hanno tratto in inganno. Mia moglie non cambierà mai, questo cancro distruggerà in un sol colpo ogni speranza, i soldi non mi basteranno, non troverò lavoro, tanto meno un fidanzato, non cambierò mai, gli stessi peccati mi inchioderanno alla dannazione. Così, come ha scritto Romano Guardini, “il no, il male, il nulla si fanno momenti gravidi di contenuto, ‘valori antivalenti’, potenze del mondo... Il no viene considerato come appartenente al sì, il nulla come appartenente all’essere, il male come appartenente al bene: in ultima analisi, ed in maniera espressa, l’elemento satanico come appartenente a Dio, il che, secondo Matteo è il peccato in assoluto, la bestemmia contro lo Spirito Santo" (R. Guardini, Senso della teoria degli opposti). Diveniamo stolti come gli «scribi scesi da Gerusalemme», incapaci di ragionare le cose più semplici, come il fatto che «un regno diviso non può aver potere», che «satana non può rivoltarsi contro se stesso». La stoltezza che nega l'evidenza del bene è la peggiore, è la condanna più atroce, quella che ci fa vivere come dei topi in gabbia. Il caos antecedente la creazione torna a sconvolgere le nostre vite, al punto di sbarrarci le porte alla conversione. San Tommaso d’Aquino afferma che il peccato contro lo Spirito Santo “si dice irremissibile… perché toglie i mezzi con i quali ci compie la remissione dei peccati” (S.Th. II, 14,3). Una "impermeabilità della coscienza" (Giovanni Paolo II) si impossessa del nostro intimo, ci getta nello sconforto e in una sorta di depressione spirituale. Ma giunge oggi il Signore, ed è «il più forte». Il suo amore squarcia i Cieli e discende nella profondità più nascosta del nostro intimo, laddove abbiamo alzato bandiera bianca, arrendendoci alla nostra debolezza. E prende per mano proprio questa debolezza, per esorcizzare il dubbio: «lega» il demonio, incatena la menzogna, azzittisce l'orgoglio. Gesù viene oggi per farci «suo bottino», proprietà eterna del suo amore. Viene con fatti concreti, sciogliendo catene che ci legavano da anni, illumina con il bagliore della misericordia il volto del fratello sino ad oggi oscurato dai giudizi e dai rancori. Con Lui scende in noi il soffio dello Spirito per svelarci la Verità: in ogni evento alberga un germe d'amore e di vita, il mistero nascosto agli angeli, l'amore fatto carne nei nostri fallimenti, in tutto quello che ci aveva condotti sull'orlo del baratro. «Forte», il Signore ci fa forti della sua fedeltà, ci strappa dalle mani del demonio, riporta ordine e pace, e ogni cosa torna al suo posto, nello scrigno della Sua volontà. Viene Gesù, e nel cuore e sulle labbra, laddove affiorava maligna la bestemmia, depone un canto di lode e di benedizione.

sabato 25 gennaio 2020

Conversione di San Paolo Apostolo


αποφθεγμα Apoftegma


Questa svolta della sua vita, questa trasformazione di tutto il suo essere 
non fu frutto di un processo psicologico, 
di una maturazione o evoluzione intellettuale e morale, 
ma venne dall’esterno: non fu il frutto del suo pensiero, 
ma dell’incontro con Cristo Gesù. 
In questo senso non fu semplicemente una conversione, 
una maturazione del suo "io", 
ma fu morte e risurrezione per lui stesso: 
morì una sua esistenza e un’altra nuova ne nacque con il Cristo Risorto.  
Solo l'avvenimento, l'incontro forte con Cristo, 
è la chiave per capire che cosa era successo: 
morte e risurrezione
rinnovamento da parte di Colui che si era mostrato e aveva parlato con lui. 
In questo senso più profondo possiamo e dobbiamo parlare di conversione. 
Questo incontro è un reale rinnovamento 
che ha cambiato tutti i suoi parametri. 
Adesso può dire che ciò che prima era per lui essenziale e fondamentale, 
è diventato per lui "spazzatura"; 
non è più "guadagno", ma perdita, 
perché ormai conta solo la vita in Cristo.

Benedetto XVI

L'INCONTRO CON L'AMORE GRATUITO DI CRISTO E' L'EVENTO INASPETTATO CAPACE DI CONVERTIRE QUALSIASI CUORE

Saulo, un uomo lanciato nel fuoco di uno zelo smisurato, aveva incontrato un amore più grande di ogni entusiasmo; gli era arrivato addosso come un fendente, rovesciando la sua vita: una voce improvvisa, una luce che abbaglia, e le certezze che sembravano granito - la storia, i Padri, le tradizioni, l'elezione e l’Alleanza – veniva assorbito nel buio della cecità. Nei lunghi anni di silenzio in Arabia aveva capito: Saulo sapeva, ma non conosceva. Soprattutto, non lo lasciava il ricordo vivo di un giorno amaro di pietre e sangue, e il volto di Stefano, come quello di un angelo inginocchiato sull'altare di un amore incomprensibile che consegnava la vita per lui; le sue parole piene di una sapienza sconosciuta s'intrecciavano con quella voce che lo aveva afferrato e scaraventato giù dalla vita. Era Stefano, ma era anche il Rabbì di Nazaret, erano anche i piccoli che aveva messo in catene. La Verità aveva bussato, senza nessun altro preavviso che quel volto tumefatto di chi, morendo, lo aveva scusato, perdonato, amato; ora iniziava a conoscere ciò che aveva studiato e difeso con ardore; ora che quella misericordia senza condizioni, quel non tener conto delle intenzioni malvagie, degli errori e dei peccati, lo aveva raggiunto e chiamato a seguire e diventare come l'eretico giustiziato sulla Croce; ora ci vedeva, e quel volto di Stefano che gli era sembrato come quello di un angelo era l'amore di Dio fatto carne. Era vero quel morire come un agnello, era vero che il Messia doveva patire come il Servo di Yahwé delle Scritture. Quell'Uomo crocifisso era davvero risorto, era vivo nei suoi discepoli che Saulo perseguitava. Sì, Gesù era il Signore, il Figlio dell'Altissimo. La Storia di salvezza del suo Popolo, le promesse, l'Alleanza, la Terra, la Legge, la Pasqua, le tradizioni, tutto parlava e annunciava Gesù, il Messia atteso. Proprio Colui che il cuore di  Saulo desiderava più d'ogni altra cosa al mondo, ma, come avrebbe poi scritto dei suoi fratelli israeliti, con uno "zelo per Dio, ma non secondo una retta coscienza; poiché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio" (Rm. 10,2-3). Per questo anche lui che "non la ricercava dalla fede, ma come se derivasse dalle opere", proprio mentre correva ad estirpare gli eretici che invece avevano conosciuto in Gesù Cristo la Giustizia di Dio, "ha urtato contro la pietra d'inciampo" per sottomettersi ad essa. Dio infatti lo amava anche se non aveva una "retta coscienza", perché lo aveva "predestinato" ad essere uno "strumento che" aveva "scelto per sé, affinché portasse il suo nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli di Israele"; un testimone di quell'amore che aveva scandalizzato tanti capi e farisei. Saulo doveva sperimentarlo così, completamente gratuito e inaspettato, e ciò poteva accadere mentre, al colmo dell'inganno, perseguitava la "Via", il cammino attraverso il peccato e la morte che Cristo aveva inaugurato e che Stefano aveva percorso dinanzi ai suoi occhi. Solo così Saulo avrebbe compreso di se stesso e di ogni uomo quello che Dio conosceva da sempre: dietro al suo zelo si nascondeva il bisogno bambino di essere amato, salvato, rigenerato. Giudicava senza pietà perché cercava pietà; voleva estirpare la menzogna perché bramava la Verità; correva e cercava perché voleva essere trovato; era certo di non sbagliare perché desiderava qualcuno che lo amasse quando sbagliava; era geloso delle sue certezze perché cercava un fondamento più forte di se stesso. 

E proprio sull'orlo dell'abisso, al colmo della sua irruente passione di uomo schiavo della carne, nel posto e nel momento che ogni idea religiosa non potrebbe immaginare, gli era apparso Gesù, l'amato sconosciuto del suo cuore. Gesù e quel suo "perché?" illuminava tutta la sua vita come un'unica, spesso disperata ricerca d'amore. "Perché mi perseguiti? Perché dai calci contro il pungolo?": perché vuoi uccidere l'amore che cerchi correndo nella direzione contraria alla felicità? Perché ti ostini a lottare contro la gratuità e difendi il tuo "io" con inutili sforzi che grondano del sangue dei fratelli per servire i quali, invece, sei stato creato e scelto? In quel "perché?" c'era tutto l'amore che aveva vinto il peccato, il suo e quello di ogni uomo, e la morte che esso genera: un "perché?" che non lo giudicava ma, illuminando la menzogna che lo aveva sedotto, rivelava la Verità che aveva il potere di smascherarla per liberarlo: in Stefano era vivo Gesù che lui perseguitava, e in quel sangue offerto per chi lo uccideva vi era il perdono che la comunità dei cristiani cominciava ad annunciare ad ogni uomo. Saulo aveva incontrato e sperimentato la Giustizia di Dio capace di trasformare la sua coscienza, illuminandola con la luce sfolgorante della Pasqua che lo aveva avvolto sulla strada verso Damasco. Ogni desiderio del suo cuore aveva trovato compimento in quell'abbraccio di misericordia che lo aveva spinto a prostrarsi, finalmente umiliato, dinanzi alla Verità dell'amore. L'esperienza che quell’amore aveva vinto il suo peccato era diventata certezza che il Rabbì di Nazaret era davvero risorto. Saulo aveva "ascoltato" l'annuncio del Vangelo dalle labbra stesse di Gesù mentre esso si compiva nella sua vita. Ora quella fede accolta dalla predicazione diveniva un dovere impellente, un’urgenza che gli premeva dentro, un incarico improcastinabile: l'amore si faceva gratitudine che orientava il suo zelo liberandolo dalla carne per consegnarlo allo Spirito: "Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere". Questo ha significato per Paolo "lingue nuove" da parlare in ogni centimetro del mondo e dei secoli; e poi "malati guariti", e comunità fondate in ogni città; e persecutori come "serpenti" da prendere tra le mani, e "veleni" di calunnie da bere mentre nulla gli poteva recare danno, perché nessuna catena aveva potere sul Vangelo che annunziava. In Paolo battezzato nello Spirito e nel fuoco Gesù era ormai vivo e vittorioso su ogni demonio. 


Come può esserlo in ciascuno di noi, fieri e certi in apparenza, ma in realtà pavidi e insicuri. Come Paolo, anche noi cerchiamo, ci affanniamo, lottiamo, ci indigniamo e giudichiamo, ci appassioniamo e ci spendiamo, soffriamo e sudiamo per nulla, incapaci di afferrare l'Unico che il nostro cuore davvero desidera. Come Saulo non ci rendiamo conto di cercare proprio quello che stiamo rifiutando, la verità e l'amore che si celano in tutto quello che mettiamo a morte ogni giorno. Ma lo stesso "perché?" che ha salvato il Fariseo di Tarso, ci attende oggi sul nostro cammino: perché corriamo per mettere in galera la moglie, il marito, il capoufficio, o la fidanzata? Perché ci illudiamo di afferrare la vita e la felicità che solo il Messia crocifisso e risorto può darci gratuitamente incatenando e appropriandoci di chi ci è intorno?   Perché siamo ingannati e ciechi, schiavi di una "cattiva coscienza" che ci impedisce di vedere che in tutto e in tutti si nasconde il Messia, Colui che il nostro cuore desidera ardentemente. Ma coraggio, di nuovo oggi Egli appare sulla strada che ci conduce alle nostre Damasco di superbia e vanità, odii e rancori, concupiscenze, gelosie e avarizie; ci guarda e ci parla, e il suo amore ci tramortisce, illuminando la storia e le persone di una luce sconosciuta. Perseguitando chi ci è vicino, abbiamo perseguitato Lui, l'unica salvezza; rifiutando gli eventi e lottandovi contro, abbiamo gettato Cristo fuori dalla nostra vita, l'unica fonte di gioia e pace. Ascoltiamo la predicazione e "convertiamoci" seguendo le orme di Saulo: torniamo in noi stessi, camminando nella Chiesa alla luce della Parola di Dio e sostenuti dai sacramenti, per scoprire in noi un'elezione che Dio non ha mai cancellato, e che oggi, nel suo amore, ha il potere di rinnovare. Ci attende oggi, dove meno ce lo aspettiamo, un incontro che è preludio alla conversione, una dolcezza ferma e vera che seduce e accompagna nel cammino alla Verità; alle origini della nostra vita, nell'Eterno che ci ha generati, vi è il suo amore infinito nel quale è racchiuso il senso autentico che colma l'esistenza. Da esso sgorga lo zelo che muove una vita nuova e santa: come Saulo, anche noi siamo "strumenti scelti per Lui" in questa generazione. Nella Chiesa ci è svelato "quanto dovremo soffrire per il suo Nome", e proprio questo sarà il segno che testimonierà in noi il passaggio dalla morte alla vita, come accadde in Stefano: il nostro volto presentato ai flagellatori invece delle pietre scagliate contro l'Agnello, perché Cristo ci ha perdonato, e ci ha colmati del suo amore che abbraccia ogni uomo, anche il nemico, sino alla fine, consegnando la propria vita per la salvezza di tutti.