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mercoledì 31 gennaio 2018





αποφθεγμα Apoftegma

Grazie alla fede, la vita nuova sorta dal battesimo, 
plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. 
Nella misura della sua libera disponibilità, 
i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo 
vengono lentamente purificati e trasformati, 
in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita.
La "fede che si rende operosa per mezzo della carità" 
diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione 
che cambia tutta la vita dell’uomo.
Benedetto XVI, Porta fidei



GESU' ASSUME LO SCANDALO CHE IMPEDISCE LA FEDE PER LIBERARCI DA NOI STESSI E DALLA SUPERBIA

I discepoli seguono Gesù di ritorno nella sua Patria dove impareranno quanto seria sia la chiamata che li aveva raggiunti. Lo sguardo di Gesù li aveva colti nelle loro ore, al lavoro, in famiglia, persino sui luoghi del peccato. Quello sguardo si era fatto parole irresistibili, vive, efficaci, energiche e, improvvisamente, si erano sentiti conosciuti, e amati, come mai. Impossibile non seguirlo, non lasciarsi attrarre da quell'Uomo che non si era scandalizzato di loro. Peccatori, impostori, erano quello che erano, rozzi ed ignoranti, ma Lui li aveva guardati sfiorando il fondo del loro cuore, e li aveva voluti con sé. Non aveva posto condizioni, era tutto gratuito, li aveva chiamati in un cammino di libertà; li aveva strappati alla casa, alla famiglia, alla patria per “stare con Lui”, e questo bastava a lasciar tutto in un istante e seguirlo. Avevano visto miracoli, compiuti anche a casa loro. Segni di un Cielo che era diventato terra, e di una terra che s'era innalzata sino a diventare Cielo. Erano stati testimoni delle vittorie di Gesù sui demoni, i peggiori, i più pericolosi; avevano visto la libertà sui volti stupiti di chi aveva passato una vita oppresso dalla schiavitù. Avevano ascoltato le parole di Gesù e contemplato le sue opere senza capire, come storditi e con il cuore indurito, interrogandosi su chi fosse in realtà. Si erano impauriti nella tempesta, avevano dubitato e mormorato. Ma erano ancora lì, con Lui, dietro di Lui, seguendone le orme. E ora era Nazaret, la sua casa, la sua famiglia, i suoi amici, la sua patria. Ora lo avrebbero conosciuto meglio, sulle tracce della sua storia, tra le pieghe della sua vita nella carne. Li aveva portati, di sabato, nella sua Sinagoga: la sua scuola, i suoi maestri, le sue preghiere. Ma qui succede qualcosa d'imprevisto, e ancora una volta, come tante altre, le parole di Gesù scuoteranno le loro esistenze, tranceranno certezze, illumineranno, formeranno. Nazaret sarà l'esperienza dello scandalo. Imbattendosi nelle sue parole, la patria di Gesù, la carne della carne di Lui, si ribella, si agita, si stupisce e fa domande sino a precipitare nello scandalo. Questa parola - skandalon - significa letteralmente "pietra che fa inciampare". Gesù, per la sua patria, per amici e parenti, era come un sasso capitato tra i piedi, e tutti vi erano inciampati, tranne Maria: "Chi più di lei ebbe familiarità con l’umanità di Gesù? Ma non ne fu mai scandalizzata come i compaesani di Nazaret. Ella custodiva nel suo cuore il mistero e seppe accoglierlo sempre di più e sempre di nuovo, nel cammino della fede, fino alla notte della Croce e alla piena luce della Risurrezione" (Benedetto XVI, Angelus del 3 febbraio 2013). La profezia è come frustrata, il potere che Gesù aveva manifestato nei villaggi vicini e perfino in terra pagana, si infrange sui bastioni della carne. Quel soffermarsi solo sui tratti somatici, quel controllo doganale dei documenti anagrafici, quel rimestare nei ricordi per restarne imprigionati, quei criteri soffocati nell'evidenza della ragione piantata sulla superficie, impediscono a Gesù di operare prodigi:  "E’ uno come noi – dicono –. La sua pretesa non può essere che una presunzione" (Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù). E' lo scherzo che gioca la carne che, come fiore del campo, al mattino fiorisce e al tramonto dissecca. E' incapace di distendere lo sguardo oltre le apparenze, è meschina nel domandarsi "da dove gli venga" la sapienza e il potere per operare i prodigi, incapace di aprirsi alla meraviglia che accoglie umilmente il mistero che può salvare. Affetti, amori, passioni, la melma che muove la carne è vanità di vanità che il vento porta via in un baleno. E’ accaduto a Nazaret come succede nelle nostre case, nelle nostre famiglie: gelosie, invidie, competizioni, speranze, progetti, regole e leggi che definiscono i legami di sangue; anche quando gli affetti sembrano più puri, il veleno della corruzione ne mina la limpidezza e la gratuità. Ne siamo tutti testimoni, anche i bimbi più piccoli ne fanno esperienza quotidiana. Le domande che si scambiavano a Nazaret di fronte a Gesù, sono le stesse che sorgono nei nostri cuori e chiudono i battenti in faccia al potere di Cristo, manifestazioni della superbia di chi non sa fermarsi sull'uscio della propria ragione e della carne riconoscendone i limiti, per accogliere la novità che sgorga dalla storia visitata e redenta da Dio. Siamo imprigionati nell'orgoglio che ci fa credere alle convinzioni acquisite dall'abitudine; non esiste nulla da sperare e credere al di fuori di quello che abbiamo visto con gli occhi della carne: il marito con cui sono sposata da "trent'anni" non può cambiare; nel figlio che ho "allevato" e ho visto ribellarsi e chiudersi, non può celarsi il mistero dell'opera prodigiosa di Dio, il lavorio interiore della sua sapienza capace di strapparlo all'inganno, nei tempi e nei modi che solo Lui sa. 



Il Salmo 50 fotografa la realtà di ogni uomo: "Nel peccato mi ha concepito mia madre". Lo scandalo della carne si manifesta nell'incapacità di amare l'altro così come è, di lasciarlo libero, senza far mancare aiuto e misericordia. Quanta meraviglia, la stessa di Gesù di fronte all'incredulità dei suoi compaesani, quando ci ritroviamo rifiutati e disprezzati. E quanti accanimenti per ovviare a questo, per indurre gli altri ad accettarci, a riconoscerci ruolo e identità. Quanti genitori legano i figli sino a soffocarli, spesso subdolamente; o sono incapaci di correggere per paura di essere rifiutati; quanti coniugi vivono in un continuo compromesso che accumula fascine al fuoco del risentimento; e quante esplosioni e incendi, e devastazioni, e matrimoni distrutti, e figli sbandati. La carne non può superare il suo limite, e questo è il peccato, il fallimento del progetto d’amore nel quale siamo stati creati. Per questo Gesù dirà che “chi non odia suo padre, sua madre, il marito, la moglie, i fratelli, i figli, la patria, persino la propria vita, non può essere suo discepolo”, non può seguirlo. Chi ama la sua vita, chi fa un assoluto di questa vita di carne fatta di schemi, relazioni, criteri, affettività, la perderà, gli sfuggirà di mano come sfugge qualcosa di mano quando si inciampa. Chi fonda la sua vita sulla carne vivrà la maledizione della corruzione, non vedrà il bene da nessuna parte, sarà cieco e senza discernimento, e per questo inciamperà, si scandalizzerà. La carne ferita dal peccato originale è un diaframma che si frappone tra lo spirito dell'uomo e Dio, ne impedisce il contatto libero e gioioso; essa spinge all'adulazione, all'autogratificazione, alla difesa, e usa di tutto e di tutti per se stessa, non conosce gratuità. All'apparire della sofferenza, del fallimento, della solitudine, si scandalizza. E' l'esperienza di Pietro, profonda, simile a quella di ciascuno di noi. Il Padre dal Cielo gli aveva rivelato il cuore della fede, l'identità di Gesù, schiudendo le sue labbra per proclamare che quell'uomo che veniva da Nazaret era il Figlio di Dio, il Kyrios, il Signore. Pietro aveva assaporato la beatitudine di chi ha superato i vincoli e l'impotenza della carne, e, per questo, è stato chiamato e costituito pietra di fondamento della Chiesa. Ma l'annuncio della passione aveva risvegliato la carne ancora viva, e l'uomo vecchio, erompendo in un grido di difesa, aveva manifestato con parole di sdegno lo scandalo provocato dalla Croce. Pietro è inciampato perché voleva correre davanti a Cristo, guidarlo sui sentieri del mondo, seguendo la logica della carne, e si è sentito apostrofare “satana!”, identificando chi era stato chiamato a confermare nella fede i suoi fratelli con colui che della carne ha il dominio orientando il pensiero, così diverso da quello di Dio. E, nello stesso tempo, Pietro diviene scandalo per Gesù: la pietra che, invece di fondare la Chiesa, si frappone come ostacolo al cammino del suo Signore verso il compimento della volontà del Padre. In Pietro scorgiamo lo scandalo dei “compatrioti” di Gesù: essi pensano d'aver capito, di sapere, e non si rendono conto che non possono credere perché cercano la gloria - la sostanza, il peso della vita, secondo il significato della parola greca - gli uni negli altri: chiedono vita ai legami di sangue, alle tradizioni dei padri, alle conoscenze epidermiche, e cadono e si spengono i loro occhi, e rifiutano ogni miracolo. E' la maledizione di chi non vede oltre il fatto biologico, e il bene, l'amore misericordioso di Dio, scivola via. Come succede a noi, ogni giorno. Per questo Gesù dirà a Nicodemo che “occorre rinascere dall'alto”, entrare in un nuovo seno, che è quello della Chiesa, il fonte battesimale. Per immergersi nell'acqua del battesimo si deve odiare tutto quello che si frappone come un ostacolo a Cristo, alla vita secondo lo Spirito. Dal fonte rinasce l'uomo nuovo, libero come il vento: come è accaduto a Pietro, che, da vecchio, è stato condotto dove la sua carne non voleva andare. Il Signore passa anche oggi nella sua patria che siamo noi, e ci chiama: la sua Parola scende fino all'intimo, per recidere le radici velenose che vi si estendono. Non possiamo essere se non seguendo il Signore. Non possiamo amare se non odiando la schiavitù della carne. Essa è redenta e sanata, liberata e santificata da Cristo. L'incarnazione fa nuova la carne, la conduce alla Croce e la innalza sino al Cielo. E' il cuore della fede della Chiesa, la risurrezione di Cristo e la risurrezione della carne. Ma essa non avviene senza la Croce, scandalo e stoltezza per chi non vuol ascoltare, salvezza per chi accoglie l'annuncio del Signore, perché "questa è la compiuta fierezza dell’amore: non si può amare la divinità di Cristo senza amare prima la sua umanità" (Heidewick di Anversa), che è entrata nella morte, cominciando nei lunghi trent'anni vissuti nel totale nascondimento di Nazaret. Solo partendo dal mistero di un Dio che scende sino alla più banale e povera quotidianità dell'uomo, nella sua città, lavorando come lui, accettando il lavoro più umile che era quello del "carpentiere", riservato a quel tempo a chi non possedeva la terra, solo schiudendo gli occhi sulla patria di Gesù, i discepoli hanno cominciato ad imparare la "sapienza della Croce", l'amore che smaschera l'inganno della "sapienza della carne". La stessa esperienza è riservata anche a noi chiamati a vivere nella Chiesa, la Nazaret che si distende nei secoli: in essa è vivo lo Spirito Santo che infonde l'autentica sapienza che ne fa un segno del Cielo; nella sua comunione sperimentiamo il perdono e la libertà di relazioni nuove, fondate sull’amore autentico che non cerca il proprio interesse: "Gesù non è venuto per cercare il consenso degli uomini, ma – come dirà alla fine a Pilato – per «dare testimonianza alla verità». Il vero profeta non obbedisce ad altri che a Dio e si mette al servizio della verità, pronto a pagare di persona. E’ vero che Gesù è il profeta dell’amore, ma l’amore ha la sua verità. Anzi, amore e verità sono due nomi della stessa realtà, due nomi di Dio… Credere in Dio significa rinunciare ai propri pregiudizi e accogliere il volto concreto in cui Lui si è rivelato: l’uomo Gesù di Nazaret. E questa via conduce anche a riconoscerlo e a servirlo negli altri" (Benedetto XVI, Angelus del 3 febbraio 2012). A poco a poco, attraverso un lungo cammino, come i discepoli, impariamo che l'unica Patria e l'unica famiglia di Gesù sono quelle composte da chi ascolta, custodisce e compie la Parola di Dio. Quella stessa Parola che aveva intercettato i discepoli tra le reti della carne, li libererà, farà di loro uomini nuovi per essere, come ognuno di noi, per tutte le generazioni, i veri parenti di Gesù, “i suoi fratelli, le sue sorelle, la sua madre” che testimonieranno il suo amore e la sua presenza tra gli uomini, per suscitarne la "meraviglia" autentica che può accogliere la salvezza.

martedì 30 gennaio 2018




DAI FALLIMENTI NASCE LA FEDE CHE CI SALVA SPINGENDOCI AD ABBANDONARCI A CRISTO TOCCANDOLO NELLA SUA PAROLA 




Il lembo che ci salva




Il flusso del sangue è, nella Bibbia, vita che si perde e morte che lambisce l'esistenza. Per questo l'emorragia rendeva impuri, impedendo il culto, e quindi la relazione con Dio, come un anticipo dell'inferno. La donna del Vangelo lo era “da dodici anni”, numero che indica i mesi di un anno, immagine della totalità dell'esistenza. E stava “peggiorando”. E' la nostra vita, che ci sfugge senza riuscire a trattenerla, progetti che se ne vanno in fumo, relazioni fallimentari consegnate agli psicologi, alle terapie di gruppo, alle medicine, o agli amici, ai confidenti, alla televisione, ai social networks, ai manuali, alle palestre e alle meditazioni zen; o all'impegno, al fare, al produrre, tentando di dare un senso che riempia la voragine che inghiotte l'esistenza. Ma sempre senza successo, anzi peggiorando. Sempre più poveri, “dilapidando ogni avere”. Ma il Signore é in mezzo a noi, è all'opera e passa beneficando; anche ora sta seguendo uno dei tanti Giairo che lo implorano dopo aver ascoltato l'annuncio che Lui è in grado guarire davvero. Passa Gesú, si tratta semplicemente di raggiungerlo e toccarlo. Anche solo di sfuggita, anche “solo il lembo del suo mantello”, lo stesso del Profeta Elia, dal quale si sprigiona il potere di salvare la Vita che abbiamo perso. Ma sorge una domanda: abbiamo mai toccato Gesù? La donna del Vangelo lo tocca prima con la mente e con il cuore, lo tocca dentro di lei, dal fondo della sua disperazione, dal buio della sua impotenza. "Chi mi ha toccato?". Uno tra mille, e Lui si accorge dell’unica che lo ha toccato “tra la folla”, con ansia e paura, dal fondo delle sofferenze e dei fallimenti di una vita, ma con fede. Mentre la folla va a messa, prega, chiede grazie, si impegna "nel sociale"; bravi preti, brave mamme, bravi papà che fanno elemosine, volontariato, gruppi, gite e pellegrinaggi. E Lui non si accorge di nulla, e nulla di tutto ciò scuote il Signore, nulla carpisce la sua forza. Tanti si accalcano, forse lo toccano, ma è solo curiosità, religiosità superficiale, un tentativo, un numero in più sulla ruota della vita. Per lei no, solo per lei è questione di vita o di morte. Dal cuore, dal desiderio disperato che si traduce in speranza, la sua mano si allunga e, “da dietro”, come il pubblicano nascosto nell'ombra al fondo del tempio, lo tocca tremante. E torna alla vita. Impura tocca il puro, infrangendo la legge secondo la quale non avrebbe assolutamente dovuto. Cosí facendo infatti, la donna contamina Gesù, (cfr. Lev. 15, 19-33) lo tocca e lo attira dentro la propria immondezza. Lei sa che toccarlo da impura significava renderlo impuro come lei. Per questo si avvicina da tergo e lo tocca fugacemente, sperando d'essere salvata senza essere riconosciuta, senza che nessuno se ne dia conto e accusi Gesú. Ma il Signore va oltre le apparenze, perché Lui guarda il cuore. Si rende conto di quello che è successo, “sente” che il flusso di morte di quella donna lo aveva raggiunto strappandogli la vitaa Lui la morte, a lei la Vita. Il mistero pasquale si compie in un incontro, immagine d'ogni sacramento che ridona la vita realizzando quello che significa, la vittoria di Gesù sulla morte. I due sanno quello che é successo, “sentono” la stessa cosa nel loro intimo, laddove gli occhi della carne che appesantiscono anche lo sguardo di Pietro, non possono arrivare: “sentono” lo stesso flusso d’amore e di vita, si “toccano” nel cuore in un abbraccio interiore che è il ritorno alla comunione del Paradiso. E’ un’immagine fortissima della relazione di intimità con Gesù dalla quale scaturiscono tutti gli altri rapporti: in questo toccare della donna si rivelano le nozze mistiche che generano la santità matrimoniale, la santa sottomissione della sposa allo Sposo e il dono della vita di questi alla sposa, l’obbedienza fiduciosa della creatura al Creatore, il “mistero grande” di cui parla San Paolo riferendosi al sacramento del matrimonio. In questo gesto brillano anche lo splendore e la santità dell’unione sessuale dei corpi aperti al flusso di vita che sgorga da Cristo; e così l’amicizia, il fidanzamento, la relazione tra i genitori e i figli. Per questo Gesú la cerca, la vede, e con il suo sguardo la chiama. E’ il compimento dell’amore, il frutto benedetto di ogni relazione che passa attraverso la mediazione della carne. La donna tocca il Signore, guarisce dall’egoismo che disperde la vita, per incontrare lo sguardo celeste di Dio. Ogni volta che ci si consegna a Cristo ci si ritrova in Paradiso; così, ogni volta che ci doniamo all’altro, sia nel talamo come nella vita di ogni giorno, si schiudono per noi le porte del Cielo, l’anticipo della vita che non muore. Finalmente libera e tornata alla vita, la donna può “gettarsi ai piedi” di Gesù, professando la sua fede, il canto di lode che accompagna la sua Redditio Symboli; lì, accasciata davanti al Signore, racconta e testimonia l'incontro seguito all'annuncio, di come Gesù abbia avuto il potere di salvarla, laddove tutti e tutto avevano fallito, e quell’intimità esclusiva “sentita” nel fondo dello spirito, la gioia più grande di tutta la sua vita. E diventa figlia, rigenerata nel potere di Gesù, attraverso la porta della fede che l'ha “salvata” prima di “guarirla”Ora può andare in pace, sanata alla radice dal male, perché prima è stata “salvata”. L'audacia della sua fede ha aperto il cuore di Dio: toccare Gesù significa la fede pura e adulta nella quale abbandonarsi a Lui anche dal fondo del peccato più grave. La fede, infatti, è sporcare e contaminare Gesù, trascinarlo dentro la nostra vita mezza morta. E fare in modo che si accorga che ci ha salvati, obbligare il potere che il Signore sembra sia incapace di controllare.



Secondo la tradizione rabbinica, prima d'ogni altra cosa, Dio ha creato la misericordia, sapendo che l'uomo appena creato ne avrebbe avuto subito bisogno. Forse è tempo che non parliamo con nostra moglie, o con quel cugino che ci ha tolto denaro e onore. Forse l'emorragia ci ha prosciugato la forza per perdonare e chiedere perdono, per parlare con nostra figlia, per svegliarci e accogliere un nuovo giorno grigio di routine. Forse abbiamo speso tutto, energie e speranze, ci siamo dibattuti come pesci nella rete cercando di saltar fuori dalla solitudine, dal dolore, dal tradimento. Forse i tanti affari con i quali abbiamo tentato di tenere lontana la realtà dura e difficile del ministero e della missione si sono dissolti e nessuno ha più bisogno di noi. Forse ci siamo ritrovati soli con anni spesi a rincorrere una pienezza e una pace mai trovate. Forse siamo oggi come l'emorroissa, ed è giunto il momento unico e irripetibile di correre e toccare Gesù, con il cuore e con la mente: è santa l'emorragia come sono santi i “dodici anni” - tutta la nostra vita sino ad oggi - che ci hanno condotto sul bordo della piscina battesimale, pronti ad immergervi il nostro uomo vecchio. E' santa la storia che ha reciso ogni alienazione, appoggio, sicurezza. E' santa l'impotenza che ci spinge a toccare il lembo del mantello di Cristo, e che suscita il desiderio di cercare in Lui solo consolazione, pace, amore e pienezza. E' santa la nostra vita di oggi che ci costituisce per il Signore un tu vero e da amare, un “chi” che il Signore possa cercare tra la folla e riconoscere per salvare. E' santa la volontà di Dio che ci conduce alla fede adulta che non teme si toccare Cristo nel suo mantello che è la Chiesa dispensatrice dei sacramenti che hanno potere su ogni nostro peccato. Proprio quello che crediamo ci stia distruggendo afferma invece la nostra identità unica e preziosa agli occhi di Cristo; la nostra debolezza gettata sul suo mantello ci rende oggetto delle sue attenzioni, della ricerca del suo sguardo, dello zelo del suo cuore. E chi non vorrebbe attirare l'attenzione dell'amato? Con Gesù non è il trucco, non sono i vestiti, non sono le qualità a suscitare attenzioni e sguardi, perché Lui cerca la debolezza, l'inutilità, la povertà, proprio tutto quello che l'uomo disprezza. Come la “figlioletta” di Giairo, immagine di quanto di noi e in noi è ormai “agli estremi”. Mentre attorno le voci dei parenti e degli amici che credono di conoscere la nostra vita, fermi alla superficie delle cose, ripetono che ogni “figlia” dei nostri sforzi, dei desideri e dei progetti è ormai “morta”, ed è inutile “disturbare ancora il Maestro". Parole di una logica così stringente che ci assediano anche dal nostro intimo. Il matrimonio fa acqua, i figli non ascoltano, l’irreparabile suscita “derisione”, e molti “piangono e strepitano”, inducendoci a disperare e a vestire il lutto che avvolga i fallimenti, il vero obbiettivo del demonio. Ma anche oggi Gesù ci annuncia che la nostra vita “è solo addormentata, non è morta!”. Nulla di quanto speravamo e desideravamo è destinato alla corruzione; tutto si addormenta nella caducità e nella debolezza della carne per risvegliarsi e trasfigurarsi nell'incontro con Cristo, l'autore della vita. Gesù “caccia via” tutti quelli che ci vogliono allontanare dalla fede, ed entra con la sua Chiesa “dove è la bambina”, esattamente dove oggi giace quella parte di noi che sembra morta. Ci porta con sé, “genitori” a cui è stata affidata la vita con la sua storia, che per il peccato si sta spegnendo su di un giaciglio di morte; e “prende la mano” inerme del matrimonio, della relazione con i figli, del lavoro, del fidanzamento e sussurra quell’ “Alzati, risuscita!” con cui ristabilisce nello splendore originale della volontà del Padre ogni frammento della nostra vita. “Dodici anni” per comprendere la nostra debolezza, una vita per farci prendere per mano dal Signore e ascoltare l’annuncio che ci rimette in piedi, per “camminare” seguendo le sue orme di amore e libertà, “mangiando” finalmente il cibo che non perisce, la sua vita fatta carne e sangue capaci di compiere la volontà del Padre.

La Conferenza episcopale tedesca apre all'aborto



Massimo Cacciari subito dopo la rinuncia di Benedetto XVI rilasciò profeticamente a Vita (11/03/13) un’intervista in cui spiegò che la Chiesa avrebbe perso la sua funzione di “porre un freno”, di  Katécon, il potere citato da san Paolo capace di arginare l’avanzata del pensiero aticristico. 
Allora le parole del filosofo apparvero come alcune fra tante supposizioni, anche perché si sperava in un pontificato capace di opporsi al male con ancora più forza di quello di Giovanni Paolo II prima e di Benedetto XVI, i papi che rappresentavano un ostacolo alle spinte eretiche (anche nella Chiesa stessa) contrarie al pensiero di Cristo contenuto nel Magistero millenario della Chiesa.
Invece oggi accade che intere Conferenze episcopali possano mettere in dubbio le fondamenta della dottrina cattolica, che mai potranno cambiare, agendo non solo indisturbati ma come traino della Chiesa per portare con sé la maggioranza dei fedeli più che mai confusi.
Il 25 gennaio scorso, Lifesitenews ha pubblicato la notizia della decisione della Conferenza episcopale tedesca di sostenere un’organizzazione di consultori, la Donum Vitae, la cui prassi è quella di rilasciare certificati abortivi alle donne. Il fatto è ancora più grave se si pensa che sono 20 anni che i vescovi tedeschi fanno a braccio di ferro con il Vaticano per dare il proprio appoggio a questa organizzazione. Non a caso sul sito ufficiale dei vescovi si legge che “la Conferenza episcopale tedesca ha ufficialmente evidenziato, per la prima volta, che l’associazione Donum Vitae lavora per la protezione della vita (…). Nello stesso tempo, i vescovi ora danno il permesso agli ex dipendenti dell’organizzazione di avere un lavoro, prima proibito, all’interno dei consultori cattolici”. 
Il sito americano riporta anche una lettera del presidente della Conferenza episcopale della Germania, il cardinale Reinhard Marx, membro del consiglio ristretto di papa Francesco, all’organizzazione laicale Central Committee of German Catholics per cui “non vi è dubbio che l'obiettivo di Donum Vitae - così come quella consulenza alle donne gravide che si svolge sotto la responsabilità dei vescovi - sia la protezione delle persone non nate”.
Peccato che nel 1998 Giovanni Paolo II chiese esplicitamente che i consultori operanti nel sistema di consulenza pubblico per le donne gravide, che costringeva tutti i consultori a rilasciare i certificati per l’aborto su richiesta della donna, potessero godere dell’obiezione di coscienza. La risposta di tutte le regioni tedesche fu negativa. Pertanto i vescovi, nel settembre dell’anno successivo furono richiamati dalla Congregazione per la dottrina della fede affinché sostenessero il divieto di rilascio di tali certificati alle organizzazioni cattoliche. Ma nel 1999 l’organizzazione laicale Central Committee of German Catholics fondò Donum Vitae, la quale continuò a lavorare nel sistema dei consultori pubblici con circa 200 centri, rilasciando su richiesta i certificati.
Per volontà del Vaticano, però, la Conferenza episcopale tedesca nel 2006 dichiarò che Donum Vitae non era da considerarsi un’organizzazione cattolica. Senza ottenere risultati i vescovi provarono ancora ad appellarsi al papa affinché revocasse il divieto, perché secondo loro, come secondo Donum Vitae, rimanendo nel sistema si sarebbero potute incontrare molte donne, cercando di convincerle a non abortire, per poi rilasciare il permesso di omicidio del figlio qualora non fossero riuscite a cambiare idea. Esattamente il contrario di quanto predicato dalla Chiesa sulla vita come indisponibile e di quanto deciso dalla congregazione fondata da Madre Teresa di Calcutta, che piuttosto che permettere che uno solo dei centinaia di bambini a loro affidati fosse adottato da due persone dello stesso sesso (come stabilito dalla nuova legge indiana) chiusero tutti i loro orfanotrofi. Certe, spiegarono, che “Dio si prenderà cura di loro”. 
Se un tempo la posizione delle suore Missionarie della carità poteva non essere compresa dalle frange progressiste della Chiesa, aveva però sicuro appoggio nei vertici pronti a ribadirla e a difenderla. Oggi, invece, la scelta di seguire integralmente il Vangelo non solo non ha più questa garanzia, essendo lasciata al singolo, ma spesso viene bollata come folle e mancante di carità. Resta una sola garanzia alla speranza che il seme della verità torni a germogliare e sta proprio nel fatto che basta poco per custodirlo. Come disse il beato martire Popieluszko, ricordando che se alla menzogna servono molti uomini e propaganda: "Non c’è bisogno di molti uomini per proclamare la verità...perché la nostalgia della verità è connaturata all’uomo", anche se "per il buon seme della verità a volte bisogna pagare un prezzo molto alto".

lunedì 29 gennaio 2018


αποφθεγμα Apoftegma

In ragione della loro sottilità o spiritualità, 
i demoni possono penetrare i corpi e risiedervi; 
in ragione della loro potenza, possono rimuoverli e turbarli. 
Dunque, i demoni possono, in virtù della loro sottilità e della loro potenza, 
introdursi nel corpo dell'uomo e tormentarlo, 
a meno di essere impediti da un potere superiore: 
e' ciò che si chiama possidere-obsidere. 
Ma penetrare nell'intimo dell'anima è riservato alla sostanza divina.

 San Bonaventura, In 3 Sent., d. 8, parte II, a. 1, q. I e II

DOMATO IN NOI L'ORGOGLIO CHE CI DISTRUGGE DALLA PREDICAZIONE DELLA CROCE, SIAMO INVIATI NEL MONDO PER ESORCIZZARLO CON L'AMORE
Gesù è l'unico che può domarci perché ha compiuto la traversata in mezzo alla morte e ci è venuto a cercare all'altra riva del mare, il "territorio pagano" dove buttiamo via la nostra vita. Se infatti la vita non è consegnata a Lui nell'obbedienza, è preda di una forza violenta che spezza ogni legame, e a nulla valgono stratagemmi umani, psicologie e terapie. Nessuna “catena” può nulla contro il potere di una “legione di demoni”. Il “territorio dei Geraseni”, la Decapoli pagana, ieri come oggi, è accanto a noi, dentro di noi, dove il male è un continuo “colpire con pietre” la propria dignità spingendoci al disprezzo di noi stessi come l'indemoniato di Gerasa che "continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre". Questi fenomeni non ci sono estranei, perché il “sepolcro” nel quale abitiamo, in greco “memoriale”, è una continua memoria della morte che ci corrode, la “parte”, la “sorte” di chi confida in se stesso, il salario del peccato. Quante catene per indurci a ragionare, a soprassedere, a perdonare. Ma l'amore non è una catena perché il male non esploda. Occorre un miracolo che guarisca il cuore, che purifichi la fonte. E' necessario il Signore Gesù che passa all'altra riva per scendere negli abissi della morte e riscattare l'uomo schiavo del demonio. Questi, all'arrivo di Gesù, gli si fa incontro come attirato da Lui, ed è subito una reazione di sfida, di mormorazione, di rifiuto. Come accade a noi quando ci raggiunge la predicazione, l'annuncio della Verità. "Che hai a che fare con noi...". Che vuoi Signore, sei venuto a “rovinare” i nostri piani, la vita pagana nella quale abbiamo immerso la nostra anima? La “rovina” del male infatti è solo il bene, mai un altro male, come invece il mondo, e tutti noi, pensiamo quando ci armiamo per combattere le ingiustizie, le malattie, la sofferenza. Ma Gesù è Dio e sa riconoscere il suo stesso volto nella caricatura che siamo diventati a causa della “legione” di pensieri e opinioni, criteri e concupiscenze che ci dilaniano rendendoci schizofrenici in ogni pensiero, gesto, relazione; Egli sa percepire, dall'involucro sporco, immondo e degenerato che siamo diventati, il grido disperato che il seme di vita eterna seminato in noi cerca di farsi strada. Gesù riconosce nelle parole blasfeme e terribili del demonio, l'angoscia e la paura di chi ne è posseduto. Anche dentro i nostri rifiuti, nelle cadute, nelle chiusure più ostinate, Gesù sa intercettare l'inganno e il camuffamento del demonio: è lui che rigetta Cristo, noi siamo solo degli schiavi caduti nelle sue trappole, nelle pompe illusorie che ci hanno sedotti. Certo lo abbiamo fatto liberamente, vi è stato almeno un momento in cui, nel cuore, abbiamo scelto di dare ascolto alla voce dell’avversario. Ma Gesù sa che portiamo una natura ferita: per questo è disceso dal Cielo a cercare la pecora perduta in territorio pagano, sin dentro all'accampamento nemico. Non è facile riconoscere il fratello dopo tanto tempo: parla una lingua diversa, i costumi e le abitudini sono completamente cambiati, anche i connotati non sono più gli stessi: tanti anni di compromessi con il mondo lo hanno trasformato in un pagano. Eppure Gesù lo riconosce, non lo giudica, ma lo guarda con misericordia, con tenerezza e pietà, mentre smaschera il demonio che “aveva avuto a che fare” con un dio falso e mostruoso ma che sente ormai prossima la sua rovina, opera del Dio autentico, il Figlio fattosi Servo crocifisso che ci parla: "Taci, Esci da quell'uomo spirito impuro!". Così, innanzitutto, fa tacere la menzogna e annuncia la Verità, perché ogni esorcismo deve attaccare la voce suadente del serpente, da dove è iniziato l’inganno; perché la fede giunga attraverso l’ascolto della predicazione è, infatti, necessario, ridurre al silenzio le altre parole. 

Dirigendosi non all’uomo ma a satana, Gesù lo smaschera come l’autentica fonte avvelenata di divisione, morte, e peccato. E' il demonio il padre dell'impurità, perché, separandosi da Dio, ha attirato nella regione di morte e assenza d’amore chiunque è caduto sotto il suo potere. E' l'assassino che alla fine, per l'opera di Cristo, rivolge contro di se il suo stesso proposito malvagio. E' una “mandria di porci”, che si rotolano nel loro vomito, immagine dell’uomo vecchio che ha perduto il senso del peccato. Così il demonio precipita nel mare, come l'esercito del faraone, come ogni inganno illuminato dall'amore di Dio, come accade nel battesimo, e ogni volta che sperimentiamo il perdono dei peccati che ci fa “liberi e sani di mente”. Il precipitare della mandria è il frutto dell'amore di Dio che, una volta sperimentato, ci fa rinunciare a tutto quello che, nella nostra vita, ci aveva indotto a rifiutarlo: a satana e a quelle che un tempo si chiamavano "pompe diaboli": "fa parte del rito battesimale la rinuncia alla "pompa del demonio". Di fatto la parola si riferiva innanzitutto al teatro pagano, ai giochi del circo, nei quali lo scannamento di uomini era divenuto uno spettacolo ricercato, crudeltà, violenza, disprezzo dell'uomo era il culmine dell'intrattenimento. Ma con questa rinuncia al teatro si intendeva naturalmente tutto un tipo di cultura... alla degenerazione di una cultura, dalla quale innanzitutto doveva separarsi colui che voleva diventare cristiano e che si impegnava a vedere nell'uomo un'immagine di Dio e a vivere come tale" (J. Ratzinger). Qualunque sia la schiavitù che ci opprime, qualunque disordine renda impura l'esistenza, Gesù vi scende oggi, per distruggere l'autore di tanto sfacelo, e ridonarci la dignità, “un vestito nuovo” come la veste bianca del battesimo, “una mente purificata e sanata” nella misericordia e per questo capace di discernere, per “farci sedere” nella comunione dei santi, quali cittadini della nuova Gerusalemme. Risuscitati con Lui possiamo essere inviati nella "nostra casa, dai nostri parenti e amici", per annunciare “loro ciò che il Signore ci ha fatto e la misericordia che ha avuto per noi”, offrendo la nostra vita riscattata come un segno per quelli che ci hanno visti schiavi della menzogna. Così, il Vangelo rivela la missione della Chiesa tra i pagani, la cosiddetta "Missio ad gentes". Gestata in una traversata nella quale ha conosciuto il potere di Cristo sulla morte la Chiesa è nata dalla Pasqua per essere un sacramento di salvezza per chi vive nella paura. E' passata all'altra riva attraverso le acque del battesimo per "sbarcare" nell'oscurità della terra pagana dove, come Gesù, "attira" a sé i demoni. Quando infatti, ai cristiani accade come a Lui e ai suoi discepoli pregati di lasciare” quel territorio dalla paura di perdere le proprie sicurezze, la Chiesa attira su di sé l'ostilità e il rifiuto di satana per sconfiggerlo. Crocifissi con Cristo, i suoi discepoli diventano essi stessi maledizione e rifiuto per attirarlo nel loro apparente fallimento e così gettarlo lontano dagli uomini. E' il martirio quotidiano che spalanca per loro e per chi li rifiuta lo stesso Paradiso: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno". Mentre la stessa moltitudine delle persone "salate" dalla testimonianza dei cristiani che sono sbarcati con amore nella loro realtà, e che non entrerà giuridicamente nella Chiesa (come l'indemoniato sanato che non si è aggiunto a quanti seguivano Gesù), annuncerà la vittoria di Cristo: attraverso la loro stessa vita redenta saranno il segno dell'amore di Dio in terra pagana, come una chiamata a conversione per ogni "casa e ogni famiglia". Sì, con il Signore possiamo accettare con pazienza la "paura" degli altri, e "risalire sulla barca" per passare ad altre rive, nella certezza di aver lasciato in chi ci è accanto una primizia della misericordia di Dio che darà frutto a suo tempo.