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venerdì 24 luglio 2020

αποφθεγμα Apoftegma

Ma, dirai, a che pro seminare tra le spine, fra i sassi o lungo la strada ?
Se si trattasse di un seme e una terra materiali, non avrebbe nessun senso;
ma poiché si tratta delle anime e della Parola, la cosa è degna di elogi.
A ragione si rimprovererebbe a un coltivatore di agire così;
il sasso non può diventare terra, la strada non può non essere una strada,
né le spine non essere delle spine.
Ma nella sfera spirituale, non è lo stesso:
il sasso può diventare una terra fertile,
la strada non essere più calpestata dai passanti e diventare un campo fecondo,
le spine essere sradicate e permettere al seme di dare frutto liberamente.
Se questo non fosse possibile, il seminatore non avrebbe sparso il seme come ha fatto.

San Giovanni CrisostomoDiscorsi 44 sul vangelo di Matteo, 3-4










L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Matteo 13,18-23. 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli : «Voi dunque intendete la parabola del seminatore. 
Tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 
Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie con gioia, 
ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli ne resta scandalizzato. 
Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto. 
Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende; questi dà frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta». 





NELLA CHIESA IMPARIAMO AD ACCOGLIERE LA PAROLA COMBATTENDO CONTRO IL MONDO, LA CARNE E IL DEMONIO PER DIFENDERE LA SUA OPERA IN NOI

Tra le “molte cose” che Gesù insegnava, il Vangelo ne registra una, trasmessa attraverso una parabola che racconta di un Seminatore che è “uscito a seminare” il seme della Parola. Immaginiamo che si riferisse alla terra che aveva davanti, la Galilea, fatta di pescatori e peccatori, uomini capaci di gesti generosi e coraggiosi come quando ci si infila nel mare per strappargli il cibo per vivere; ma anche testardi e duri di cuore, incapaci di comprendere la Parola. La Galilea, così simile alla terra della nostra vita, attraversata dalle "strade" del pensiero mondano dove corrono veloci le menzogne del demonio per scipparci la Parola ascoltata. Piena di "pietre", dure come i nostri cuori gonfiati dall'ego, che si infiammano al sole dei facili entusiasmi, mentre però occupano con la superbia spazi preziosi di terra sottraendoli alle radici del seme. Aggredita dalle "spine" acuminate come i pensieri che il demonio ci insinua di fronte alla precarietà per farci dubitare di Dio; si conficcano nell'intimo condannandoci all'avarizia e all'avidità con cui ci illudiamo di possedere cose e persone, mentre invece "soffochiamo" il seme che, fruttificando, ci darebbe libertà e pace. Ma proprio nella descrizione che Gesù fa della "terra" su cui è seminata la Parola è celata la chiave che ci apre all'intelligenza di tutte le parabole: a noi, infatti, è "confidato il mistero del regno di Dio", ovvero l'esistenza di un lembo di "terra buona" in mezzo alla "terra infruttuosa". Gesù sta parlando della Chiesa, del suo stare nel mondo come “terra bella” e feconda di "frutti" che hanno il sapore della vita eterna, il destino per il quale ogni uomo è venuto al mondo. Ma quello che Gesù dice della Chiesa vale anche per ciascuno di noi, che siamo chiamati nella Chiesa a "dare frutto" per la salvezza del mondo. Anche in noi il Signore ha visto un pezzo di "terra buona", così piccolo e nascosto che probabilmente nessuno ci ha mai fatto caso; neanche noi, che forse ci sentiamo "abbattuti" perché "incostanti" e fragili dinanzi ai problemi e alle sofferenze, induriti nell'orgoglio e schiavi delle concupiscenze. Ma il Vangelo di oggi ci annuncia che in noi c'è un frammento di Paradiso, e lì Gesù vuol seminare la sua Parola! La natura umana, infatti "non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata « concupiscenza »)". Ma "il Battesimo, donando la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l’uomo verso Dio; le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell’uomo e lo provocano al combattimento spirituale" (Catechismo della Chiesa Cattolica 405). In virtù del battesimo “il sasso può diventare una terra fertile, la strada non essere più calpestata dai passanti e diventare un campo fecondo, le spine essere sradicate e permettere al seme di dare frutto liberamente” (San Giovanni Crisostomo). Ma perché il battesimo fruttifichi abbiamo bisogno di convertirci accompagnati dalla Chiesa, dove imparare a cacciare “satana” sempre pronto a “portare via la parola seminata in noi”. Occorre vincere l’“incostanza” togliendo una ad una le “pietre” dal cuore perché in esso la Parola possa mettere “radici” e resistere senza “abbattersi” “al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola”. E' necessario cambiare mentalità togliendo le “spine” del pensiero mondano, perché la Parola non resti “soffocata” dalle “preoccupazioni del mondo, dall'inganno della ricchezza e da tutte le altre bramosie”. Allora, rinati in Cristo come figli del Regno, offriremo al mondo i suoi stessi frutti, “dove il trenta, dove il sessanta, dove il cento”. 

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