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mercoledì 30 novembre 2016

Negri: cattolici proni al pensiero unico dominante
    
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di Riccardo Cascioli                                                          30-11-2016

«Dal punto di vista educativo credo sia il momento più grave nella storia della Chiesa italiana da cento anni a questa parte. E mi colpisce negativamente l’insensibilità del mondo cattolico che accetta di essere ridotto nello spazio dell’assistenzialismo riservatogli dal pensiero unico dominante». Monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, ha appena compiuto i 75 anni e, come da codice di diritto canonico, ha inviato la sua lettera di dimissioni. Ma non per questo rinuncia a comunicare la sua preoccupazione educativa che lo ha contraddistinto in tutti gli anni di sacerdozio e di ministero episcopale. E sono la cronaca e la realtà politica a stimolare questa riflessione. Nei giorni scorsi infatti è stata rilanciata la notizia della penetrazione delle sette sataniche nel mondo giovanile: ben 240mila adolescenti sono entrati in contatto con il mondo del satanismo, un dato allarmante, neanche nuovo, e che pure non sembra minimamente scuotere il mondo cattolico. «È un dato che mi è ben noto – dice monsignor Negri – perché già alcuni anni fa come Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna abbiamo pubblicato un libro su nuova religiosità e sette, che metteva in risalto la dimensione preoccupante del fenomeno».
Ma la vostra non era soltanto una indagine conoscitiva…Infatti abbiamo messo a nudo la sostanziale debolezza del mondo cattolico e della pastorale giovanile ad accompagnare questi giovani nel confronto con quella che è una vera colonizzazione, per dirla con papa Francesco.
Sono anni che circolano questi dati allarmanti sulla penetrazione del satanismo tra i giovani, ma anche la notizia rilanciata nei giorni scorsi ha registrato un’assenza di reazioni. Si direbbe che quella debolezza è rimasta tale.La notizia è passata ancora una volta come se non avesse alcun rilievo, come se il mondo cattolico accettasse o comunque non si misurasse con una esperienza così terribile. La realtà è che quella del satanismo è una di quelle situazioni in cui i nostri giovani si imbattono e vengono lasciati soli.
Sembra che ormai la Chiesa viva un disagio sulle grandi questioni della vita culturale e sociale del nostro Paese. Prevale il silenzio, il non intervento. Come in occasione del referendum sulla riforma costituzionale per cui si andrà alle urne domenica prossima. È vero, c’è stata forse un po’ di informazione ma c’è stato il silenzio totale su alcune preoccupazioni che la Chiesa e il mondo cattolico non possono non avere in un passaggio nodale come questo che può significare molto in senso negativo per lo sviluppo della nostra vita sociale. Certo che è una scelta non facile perché si devono considerare tutti i fattori che sono in gioco e farli emergere con chiarezza nel dialogo con il nostro popolo. Però è indubbio che siamo di fronte alla eventualità non remota che si creino della condizioni di una vera e propria dittatura, la dittatura del pensiero unico dominante.
Molti ritengono che in fondo questo sia l’obiettivo del premier Renzi.A mio modo di vedere il pericolo più grave non è neanche quello di una dittatura di ispirazione catto-comunista per quanto il catto-comunismo nelle vicende politiche sulla famiglia e sulla vita ha dato una terribile prova di sé in questi anni. Per capire la gravità del momento bisogna anche rendersi conto che oggi l’alternativa a questo sono i grillini, che sono ancora peggiori.
Non sembra che lei abbia molta fiducia in una rinascita dei cosiddetti moderatiLa realtà ci dice che non esiste più una alternativa moderata, sembra una stagione inesorabilmente finita. Il rilancio ogni tanto di personaggi come Berlusconi, o i suoi compagni o colleghi o discepoli risulta veramente inconsistente. Nessuno di questi uomini ha la stoffa dello statista ma soprattutto sembra che manchi un discorso reale, che non può essere l’attenuazione del consumismo borghese e laicista. Dovrebbe essere invece un discorso alternativo sul piano della Dottrina sociale della Chiesa. Non ritengo che ciò che rimane del centrodestra sia in grado di un autentico rilancio della dottrina sociale della Chiesa.
Lei parla di Dottrina sociale, ma non sembra che neanche nella Chiesa questa goda di buona salute.Eppure tocca alla comunità ecclesiale in tutti i suoi livelli e in tutte le sue articolazioni il recupero di una formazione del laicato, di un laicato che in alcune punte espressive non potrà sottrarsi alla responsabilità di entrare nel vivo del problema del bene comune dando il suo contributo originale e significativo. Bisogna formare una nuova classe politica ma non come un problema a sé, ma come termine ultimo di un cammino di educazione del popolo cristiano alla sua identità, al suo ethos, alle sue possibilità di scelte sociali, culturali e politiche. Il magistero della Chiesa negli ultimi decenni, compreso il magistero di papa Francesco, ha sottolineato più volte questa responsabilità educativa. Una Chiesa che non educa è una Chiesa che sostanzialmente accetta l’inesistenza o comunque l’inincidenza a livello culturale, sociale e politico.
Non sembra però che questa responsabilità educativa originale sia molto percepita, neanche dal mondo cattolico impegnato nel sociale, che sembra anzi appiattito sulla mentalità comune.Io credo che ci troviamo in una situazione gravissima, il momento più grave nella storia della Chiesa italiana da cento anni a questa parte. Quel che mi colpisce negativamente è che sembra che la maggior parte del mondo cattolico sia insensibile e accetti invece di schierarsi nello spazio che viene concesso da questo pensiero unico dominante, da questo governo unico dominante che ci restringe negli spazi dell’assistenzialismo cattolico. Anche il mondo anti-cattolico vede bene che qualcuno sollevi la struttura delle istituzioni da questi impegni cui non riesce a fare fronte anche solo per difficoltà economiche. Ma l’assistenzialismo finisce per essere una connivenza con il pensiero unico dominante, che certamente non è cattolico e non è neanche aperto al dialogo serio con il cattolicesimo.


αποφθεγμα Apoftegma

Salve, o Croce, inaugurata per mezzo del corpo di Cristo 
e divenuta adorna delle sue membra, 
come fossero perle preziose. 
Prima che il Signore salisse su di te, 
tu incutevi un timore terreno. 
Ora invece, dotata di un amore celeste, 
sei ricevuta come un dono. 
I credenti sanno, a tuo riguardo, quanta gioia tu possiedi, 
quanti regali tu tieni preparati. 
Sicuro dunque e pieno di gioia io vengo a te, 
perché anche tu mi riceva esultante 
come discepolo di colui che fu sospeso a te 
O Croce beata, che ricevesti la maestà 
e la bellezza delle membra del Signore! 
Prendimi e portami lontano dagli uomini 
e rendimi al mio Maestro, affinché per mezzo tuo 
mi riceva chi per te mi ha redento. 
Salve, o Croce; sì, salve davvero!

Passione di Sant'Andrea


 Colui che è stato preso dai pescatori di Gesù 
ed è risalito dal mare, 
muore sì anche lui ma muore al mondo, 
muore al peccato 
e dopo esser morto al mondo e al peccato 
è vivificato dalla Parola di Dio e riceve un’altra vita. 
Sei risalito dal mare cadendo nelle reti dei discepoli di Gesù; 
uscendo cambi d’anima
non sei più un pesce che vive nei flutti salmastri del mare, 
ma subito la tua anima si trasforma 
e si trasfigura e diventa qualcosa di meglio 
e di più divino di ciò che era prima. 
Quando dunque tu sarai risalito dal mare 
e sarai stato preso dentro le reti dei discepoli di Gesù, 
trasfòrmati allontanandoti dal mare, dimenticalo...

Origene



Ma si vede che, stando là ore e ore ad ascoltare quell’uomo, 
vedendolo, guardandolo parlare – chi è che parlava così? 
Chi aveva mai parlato così? Chi aveva detto quelle cose? 
Mai sentite! Mai visto uno così! 
–, lentamente dentro il loro animo si faceva strada l’espressione: 
«Se non credo a quest’uomo non credo più a nessuno, 
neanche ai miei occhi».
Ma era stato così ovvio nella eccezionalità dell’annuncio, 
che loro hanno portato via quella affermazione
come se fosse una cosa semplice 
– era una cosa semplice! –, 
come se fosse una cosa facile da capire. 

Mons. Luigi Giussani


L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Mt 4,18-22 

In quel tempo, mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono.
Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono.






INCONTRO A GESU' VERO DIO E VERO UOMO CHE VIENE A FARCI FIGLI DI DIO E PER QUESTO VERI UOMINI  

Sono tante le "reti" con le quali ogni giorno cerchiamo di guadagnarci da vivere. Le gettiamo sperando di pescare un branco di amici, di quelli che ci potrebbero saziare d'affetto, stima e comprensione. Ma troppo spesso ne restiamo impigliati. La rete, non si chiama così quel pozzo senza fondo che, attraverso lo schermo di un computer, ci afferra nell'illusione d'essere in contatto col mondo intero e di farci un mondo di amici che ci seguano? Internet, la rete, una piroetta virtuale che sfiora la realtà senza viverla, anche se dicono che ci fanno le rivoluzioni. Social networks, chat, video e notizie, sono le maglie di una rete che rapisce il cuore, sottrae il tempo, evapora i profili, scolora le relazioni in una menzogna travestita di vuota pienezza. Giovani e meno giovani come pesci indifesi, pescati e sottratti all'acqua autentica della volontà divina. Sempre connessi, è il mantra ripetuto ovunque, perché la rete ci insegue con il wifi che si insinua nei computer di casa, nei portatili, nei tablet e negli smartphone, sempre più piccoli, sempre più veloci, sempre con noi. Sempre connessi per dimenticare d'essere disconnessi dal vero, dal bello e dal buono, l'essenziale che ci fa vivi, felici e realizzati. Sempre connessi eppure profondamente soli, con il cuore che naviga lontano da Cristo, scappando dalla Croce, l'unico Link autentico che connette alla vita piena che non si corrompe, come tralci staccati dalla vite. Viviamo, soprattutto i più giovani, definiti ormai come i "nativi digitali", nell'illusione che basti un click per parlare, relazionarsi, amare; un secondo e i desideri sembrano realizzarsi, e tutto il mondo, cose e persone, giungono a portata di mano; immagini e parole prese nella rete, spesso con la violenza della curiosità e della concupiscenza, senza renderci conto d'essere stati "pescati" noi per primi per consumare sempre di più, sempre peggio, accendendo nella carne una compulsione insaziabile che confonde la realtà con il sogno, ed esige da essa l'impossibile. Tutto in un click, dimenticando la fatica e il sudore dell'amore autentico, il sacrificio del donarsi, i chiodi che trafiggono il link eterno, l'amore che non può essere che crocifisso. Il mondo di internet  è, come il mare di Galilea con le sue barche e le sue reti, la metafora della nostra vita affondata nella spirale che ci irretisce mentre ci sforziamo di irretire, come quando buttiamo ore ed energie a sporcare occhi, cuore e mente davanti a un tablet, uno smartphone o un PC. Non a caso i siti in assoluto più visitati sono quelli pornografici... 

Ma, nel fondo di tutto questo "gettare reti e riassettarle", si cela un unico desiderio, il grido strozzato in gola al termine di giornate avare di pesce e di gioia. Non può nulla neanche nostro "padre"; come quello di Giacomo e Giovanni, è sempre lì, accanto a noi, a ricordarci la nostra storia, il passato che, spesso, è un peso che ci distrugge. Ma Gesù "cammina" anche oggi sulle rive del "mare" nel quale cerchiamo vita e felicità: sul corridoio di casa, in ascensore mentre giungiamo in ufficio, sulla metropolitana e in ambulatorio, al supermercato e in classe. Gesù passa e la sua voce mette a tacere ogni altra voce, il suo sguardo fulmina lo schermo del computer, e il suo amore ci attira irresistibilmente a seguirlo, strappandoci dalle maglie della rete. Come accadde ad Andrea, spinto da quelle parole che erano calamite, a "lasciare barca, reti e padre" per "seguire" senza indugio il Signore. Lasciare e seguire, perché è Lui che il cuore di ogni uomo desidera ardentemente, magari cercandolo maldestramente su Google; solo nelle sue parole, infatti, c'è una forza così dirompente da cambiare la vita nello spazio di un istante. Proprio ora, che stiamo rincorrendo sogni e utopie, piaceri virtuali che vorremmo esigere da chi ci è accanto. Passa Gesù a sgonfiare la menzogna che sovrappone illusione alla realtà e ci fa vivere sempre lontano dalla storia, dai pensieri e criteri del coniuge, dalla debolezza dei figli, dai peccati dei colleghi. Da noi stessi. Gesù passa e ci chiama e la sua voce percuote e perfora la pietra del nostro cuore, impegnato in giudizi e mormorazioni, incapace di aprirsi alla verità che ci attende nella realtà. Gesù "vede" Andrea, Giacomo, Simone, Giovanni, tu ed io, e li riconosce: sono i suoi "fratelli", "chiamati" ad essere "pescatori di uomini" come Lui, che avrebbe gettato  la propria vita come una "rete" nel mare della morte. L'incontro con il Signore e la sua sequela, infatti, portano a compimento la vita di ciascuno. Andrea e gli altri "erano pescatori" e per questo "gettavano le reti in mare"; chiamandoli a seguirlo, Gesù li ha riportati alla vocazione originaria, trasfigurando ogni aspetto della loro esistenza: hanno continuato ad essere pescatori ma nella libertà di chi, pescando, "getta" non più una rete per saziare i propri appetiti, seguendo sogni e chimere servendosi degli altri, ma la sua stessa vita per la salvezza degli "uomini". Il Signore "chiama" anche noi oggi per trasfigurarci, e volgere all'amore la nostra vita; non dovremo lasciare d'essere quello che siamo, solo accogliere la Parola di Gesù che trasforma quello che siamo in un dono per chiunque. Avvocati, operai, medici e infermieri, professori e studenti, casalinghe e pensionati, mamme e papà, tutti siamo chiamati a vivere quello che facciamo perché siamo amati, istante dopo istante. Chiamati a a seguirlo per imparare ad amare in tutto; a offrire tutto quello che abbiamo messo al servizio della carne, nell'amore che cerca la felicità dell'altro, "lasciando" le reti sulla barca, come un computer abbandonato e disconnesso.
30 Novembre. Sant'Andrea Apostolo.


Ottavio Vannini, vocazione di sant'Andrea e san Pietro




Che cosa ha spinto Andrea, di cui oggi ricorre la festa, e Pietro, e Giacomo e Giovanni a lasciare barca, reti e padre e seguire subito il Signore, senza indugio alcuno? Subito. Non v'è stato tempo per riordinare le idee, per fare due calcoli, neanche per soppesare pro e contro di una scelta. Lasciare e partire. Lasciare e seguire. Che magnetismo negli occhi di Gesù. Poche parole, quelle giuste.

Gesù. Forse non c'è molto da pensare, da scandagliare per cercare di capire come realmente sia andata. C'era Gesù. E questo basta. Lui passava quel giorno lungo il mare di Galilea. Lui vide quegli uomini, quei ragazzi. Lui li chiamò, e furono la sua voce, il suo sguardo. Per questo lasciarono tutto e lo seguirono. Perché era Lui, il Signore Gesù. Solo Lui ha questo potere, solo nelle sue parole c'è una forza così dirompente da esser capace di cambiare la vita nello spazio un istante. Solo Lui ama sino al più intimo d'ogni uomo. Solo Lui ha dato la vita per i Suoi carnefici. Solo nei suoi occhi vi è la Misericordia infinita. L'amore senza condizioni, gratuito.

E' solo Lui che il nostro cuore attende davvero. Come il cuore di Andrea e dei suoi compagni. Sono tantissime le reti con le quali ogni giorno cerchiamo di sfangarla. Le gettiamo a carpire un affetto, un po' di considerazione, a guadagnare un posto di lavoro e a difenderlo. Irretiamo e siamo presi nella rete. E reti di contatti, telefoni cellulari pieni di sms, brevi messaggi come reti gettate dal vuoto profondo delle nostre esistenze e dei nostri cuori.

La rete, non si chiama così quel pozzo senza fondo che, attraverso lo schermo di un computer, ci afferra sino a precipitarci nell'illusione d'essere in contatto col mondo intero? Internet, la rete, metafora della nostra vita, una piroetta virtuale che sfiora la realtà senza viverla realmente. Network, links, chat, maglie di una rete che ci rapisce il cuore, sottrae il tempo, evapora i profili, scolora le relazioni in una menzogna travestita di vuota pienezza. Giovani e meno giovani come pesci indifesi, pescati irrimediabilmente e sottratti all'acqua autentica della volontà divina. Sempre connessi, la rete ci insegue ovunque, e ne cadiamo vittime inconsapevolmente, tra computer di casa, e poi portatili, e poi tablet, e poi smartphone, sempre più piccoli, sempre più veloci, sempre con noi. Sempre connessi per dimenticare d'essere disconnessi dall'essenziale, dal vero, dal bello, dal buono. Sempre connessi eppure soli, ed il cuore lontano dall'unico link autentico, come tralci staccati dalla vite, dalla fonte della vita vera. L'illusione che basti un click per parlare, relazionarsi, forse anche amare; un secondo e i desideri si realizzano, ma solo si tratta di qualcosa di virtuale, non vi sono volti, mani, voci, storie. Tutto in un click, dimenticando la fatica e il sudore dell'amore autentico, il sacrificio del donarsi, i chiodi che trafiggono il link eterno, l'amore che non può essere che crocifisso.

Irretiti ci sforziamo di irretire, esattamente come quando buttiamo ore ed energie a sporcare occhi, cuore e mente davanti ad un PC. Ma in fondo, in tutto questo gettar reti e riassettarle, si cela un unico desiderio, un grido come strozzato in gola da giornate di pesca quasi sempre grame. Sempre più soli con le nostre debolezze, con i nostri peccati, insopportabili alla società e a chi ci sta intorno. E nostro padre, come il padre di Andrea, sempre lì accanto a noi, immagine e segno della nostra storia, del nostro passato, spesso un peso che ci distrugge.

E, su tutto, lo sguardo di Gesù. Sui nostri fallimenti. Sulle nostre sofferenze. Sul nostro cuore e sulle nostre mani che ancora stringono una rete, la nostra unica speranza di vita. Le Sue Parole, quelle che abbiamo aspettato da sempre. "Seguimi, ti farò pescatore di uomini". Come dire: "Ti conosco, non temere, sono qui per farti libero, per dare senso alla tua vita, per rimettere ordine, per farti essere ciò per cui ti ho creato. Ti amo, infinitamente". Gesù passa nella nostra vita, dove oggi ci troviamo. E ci ama, senza condizioni. Esattamente dove siamo. Di un amore che ci trasforma, che ci fa capaci di amare, di perdere la vita per gli uomini, di gettare tutto di noi per "pescare" anche un solo uomo. Gesù passa e la sua voce spegne ogni altra voce; il suo sguardo spegne il computer, e ci attira irresistibilmente staccandoci dalle maglie maligne della rete che ci ruba l'anima. Lui passa e riscatta la nostra esistenza, ci ama e ci fa uomini veri. Ci ridona dignità, ci fa liberi. Ci fa felici. Ci colma di quello che abbiamo sempre desiderato, di ciò che, pur facendo di tutto, non abbiamo mai ottenuto.

Lui è l'atteso del nostro cuore; la barca, le reti, nostro padre, seppur importanti, non ci hanno niente altro che preparati all'incontro con Lui. Ogni vita è santa e meravigliosa, ma è data per preparare ogni uomo all'Incontro con il Signore. Quando appare Lui non resta altro che seguirlo. Sono state fin troppo lunghe le giornate, gli anni lontani da Lui. Sulla Parola di Gesù gettare oggi la nostra vita. Senza guardarsi indietro, senza ripensamenti, con una gioia infinita che ti accompagna tutti i giorni che verranno, anche quelli più duri, a Gerusalemme, sulla Croce. Lui ci ama e ci fa sentire amati, perdonati. Realmente, profondamente. Il suo amore fa nuove tutte le cose. Senza disprezzare nulla di ciò che siamo, come Andrea, pescatore, ha continuato ad essere un pescatore, ma ormai trasfigurato, un'altra qualità, un altro senso, la sua natura al servizio di qualcosa di più grande. Così noi, tutto quello che siamo, carattere, parole, debolezze, capacità, nella Sua chiamata tutto si trasfigura, acquisisce un senso che colma e sazia; tutto quello che è stato messo al servizio della nostra povera carne offerto per qualcosa di più grande, l'amore che cerca la felicità dell'altro. La sua chiamata porta a perfezione tutto quello che ci appartiene facendo di ogni istante della nostra vita un angolo di eternità. Anche oggi, anche ora. E le reti lasciate sulla barca, come un computer abbandonato e disconnesso, per entrare nella vita vera.

martedì 29 novembre 2016

L'altra Europa. Vescovi e presidente della Repubblica insieme proclamano Gesù Cristo re della Polonia


In una cerimonia tenutasi nel Santuario della Divina Misericordia a Cracovia, il presidente Andrzei Duda, insieme ai vescovi cattolici polacchi, hanno ufficialmente riconosciuto Cristo come Re della Polonia. Durante la cerimonia le autorità presenti “Lo hanno invocato per governare sulla nazione, sul popolo e sui leader politici”, come riportato dalla NCSNews: “Oh immortale Re dei Secoli, Signore Gesù Cristo, nostro Dio e Salvatore, inchinandoci davanti a Te, Re dell’Universo, riconosciamo il Tuo dominio sulla Polonia e sul popolo polacco, in patria o nel mondo. Con il desiderio di adorare la maestà della Tua gloria e della Tua potenza, con grande fede e amore, chiediamo a gran voce: governaci, Cristo!”
La cerimonia di incoronazione di Cristo come Re della Polonia ha avuto luogo il 19 novembre, alla presenza del presidente polacco Andrzei Duda, e il giorno successivo il discorso è stato ripetuto in gran parte delle cattedrali e parrocchie della Polonia.
La Vergine Maria fu incoronata Regina onoraria della Polonia 350 anni fa, da Re Giovanni Casimiro. Come riportato da Freethinker.co.uk, la mozione è stata discussa dal parlamento ed è stata sostenuta dalla Lega delle famiglie polacche, dal partito conservatore Diritto e Giustizia e dal Partito Popolare polacco


 
LE DEVASTANTI CONSEGUENZE DELLA DOTTRINA DI LUTERO
Il riformatore aveva idee chiare contro il papato, a suo dire fondato dal diavolo, e sugli ebrei scriveva: ''Bruciate le sinagoghe, devastate le case, imponete la fatica ai giovani''
di Angela Pellicciari

Asino, cane, re dei ratti, coccodrillo, larva, bestia, drago infernale: queste alcune delle variazioni del bestiario luterano contro i papi. L'odio per i papi e per Roma (compresa la sua fase imperiale) accompagna tutta la vita pubblica di Lutero dal 1520 al 1545, quando scrive il suo ultimo libro Contro il papato di Roma fondato dal diavolo. Nel corso dei decenni, grazie all'aiuto dell'amico pittore e incisore Lucas Cranach il Vecchio, il "profeta della Germania" diffonde una serie numerosissima di immagini che si ripromettono di insegnare ai tedeschi, ai tedeschi ignoranti, la vera natura della corte romana col suo stuolo di frati, vescovi, cardinali e papi. Nel corso dei secoli di queste immagini si è persa traccia per l'eccessivo disgusto che sprigionano. All'inizio del "Novecento" però sono state riprodotte in piccoli fascicoli da due gesuiti (Hartmann Grisar e Franz Heege: Figure di battaglia di Lutero) che hanno dedicato a quest'impresa un faticoso lavoro di ricerca.

L'ODIO PER GLI EBREI
Se l'odio per Roma è una costante dell'animo luterano, quello per gli ebrei si aggiunge verso la fine della vita quando il "Mosè tedesco" si accorge con stupore che gli ebrei rifiutano di convertirsi al "puro" vangelo da lui predicato. Il testo Degli ebrei e delle loro menzogne compare nel 1543: "Cosa potremo fare noi Cristiani con l'odioso e maledetto popolo dei Giudei?", si domanda Lutero. La risposta è offerta in sette salutaria consilia. Ne trascriviamo 3:
1) "É cosa utile bruciare tutte le loro Sinagoghe, e se qualche rovina viene risparmiata dall'incendio, bisogna coprirla di sabbia e fango, affinché nessuno possa vedere più nemmeno un sasso o una tegola di quelle costruzioni";
2) "Siano distrutte e devastate anche le loro case private. Infatti, le stesse cose che fanno nelle Sinagoghe, le fanno anche nelle case";
7) "Sia imposta la fatica ai Giudei giovani e robusti, uomini e donne, affinché si guadagnino il pane col sudore della fronte".
Anche di questo lavoro si perdono le tracce fino a quando il nazionalsocialismo lo ripropone nel 1936 e fino a quando all'ingresso dei campi di concentramento non compare la scritta Arbeit macht frei.

LIBERTÁ SENZA VERITÁ
Lutero, il più grande rivoluzionario del secondo millennio, si muove in nome di due principi: libertà e uguaglianza. È il dramma moderno della libertà senza verità: in una contraddizione insanabile, Lutero predica la libertà (da lui intesa come libertà da Roma e libertà valida per i soli principi) ma contemporaneamente nega la sua concreta possibilità perché nega il libero arbitrio. Lutero invita sì i tedeschi a essere liberi, ma contestualmente nega che gli uomini posseggano una libera volontà e di conseguenza nega la responsabilità individuale (De servo arbitrio, 1525). Lutero teorizza la doppia predestinazione: Dio crea gli uomini predestinandoli all'inferno o al paradiso, senza che questi possono far nulla per modificare la propria sorte.
In nome della libertà (da Roma), Lutero teorizza il libero esame: ognuno, assistito dallo Spirito Santo, legge e interpreta la Bibbia a modo suo. Dal libero esame alla sistematica diffusione della gnosi il passo è breve: scomparsa la verità teologica inabissatasi col soggettivismo, a cercare la verità resta solo la filosofia che si vuole autonoma dalla rivelazione. Il rifiuto della ragione di servirsi della rivelazione nella ricerca della verità è foriero di drammi sconfinati: la ragione metterà se stessa al posto di Dio ed elaborerà ideologie che produrranno crimini ed ecatombi senza fine. L'esatto contrario dell'uguaglianza.

PRINCIPALI CONSEGUENZE DELLE SCELTE DOTTRINALI E PRATICHE DI LUTERO
1) la cristianità è spaccata (contro l'esplicito comando di Gesù che ordina l'unità);
2) viene a formarsi uno spaventoso assolutismo sconosciuto nell'Europa cattolica. La libertas ecclesiae è annullata per decreto di un'autorità spirituale;
3) inizia una campagna furibonda d'odio contro Roma e la sua civiltà;
4) la guerra contro Roma è portata avanti con tutti i mezzi: non solo con le armi, anche con una propaganda menzognera che riscrive la storia dell'Occidente e della Chiesa a partire dalla volontà di potere del mondo protestante;
5) la Germania è privata delle sue radici culturali e religiose (col tempo sprofonderà nella mitologia pagana nordica);
6) in opposizione alla Chiesa cattolica, cioè universale come universale è il messaggio di Gesù, si formano chiese nazionali;
7) nasce la prima internazionale: quella protestante anticattolica;
8) la possibilità dei principi di appropriarsi "legalmente" dei beni della Chiesa scatena la guerra civile in Germania dove la popolazione non accetta che ad arricchirsi siano solo i principi e, a seguire, la guerra della maggior parte dell'Europa centrosettentrionale dove, con la scusa della conversione al credo protestante, sono molti ad avanzare pretese sui beni dei cattolici;
9) nel 1525 nasce la Prussia, frutto della privatizzazione dei beni appartenenti all'ordine teutonico operata dal loro gran maestro Alberto di Hohenzollern;
10) la gestione privatistica dei beni della Chiesa porta ad un impoverimento della popolazione: con la riforma protestante arriva il pauperismo.


αποφθεγμα Apoftegma

E c'è l'altro modo di usare la ragione, 
di essere sapienti, 
quello dell'uomo che riconosce chi è
riconosce la propria misura e la grandezza di Dio, 
aprendosi nell'umiltà alla novità dell'agire di Dio. 
Così, proprio accettando la propria piccolezza, 
facendosi piccolo come realmente è, arriva alla verità
In questo modo, anche la ragione può esprimere tutte le sue possibilità, 
non viene spenta, ma si allarga, diviene più grande.

Benedetto XVI










L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Luca 10,21-24. 

In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. 
Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». 
E volgendosi ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. 
Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono». 



AVVENTO E' CADERE TRA LE BRACCIA FORTI E SICURE DELLA VERITA' FATTA CARNE PER NOI
Avvento è anche e soprattutto lasciarsi cadere in quello che per il mondo è il vuoto, ma per chi ha imparato a conoscere Cristo è invece il suo amore infinito che, proprio sotto di noi, ci aspetta per accoglierci e abbracciarci. Avvento è camminare nella Chiesa per imparare a gettarci nella Grazia come ha fatto la Vergine Maria, Immacolata Concezione, nata cioè senza peccato originale, e per questo libera, felice della sua vita, senza mai desiderare di essere un millimetro più a destra, sinistra, avanti o indietro del posto nel quale Dio l'aveva messa. Ecco il segreto di Maria che al Padre piace di rivelare a ciascuno di noi, quello che profeti e re avrebbero voluto vedere e ascoltare e non hanno potuto: una persona felice come e dove è, con quella storia lì, suocera inclusa, forme e peso pure, carattere e malattie comprese, con ogni ingiustizia e sofferenza patita. Felice da esultare come e più che per un gol in finale di Champions League. Felice perché cadendo in ciò che mi ha fatto sempre paura - il vuoto sotto di me dipinto dal demonio come un orrido di frustrazione, dolore e morte - ho sperimentato la pienezza dell'amore di Dio. Non c'è altra felicità che scoprire il Paradiso laddove si era creduto fosse l'inferno, nella piccolezza che descrive autenticamente ciascuno di noi, accolta però nella grandezza infinita di Dio. La verità su noi stessi, infatti, è l'altra faccia della Verità su Dio, onnipotente perché capace di farsi più piccolo della nostra piccolezza per accoglierci e assorbirci nella sua grandezza. La Vergine Maria, fatta di terra ma già figlia del Cielo, lo ha vissuto ogni giorno, e per questo ci prende per mano durante i giorni di Avvento per condurci a sperimentare, un pochino alla volta, la bellezza di vivere qui sulla terra come in un anticipo di Cielo. Come? Convertendoci e "cadendo" dentro la realtà che ci umilia, per scoprire in essa la Verità che ci fa liberi per amare con l'amore che in essa ci abbraccia senza condizioni.
Il debito è condonato



Il nostro debito è stato condonato. Ma la parola condono evoca sempre sdegno, sa di qualcosa che non si è meritato, ai cuori che si ritengono giusti e onesti appare come un'ingiustizia. Il condono è sempre fuori-legge, contestato e rigettato in nome della giustizia, sia per i grandi evasori fiscali, sia per i popoli poveri e in via di sviluppo. Al di là delle questioni politiche, appare evidente come l'uomo, di qualunque cultura e orientamento politico sia, non è abituato al condono dei debiti. La colpa rimane incastrata nel cuore perché non si è mai fatta l'esperienza esistenziale di un perdono capace non solo di condonare, ma anche di ricreare un cuore nuovo, orientato al bene proprio laddove lo era stato al male. Nella nostra vita ci è spesso accaduto come al servo spietato: nella preghiera, nell'accostarci al sacramento della penitenza, abbiamo "implorato clemenza e un po' di pazienza per restituire", dimenticando o ignorando che il Signore perdona condonando tutto il debito e, in più, donando lo Spirito Santo che trasforma radicalmente il cuore, come il Battesimo: "
Il sacramento della penitenza e della riconciliazione permette un ritorno santificante al mistero del Battesimo e costituisce la forma sacramentale di riconciliazione con Dio e l'attualità del suo perdono, grazie alla redenzione data in Cristo" (Commissione Teologica Internazionale. Alcune questioni sulla Teologia della Redenzione). Il suo perdono è "la seconda tavola di salvezza dopo il naufragio della grazia perduta" (Tertulliano, De paenitentia, 4, 2): il Signore ha distrutto il “documento scritto della nostra colpa; lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” (Col 2, 14). Nessun debito da estinguere, perché “non c’è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù” (Rm 8, 1). Nulla più da restituire. E' questa l'esperienza che cambia radicalmente la vita, il cuore del cristianesimo; e questo è un cristiano: un condannato a morte al quale siano state spalancate le porte della cella; è libero, ha conosciuto nel suo intimo la misericordia di Dio, e per questo, al termine di ogni eucarestia, di ogni confessione, all'ascoltare la predicazione del Vangelo, nel segreto della sua preghiera contrita e umiliata, può esultare con la Chiesa come nella notte di Pasqua quando canta "O felix culpa, felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!" (Exultet di Pasqua). La gratitudine, la pace, la consolazione e la gioia sono gli effetti immediati del perdono: "Tutto il valore della Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia. Coloro che ricevono il sacramento della Penitenza con cuore contrito e in una disposizione religiosa conseguono la pace e la serenità della coscienza insieme a una vivissima consolazione dello spirito. Infatti, il sacramento della Riconciliazione con Dio opera una autentica risurrezione spirituale, restituisce la dignità e i beni della vita dei figli di Dio, di cui il più prezioso è l'amicizia di Dio" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1468). Il servo aveva ottenuto tutto ciò: il debito che lo separava dal suo re era stato cancellato, la magnanimità lo aveva fatto risorgere dalla prigione alla quale era condannato, gli erano stati restituiti la dignità e i beni, poteva ancora amministrarli nell'intima e grande amicizia con il suo re. Eppure non appaiono in lui la gratitudine, la consolazione e la pace. Sembra piuttosto non accorgersi di nulla, una scorza sul cuore gli impedisce di lasciarsi raggiungere dalla misericordia del Re che "si era impietosito di lui". Troppo grande, stupefacente, incredibile quell'amore, e così rispettoso della sua libertà al punto di lasciare che si rinchiudesse nel suo orgoglio incapace di accogliere la gratuità del condono. Come accade a noi, che, pur rivolgendoci a Dio, lo consideriamo uno strozzino che può solo dilazionare i tempi della restituzione: lo conosciamo attraverso la carne, e proiettiamo su di Lui l'immagine che abbiamo dell'uomo e della giustizia mondana, il poco di cui abbiamo esperienza empirica. Per questo siamo preoccupati di quello che dovremmo fare per estinguere il debito, illusi e sedotti dall'inganno "originale" d'essere diventati come dio, nella superba certezza di poterlo trattare da pari a pari, issati sulla sommità della torre di Babele ci crediamo re come Lui, e di saper raccogliere una fortuna quale la sua; e ci ritroviamo stretti nel moralismo e nel legalismo che ci soffocano l'anima, effetti subdoli del demonio. La parabola infatti, ci illumina su quale sia il vero obiettivo di satana: il peccato concreto è solo uno strumento con il quale egli cerca di inchiodarci alla disperazione cieca sull'amore infinito di Dio: sollecita l'orgoglio perché, ferito dal fallimento, ci spinga nell'abisso di violenza, odio ed esigenza che cancella la speranza, la fede e la carità dal cuore, anticipo dell'inferno al quale vuole condurci. 


Il Re aveva condonato 10.000 talenti, una somma esorbitante, se si pensa che la rendita annua del regno di Erode era di novecento talenti (cf G. Flavio, Antichità giud.XVII, 11,4,$$ 317-320); la somma corrispondeva a 360 tonnellate di oro o di argento. Un talento era pari a 6.000 denari, mentre uno stipendio medio era di 30 denari; 10.000 talenti significavano dunque 60.000.000 di stipendi quotidiani. Per pagare questo debito il servo avrebbe dovuto lavorare circa 200.000 anni. Quale stoltezza allora appare nel servo che si illudeva di poter rifondere una fortuna così immensa! Ma il demonio è così astuto da saper innescare l'orgoglio perché si inoltri nell'irragionevolezza dove è impossibile accogliere l'unico amore ragionevole, quello che, a fronte di un debito impossibile da saldare, può solo condonarlo. Il debito del peccato, di qualunque peccato, infatti, è inestinguibile, se non a prezzo della vita, come la stessa Legge prescriveva. E non solo con la propria, ma anche con quella "della moglie e dei figli". Il peccato che rompe la relazione con Dio distrugge tutto, la famiglia, il futuro dei figli, si sparge come un'epidemia, rende schiavi e uccide. Ma Cristo ha pagato sino all'ultimo spicciolo - con la sua stessa vita - il prezzo della nostra redenzione: "Egli ha pagato per noi all'eterno Padre il debito di Adamo, e con il sangue sparso per la nostra salvezza ha cancellato la condanna della colpa antica" (Exultet di Pasqua). Ma il servo spietato non aveva capito: "lasciato andare" era rimasto imprigionato, come i canarini nati nella gabbia e per questo incapaci di volare una volta usciti. Il perdono non lo aveva toccato e rigenerato, e così si era infilato nel cammino oscuro dei sensi di colpa e dell'orgoglio ferito, di quanti vivono il proprio cristianesimo senza la gioia della resurrezione, arrestandosi nel perimetro limitato della "religione naturale": "Nelle religioni mondiali, espiazione significa normalmente riparazione e ripristino dei rapporti perturbati esistenti con la divinità, ottenuti tramite azioni propiziatrici degli uomini. Quasi tutte le religioni ruotano attorno al problema dell’espiazione; nascono dalla consapevolezza che l’uomo ha della propria colpa di fronte a Dio, e denotano il tentativo di eliminare questo sentimento di colpa, cancellando il peccato mediante opere d’espiazione offerte a Dio. L’azione espiatrice con la quale gli uomini mirano a conciliarsi e a propiziarsi la divinità, sta al centro della storia delle religioni (J. Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, pp. 227-228). Per questo, la loro esistenza è costellata di regole e leggi, e sforzi per compierle e rispettarle; le loro giornate si dispiegano come una corsa ad ostacoli, senza amore, esigendo da se stessi e dagli altri. Moglie, marito, figli, colleghi, tutti strapazzati perchè non scappino dai propri rigidi schemi; ogni "prossimo" è imprigionato perchè paghi "il dovuto", la considerazione, la pazienza, il rispetto, l'amore di cui si è debitori verso Dio ma di cui si è sprovvisti, e che, stoltamente, si vorrebbe estorcere agli altri per poter mettere in pace la coscienza. Anche noi viviamo spesso così; il sangue di Cristo sembra non aver segnato gli stipiti delle nostre porte, e viviamo nel terrore che possa giungere da un momento all'altro l'angelo giustiziere. Una vita senza la Pasqua è una vita preda dell'angoscia e dei sensi di colpa, chiusa nell'oscurità del sospetto e dell'insoddisfazione che avvolgono ogni relazione. In debito con Dio vediamo creditori ovunque: tutti ci devono qualcosa, ci sentiamo vittime di ingiustizie di ogni tipo, nessuno ci comprende tributandoci gli onori, l'affetto e la gratitudine che ci spettano. Ma dietro ad ogni atteggiamento di esigenza vi è sempre un cuore che non ha conosciuto il perdono, la profonda riconciliazione con DioChi invece si è sentito perdonato e riconciliato con Dio, vive in pace, e non pone più limiti all'amore. Ha sperimentato la Pasqua, e ha scoperto in Cristo il prezzo "dovuto" del riscatto, l'unico che poteva estinguere il nostro debito: "Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia... Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia. (cfr. 1 Pt. 1, 18-19 e 1 Pt. 2, 24). Non si tratta dunque della semplice chiusura di una partita di dare e avere. La parabola ci dice che la Redenzione operata da Cristo è qualcosa di infinitamente più grande di un pur inaudito e scandaloso condono del debito: "La morte di Gesù non è l'atto di un Dio crudele che esige il sacrificio supremo; non è un «ricomprare» da qualche potere alienante che ha reso schiavi. E il tempo e il luogo in cui un Dio che è amore e che ci ama si rende visibile. Gesù crocifisso rivela quanto Dio ci ami e afferma che in questo gesto d'amore un essere umano ha dato un assenso incondizionato alle vie di Dio" (Commissione Teologica Internazionale, ibid). Gesù ha offerto se stesso per riscattarci dalla morte che paralizzava il nostro cuore, rendendolo incapace di amare. Il condono totale del debito era necessario per liberare l'uomo dalla schiavitù del peccato e ricrearlo a immagine e somiglianza di Dio, vivo per la giustizia, come hanno ripetuto i Padri: "Dio si è fatto uomo affinché l’uomo potesse divenire dio". Il re della parabola è immagine del Padre che guarda con amore ai suoi servi, anche a quelli infedeli che hanno sperperato i suoi beni, disprezzando e usando per se stessi la Grazia della natura divina di cui erano partecipi. Un Re invincibile di fronte al debito più grande, che perdona e condona perché il servo possa di nuovo essere accolto nella sua intimità e vivere secondo la sua volontà, nell'amore e nella fedeltà. Solo se perdonati, riconciliati con Dio e ricreati in Cristo, possiamo vivere in pienezza l'amore che supera le barriere della morte, alte "settanta volte sette" la nostra statura: impossibile per l'uomo superarle, ma possibile presso Dio: "La domanda del perdono è più di un appello morale - è anche questo, e come tale ci sfida nuovamente ogni giorno... ci invita innanzitutto alla gratitudine e poi anche a smaltire con Lui il male mediante l'amore, a consumarlo soffrendo. E se ogni giorno dobbiamo riconoscere quanto poco a ciò bastino le nostre forze, quanto spesso torniamo a essere noi stessi debitori, allora questa domanda ci dona la grande consolazione che il nostro pregare è assunto nella forza del suo amore e con esso, per esso e in esso può, nonostante tutto, divenire forza di guarigione" (J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Vol I). In Cristo e solo in Lui siamo cristiani, figli del perdono che vivono perdonando agli altri "settanta volte sette", infinite volte come infinito era il nostro debito dissolto nella misericordia: "“Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti [alla lettera: di viscere] di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi" (Col 3, 12-13). Pietro, a nome della Chiesa domanda e ascolta l'annuncio del Signore, e lo accoglie come un seme di vita nuova deposto nelle sue viscere. La Chiesa, infatti, è il luogo del perdono, il seno benedetto dove rinascere nella misericordia: "Il culto cristiano si concretizza nell’assoluta dedizione dell’amore, quale poteva estrinsecarsi unicamente in colui, nel quale l’amore stesso di Dio si era fatto amore umano; e si esplica nella nuova forma di funzione vicaria [sostituzione] inclusa in questo amore: nel fatto che egli si è incaricato di rappresentarci e noi ci lasciamo impersonare da lui. Esso comporta pure che noi ci decidiamo una buona volta ad accantonare i nostri conati di auto-giustificazione" (J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo)Chi ha conosciuto il perdono di Dio vede la sproporzione tra quanto gli è stato condonato e "i 100 denari" di cui è creditore. I suoi occhi vedono la trave che li appesantisce e non si accorgono della pagliuzza posata sugli occhi del prossimo. Se il nostro debito con Dio è estinto, anche il debito del nostro prossimo è naturalmente disciolto nelle stesse viscere di misericordia che ci hanno liberato. Un amore senza limiti che risponde a un debito infinito rompe la catena del male e della rivalsa, e disegna una nuova "economia di misericordia", la follia dell'economia divina: "L'amore appassionato di Dio per l'uomo è nello stesso tempo un amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia" (Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 10). La pace, la gioia, la vita vera è tutta in questo amore: "O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!" (Exultet di Pasqua).