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lunedì 29 aprile 2019


Perché non basta essere già battezzati,
bisogna diventare di nuovo catecumeni.
E poi essendo già battezzati 
possiamo cominciare un cammino.

San Giovanni Paolo II
NEL SENO DELLA CHIESA POSSIAMO RINASCERE LIBERI COME IL VENTO
Siamo ancora nel Tempo di Pasqua, avvolti dalla luce della vittoria di Cristo. Un tempo unico, meraviglioso, nel quale tornare al nostro Battesimo per approfondire e rinnovare la Grazia immensa che in esso è preparata per noi. La Grazia della vita celeste qui sulla terra, della quale appunto, sono immagine i 50 giorni del Tempo di Pasqua: "Ecco, questi giorni santi che celebriamo dopo la resurrezione del Signore rappresentano la vita futura, quella che vivremo dopo la resurrezione. Come i giorni della quaresima, celebrati prima della Pasqua, hanno simboleggiato la vita stentata fra le tribolazioni della condizione mortale, così questi giorni di letizia simboleggiano la vita futura quando regneremo insieme col Signore”. (dal discorso 243 di sant’Agostino). Per aiutarci ad entrare in questa profezia che comincia a compiersi già ora come una primizia, la Chiesa ci presenta oggi Nicodemo, il discepolo che ha imparato a camminare dietro a Gesù. Egli si avvicina a Lui di notte, come ciascuno di noi. Qualcosa ci dice che sia proprio Lui la risposta a ogni nostra domanda, a ogni lacrima, ad ogni paura. Forse non siamo, come Nicodemo, maestri, ma spesso vi ci atteggiamo. Con gli amici, in famiglia, al lavoro. Crediamo di sapere, esperienze e studio, televisione e letture, tanto basta per farci un'idea delle cose. E poi con Facebook e Wikipedia, tutti intellettuali siamo diventati, sempre sul pezzo... E magari ci crediamo proprio "maestri in Israele", maestri religiosi nella nostra famiglia, nella nostra comunità cristiana, tra i fratelli. Attenzione però, non difendiamoci, non c'è nessun rimprovero... Nicodemo era un uomo onesto, retto. E cerca Gesù a partire da questa sua rettitudine di intenzione. E fratelli, nonostante l'orgoglio che spesso ci fa credere d'essere migliori degli altri, sono persuaso che in un angolo del cuore di ciascuno vi è la stessa rettitudine di intenzione di Nicodemo. Lo stesso desiderio di conoscere Gesù, di sapere se davvero Lui è il Messia. Abbiamo visto i segni che Lui ha compiuto nella nostra vita, vero? Altrimenti non staremmo qui a leggere questo commento, non andremo in Chiesa... Magari un solo segno, qualcosa che noi non avremmo potuto realizzare. Al netto di dubbi e mormorazioni, "sappiamo che" Gesù è "venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che" Lui "compie, se Dio non è con lui". Ma... ma è solo il primo passo. Gesù non è solo "un maestro venuto da Dio". E' molto più di un Rabbì, fosse anche il migliore e il più sapiente di tutti. E' "venuto da Dio", ma non solo per insegnare e rivelare, certificando con segni, l'unica e definitiva interpretazione divina della Legge. E' vero che spesso Gesù dialoga con i farisei e i dottori della Legge, accreditando anche con Nicodemo la sua parola con la frase "in verità in verità vi dico", oppure, nel caso del Discorso della Montagna, facendo precedere le varie argomentazioni con "ma io vi dico" che smentisce quanto detto prima. Gesù, cioè, insegna "una dottrina nuova con autorità", "compiendo la Legge sino all'ultimo iota". 



Ma in Lui c'è molto più del Sabato, Lui è il compimento della Legge, Lui è il Figlio di Dio, è Dio! Lui è la via, la verità e la vita. Lui è la salvezza, Lui è il Regno di Dio, è il principio e il destino di ogni uomo. Lui è l'assoluta novità che però "quello che è nato dalla carne" non può "vedere" e accogliere. Ogni iota della Torah parla di Lui, ma non basta la circoncisione, essere buoni religiosi per comprenderlo. Non basta neanche la rettitudine di Nicodemo. Essa lo conduce, infatti, sulla soglia della Verità, ma per entrarvi occorre qualcosa che lui non conosceva, e che infatti stenta a capire. Nessun rabbino lo aveva desunto dalla Scrittura. Certo, essa parla dello Spirito Santo eccome, e anche dei tempi in cui esso sarebbe stato effuso copiosamente su tutto il Popolo. Ma intanto era "notte" per tutti, quella della dittatura romana e quella dei cuori. E Nicodemo, impaurito, non può avvicinarsi a Gesù che brancolando nel buio. Ha intuito che quello che egli sa non gli basta. Ecco il punto: quello che noi conosciamo, comprese le nostre esperienze, non ci bastano per "entrare nel Regno di Dio". Perché è questo che Gesù annuncia a Nicodemo. Non un'interpretazione diversa e più affascinante della Legge; non solo che Lui è il Messia. Annuncia invece il Mistero Pasquale che il Messia è venuto a compiere perché ogni uomo possa entrare nel Regno di Dio. Non la restaurazione del Regno di Israele, non la libertà dal giogo dei romani, ma la possibilità di entrare nella comunione piena con Dio, di tornare nel Paradiso, che significa vivere eternamente, e cominciare a farlo già qui, anche sotto l'oppressione dei Romani. Un miracolo, niente altro che un miracolo impossibile all'uomo: Gesù rivela un Messia capace di trasformare l'uomo in un figlio di Dio, che viva libero ovunque, nel suo stesso amore che il Signore è pronto a riversare nel cuore per mezzo dello Spirito Santo.   



Per questo, l'incontro con Gesù ci rivela quanto fitte siano le tenebre che avvolgono la nostra esistenza. Siamo schiavi, per paura. Desideriamo anche noi l'avvento del Messia, come ogni uomo nella storia: altrimenti come spiegare le masse che si sono prostrate davanti a ideologie demoniache e a dittatori fanatici... Come spiegare altrimenti l'appiattimento di intere generazioni su mode e miti schiavizzanti... C'è in tutti un'ansia simile a quella di Nicodemo, anche in tuo figlio che porta quegli orribili pantaloni strappati e calati sotto il fondoschiena, che ti sta dicendo che vuole qualcosa di diverso. Anche in chi spera ancora nei politici, nei demagoghi di turno, e sposa le idee dei cattivi maestri. C'è al fondo la stessa rettitudine di intenzione, soffocata però dalla carne: "Nicodemo va dal Signore, ma di notte: va verso la luce, lui che è nelle tenebre. Nelle tenebre cerca il giorno ma parla delle tenebre della sua carne" (Sant'Agostino). Parla come noi, da "quella parte dell'uomo che appartiene alla terra", che "pensa alle cose di quaggiù", perché ingannati dal demonio. Se giovani ci illudiamo d'essere spontanei e ribelli, se anziani ci insuperbiamo con la canizie, ma, in realtà, siamo tutti stretti dalle catene della paura figlia della menzogna con cui il demonio ci ha sedotto. Stringiamo legami che soffocano e ci soffocano nella carne, tra gelosie e invidie. Compriamo e vendiamo gli affetti. Sogniamo e stampiamo i nostri sogni su chi ci è intorno, incasellando e obbligando tutti a recitare la parte che assegniamo loro, perché "quello che è nato dalla carne è carne", e giace nelle tenebre della "notte", la stessa in cui si infilò Giuda, che pensava di spingere Gesù a rivelarsi e a mettersi a capo della rivolta. La "notte", infatti, è simbolo di morte. Nella notte si pecca, si striscia nella menzogna, ci si nasconde nei compromessi. Nella notte è immersa la nostra società, nella quale siamo ormai incapaci di riconoscere la persona che è accanto. 



Eppure proprio in questa notte Nicodemo cerca Gesù. E Gesù non lo rifiuta, anzi, è già lì, nella notte, per ascoltarlo, per accoglierlo così com'è e annunciargli la Notizia che può cambiare radicalmente la sua vita. Gesù è già sceso nella notte di Nicodemo, come in quella di ciascuno di noi; come scriveva Claudel, infatti, “il cristianesimo si risolve in un faccia a faccia”. E nella notte di ogni uomo brillano le parole del Signore. Esse sono come un'atomica che polverizza certezze e criteri, che annienta progetti e pensieri, anche quelli più sani e retti, ma appesantiti dalla "carne". "Rinascere", è necessario e imprescindibile rinascere. Gesù annuncia l'unica e autentica rivoluzione, che non passa per bombe e grida, ma per una discesa alle acque del battesimo. Non sono buoni consigli, non è un manuale di sopravvivenza, non sono toppe chirurgiche. Non è una nuova dottrina, ma la totale novità della vita celeste che ci viene offerta come un dono. E' l'amore infinito di Dio che ci apre il suo seno di misericordia perché possiamo deporvi l'uomo vecchio che si corrompe dietro alle passioni ingannatrici, per rinascere a vita nuova: "Ciò che è nuovo ed emozionante del messaggio cristiano, del Vangelo di Gesù Cristo, era ed è tuttora questo, che ci viene detto: sì, quest’erba medicinale contro la morte, questo vero farmaco dell’immortalità esiste. È stato trovato. È accessibile. Nel Battesimo questa medicina ci viene donata. Una vita nuova inizia in noi, una vita nuova che matura nella fede e non viene cancellata dalla morte della vecchia vita, ma che solo allora viene portata pienamente alla luce" (Benedetto XVI, Omelia nella Veglia Pasquale del 2010). 



"Dobbiamo rinascere dall'alto, dal Cielo", da dove il Signore è disceso per riconquistare al suo Regno tutti noi rapiti dalle menzogne del demonio. In Lui, attraverso le acque del battesimo che si rinnovano ogni giorno attraverso la liturgia e i sacramenti, la Parola e la comunione della Chiesa suo Corpo, si apre per noi la possibilità di vivere una vita nuova, che non conosciamo! Mettiamocelo bene in testa, non sappiamo come si ama nostro marito, nostra moglie, nostro figlio! "Non ti meravigliare", non lo sappiamo e nessun maestro, nessuno psicologo, nessun libro o manuale può insegnarcelo. "Quello che è nato dalla carne è carne", non si scappa: l'amore che la madre migliore del mondo ha per suo figlio si infrange sempre sul limite del cuore del suo ragazzo, che è come un abisso e solo Dio conosce. Per amare suo figlio, a-m-a-r-e come Cristo ha amato noi intendo, bisogna "rinascere, essere generati dall'alto, da acqua e da Spirito Santo". Occorre essere nuove creature! In greco il termine tradotto con "dall'alto" significa anche "di nuovo". Ecco perché Nicodemo cade nell'equivoco. D'altronde, nascere una seconda volta è il sogno di tanti: "ah se rinasco...". Magari avessi una seconda possibilità... Molte religioni si fondano sul mito dell'eterno ritorno, la stessa reincarnazione vorrebbe rispondere a questo bisogno di purificazione e rigenerazione, per poter ripartire. Anche l'idea del carcere come rieducazione ha un po' questo significato: dopo aver espiato la colpa e aver riflettuto, si esce di prigione come in una seconda nascita, ma... Ma non basta aver capito e aver deciso di non ripetere gli stessi sbagli. Magari chi ha scontato una pena per furto non ruberà più, ma per questo saprà amare e donarsi? Avrà cioè vinto quella parte di sé che lo trascina verso la terra, verso la paura che incute la morte e spinge a cogliere ogni occasione e a offrire a se stesso persone e cose? No, il carcere può aiutare a capire, ma non guarisce il cuore trasformandolo. Pur uscendone con i migliori propositi, resta schiavo della stessa menzogna che lo ha condotto a rubare. Lo stesso limite che incontrano gli educatori, i genitori, quello opposto dalla notte del cuore dell'altro.



Per questo, non si tratta di "rientrare nel seno di nostra madre", cioè di ricominciare seguendo altre strade e altri criteri; non si tratta di resettare e provare nuovi approcci, accorgimenti, dialoghi, etc. Non si tratta di riconciliarci con noi stessi, di fare tesoro delle esperienze negative per non ripetere gli stessi errori. Si tratta di un'altra cosa, a noi sconosciuta: "rinascere in Cristo" nelle viscere della Chiesa. E sai che significa? Significa che deve morire quello che "è nato dalla carne"! Proprio i criteri, le idee, gli schemi per i quali siamo diventati "maestri in Israele": rinnegare noi stessi, gli sforzi, i sacrifici, anche i criteri che riteniamo assoluti per agire, i principi inossidabili con cui guardiamo la realtà; abbandonare tutto per lasciare che sia Cristo a vivere in noi. Lui solo sa "come" amare chi ci è accanto, istante dopo istante, nella novità che il prossimo ci presenta e ci è sconosciuta, perché Lui solo conosce il cuore di ciascuno. Lui sa quando essere duri e quando pazienti, quando rimproverare e quando tacere, perché Lui sa donarsi sempre, sempre, sempre, dimenticando se stesso. E chi rinasce in Lui vive come Lui, parla come Lui, pensa come Lui, ama come Lui. Libero come il "vento", si lascia portare da Lui, senza più le catene della propria carne.



Diceva il grande San Gregorio Nazianzeno: "Il battesimo soccorre la nostra debolezza, spoglia degli istinti naturali, permette di seguire lo Spirito e di entrare in intima comunione con il Verbo... è il caposaldo della fede, il perfezionamento della mente, la chiave del regno dei cieli. Il battesimo cambia la nostra vita, elimina ogni schiavitù, scioglie le nostre catene, migliora tutto il nostro essere". "Quello che è nato dallo Spirito è spirito": "come la carne ci lega alla terra, lo Spirito ci imparenta con Dio" (Silvano Fausti). Per questo, dove ha regnato la menzogna appare la verità, dove la schiavitù del sesso la castità, dove il tradimento la fedeltà, dove l'ira la mitezza, dove la vendetta il perdono, dove l'invidia la gioia per il bene altrui, dove il rancore la misericordia, dove l'ingiustizia la giustizia della Croce, dove l'avarizia la magnanimità, dove la paura il coraggio, dove l'odio l'amore. Dove la morte la vita. Dove il demonio il Signore. E dove il Signore il suo Spirito, la libertà di chi non ha più bisogno di difendersi ma può abbandonare la propria vita alla Volontà di Dio.



Chi è rinato da acqua e Spirito è sospinto nella storia come la "voce" stessa di Dio, che penetra ogni evento e ogni relazione risuonando le sue parole; esse vengono dal Cielo e vanno verso il Cielo, oggi in un luogo, domani in un altro, senza vincoli affettivi e carnali, perché tutto è trasfigurato nella risurrezione di Cristo che ha aperto la porta del Cielo lasciando che tra di esso e la terra scorra finalmente quella "corrente d'aria" capace di sconvolgere i pensieri mondani strozzati nella paura della morte: "l'uomo può vivere come essere spirituale solo se c'è aria spirituale che lo faccia vivere... solo il respiro di Gesù Cristo, del crocifisso, nel quale la verità buona ci raggiunge definitivamente, è la nostra giustificazione e la nostra redenzione. Questa verità buona, vento fresco, aria pura, di cui l'uomo ha bisogno per poter respirare e vivere spiritualmente secondo la sua umanità. Cristo risorto fa arrivare fino a noi il soffio della vita. Dunque noi respiriamo l'aria di cui abbiamo bisogno per vivere, se siamo presso di essa, se viviamo credendo nella resurrezione" (Benedetto XVI, Vieni Spirito Creatore). 



Chi è rinato in Cristo vive come Lui, itinerante nella storia, seguendo le orme che Dio rivela momento dopo momento, rimettendo ogni schema e progetto alla sua volontà, senza dipendere da nulla che essa non sia. Un padre e una madre come il vento, senza nevrosi sui figli, liberi per condurre i figli ad ascoltare la Voce del Padre che è nei cieli e della Madre Chiesa che è sulla terra; due fidanzati come il vento, che non possiedono l'altro ma si donano come lo Spirito si dona ad ogni uomo; in ogni circostanza e con tutti come il vento, capaci di cambiare programma mille volte se lo Spirito ispira così, sempre aperti alla volontà di Dio. Questi sono i frutti della Pasqua che sgorgano dal fonte battesimale, l'utero benedetto della Chiesa nel quale tutti siamo gestati e generati alla fede adulta. La fede nella quale imparare a vivere in questo Tempo Pasquale, che ci fa come il vento, liberi e colmi di parresia, la franchezza di annunciare, in parole ed opere, la Verità dell'amore crocifisso e risorto del Signore Gesù Cristo per ogni uomo: "“Lo Spirito Santo aiuta ad impegnarsi sempre, nonostante la paura di fallire, ad affrontare i pericoli e a superare le barriere che separano le culture per annunciare il Vangelo” (Giovanni Paolo II, XIII Giornata Mondiale della Gioventù 1998, lettera preparatoria del 30 novembre 1997).

venerdì 26 aprile 2019



Stavolta li incontra sul mare,
luogo che richiama alla mente le difficoltà e le tribolazioni della vita;
li incontra sul far del mattino,
dopo un’inutile fatica durata l’intera nottata.
La loro rete è vuota.
In certo modo, ciò appare come il bilancio della loro esperienza con Gesù:
lo avevano conosciuto, gli erano stati accanto, 
ed Egli aveva loro promesso tante cose.
Eppure ora si ritrovavano con la rete vuota di pesci"

Benedetto XVI
GETTARE NELLA VITTORIA DI CRISTO LE NOSTRE SCONFITTE 

Gli apostoli avevano "visto" il Signore risorto, e "gioito" nel contemplare le sue "mani e il costato" che testimoniavano che Egli era proprio il loro Maestro crocifisso tre giorni prima sul Golgota. Avevano visto molti segni miracolosi che Gesù fece in loro presenza;  ascoltato le parole con le quali li univa a sé e alla sua missione: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi"; ricevuto lo Spirito Santo per mezzo del quale rimettere i peccati. E così, ricolmi dello Spirito Santo, "dopo questi fatti",  Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli partirono per la Galilea, dove "si trovavano insieme" quando "Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade". Sono state fatte molte ipotesi sulla presenza in Galilea degli apostoli, ma io sono persuaso che essi vi si trovassero in obbedienza all'invio del Signore. Avevano sperimentato lo "scandalo" di Gesù e la "dispersione del gregge", ma, proprio per averlo visto risuscitato e aver ricevuto lo Spirito Santo, erano certi che li avrebbe preceduti in Galilea, il luogo della missione. Non a caso Giovanni presenta sette apostoli insieme a Pietro: "è il simbolo della Chiesa che viene mandata alle Nazioni, mentre i Dodici era il simbolo della Chiesa che veniva mandata alle dodici tribù di Israele. Nelle città pagane c'era sempre un consiglio, la "bulé", il "Buletérion", il consiglio dei sette saggi della città che prendevano le decisioni, e adesso abbiamo sette discepoli che sono quelli mandati ai pagani" (F Manns). E cosa fanno? "Vanno a pescare" con Pietro, in obbedienza alle parole con le quali Gesù, proprio dopo la pesca miracolosa sulle stesse rive del Mare di Tiberiade, aveva profetizzato a Pietro e agli altri apostoli la missione di pescatori di uomini. Eccoli dunque agli albori della missione nata dalla Pasqua, gettando le reti per pescare i pagani. Ma dovevano impararla come opera di Gesù, scoprendo attraverso la propria debolezza che essa suppone un combattimento quotidiano: anche se "il Battesimo, donando la vita della Grazia in Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l'uomo verso Dio... le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell'uomo e lo provocano al combattimento spirituale" (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 405). Con Pietro dobbiamo imparare a passare ogni giorno da "io vado a pescare" a "getto il mio io nell'Io sono di Gesù".  Per questo ci attendono notti di fallimenti dove sperimentare la sconfitta della superbia, l'unico impedimento alla missione. Comprendi allora perché, nonostante la Pasqua, non riesci ancora a perdonare quella persona: la vuoi pescare con gli strumenti e la perizia del pescatore secondo la carne, incapace di pescare le persone... 





Sei triste nonostante la Chiesa stia celebrando la gioia? Perfetto, è il passaggio fondamentale, il segno che il Vangelo si sta compiendo, non il contrario! Coraggio, perché anche oggi la luce dell'alba ci viene incontro per strapparci alla menzogna. Non importa se, in quel fratello che non accettiamo, ancora non riconosciamo Gesù: importa la sua presenza e la domanda che essa ci impone: "Hai qualcosa da mangiare?". Come dire: "Com'è andata la pesca? Hai amato sino a gettarti in mare per pescare dalla morte chi ti è accanto?". L'ostilità e il giudizio che ancora coviamo risponde per noi, vero? No, non abbiamo nulla da offrire. Abbiamo tentato di amare, ma i pesci sono scappati sentendo odore di egoismo e superbia. Davvero puoi rispondere "no" a Gesù? Davvero accetti il fallimento e dici "no" al tuo uomo vecchio? Sarebbe l'indizio che stai risorgendo con Cristo. Non a caso Gesù chiede ai discepoli se hanno del "Prosphagion" - "companatico", cioè qualcosa che accompagni il pane, che è il cibo sostanziale. Per compiere la missione occorre accettare di non esserne gli artefici, ma solo dei servi che non sono più grandi di Colui che li ha mandati. Ciò significa consegnare a Lui i fallimenti del nostro io "ferito" nella sua "natura indebolita e incline al male"; per scoprire che proprio la nostra debolezza costituisce "il companatico" di cui ha bisogno il Signore per accompagnare la sua missione di Pane della vita. 

E come si fa? Ascoltando la predicazione che ci illumina e per obbedire e gettare la nostra vita in Lui, proprio laddove non abbiamo pescato nulla. Che significa, ad esempio, tornare dal fratello che non abbiamo perdonato nell'umiltà di chi conosce la propria debolezza, gettando per questo la rete dalla parte destra della barca, il lato del tribunale dove anticamente sedeva l'avvocato. Occorre cioè lasciarci ispirare e accompagnare dallo Spirito Santo che fa nuove tutte le cose e compie in noi l'amore sino alla fine di Cristo. Come il discepolo amato sperimenteremo allora che "è il Signore" ad agire misteriosamente per mezzo della nostra debolezza nelle persone e negli eventi che incontriamo nella missione. Scopriremo anzi che ha operato ancor prima che uscissimo in mare per pescare; i centocinquantatré grossi pesci presi nel mare della missione, infatti, sono anch'essi il companatico , ovvero il pesce arrostito nell'amore che Gesù ha già preparato per noi sulla riva della Pasqua perché accompagni la sua carne fatta pane che non si corrompe. Non a caso in ebraico "Kaal Aawa", che significa "la comunità dell'amore", ha, secondo la Ghematria (tecnica rabbinica che assegnava ad ogni lettera un valore numerico), ha il valore numerico di centocinquantatré (Copyright F. Manns). La comunità cristiana unita a Lui nell'Eucarestia è il companatico che Gesù ha pensato e scelto per accompagnarlo nella sua missione attraverso le generazioni. Siamo cioè come la rete gettata in mare: è Lui che sa dove, come e quando. Ci è chiesto solo di restare sulla barca dove, pescati anche noi nella rete della comunione che non si spezza perché donata dallo Spirito Santo, obbedire alla Parola del Maestro.

mercoledì 24 aprile 2019



CRISTO RISORTO RAGGIUNGE  OGNI NOSTRO PASSO INCREDULO PER CONVERTIRLO CON IL SUO AMORE
Dio non è venuto a spiegare la sofferenza:
è venuto a riempirla della sua presenza

Paul Claudel

Gesù non è lontano, proprio quando non lo riconosciamo e la fede fa acqua, il suo amore infinito lo spinge al bordo della nostra vita, e Lui sì che ci riconosce. Gesù sa quello che gli è successo, e sa che, pur da sempre nella Chiesa, non abbiamo ancora compreso il senso profondo delle Scritture: che cioè gli eventi occorsi a Gerusalemme nei giorni più santi della storia, quelli che hanno infranto la speranza dei due di Emmaus, riguardavano Lui perché riguardavano loro e ogni uomo! Tutto era accaduto per noi! Gesù non era così forestiero in Gerusalemme da non sapere, anzi; era Lui che, proprio nella morte e nella discesa nel sepolcro, si era fatto il più prossimo a loro, al punto di dilatare la realtà della sua Pasqua sin dentro la loro realtà di stolta e dura incredulità. Al punto di trasformare ogni nostro giorno di delusione, tristezza e sofferenza nello stesso primo giorno della settimana. Ogni giorno può essere Pasqua, anche oggi, perché dove la Grazia che arde il cuore ci schiude gli occhi per riconoscere Gesù, tutto è trasfigurato ai nostri occhi, come accadde a Maria Maddalena, agli apostoli, ai discepoli di Emmaus. Coraggio allora, perché proprio quando emerge l'incredulità, al culmine della frustrazione e della disperazione, cominciando da Mosè e da tutti i profeti Gesù ci parla spiegandoci in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando la storia, umiliando il nostro io orgoglioso e capriccioso, ci apre un pochino l'orecchio, Gesù comincia ad annunciarci il Vangelo attraverso la predicazione della Chiesa. Lui ci aspetta, perché solo quando scopriremo il nostro cuore indurito dalla menzogna Egli potrà aprirlo alle Scritture, svelando in esse il suo amore infinito: "doveva" soffrire, "doveva" morire per risorgere e riscattarci! Così anche la nostra storia doveva essere e deve essere così come è, perché ogni suo istante si riferisce a Cristo, come una preparazione al compimento della sua Pasqua. Perché, scoprendoti un povero mendicante di misericordia, tu possa implorare il Signore di "restare con te", con la tua famiglia, nella notte che sta per prendersi la tua vita. Non importa se ancora non lo hai riconosciuto. Ascolta oggi la predicazione e lascia aperta ad essa una fessura del tuo cuore: è il tuo modo di dire a Gesù di entrare con te nel "villaggio" dove ti sei rifugiato per scappare dalla Croce e poter piangere la tua delusione. E' proprio lì che Gesù vuole farsi una carne con te, dove tu sei oggi. Ma attento, perché se non lo fai arriva la notte... La vita è seria, e Gesù passa, non è mai fermo come gli idoli. Anche oggi sta facendo come per andare più lontano... Fai come la sposa del cantico dei Cantici: chiamalo, imploralo di non andare via, di non passare senza prenderti con Lui. Chiedigli di restare in te per insegnarti a restare in Lui.
L'episodio dei discepoli di Emmaus è una parola di Dio che ci aiuta a comprendere la profondità del Mistero Pasquale, il cui frutto non è un cambiamento della realtà, ma occhi nuovi su di essa. Come lo sguardo dei due discepoli, dischiuso a poco a poco dall’ascolto e dal cammino con Cristo risorto che li aveva raggiunti proprio sui passi che li allontanavano da Gerusalemme, il luogo della sua risurrezione. Nelle "sette miglia" che distava Emmaus da Gerusalemme si è compiuta la loro Pasqua, come si può compiere nelle "sette miglia" che abbiamo percorso dalla notte di Pasqua ad oggi, tornando al lavoro, a scuola, alla routine e sembra di esserci tristemente allontanati da quell'esperienza. Invece si tratta della purificazione decisiva, che passa per la scomparsa dell'amato stesso: "Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele". Quello dei due discepoli è il cammino dell'amore deluso, il compimento assaporato e strappato via, che stampa la tristezza sul loro volto, quella che San Tommaso definisce come "l'attesa di un bene assente". Assente Cristo, tutto diviene triste. Nel loro "discutere" scopriamo la nostra incapacità di dare un senso agli eventi di dolore e fallimento della nostra vita, nonostante la Pasqua celebrata! Perché abbiamo sperato male, in una liberazione che instaurasse il Regno di Israele, qualcosa di molto umano e ragionevole quando si vive stretti dal giogo di una dominazione straniera. Abbiamo cioè sperato che Gesù ci desse ragione in famiglia, al lavoro, ovunque appaia l'ingiustizia di chi vuole appropriarsi della nostra vita . Che facesse giustizia delle nostre ragioni, quelle più sante e nobili ovviamente, smentendo quelle degli altri; e così cambiare le situazioni e le persone più moleste. E invece niente, nulla di tutto ciò, anzi, ha lasciato che l'ingiustizia lo afferrasse sino a crocifiggerlo e a farlo discendere in una tomba. E sono ormai tre giorni da quando, per l'ennesima volta, l'ingiustizia ha trionfato deludendo un'altra speranza. 

Per questo spesso neanche la predicazione è stata sufficiente, ovvero "l'annuncio delle donne che hanno visto gli angeli e il sepolcro vuoto"; troppo deboli gli indizi per chi ha "dimenticato e non compreso le parole dei profeti e del Signore stesso"; "quel parlare era rimasto oscuro" perché per noi la prova della sua resurrezione dovrebbe consistere nel cambio del modo di fare del marito, o che la gente si renda almeno conto di sbagliare. Che Pietro e Giovanni corsi al sepolcro bastano ci dicano che "Lui non l'hanno visto", ci importa poco, perché vogliamo vedere Lui compiere ciò che la nostra stoltezza ritiene sia giusto. Vogliamo vedere Gesù realizzare i nostri criteri mondani, non ci interessa altro. Ovvio che, appesantito dalle menzogne del demonio, il nostro cuore sia diventato "lento" nel discernere, mentre gli occhi siano da un pezzo incapaci di riconoscere Gesù in persona che si è accostato alla nostra vita e cammina con noi. Anzi, il suo parlare e il suo porci domande celato nei fatti e nelle persone che ci incalzano, come nelle parole di Verità della Chiesa, quasi ci infastidisce, suona come una presa in giro. Gesù ci appare infatti come l'unico così estraneo ai nostri pensieri da non sapere quello che ci è successo. Non lo sentiamo lontano dai nostri bisogni e dalle nostre sofferenze per le quali non ha fatto nulla? Noi speravamo che ci togliesse la ragione del dolore e della frustrazione, e invece è tutto come e peggio di prima. Siamo infatti ancora convinti che la causa delle nostre sofferenze sia fuori di noi, per questo ci è impossibile credere all'amore e alla vittoria di Colui che la realtà non l'ha cambiata. 


Ma Gesù non è lontano, proprio quando non lo riconosciamo e la fede fa acqua, il suo amore infinito lo spinge al bordo della nostra vita, e Lui sì che ci riconosce. Gesù sa quello che gli è successo, e sa che, pur da sempre nella Chiesa, non abbiamo ancora compreso il senso profondo delle Scritture: che cioè gli eventi occorsi a Gerusalemme nei giorni più santi della storia, quelli che hanno infranto la speranza dei due di Emmaus, riguardavano Lui perché riguardavano loro e ogni uomo! Tutto era accaduto per noi! Gesù non era così forestiero in Gerusalemme da non sapere, anzi; era Lui che, proprio nella morte e nella discesa nel sepolcro, si era fatto il più prossimo a loro, al punto di dilatare la realtà della sua Pasqua sin dentro la loro realtà di stolta e dura incredulità. Al punto di trasformare ogni nostro giorno di delusione, tristezza e sofferenza nello stesso primo giorno della settimana. Ogni giorno può essere Pasqua, anche oggi, perché dove la Grazia che arde il cuore ci schiude gli occhi per riconoscere Gesù, tutto è trasfigurato ai nostri occhi, come accadde a Maria Maddalena, agli apostoli, ai discepoli di Emmaus. Coraggio allora, perché proprio quando emerge l'incredulità, al culmine della frustrazione e della disperazione, cominciando da Mosè e da tutti i profeti Gesù ci parla spiegandoci in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando la storia, umiliando il nostro io orgoglioso e capriccioso, ci apre un pochino l'orecchio, Gesù comincia ad annunciarci il Vangelo attraverso la predicazione della Chiesa. Lui ci aspetta, perché solo quando scopriremo il nostro cuore indurito dalla menzogna Egli potrà aprirlo alle Scritture, svelando in esse il suo amore infinito: "doveva" soffrire, "doveva" morire per risorgere e riscattarci! Così anche la nostra storia doveva essere e deve essere così come è, perché ogni suo istante si riferisce a Cristo, come una preparazione al compimento della sua Pasqua. Perché, scoprendoti un povero mendicante di misericordia, tu possa implorare il Signore di "restare con te", con la tua famiglia, nella notte che sta per prendersi la tua vita. Non importa se ancora non lo hai riconosciuto. Ascolta oggi la predicazione e lascia aperta ad essa una fessura del tuo cuore: è il tuo modo di dire a Gesù di entrare con te nel "villaggio" dove ti sei rifugiato per scappare dalla Croce e poter piangere la tua delusione. E' proprio lì che Gesù vuole farsi una carne con te, dove tu sei oggi. Ma attento, perché se non lo fai arriva la notte... La vita è seria, e Gesù passa, non è mai fermo come gli idoli. Anche oggi sta facendo come per andare più lontano... Fai come la sposa del cantico dei Cantici: chiamalo, imploralo di non andare via, di non passare senza prenderti con Lui. Chiedigli di restare in te per insegnarti a restare in Lui. 

Come annuncia l'Apocalisse, Lui entrerà e cenerà con te, nella tua comunità cristiana giunta sino ai confini della terra, laddove sei scappato scandalizzato dalla Croce. Perché la grande notizia del Vangelo di oggi è che anche chi si allontana preda dell'incredulità e dello scandalo per la sofferenza è comunque parte della comunità cristiana. Anche chi cammina in direzione opposta è raggiunto misteriosamente da Gesù che trasforma, con la sua presenza, quella strada che divide in un cammino di conversione. Lui è accanto a chi scappa, senza giudicare, con la pazienza dell'amore autentico, che poco a poco, come accade nella Messa, con l'annuncio della Parola conduce i dispersi all'incontro con Lui nel Sacramento della Vita. A questo punto sarà naturale tornare senza indugio verso la comunione della Chiesa dalla quale ci si era allontanati. Coraggio allora se oggi stai scappando adirata con Dio e con i fratelli; o se sta scappando tuo marito o tua figlia. Gesù non abbandona nessuno, anzi, estende la volontà del Padre sin dentro il sudiciume di chi l'ha rifiutato, come accadde al figlio prodigo. Anche lui affamato come i due di Emmaus impauriti di fronte al buio che li ghermiva: anche loro come il ragazzo della parabola sono rientrati in sé scoprendo che il cuore ardeva per l'unico che li amava davvero; l'unico capace di spezzare la sua carne per consegnarsi a loro senza riserve. Ecco l'intelligenza delle Scritture, ecco il senso della Pasqua: viverla con Lui ogni giorno, perché solo l'amore con il quale si entra nella storia intessuta di ingiustizie può redimere le persone che ci sono accanto. Non era il Regno di Israele vittorioso sull'Impero di Roma, ma il Regno di Dio nel cuore di ogni figlio di Israele. La vittoria di Cristo in noi perché la nostra vita sia un passaggio negli eventi unito a te, nel tuo amore che supera la morte. Per partire senza indugio e tornare nella storia che non avevamo compreso e dalla quale siamo fuggiti, e camminare accanto a ogni persona annunciando con zelo e pazienza il Vangelo, perché Cristo faccia ardere anche il loro cuore nel suo amore.

martedì 23 aprile 2019


Ogni cristiano rivive l’esperienza di Maria di Magdala. 
E’ un incontro che cambia la vita: 
l’incontro con un Uomo unico, 
che ci fa sperimentare tutta la bontà e la verità di Dio, 
che ci libera dal male non in modo superficiale, momentaneo, 
ma ce ne libera radicalmente, 
ci guarisce del tutto e ci restituisce la nostra dignità. 
Ecco perché la Maddalena chiama Gesù "mia speranza": 
perché è stato Lui a farla rinascere, 
a donarle un futuro nuovo, 
un’esistenza buona, 
libera dal male. 
"Cristo mia speranza" significa che ogni mio desiderio di bene 
trova in Lui una possibilità reale: 
con Lui posso sperare che la mia vita sia buona e sia piena, eterna, 
perché è Dio stesso che si è fatto vicino 
fino ad entrare nella nostra umanità.

Benedetto XVI, Messaggio per la Pasqua, 8 aprile 2012
OGNI LACRIMA VERSATA NASCONDE IL DESIDERIO DELLO SPOSO




Esiste per tutti un luogo dove siamo soliti nasconderci dal mondo per accarezzare il nostro dolore. E' quello dove piangerci addosso, seduti nell'unica identità che ci sembra conveniente e adeguata per noi: quella di una persona contro la quale il destino ha puntato il dito sino a schiacciarla nell'ineluttabile fallimento. Una tomba sigillata che, come una sirena, ci chiama per sedurci e gettarci nelle braccia della depressione, spirituale prima e patologica poi. Se guardata con gli occhi della carne, la tomba di Gesù diventa spesso l'altare subdolo che erigiamo al nostro uomo vecchio che si corrompe dietro alle passioni ingannatrici, che non sono solo sesso, droga e rock and roll, ma anche, più sottili e perniciose, quelle che ci spingono a piantarci al centro dell'universo come fossimo gli unici sofferenti, incompresi, rifiutati, traditi, anche in ciò che pensavamo santo, retto, puro. E' Pasqua, e può sembrare paradossale, ma nel fondo del nostro cuore resiste ancora una parte di noi che vorrebbe riportare il Signore laddove lo abbiamo visto deporre, per decretare a noi stessi e al mondo l'esito fallimentare di un amore, di un lavoro, di un'amicizia, della missione. E sdoganare finalmente la tristezza per legittimare lo sconforto e quel sentimento di ingiustizia che ci rende torvi e incapaci di vera gioia. Ma è Pasqua, e quella tomba è vuota accidenti. Gesù, che tante volte è sceso nei nostri sepolcri per perdonarci e riportarci in vita, oggi non è laddove eravamo sicuri che fosse. E' sparito proprio al colmo della nostra disperazione, ed è insopportabile. Ma come, non mi aveva amato sino alla fine? E ora? L'esperienza della Maddalena tocca un punto fondamentale, decisivo della nostra vita. Scopre l'abisso che si cela nel nostro cuore, dove si nasconde, subdola, la menzogna antica: Dio non ti ama davvero. Vedi, proprio ora che ti è più necessario, è sparito... 




Ma Dio ci ama e non ci lascia in questo inganno così subdolo da pervertire perfino la Pasqua del suo Figlio. Lui è risorto per tirarci fuori dalla trappola del demonio e farci liberi davvero. Per questo ci viene incontro attraverso i suoi angeli vestiti di risurrezione, immagine degli apostoli che con la predicazione raggiungono il fondo più oscuro dei nostri cuori. Essi si trovano infatti nel luogo esatto dove era stato deposto il Signore, quasi a descrivere il perimetro della sua esistenza terrena ormai trasformata; seduti laddove erano la testa e i piedi di quel corpo non più preda della morte, sulla soglia dell'abisso che ci sta per risucchiare nella disperazione, gli angeli ci scuotono per ridestarci: "donna, perché piangi?". Donna, che è come dire anima, "prendi in mano la tua vita di oggi, così com'è, e guardala bene e cerca la sorgente delle tue lacrime!". Ella amava il Signore, eccome, ma il suo amore, come ogni amore umano, era destinato a divenire lacrime, dolore struggente di un cuore che non può andare oltre quella pietra. La resurrezione che strappa alla corruzione ciò che appartiene all'uomo è impensabile perché non è nel Dna della carne. L'esperienza che portiamo dentro è quella del limite invalicabile che segna la morte, quella che segue, ineluttabile, un tradimento ad esempio. La domanda degli angeli risveglia il quesito più profondo, il bisogno di sapere perché oggi siamo quel che siamo, soffrendo quello che soffriamo. Come uno scrutinio, fondamentale in ogni percorso di iniziazione alla fede, risuscita in noi innanzi tutto la verità, ovvero la forza e la prepotenza del bisogno di senso e pienezza per la nostra vita. Per questo è necessario scontrarsi con una tomba vuota. E' decisivo sentirsi soli, quasi traditi dall'Amato, così come accade alla sposa del Cantico dei Cantici. Ma coraggio, perché lo Sposo appare proprio dove pensavamo non fosse più, e ci parla aggiungendo alla domanda degli angeli quel "Chi cerchi?" con cui ci svela la fonte originaria delle nostre lacrime. Quel "chi" ci dice che le nostre lacrime sono per Lui, ed è il primo passo per uscire da noi stessi, dall'egocentrismo che ci schiaccia. Sono lacrime d'amore, nonostante tutto ci dica il contrario; nonostante i peccati svelati e la carne che vorrebbe afferrare tutto. No, le lacrime con le quali ci accostiamo alla tomba, anche se rivestite di pura carne, celano un amore invincibile, quello deposto dal Padre nel nostro cuore. Ecco, così comincia il cammino che ci fa spose dell'unico Sposo! Abbiamo ancora nel cuore il "mio Signore"! Piangiamo di dolore ripiegati su noi stessi senza sapere che quelle lacrime sono i distillati della gioia più pura, sono l'amore che attende di incontrare il suo Amore, celeste, più forte della carne e del peccato. Tutte le lacrime di ogni uomo nascondono il desiderio dello Sposo!



Ma per scoprirlo è necessario un parametro nuovo che non ci appartiene; per riconoscere Cristo che ha oltrepassato i vincoli della carne occorre un segno che ci sospinga al di là dei nostri limiti; un anello che congiunga la nostra realtà alla sua realtà; una chiave che apra in noi la porta per entrare, esattamente come siamo, poveri, deboli, precari e limitati, laddove ora Egli è, il Regno celeste. Occorre un indizio che parli al cuore e dischiuda gli occhi perché riconoscano lo stesso Gesù visto e ascoltato in quella presenza nuova e sorprendente, al punto d'essere scambiata per il "custode del giardino". Occorre che Lui ci chiami a sé, in quel nuovo sé che è diventato. Un cammino attraverso la carne per superare la carne, senza dimenticare la carne. L'esperienza di Maria e dei discepoli sarà quella di essere attirati da Cristo risuscitato nel suo Mistero Pasquale, nella dinamica che lo ha fatto passare dal Venerdì, attraverso il Sabato, sino all'aurora della Domenica. E' il momento decisivo: "Maria!". La voce di Gesù che la chiamava per nome era unica, perché nessun giardiniere avrebbe potuto chiamarla così. E' Lui, è il Maestro del mio cuore! E' Lui, mi ha spiegato l'amore, e ora mi insegna che è eterno! Ecco il parametro che ci fa accogliere l'impossibile: E' risorto! Solo Lui mi può chiamare così, solo Lui mi conosce così: Maria! Quel nome in quella voce era tutta la sua storia, il suo intimo, ogni centimetro, ogni secondo. Il perdono si faceva di nuovo cosa viva: in quel nome il Signore le consegnava la certezza che nessuno le aveva portato via quell'amore; e che non era più la tomba il luogo dove andarlo a cercare per riviverlo nel ricordo e nel dolore. Maria può riconoscere il Maestro risorto in se stessa, in "Maria!" chiamata alla stessa vita dell'Amato. Ella stessa era divenuta una nuova creazione che la univa indissolubilmente allo Sposo. E oggi il Signore appare anche a noi chiamandoci per nome attraverso la sua Chiesa, nella quale possiamo sperimentare la nascita a una vita nuova nell'amore che oltrepassa le barriere della morte. Anche se la carne si fa viva e vorrebbe "trattenere" Gesù per continuare ad essere il "mio Signore", Non è più come prima. Nella nuova creazione dei figli di Dio infatti, nessuno vive più per se stesso. Neanche l'amore di Cristo! Ma vive per lo Sposo che è morto ed è risorto per loro, e che li spinge nell'urgenza di annunciare ai suoi fratelli la sua resurrezione. La Pasqua delle nozze con Cristo è l'esodo che afferra la nostra vita, e ci libera dall'egoismo di cui si nutre l'amore carnale dell'uomo vecchio. Non è più il "mio" Signore, ma il Signore dei "fratelli", figli tutti del "Padre suo" e "Padre nostro". La Chiesa sposa di Cristo, infatti, si consegna nello Sposo a ogni uomo per la salvezza del mondo. E' libera davvero, non teme la morte perché nulla potrà mai separarla da Cristo e dal suo amore. 




Un verso di una poesia di Antonio Machado, poeta straordinario, dice:

«Si un grano del pensar arder pudiera,
no en el amante, en el amor,
sería la mas honda verdad la que se viera».

Che, tradotto alla lettera, significa:

"se un seme del pensare potesse ardere,
non nell’amante, ma nell’amore,
si potrebbe vedere la verità più profonda".

E' l'esperienza a cui siamo chiamati, la stessa di Maria: se un seme, un piccolissimo seme dei nostri pensieri, circa la storia, noi stessi, il matrimonio, il lavoro, un seme di quello che ora stiamo pensando ardesse in Lui, nel suo Amore, e non nella nostra povera carne, amante sì ma inesorabilmente limitata; se un seme del nostro intimo, sofferente o felice che sia, potesse ardere in Colui che pronuncia il nostro nome, potremmo vedere la verità più profonda, il fondamento eterno della nostra vita, la risurrezione che assorbe ogni istante della nostra storia, facendone un frammento di eternità. Allora scopriremmo che la verità più profonda è l'amore infinito che vince la morte e ci fa vivere donando noi stessi, senza riserve.