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mercoledì 28 giugno 2017

«Le Samoa sono una nazione cristiana fondata da Dio Padre, Figlio e Spirito Santo»
 «Le Samoa sono una nazione cristiana fondata da Dio Padre, Figlio e Spirito Santo»

Se numerosi Stati insulari del Pacifico menzionano Dio o integrano un riferimento simbolico al cristianesimo nel preambolo della propria Costituzione (cfr. Adventist Review, 8 maggio 2017), le Samoa ‒ già Samoa Occidentali ‒ vanno un passo oltre: questo Paese di circa 200mila abitanti, indipendente dal 1962, non si accontenta più di menzionare nel preambolo della Costituzione i “princìpi cristiani” e il concetto che l’autorità debba essere esercitata «[…] nei limiti prescritti dai comandamenti di Dio», ma si appresta ad adottare un articolo costituzionale che afferma il proprio carattere cristiano. Dopo discussioni protrattesi per mesi senza opposizione, 43 dei 49 deputati samoani hanno approvato all’inizio di giugno 2017 l’aggiunta di un terzo paragrafo al primo articolo della Costituzione: «Le Samoa sono una nazione cristiana fondata da Dio Padre, Figlio e Spirito Santo» (Samoa is a Christian nation founded of God the Father, the Son and the Holy Spirit). L’articolo entrerà in vigore non appena approvato dal capo dello Stato.
Secondo un articolo di Grant Wyeth (apparso in The Diplomat il 15 giugno 2017), vi sarebbero due ragioni principali alla base di questa scelta: da una parte il timore dell’islam e dall’altra la volontà di prevenire ogni influenza straniera che corrompa la cultura samoana. Benché, secondo il censimento del 2001, nelle Samoa vi siano solo 48 residenti musulmani (lo 0,03% della popolazione), il clima di guerra di religione che tocca oggi molte regioni del globo inquieta i samoani, che in questo modo intendono dare un segnale forte delle proprie posizioni. Quanto al secondo punto, nei dibattiti parlamentari è stata menzionata la possibilità di ostacolare ogni futura velleità di rivendicazioni omosessuali (per esempio l’unione tra persone dello stesso sesso).
Il 98% della popolazione samoana è cristiana, ma divisa in diverse Chiese non unanimi nel sostenere il progetto di emendamento costituzionale.
In risposta a queste preoccupazioni, il procuratore generale [equipollente al ministro della Giustizia -Ndr] ha sottolineato che la decisione non avrà alcuna conseguenza sulle scelte religiose individuali (Radio New Zealand, 9 giugno 2017). Nessuna pratica religiosa verrà limitata e nelle Isole Samoa ogni gruppo religioso dovrà rimanere libero di esercitare le proprie attività. (JFM)

* Traduzione redazionale dell’articolo Océanie: les Samoa vont devenir un État chrétien, pubblicato il 18 giugno 2017 sul sito Religioscope, un osservatorio permanente sulle religioni nel mondo contemporaneo, fondato nel 2002 e da allora diretto dallo storico

Il teologo dell'Arabia Saudita che chiede alla Fifa di vietare ai giocatori di farsi il segno della croce

Il teologo dell'Arabia Saudita che chiede alla Fifa di vietare ai giocatori di farsi il segno della croce

Alarefe Mohammed, un religioso musulmano dell’Arabia Saudita, professore alla King Saud University, tramite il suo account Twitter ha chiesto alla FIFA di non permette ai giocatori di farsi il segno della croce sui campi di calcio perché è un gesto che offende la religione islamica.

“Nei video di giocatori di calcio che giocano, si vede che quando vincono o segnano fanno il segno della croce sul petto. La mia domanda è: come mai le regole della FIFA non vietano tutto questo?”, ha scritto Alarefe. Secondo il quotidiano britannico The Daily Mail il religioso, che ha 17 mila seguaci su questo social network, ha ricevuto diversi messaggi contrari. Alcuni hanno ricordato che anche i giocatori musulmani fanno gesti relativi alla propria fede islamica.

A Messa «Per lo Ius soli, preghiamo». A Messa per lo Ius soli, preghiamo? Ma facciamo il piacere

A Messa «Per lo Ius soli, preghiamo». A Messa per lo Ius soli, preghiamo? Ma facciamo il piacere...

Che l’approvazione dello ius soli stia a cuore a settori importanti della Chiesa italiana è cosa, ormai, abbastanza nota. Lo prova un numero notevole di dichiarazioni, tra cui quella del presidente della Cei, cardinal Gualtiero Bassetti, che ha apertamente parlato di «provvedimento da sostenere e favorire». Certo, forse prima di schierarsi così apertamente alla Cei avrebbero dovuto pensarci bene, dal momento che non manca chi – sulla base di argomentazioni tutt’altro che polemiche – mette in luce come il disegno di legge (DDL S. 17) in discussione in queste settimane in Senato, volto a modificare la vigente Legge 91/1992, introducendo in Italia una forma temperata dello ius soli, sia iniziativa, in realtà, non rispettosa della Dottrina sociale della Chiesa.
Tuttavia, dato che la Cei, attraverso i suoi più autorevoli esponenti, ha preso una determinata posizione al riguardo, non resta che prenderne atto. Una simile constatazione non può però portare ad accettare che si arrivi, a Santa Messa, addirittura a pregare per lo Ius soli. Perché è esattamente questo che è successo, come racconta il quotidiano La Verità oggi in edicola. E’ accaduto alla chiesa di Bellaria Centro, parrocchia S. Cuore di Gesù, dove i fedeli, ieri mattina, si sono imbattuti in una preghiera dei fedeli che li ha lasciati di stucco. In particolare, il mio amico Francesco Giacopuzzi, da quelle parti in vacanza, non voleva infatti credere ai propri occhi ed è arrivato a fotografare il foglietto che, incredulo, si è trovato tra le mani, con una preghiera dei fedeli col seguente passaggio:
«Per coloro che ricoprono incarichi di governo e di responsabilità civili, perché si adoperino in tempi rapidi a far approvare la riforma sullo “ius soli”, consentendo ai giovani di origine straniera, nati o cresciuti nel nostro paese, di diventare cittadini italiani non solo di fatto, come già sono, ma anche per la legge. Preghiamo». Ora, che la preghiera dei fedeli risulti talvolta il momento meno ispirato della Santa Messa – riducendosi a concentrato di aria (quasi) fritta in luogo delle sentite intenzioni di orazione dei parrocchiani – non costituisce purtroppo una novità. Tuttavia, da qui a trasformare questo passaggio in un’invocazione affinché si approvi una determinata legge, francamente, ne passa. Anche perché, a ben vedere, non si ricordano precedenti.
O forse qualcuno rammenta una preghiera dei fedeli per l’approvazione di un disegno di legge X a favore delle famiglie numerose? O contro il divorzio breve, le unioni civili e il testamento biologico apripista dell’eutanasia? Niente di tutto questo, dato che – si dice – la Chiesa non fa politica. Benissimo. Ma perché allora, quando c’è di mezzo lo ius soli tanto caro al Pd, si scomoda persino la Santa Messa? Non sarà un po’ troppo? Non si starà perdendo completamente la bussola? Ha senso chiederselo tenendo presente che qui, evidentemente, il punto non è l’unità pastorale di Bellaria, bensì la piega presa da parti importanti del mondo cattolico, le quali oggi sembrano scambiare il Vangelo come vademecum dell’accoglienza dell’immigrato e Gesù come poverello migrante.
La realtà invece è ben diversa, a partire dal Presepe che – se si escludono i Magi – non rappresenta affatto l’incontro fra “culture diverse”, essendo popolato esclusivamente da ebrei. La stessa condizione di Gesù, analizzata storicamente, non pare quella di una persona socialmente svantaggiata dal momento che, ad un esame attento, «conoscenza delle lingue, abilità professionale, formazione intellettuale offrono un quadro personale sufficientemente delineato per considerare Gesù un imprenditore» (StoriaLibera, 2015; Vol.1:45-100). Questo significa che accogliere il forestiero o aiutare il povero non siano doveri cristiani? Certo che no, lo sono eccome. Ma l’approvazione dello ius soli, con tutto ciò, c’entra ben poco, anzi non c’entra nulla. E pare il caso, almeno durante la Messa, di evitare trovate a dir poco fuori luogo.
Il Cristianesimo è infatti qualcosa di troppo importante per essere ridotto a concentrato di buoni sentimenti, cosa che tantissimi fedeli hanno ancora ben chiaro ma che – incredibile ma vero – oggi sfugge ad un numero crescente di pastori. Anche la Cei, mi permetto di osservare, dovrebbe riflettere su questo, nella consapevolezza che se un cittadino – legittimamente, sia chiaro – è favorevole allo ius soli, all’accoglienza illimitata dei migranti, alla costruzione dello moschee e quant’altro, ha già un’opzione chiarissima e del tutto coerente dinnanzi a sé: farsi la tessera del Pd sostenendone il programma, candidandosi, organizzando convegni, cortei, manifestazioni. Tutte cose, lo si ribadisce, che in un regime democratico sono del tutto lecite. Ma il Vangelo e la Messa – fino a prova contraria – sono e restano una cosa diversa. Completamente diversa.

La povertà più grande è non conoscere Cristo













di Stefano Fontana                              25-06-2017 
Gesù maestro

Papa Francesco ha indetto la prima Giornata mondiale dei Poveri, che si terrà il prossimo 17 novembre e per la quale ha già reso pubblico un Messaggio nel quale dice che i poveri bisogna amarli nel concreto. Nella recente sua visita a Bozzolo e a Barbiana, in ricordo di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani, egli ha detto che questi due parroci hanno fatto parlare i poveri. Il nuovo Presidente dei Vescovi italiani, il cardinale Gualtiero Bassetti, vescovo di Perugia, all’indomani della nomina a capo della CEI ha rilasciato una lunga intervista ad Avvenire dicendo: «La povertà è la mia maestra di vita». I giornali non ne parlano, ma il Papa sta facendo molta carità personale in giro per il mondo, proprio in aiuto ai poveri.
Questa presa di posizione della Chiesa di oggi per i poveri va però intesa nel modo giusto, senza concessioni al sociologismo e cercando di assumere una visione evangelica e non sociologica o, meno che meno, ideologica e politica. Benedetto XVI, nel suo Gesù di Nazaret, parlando della beatitudine relativa ai poveri (“Beati in poveri in spirito…”) aveva sottolineato che in quel passo del Vangelo non si parlava della povertà in senso sociologico. In altre parole, chi sta sotto una certa soglia di reddito non automaticamente è più vicino a Dio di uno che sta al di sopra di quella soglia, sebbene si possa dire che Dio ha una vicinanza particolare a chi è nel bisogno. Anche il povero può avere il cuore indurito. Essere poveri non vuol dire essere automaticamente buoni. Essere ricchi non vuol dire essere automaticamente cattivi. Ci sono i poveri che sfruttano i poveri. Ci sono i ricchi che li aiutano.
Bisogna allora che il concetto di povertà sia allargato e fatto respirare. Certo, ci sono i bisogni urgenti che, anche se non sono i più importanti, vanno affrontati e soddisfatti per primi. Nell’uomo non ci sono mai bisogni solo materiali, i bisogni materiali non sono tutto e quindi non bisogna fermarsi lì. La povertà è materiale ma anche morale, intellettuale, spirituale e religiosa. Altrimenti tutti nella Chiesa dovremmo fare solo i volontari per le strade e le piazze del disagio materiale.
Possiamo addirittura dire che la povertà materiale è la conseguenza delle altre povertà elencate qui sopra e non viceversa. La causa dell’ingiustizia non è la povertà, ma il contrario. La causa dell’ignoranza non è la povertà ma il contrario. La causa dell’immoralità non è la povertà ma il contrario. La causa dell’abbandono di Dio non è la povertà ma il contrario. All’origine di ogni male, anche quello della povertà, c’è il male del peccato, che è portatore poi di infinite povertà sociali e materiali.

La prima e più radicale povertà consiste nel non conoscere Gesù Cristo. Alienato, diceva Giovanni Paolo II nella Centesimus annus, è l’uomo che non conosce Dio. Sostenere che la povertà materiale è la causa principale delle altre povertà vuol dire essere materialisti, anche se per vocazione sociale.
Difendere la verità, illuminare le menti, educare i giovani al bene, annunciare Cristo … significa aiutare i poveri. La Chiesa non aiuta i poveri solo con la Caritas, ma anche e soprattutto sull’altare e nel confessionale. Niente aiuta di più i poveri dei Sacramenti. L’annuncio del Vangelo è la principale forza di lotta alla povertà. Mettere i poveri al centro non vuol dire che ogni cattolico smetta di fare quanto sta facendo come cattolico. I preti non devono smettere di fare catechesi e di confessare, i religiosi non devono smettere di pregare o di dedicarsi alle attività proprie del loro ordine, le suore di clausura non devono aprire mense per i poveri e smettere la clausura. Ci sarà anche chi farà questo, perché è una cosa urgente e importante, ma l’aiuto della Chiesa ai poveri è più ampio. I riflettori sono puntati soprattutto sui cosiddetti “preti di strada”, ma la Chiesa aiuta i poveri principalmente nella sua azione ordinaria che non va sotto i riflettori e i preti di strada corrono spesso il rischio del sociologismo, quando non sono sufficientemente radicati nell’altra dimensione della lotta alla povertà.
Aiutare i poveri significa anche impegnarsi per le leggi e le politiche e non solo con interventi di sostegno e assistenza. C’è oggi un “interventismo” nella Chiesa che dimentica l’impegno ordinario e a lungo termine per la costruzione di una società secondo il progetto di Dio a vantaggio di attivismi immediati e contingenti. La prima povertà delle famiglie non è quella economica ma la divisione del divorzio provocata anche da leggi e politiche sbagliate. Poveri sono i bambini dati in adozione a coppie omosessuali. I primi poveri sono i bambini che vengono uccisi prima di nascere in modo legale e nell’indifferenza di tutti. I nuovi poveri sono anche i ragazzi ai quali la scuola non insegna il bene ma l’esaudimento dei desideri. La povertà evangelica è aperta a tutti i poveri. Il resto è ideologia.
L'ALBERO DELLA CROCE RENDE FECONDA LA NOSTRA VITA DI FRUTTI BELLI E BUONI NELL'AMORE DI CRISTO


La bellezza salverà il mondo scriveva Dostoevski. Nell’originale greco, "kalos", il termine tradotto con "buoni" riferito ai frutti, si può rendere anche, e meglio, con "belli". Gesù parla dunque di "frutti belli", opposti a quelli "cattivi". Il più bello tra i frutti è Lui, il più bello tra i figli di Adamo, eppure senza bellezza e splendore mentre offriva la la sua vita sull’albero della Croce. I "frutti belli", infatti, sono quelli che nascono dalle ferite di Cristo crocifisso, così terribili da far coprire il volto: frutti belli perché insanguinati, frutti buoni perché germinati dalla sofferenza! Frutti belli e buoni perché testimoniano la Verità: "ciò che si manifesta in Cristo è la bellezza della Verità, la bellezza stessa di Dio che ci attira e nel contempo ci procura la ferita dell’Amore, che ci fa correre, assieme alla Chiesa e nella Chiesa/Sposa, incontro all’Amore che ci chiama" (J. Ratzinger). Un profeta autentico è il "nebi'a" inviato da Dio ad annunciare la verità che, illuminando la realtà, rivela la "chiamata" e indica nel compimento della volontà di Dio il cammino sul quale "correre" per incontrare il Signore. Quando predice l'avvenire lo fa rivelandolo come conseguenza dell'accoglienza o meno della verità e della volontà di Dio. I frutti dai quali possiamo riconoscere un "falso profeta", sono, invece, quelli della "bellezza ingannevole e falsa, che abbaglia e imprigiona gli uomini in se stessa, impedendo loro di aprirsi all’estasi che indirizza verso l’alto. Una bellezza che non risveglia la nostalgia dell’indicibile, la disponibilità all’offerta, all’abbandono di sé; che alimenta invece la brama e la volontà di dominio, di possesso, di piacere" (J. Ratzinger). Sono i frutti che germinano dalla menzogna, che oscurano la verità e mostrano la volontà di Dio come una frustrazione e un male per la propria vita, un impedimento al piacere e al suo godimento: "non morirete affatto" ha detto ad Eva il demonio sotto le vesti del serpente, il padre di tutti i falsi profeti. Non a caso il frutto offerto da satana appariva bello agli occhi di Eva. Ma era avvelenato. Era pura menzogna, luce sfavillante a nascondere il veleno di morte. I "falsi profeti" sono annidati ovunque, parlano di pace e hanno dentro la guerra. La labbra unte di dolcezza, la lingua suadente e adulante, lingua di serpente, velenosa. Ipocriti, adescano le anime con discorsi giusti al momento giusto, ci parlano della giustizia che cerchiamo, ci ispirano cammini ragionevoli, sembrano dare senso alla nostra vita. "Come agnelli sono vestiti", truccati di umiltà e mitezza, infilati nella logica stringente del bene comune, dei diritti di tutti, di lotta all'ingiustizia, di ribellioni e indignazioni; solleticano la carne spianando la strada alla concupiscenza. Come quando inducono alla morte in nome della vita, all'abominio in difesa dell'amore, all'egoismo in nome dell'autodeterminazione. Sono esaltati quali campioni della società cosiddetta civile, la più incivile che vi sia, che "scarta" dalla "civitas", dalla città degli uomini, coloro che non ritiene degni. E' l'ipocrisia dei "falsi profeti" che hanno mangiato dell'albero della conoscenza del bene e del male e si illudono di essere divenuti come Dio, arbitri infallibili che stabiliscono cosa sia giusto e cosa ingiusto, il buono e il cattivo: che si arrogano il diritto di stabilire quando e come una vita sia degna d'essere vissuta, condannati a legiferare scambiando il male con il bene, per finire col gustare e far trangugiare a tutti il veleno mortale dei frutti generati dai loro pensieri corrotti. Come i nostri, che offriamo in famiglia, al lavoro, ovunque, quando crediamo al demonio e ai suoi profeti, e ci immergiamo nell'illusione di essere capaci di stabilire quale e cosa sia il buono per il coniuge, i figli, i colleghi e gli amici. Per questo abbiamo bisogno di ascoltare i "veri profeti", non una ma milioni di volte! Abbiamo bisogno di essere iniziati alla fede; non basta la messa della domenica, il mondo e i suoi falsi profeti ci annegano nelle menzogne! Abbiamo bisogno di luoghi e comunità dove i pastori e i catechisti ci annuncino il Vangelo della Verità, la Buona Notizia che smentisce le false buone notizie che il mondo ci propina; non possiamo fare a meno di momenti da difendere con i denti, nei quali spegnere le voci mondane e ascoltare i veri profeti che ci trasmettono, in tutta la sua bellezza e verità liberante, il magistero della Chiesa; è urgente che la Chiesa ci accompagni con catechesi che parlino alla nostra vita e non siano mera accademia, capaci di guidarci nel discernimento quotidiano, noi e i nostri figli. Del Vangelo abbiamo bisogno, per resistere ai fendenti del mondo che ha sostituito i peccati con i reati, costruendosi morali su misura delle concupiscenze.  E’ decisivo dunque il seme che si accoglie, e che a nostra volta seminiamo, perché poi, “un albero buono non più produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni”. E non c'è da meravigliarsi se i figli scivolano nell'accidia egoista di chi si sente il centro dell'universo: essa è il “frutto” del relativismo che abbiamo seminato in loro! “Non possono” dare frutti diversi, perché “non si raccoglie uva dalle spine o fichi dai rovi”. Per questo il Signore ci dice di "guardarci dai falsi profeti", di difenderci cioè dal nemico che attenta alla nostra anima, porgendo l'orecchio ai veri profeti, accompagnando i nostri figli ad ascoltarli, prima di ogni altro impegno! A divenirlo noi stessi alla loro sequela. La vera educazione è sempre una profezia, legge il presente e lo illumina per annunciare il futuro; l'amore sincero è sempre una profezia che incarna il dono di Cristo; una vera amicizia non nasconde mai la verità all'amico. Un vero profeta è colui che indica nella Croce la bellezza della Verità; è colui che chiama ad unirsi a Cristo per amare e donarsi attraverso la porta stretta che si presenta ogni giorno: lo studio spesso arido, il lavoro routinario e senza gratificazioni, il rapporto difficile fatto di ascolto, pazienza e perdono con il coniuge e ogni persona, la castità, l'obbedienza, la sottomissione, il non resistere al male, tutto quello che Gesù ha annunciato nel Discorso della Montagna. Per questo, un profeta vero, è capace di dire "no" anche quando un "si" appare più conveniente, e apre la porta alla discesa dello Spirito Santo, come accade sempre all'annuncio del Kerygma, la profezia delle profezie. Ogni profeta che non ami la Croce, e, come gli angeli dell'Icona in alto, non ce la indichi incessantemente parlandoci di lei, che non ce la faccia amare e abbracciare, è un "falso profeta", un "rovo di sole spine", senza frutti. Un profeta che ci annunci la Croce Gloriosa del Signore Risorto è un vero profeta, perché la Croce è il segno che Dio ha posto per discernere i veri dai falsi profeti: come accadde ad Elia, che smascherò i falsi profeti di Baal, l'annuncio del Vangelo è un fuoco che discende dal Cielo e brucia le menzogne del mondo nella fornace della Verità. Il demonio, infatti, fugge alla sua vista. Per questo ogni profezia autentica è un esorcismo che libera gli uomini. Profetizza la verità a tuo figlio, ai tuoi parrocchiani, vedrai il demonio scappare. Vai ad ascoltare con tua moglie i profeti che ti annunciano il Vangelo, vedrai il tuo matrimonio risanato. Dio ha voluto salvare il mondo solo con la stoltezza della predicazione di Cristo e Cristo crocifisso. Essa è profezia che si compie perché "taglia" e "getta nel fuoco" della misericordia ogni "albero cattivo" piantato dal demonio che in noi distende i suoi rami di malizia. Sulla Croce, infatti, l'amore ha polverizzato la menzogna che ci tiene schiavi, perché Cristo ha lasciato che le "spine" di ogni "rovo" di ideologie e mistificazioni seminato dal demonio gli trafiggessero il capo, per riconsegnare a noi una ragione libera e purificata nella verità, capace di discernere l'amore nella storia. Che la voce del Signore ci leghi come Isacco al legno della Croce, perché, innestati sul suo amore, possiamo dare un frutto che rimanga, la profezia vera che può salvare l'umanità.

lunedì 26 giugno 2017

NON GIUDICA SOLO CHI FISSA LA TRAVE SULLA QUALE CRISTO HA CANCELLATO I SUOI PECCATI


Anche questa settimana ci attende un aspro combattimento con il demonio che, tentandoci in mille modi, cercherà di strapparci alla verità per indurci a ribellarci al dio giustiziere e “senza misericordia” che, mentendoci, ci dipinge. Il pericolo, infatti, è di cadere nella trappola in cui è caduto il servo malvagio e pigro della parabola; nasconde sotto terra il talento del perdono e della vita nuova perché, ingannato, pensava male del suo padrone ritenendolo un uomo duro che miete dove non ha seminato. Come è accaduto al servo spietato di un’altra parabola che, avendo dimenticato che il padrone gli aveva condonato “tutto” il debito e non solo una parte alla maniera degli uomini, perseguita il fratello perché gli restituisca la “pagliuzza” che gli doveva. Il demonio, infatti, è appostato nei fatti e nelle relazioni per rubarci la memoria dell’amore di Dio. Ascoltiamo bene le parole di Gesù, perché ci sta dicendo proprio questo: “accorgiti della trave che hai nell’occhio”. Ma come è possibile non “accorgersi di una trave” se basta un minuscolo granello di polvere negli occhi ad infastidirci? E’ possibile perché il demonio ci anestetizza lo sguardo rubandoci dal cuore la memoria dei nostri peccati e della misericordia di Dio; così finiamo per vivere nella menzogna che avvelena ogni rapporto. Allora attenzione all’ipocrisia fratelli, l’abito che il demonio ci cuce su “misura” per affrontare ogni relazione indossando la sua menzogna. Attenzione, perché accettando di vestire una falsa immagine di noi stessi saremo pronti a infilzare nel giudizio chiunque ci capiti a tiro. Dietro ad ogni giudizio, infatti, vi è la superbia di chi ha creduto di essere dio mentre è diventato un clone del demonio, senza misericordia perché indurito nell’orgoglio che rifiuta l’immagine e la somiglianza con Dio. Chi ha dimenticato la “misura” infinita della misericordia del Padre non sa come prendere le “misure” nel rapporto con l’altro. Ha solo quelle limitatissime della vita nella carne che cerca di sfuggire alla corruzione vendendo e comprando ogni centimetro dell’esistenza. Per questo deve “giudicare” il prossimo, “Krinein” nell’originale greco, ovvero deve “separare” gli aspetti della sua persona e della sua storia setacciando senza pietà la sua esistenza. Deve “giudicare” per poterlo sedurre, possedere e gestire, in una sorta di spietata analisi di marketing, proprio come le grandi marche per intercettare e convincere i potenziali nuovi consumatori. Oppure “giudica” perché per averne ragione e difendersi ne deve scoprire le debolezze. E tu, per caso non vivi molte relazioni come un segugio in cerca di tartufi? Cioè pesando con il bilancino ogni parola, gesto, sguardo e presunto pensiero degli altri, cercando in tutto chissà quale malizia nascosta, quale ingiustizia, quale disprezzo. Chi giudica, infatti, è un nevrotico inguaribile, e spesso cade preda di una vera e propria patologia: "è tanto ossessionato da quello che vuole giudicare, da quella persona che quella pagliuzza non lo lascia dormire! ‘Ma, io voglio toglierti quella pagliuzza!" (Papa Francesco). Magari proprio in questo tempo ti stai fissando su una persona e non riesci a staccare i tuoi occhi e la tua mente da lei; ovviamente perché la stai giudicando e non sopporti più nulla, perfino il suo modo di tossire, di mangiare, di vestirsi, di educare i figli, di usare i soldi. Se ti sta accadendo, convertiti perché sei in pericolo. Il giudizio è un cancro che sbrana l’anima e genera peccati a ripetizioni. Dietro a molti peccati sessuali vi è un giudizio che cova nel cuore, ed è inutile combattere sul fronte della castità se prima non è bonificato il cuore dai giudizi. Ma non ci riesco accidenti, è impossibile non giudicare mio marito! Certo, per questo devi convertirti ogni giorno ascoltando nella Chiesa l’annuncio che ridesta la memoria dell’amore di Dio illuminando i nostri peccati. Come accadde agli abitanti di Gerusalemme che "si sentirono trafiggere il cuore" ascoltando il kerygma nel quale Pietro li aveva prima denunciati come assassini di Gesù e poi gli aveva annunciato la sua resurrezione e il perdono dei peccati. Fratelli, per accorgerci di nuovo della “trave” che è nei nostri occhi dobbiamo ascoltare la predicazione della Chiesa che ci denuncia come peccatori e che meriteremmo di essere inchiodati a quella “trave”. Ma se la fisseremo incontreremo i nostri peccati lavati dal sangue di Cristo, e saremo liberati dall’inganno del demonio. Come accadde al Popolo di Israele quando ha fissato il serpente di bronzo immagine di quelli che li stavano uccidendo. Sulla “trave” che è già piantata nei nostri occhi e che il demonio vuole impedirci di vedere è inchiodato il Signore! Le sue braccia distese su di essa rivelano la misura con la quale siamo stati giudicati per giudicare con essa ogni fratello, vagliando cioè con amore ciò che in lui non viene da Dio. Correggere è l’amore più duro, perché suppone il “reggere-con” il fratello la sua “trave”; per questo bisogna essere profondamente uniti a Cristo sulla propria “trave” perché sia la stessa sua mano a sfiorare il cuore del fratello per “togliere le pagliuzze” che gli impediscono di vedere l’amore di Dio.

sabato 24 giugno 2017

Toros Roslin. Cristo predice la sofferenza apostoli. Miniatura armena del XIII secolo

INVIATI AD ANNUNCIARE OVUNQUE LA PAROLA DELLA CROCE SVELATA NELL'INTIMITA' DELLA CHIESA PER STRAPPARE GLI UOMINI ALLA MENZOGNA


Siamo parte della famiglia di Gesù. Tutto quello che riguarda Lui riguarda anche noi. La nostra vita è legata indissolubilmente alla sua, perché siamo nati per essere conformi alla sua immagine. Il Signore è il primogenito della nuova creazione e, come Lui, in Lui e per Lui, non possiamo che suscitare sconcerto, scandalo, persecuzione. L'apparire di Gesù scatenava l'ira dei demoni, stanati nell'ombra delle loro menzogne. Allo stesso modo l'avvento della Chiesa nella parola e nella vita degli apostoli, svela le trame occulte del principe di questo mondo, perché la Verità illumina la menzogna, Così, quando in ufficio, a scuola, tra gli amici, nelle diverse relazioni, si fa presente l'avvenimento di Cristo incarnato negli apostoli, tutto quello che non gli è conforme - i nemici della croce - è come risucchiato in superficie, e, una volta smascherato, schiuma ira e calunnia, e violenza che giunge ad uccidere, pur di ricacciare nell'ombra la menzogna di un'esistenza preda dell'inganno. Quando al supermercato, all'uscita dall'asilo o spesso, purtroppo, anche a messa, appare una mamma circondata dalla nidiata dei suoi cinque, o sette, o dieci figli, è come una saetta precipitata laddove si sono posati i suoi piedi: risolini, ghigni, ironie, e insulti. In quella madre, come in ogni cristiano che incarni il vivere di Cristo, appare il Maestro, il Primogenito risorto e vivo che ha vinto la morte dell'egoismo, della paura e del pensiero del mondo; quei bambini che le fanno ressa ululante intorno sono il frutto dei "segreti" che Gesù le ha "sussurrato all'orecchio" e che lei "annuncia alla luce e predica dai tetti". La Chiesa sa che in ogni uomo è inscritto il codice genetico dell'amore, la volontà di felicità che ne ha disegnato la mappa del Dna spirituale. Quando, in quella mamma, come in ogni apostolo, lo Spirito Santo fa visibile quel codice nell'esistenza quotidiana, come un liquido di contrasto intercetta il grumo di cellule impazzite che ha attaccato il Dna per stravolgerlo e lo attacca come una massiccia dose di chemioterapia spirituale; allora si palesano gli stessi effetti di quella usata nei protocolli medici oncologici: nausea, vomito, debolezza, e l'uomo vecchio aggredito dal cancro lascia il passo, con dolore, alle cellule rinnovate. La persecuzione che si scatena contro la Chiesa è sempre dettata dall'orgoglio che induce a non arrendersi, a difendere le certezze acquisite, non importa se gravide di morte; la superbia che spinge a non abbandonarsi alla misericordia. La persecuzione, la calunnia, l'odio che gli apostoli attirano su di sé, sono il segno inequivocabile che il Regno dei Cieli è arrivato e il regno di satana ha le ore contate: è segno di debolezza. Gesù è venuto per la rovina dei demoni, e per questo, dopo di Lui, il "padrone della casa" che è immagine della Chiesa, anche "i suoi familiari", ovvero gli apostoli, saranno identificati come demoni a servizio del principe dei demoni, perché l'opera più astuta di satana è proprio quella di camuffarsi e scambiare il bene con il male, Gesù con il demonio. E' quanto abbiamo sotto gli occhi ogni giorno... 

Per questo, la missione della Chiesa è una lotta, è parte del combattimento escatologico che appare nell'Apocalisse, soprattutto al Capitolo XII. La Donna è perseguitata dal grande drago che vuole divorare il bambino appena nato, Cristo fatto carne nella Chiesa, nei suoi fratelli più piccoli. Ogni istante della loro vita, ogni aspetto della nostra esistenza è un capitolo unico e inevitabile di questa grande e cruenta battaglia. Al lavoro, a casa, a scuola, con amici e colleghi, con il fidanzato o con i parenti, ovunque e sempre ci è consegnata una tessera del mosaico che compone la volontà di Dio su ogni uomo. Per poterla deporre al suo posto è necessario che sia "esorcizzata" e tolta la tessera falsa, apparentemente somigliante, ma inautentica. E questo accade non senza pagare un prezzo spesso salatissimo: la nostra dignità, il nostro onore, l'amicizia, la stima, l'affetto. Caricarsi, con Cristo, del peccato e del male che si scatena intorno e verso di noi, è l'amore più grande, l'unico autenticamente gratuito, che libera e conduce al Regno. In questa guerra contro satana, non dobbiamo "temere" nessuno; non dobbiamo temere l'esercito nemico, i pensieri, le tentazioni e coloro che, in questo mondo, obbediscono ai suoi ordini: il demonio non ha il potere di uccidere l'anima! Non c'è peccato, per quanto grande, che possa uccidere definitivamente l'anima! Siamo invece chiamati a temere Cristo, che significa abbandonarsi fiduciosi al suo amore. Temere di perderlo, di entrare nella morte soli, senza il nostro Avvocato, nella superbia di chi bestemmia l'opera dello Spirito Santo, l'unico che, nel giudizio, potrà difenderci. E questo ogni giorno: anche oggi ci attende un giudizio, al quale giungeremo passando attraverso gli eventi che ci metteranno a morte. Non sono questi, non sono i nemici che dobbiamo temere; dobbiamo invece fuggire con paura anche solo l'ipotesi di entrare nella storia soli con la nostra superbia, di trovarci davanti al Padre nudi come Adamo, senza l'armatura di Cristo. Se così accade, stasera ci sentiremo soli e condannati, perderemo la speranza per il matrimonio, per i figli, per la nostra vita, assaporando le primizie della "Geenna" invece di quelle del Paradiso. Il santo timore sigilla in noi che "ogni capello del nostro capo è contato": siamo già cittadini del Cielo, non un secondo della nostra vita scivola dalle mani di Cristo. Nulla di quello che ci accade è fuori dalla volontà di Dio, eccetto il peccato. Vivere in questa certezza è già compiere la missione, in mezzo a un mondo che contesta l'esistenza e l'amore di Dio. Chi vive nel mistero pasquale di Cristo in ogni circostanza "lo riconosce" davanti agli uomini, così come Lui, anche quando cadiamo nel peccato, "riconosce" in noi la sua opera più forte della debolezza. "Non riconoscerlo" significa opporsi alla Grazia e rifiutare, con la storia e le persone, il suo annuncio, l'irrompere dello Spirito Santo, il suo farsi carne in noi: come potrà allora Gesù, in chi ostinatamente lo ha scacciato, "riconoscere" se stesso davanti al Padre? Temiamo dunque il Signore, abbandoniamoci alla sua fedeltà, Lui che ha "il potere" di condurci al porto sospirato della Vita eterna dove ci "riconoscerà" come suoi fratelli. 
RINATI CON CRISTO NELLA VITA NUOVA CHE, COME GIOVANNI BATTISTA, ANNUNCIA AL MONDO IL SUO AMORE

Insieme al Signore e alla Vergine Maria, Giovanni Battista è l'unico "Nato di donna" del quale la Chiesa celebra la natività. Significa che nella sua nascita vi è qualcosa che riguarda tutti noi. Giovanni, infatti, il "nome nuovo" scelto da Dio, significa "Dio fa grazia oraper una storia nuova che può cominciare ora. La tua e la mia, e quella di ciascun uomo "battezzato" nelle viscere d’amore a cui tutti aneliamo. Che cos' è la nostra vita se non una continua ricerca di misericordia? Di un amore che ci accolga nel suo grembo senza condizioni, così come siamo, che non presenti conti da pagare, per il quale non doversi acconciare? Un amore che ci faccia liberi d’essere esattamente quel che siamo. "Nessuno nella nostra parentela porta il nome" di questo amore, la carne non la prevede. I rapporti, infatti, si infrangono tutti sul limite severo della debolezza carnale. E ciascuno di noi è il frutto di una storia concreta di debolezze, come quella del Popolo di Israele, l’eletto incapace di reggere la prova della libertà. Una storia di schiavitù e liberazioni, di adulteri e perdoni, simile a una strada sconnessa e piena di buche, ma che segue un percorso certo e diritto sulle orme di una promessa: l'avvento del Messia, il Salvatore, il Figlio che compirà, con la sua carne, la Legge impossibile per la nostra carne. In questa storia, Giovanni è la soglia della speranza, l’uscio socchiuso sul compimento di ogni promessa. La sua nascita dal grembo sterile di Elisabetta, immagine di Israele sterile vigna senza frutto, ne è il segno. Tutta la storia si coagulava in quel grembo, come oggi anche la nostra giunge a questo giorno come una "contrazione" nel grembo di una madre. Tutto ciò che ha reso infeconda la nostra vita può diventare il segno dell'amore che trasforma la morte in vita. Come accadde al principio della storia con Isacco, figlio insperato di Abramo e di Sara, gli avvizziti patriarchi. Una storia di salvezza iniziata con il miracolo che ne profetizzava il compimento. Anche il nostro apparire nel mondo è stato un miracolo d'amore; ma poi, di fronte alle sofferenze, il demonio ha avuto ragione della nostra debolezza, e, ingannandoci, ci ha chiuso nel grigio dell'egoismo sterile di chi ha smesso di credere all'amore di DIo. Per strapparci alla deriva del mondo occorreva un miracolo: Giovanni, la misericordia di Dio, la sua Grazia proprio ora, quando forse tutto sembra remarci contro. Non l’abbiamo conosciuta nella carne, non v’è n’è traccia nella storia del mondo. E’ un nome nuovo, l'assoluta novità di uno sguardo posato su Cristo, il Messia capace di salvarci e far bella la nostra vita di oggi: famiglia, lavoro, amicizie, tutto rinnovato perché compiuto nell'amore. Giunge oggi Giovanni, la Parola di Dio per noi. Parla al nostro cuore e ci annuncia la buona notizia che è finita la nostra schiavitù. Ai rapporti malsani inchiodati ai compromessi, al dare e avere d’ogni nostra relazione, ai padri che vorrebbero fare dei propri figli il prolungamento di se stessi, e ai figli schiacciati dall'eredità carnale dei propri genitori, anche quella di peccato e violenza. Ecco oggi la buona notizia per le nostre storie sterili che sembrano non aver nulla di nuovo da dire, per gli anziani ormai rassegnati, per i giovani cui il mondo ha sottratto la speranza; per le coppie sedutesi sulla routine, quando il volto del marito e della moglie appaiono ormai come un soprammobile in più; ai preti e religiosi infilatisi, senza accorgersene, nell'accidia che dà spazio ai compromessi e inaridisce lo zelo; ai tanti presi al laccio dell'insoddisfazione che li schiaccia in una continua, sterile, rivendicazione di diritti; a chi non riesce più a vedere la propria vita, e quella di chi è accanto, come un prodigio. Attraverso Giovanni è annunciata oggi a ogni uomo la buona notizia: come "la mano di Dio era su di lui", sigillo della nuova ed eterna alleanza, così la mano del Padre è su di noi, per realizzare qualcosa di assolutamente nuovo, e fare, della nostra vita, una porta spalancata verso il Signore Gesù. Oggi possiamo guardare la nostra vita con occhi diversi. Dio, infatti, "ha esaltato anche in noi", come in Elisabetta, "la sua misericordia". Si è chinato sulla nostra sterilità e ne ha fatto un prodigio di fecondità. Giovanni è immagine del nostro cuore assetato d’amore, il segno dell’intimo di noi che anela a Cristo. La misericordia attesa e bramata bussa oggi al nostro cuore, Giovanni ce la offre gratuitamente a nome del Messia. Oggi si compiono "i nostri giorni del parto", e tutto di noi brilla di luce nuova: ogni istante del passato trasfigurato nel miracolo d’amore del Signore. Nulla è impossibile a Dio, non vi è sterilità che non possa essere trasformata in fecondità, nessun peccato che non possa essere perdonato. La nostra storia ci ha condotto a quest’oggi di Grazia e di gioia. Tutto in noi, ogni evento e ogni persona apparsi della nostra vita, come doni di Dio, hanno preparato l’incontro con la sua misericordia. Lasciamoci "meravigliare" di fronte all'amore di Dio, ai dettagli che lo avvicinano alle nostre giornate. Come Giovanni, "cresciamo e rafforziamoci nello Spirito", perché ci attende una missione meravigliosa, quando e come Dio vorrà, dove Lui ha già pensato: Annunciare il Messia, l’atteso delle genti. Fin dal grembo materno ci ha chiamati, oggi ce lo rivela. Siamo amati, salvati, redenti, perdonati, e la nostra vita è un vaso attraverso il quale Dio offre al mondo la sua misericordia; per questo, tutto di noi è un prodigio, il più grande, le braccia distese nella consegna di noi stessi per gli altri. Che timore, che gioia! Davvero, “che sarà mai questo bambino?”, che sarà mai la nostra vita? E quella di tuo figlio, anche se in questo tempo sembra seppellito tra grugniti e ira. Il Signore, giorno dopo giorno, ce lo rivelerà, ma sappiamo già che giungerà esattamente dove è approdata la vita di Giovanni: a divenire, nel martirio, un segno, una luce che indichi la salvezza, l'Agnello che toglie il peccato del mondo. In famiglia, al lavoro, a scuola, ovunque, questa vita concreta è un prodigio, il segno autentico ed efficace dell'amore che salva ogni "ora", che fa di ogni istante il principio di una novità che riscatta e infonde pace e felicità. Gettiamoci allora, senza paura, nell’avventura che Dio ci ha preparato.

venerdì 23 giugno 2017

Un attacco alla libertà religiosa E la Chiesa tace













di Riccardo Cascioli              23-06-2017


Radio Maria


     

A leggere i dialoghi ci sarebbe da ridere se non fosse tragico. Il processo imbastito dall’Ordine dei Giornalisti nei confronti di padre Livio Fanzaga su denuncia della senatrice Monica Cirinnà (di cui diamo conto nell’articolo di Ermes Dovico) ci riporta ai fasti dell’Unione Sovietica e della Cina maoista. Novelli inquisitori che giudicano errata l’esegesi cattolica di un brano dell’Apocalisse e pronunciano la sentenza di condanna. Da non credere. E da non sottovalutare. Anzi, è un segnale più che inquietante, che si unisce a tanti altri che stanno accadendo in questo periodo e che preparano tempi molto difficili.
Ormai la Gaystapo colpisce sistematicamente chiunque esprima un pensiero non in linea con l’ideologia omosessualista. Ma nel caso di padre Livio si è andati ben oltre, si colpisce direttamente la libertà religiosa: da oggi citare la Bibbia o ricordare a qualcuno che dovrà comparire davanti al tribunale di Dio, seppure il più tardi possibile, può costare caro. Non siamo ancora a ciò che dovette subire Giovanni Battista ma ci stiamo incamminando rapidamente su quella strada.
C’è però un dato che colpisce in questa vicenda, ovvero il profilo basso, anzi bassissimo tenuto da padre Livio. Non fosse stato per un’inchiesta di Libero – peraltro arrivata a sanzione già scontata - non ne avremmo saputo nulla.
È interessante chiedersi perché: in fondo non è solo una questione personale, una condanna del genere riguarda tutti, l’allarme va lanciato. E padre Livio non è mai stato tipo da tirarsi indietro. Perché allora questo silenzio? Azzardo un’ipotesi: Radio Maria da tempo subisce forti pressioni, dentro e fuori la Chiesa, probabilmente padre Livio sta cercando di guidare la barca a luci spente per non farsi colpire e affondare, sperando così di restare al timone fino a tempi migliori. Non è garantito.
A dare fastidio non è neanche l’emittente ma la sua azionista di maggioranza: la Madonna. Ho già avuto modo di scriverlo quando un altro trappolone gay scatenò nel novembre scorso il can can contro padre Giovanni Cavalcoli: «Radio Maria richiama non solo le apparizioni di Medjugorje, ma tutti i segni che Maria lascia nel mondo, rilancia gli appelli alla conversione, al digiuno e alla preghiera. Per quanto i toni si siano molto ammorbiditi in ossequio al nuovo corso, la radio sta lì sempre a ricordarci che Satana è scatenato, che perciò il mondo non è così amico di Cristo come lo si vuol dipingere in tanti circoli ecclesiali; ci ricorda che il nostro primo compito è cercare, mendicare la salvezza, non aggiustare ciò che nel mondo non funziona. È questo che dà veramente fastidio, così come dà fastidio il moltiplicarsi delle apparizioni della Madonna e soprattutto i messaggi: il mondo in pericolo, l’attacco sferrato contro la famiglia e la vita, l’apostasia nella Chiesa. E perciò l’appello a pregare, a convertirsi».
Il problema è che non è solo il mondo a non voler sentire, il che sarebbe anche nell’ordine delle cose. È nella Chiesa che non si vuol più sentir parlare di preghiera, conversione, penitenza, peccato, giudizio. Si ricorderà che nel caso Cavalcoli gli attacchi più velenosi contro Radio Maria vennero dal solito Alberto Melloni e addirittura dal numero 2 della Segreteria di Stato, monsignor Angelo Becciu. Un segnale chiaro.
E questa volta, davanti alla gravità per tutti i cattolici della sanzione comminata dall’Ordine dei Giornalisti, c’è stato il silenzio assoluto. Non una voce si è levata da Roma – né dalla CEI né dalla Santa Sede - a difesa della libertà religiosa. Non una presa di posizione che allertasse sul pericolo di certe sentenze che colpiscono la libertà personale. È un segnale eloquente. Da ora, chi vuole insistere nel difendere la Verità sull’uomo; chi pensa che famiglia, vita ed educazione siano davvero i princìpi fondamentali su cui costruire la società e che quindi vadano difesi fino in fondo; chi persiste nel seguire ciò che ha imparato nel Catechismo, sa che nel momento della prova sarà abbandonato – se non colpito – dai pastori che pure dovrebbero difendere il proprio gregge.