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martedì 29 dicembre 2020

 


COME SIMEONE E ANNA NELLA COMUNITA' VEDIAMO LA PAROLA FARSI CARNE PER SALVARE OGNI FRAMMENTO DELLA NOSTRA VITA E DIVENIRE SEGNO DI CONTRADDIZIONE PERCHE' IL MONDO SI DESTI E CONVERTA
Simeone, l'attesa che ascolta per vedere il Cielo. Simeone, la storia di Israele come la storia di ogni uomo racchiusa in una promessa. Simeone, orecchi e occhi sulla soglia del suo compimento. Simeone, infatti, è la traduzione di "Shime'on", nome ebraico tratto da "sh'ma", che significa ascoltare: "Shemà Israel, Ascolta Israele, il Signore è nostro Dio, il Signore è uno. Amerai il Signore Dio tuo con tutte la mente, con tutto il cuore e con tutte le forze, e il prossimo come te stesso. Fa questo e avrai la vita eterna".
Simeone, come ogni ebreo, ascoltava e pregava queste parole ogni giorno; sapeva che il compimento dello Shemà era la salvezza, ma la carne glielo rendeva impossibile. Per questo "attendeva la consolazione", qualcuno che fosse con-lui per compierlo. Lo Spirito Santo, infatti, gli aveva assicurato "che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore": non sarebbe cioè morto nei peccati per non aver obbedito allo Shemà, perché prima avrebbe visto il Messia realizzare con esso la sua "salvezza".
E così, proprio in quel giorno, lo Spirito lo muove verso il Tempio a vedere ciò che aveva ascoltato. E la salvezza non poteva essere che quel Bambino accompagnato da Giuseppe e Maria, 'anawim come lui che era "un uomo giusto e pio". Proprio quella Famiglia santa era ai suoi occhi pieni di Spirito Santo il "segno" che l'"ora" del Messia era giunt. Niente trombe e fanfare, solo e semplicemente una povera Famiglia che entrava, come "luce", nel Tempio.
Ed era giusto così: per salvare ciò che era perduto il Messia doveva essere un "segno di contraddizione", uno scandalo che "rivelasse i pensieri di molti cuori" ingannati dal demonio. Non poteva adeguarsi agli schemi e ai progetti umani. Avrebbe saziato la fame di giustizia dell'uomo della carne e non lo avrebbe guarito. Per riscattare gli orgogliosi incapaci di riconoscersi creature al cospetto dell'unico Dio, doveva diventare l'ultimo di tutti. Per perdonare l'incapacità di amare, doveva farsi servo al posto di chi non aveva voluto servire.
Si doveva fare peccato perché la "spada" della profezia di Ezechiele giungesse sulla sua carne e risparmiasse i peccatori. Eccola infatti sua Madre, il seno benedetto dove Dio si era fatto carne per offrirsi in sacrificio e salvare,, l'anima che avrebbe accolto con suo Figlio la "spada" destinata all'umanità.
Sì, quel Bambino giunto nel Tempio di Gerusalemme avrebbe portato a compimento lo Shemà nella sua Pasqua, introducendo con la sua carne crocifissa e risorta in quella stessa città l'umanità redenta nel Tempio del Cielo. Con Lui sarebbero "caduti" nella morte i peccatori per "risuscitare" in una vita nuova.
Prendendo in braccio il bambino Gesù Simeone aveva toccato l'impossibile reso possibile nella notte di Pasqua: "Così come Dio al principio creò dal nulla un mondo perfetto, così ha creato dal nulla il suo popolo. Israele non è frutto di un processo evolutivo, come avviene per tutti i popoli, ma creazione di Dio, che sfida ogni legge della natura e della storia" (Maharal, I pozzi dell'esilio).
La notte di Pasqua è stata dunque un parto prodigioso, perché vi nacque un Popolo che, secondo le leggi della natura e l'esperienza della storia, non avrebbe dovuto vedere la luce. Come Gesù, il figlio della verginità. E "ora", dopo quaranta giorni dalla sua nascita, come dopo i quarant'anni passati dal popolo neonato nel deserto, Simeone "accoglieva tra le braccia" la Pasqua compiuta.
Quel Bambino, infatti, era già la Terra Promessa a Israele come un segno della "salvezza preparata da Dio davanti a tutti i Popoli". E Simeone, abbracciando Gesù, vi stava per entrare; poteva finalmente benedire Dio come Giacobbe quando rivide il volto di Giuseppe che credeva morto a causa dei peccati dei suoi fratelli. E dire: "Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele".
Nel volto di Gesù Simeone aveva visto ciascuno di noi, salvati da quel Bambino. Accogliamolo allora "ascoltando" l'annuncio dello Spirito Santo che ci consegna la Chiesa. Potremo "vedere" anche noi compiersi la Parola, come i pastori la notte di Natale che si dissero l'un l'altro "andiamo a vedere questo avvenimento": "Letteralmente il testo greco dice: “Vediamo questa Parola, che lì è accaduta”. Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne" (Benedetto XVI).
Coraggio allora, la salvezza si può vedere. Non abbiamo più bisogno di immaginare la felicità. E' finito il tempo della manna, ora Dio lo possiamo stringere e mangiare, e saziarcene sino a diventare noi stessi pane per gli altri. Basta indurire il cuore, son passati i quarant'anni spesi a mormorare e a perdere tempo facendosi immagini di Dio strozzate nell'idolatria dei vitelli dorati che ci hanno sempre deluso.
E' giunto il tempo in cui lo Spirito Santo ci apre gli occhi sul Bambino che Maria, immagine della Chiesa, ci offre nel Tempio che è la comunità cristiana. Abbracciandolo ci sentiremo abbracciati. No, niente sentimentalismi... Dio s'è fatto carne non un cioccolatino! Si è donato a noi sulla Croce per farci sperimentare il perdono dei peccati, la "salvezza" appunto. La sua "Gloria" avvolgerà di Luce ogni nostro passo, ogni relazione, ogni evento!
La possiamo "vedere" ascoltando l'annuncio e lasciando che lo Spirito Santo ci illumini e ci faccia inginocchiare confessando i peccati per accogliere il perdono. E "vedremo" la salvezza farsi carne in noi, liberandoci dalla schiavitù ai vizi e alle menzogne, alle ipocrisie e agli idoli. Sarai sincero, spegnerai il PC e starai con tua moglie e i tuoi figli, donerai te stesso, il tuo tempo e i tuoi soldi. Sarai felice!
Perché la salvezza si "vede" stringendo quello che il peccato ci impediva di guardare. Accogliendo ciò che agli occhi della carne appare piccolo come un bambino, i fatti che ci umiliano, l'esatto contrario di quello che un cuore superbo desidera. Vuoi "vedere" la tua vita compiuta al punto di benedire Dio come Simeone nella "pace" di chi non manca di nulla e non desidera altro che il Cielo? Guarda Maria "ora", mentre ti sta consegnando la tua vita nella quale si è fatto carne Dio. E "ascolta" il suo annuncio, perché Cristo è risorto davvero, ha vinto ogni peccato che ti impedisce di amare; aspetta solo che tu l'accolga per compiere in te lo Shemà che ti farà gustare il Paradiso, oggi.

lunedì 28 dicembre 2020

 



αποφθεγμα Apoftegma

Per una specie di equivalenza
questi innocenti hanno pagato per mio figlio
Essi furono presi per lui.
Furono massacrati per lui.
Invece di lui. Al suo posto.
Erano coetanei di mio figlio,
erano simili a mio figlio.
E lui era simile a loro.

Charles Péguy


CON LA BOCCA DEI BAMBINI INERMI E INDIFESI AFFERMI LA GLORIA DEL TUO AMORE PER UMILIARE LA SUPERBIA CHE CI IMPEDISCE DI ACCOGLIERLO 


Come scriveva Peguy, i Santi Innocenti sono stati dei privilegiati: hanno offerto il sangue per Cristo prima ancora di poter parlare: “O meraviglioso dono della grazia! Quali meriti hanno avuto questi bambini per vincere in questo modo? Non parlano ancora e già confessano Cristo! Non sono ancora capaci di affrontare la lotta perché non muovono ancora le membra, e tuttavia già portano trionfanti la palma della vittoria” (Dai «Discorsi» di san Quodvultdeus ). In questo mistero, scandaloso per i più, come la sofferenza che colpisce ogni innocente, si cela la Buona Notizia che illumina la nostra storia, proprio tra le ferite incomprensibili di bambini sterminati al posto di uno solo. Brilla in questi fanciulli una Grazia simile a quella che ha colmato e resa immacolata, ancor prima d’essere concepita, la Vergine Maria. E si svela il mistero dell’elezione di ciascuno di noi, la primogenitura che ci fa appartenere a Cristo ancor prima d’essere nati: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni” (Ger. 1,). Certo, è facile sbattere contro il muro d’irragionevolezza che, a prima vista, circonda questo evento che ha bagnato di sangue i primi vagiti del Signore. Come ci scandalizza ogni avvenimento di sofferenza degli innocenti, cioè di coloro che, letteralmente, "non conoscono", non sanno cioè il perché gli accadano certe cose: i terremoti, i bambini violati e uccisi, le malattie, la guerra. Restiamo senza parole, sbigottiti, dinanzi alla furia di Erode, e ancor più, se pensiamo che tutto quel sangue ha coperto la fuga del Signore. Muti, infanti, etimologicamente senza favella, come i Santi Innocenti, capaci di esprimersi solo con grida e lacrime. E non abbiamo risposte, se non andiamo a cercarle in quel Bimbo messosi miracolosamente in salvo, grazie al martirio di tanti altri. Esule e perseguitato sin dalla nascita, Gesù scende in Egitto che, in ebraico, significa angoscia. Inizia così per Lui il lungo cammino che lo condurrà alla Croce, l’ingiustizia più grande. Occorre oggi, e ogni giorno della nostra vita, fermarsi presso la Croce, come Maria, e imparare a “custodire e meditare nel cuore” ogni avvenimento della nostra vita, perché ciascuno di essi fa parte della vita di Cristo, perché apparteniamo a Lui, sin dall’eternità: “Quando gli eventi ci avvicinano a Cristo, quando soffriamo per Cristo, è sicuramente un privilegio indicibile – qualunque sia la sofferenza, anche se sull'istante, non siamo coscienti di soffrire per lui” (Beato John Henry Newman).

E’ la Croce che illumina la storia, anche quella che ha inghiottito i Santi Innocenti: gli eventi drammatici sono soprattutto una Parola viva di Dio che come una spada discende sino al midollo dell'esistenza. La Chiesa è chiamata a mostrare Cristo per annunciarlo vivo e capace di dare senso ad ogni dolore, anche a quello più assurdo. Al dolore e alla sofferenza degli innocenti. Quel giorno che ha segnato con il sangue dei bambini di Betlemme l’inizio della via crucis di Gesù, è la data annotata in rosso sul taccuino di Dio. Quel giorno, e tutti i giorni che partoriscono dolore innocente, ci svelano il suo cuore, il suo progetto di amore per ogni uomo: per amore Gesù è disceso nell’Egitto e nella tomba di ogni uomo a compatirne angosce e sofferenze per deporvi la speranza che non delude, e liberare tutti insieme con Lui: “Dall’Egitto ho chiamato ogni mio figlio” nel Figlio che ha consegnato se stesso. Laddove la vita s'è fatta detrito sotto le onde di uno tsunami, tra le macerie dell'esistenza, nel dolore sordo degli innocenti è sceso l'amore. E questo amore ha un nome, Cristo, ed un volto, la Chiesa dei suoi fratelli più piccoli, i Santi Innocenti di ogni generazione. Essi sono morti per amore, dando compimento alla propria vita: non importa il tempo trascorso sulla terra, importa il Cielo al quale tutti siamo chiamati! E il Cielo esiste perché Cristo lo ha spalancato dinanzi a ciascun uomo, gratuitamente. Importa il destino per il quale siamo nati, la vita, qualunque essa sia, ci è data per amare, e un secondo speso senza amore è buttato; questi bambini sono una profezia per ciascuno di noi. Non importa il nostro carattere, il modo di parlare, la forma del corpo; non importano neanche i peccati, perché Dio, conoscendo tutto di noi, ci ha scelti, come questi bambini, prima ancora di essere formati nel seno materno. E’ la sua impronta in noi ad essere decisiva, e che essa si riveli in un amore che nulla difende e tutto dona, al di là di come siamo, nel perimetro spesso angusto della nostra debole carne. Tutto è santo in noi, anche i difetti, perché tutto apre il cammino a Cristo, alla salvezza e alla vita eterna. Come i santi innocenti, proprio la sofferenza che ferisce la nostra vita è il segno offerto al mondo che rivela che nella terra di nessuno della solitudine è disceso Cristo: l'Agnello senza macchia era lì quel giorno, innocente tra i suoi fratelli innocenti, la spada non lo ha risparmiato, la violenza lo ha travolto insieme a tutti, la paura non lo ha evitato. Il male che avvelena la vita di tanti giovani, che sfianca le famiglie, che asfissia il lavoro, il male banale che spegne questa generazione si è schiantato sul suo corpo crocifisso. Uno solo ha preso sul serio il male, al punto di morirci dentro. Uno solo lo ha guardato in faccia, lo ha sfidato, se ne è addossato ogni conseguenza, capro espiatorio di ogni veleno. Non vi è sofferenza che Cristo non abbia conosciuto, solitudine che non abbia sperimentato. Il mistero più grande, da quel giorno sul Golgota, ogni dolore è divenuto il dolore della stessa carne di Cristo, dolore divino, e per questo innocente. Quel giorno che solo tu conosci era la tua vita, ma era Calvario. Da quel giorno sul Golgota, ogni dolore è il dolore di Cristo, ogni tomba è il suo sepolcro. In tutti ha deposto, come un seme di vita eterna, il suo corpo benedetto. Quel corpo oggi è la Chiesa, i suoi missionari e i suoi cristiani, i piccoli innocenti perché amati e perdonati da Cristo, che Dio depone nella trama dei giorni, come un seme di speranza, tra le viscere di dol

domenica 27 dicembre 2020

 

OMELIA ALLA SANTA MESSA DEL GIORNO DI NATALE

Natale2020Palestrina, Basilica Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Venerdì 25 dicembre 2020

 

Carissimi fratelli e sorelle, Buon Natale!

 

Se la festa esteriore del Natale quest’anno pare meno luminosa, gioiosa – ed effettivamente viviamo questo Natale in condizioni inusuali … – tuttavia il Natale del Signore che oggi celebriamo deve ugualmente riempirci di gioia e di speranza.

 

In questo mondo fragile, tenebroso – e non soltanto per la pandemia o le restrizioni a cui siamo soggetti in questi giorni di festa, ma per i tanti virus che ancora circolano tra di noi quali l’egoismo, le molteplici e degradanti forme di peccato e di ingiustizia, la povertà sempre più crescente per tanti e la ricchezza concentrata in sempre meno mani potenti, la corruzione che approfitta anche di queste situazioni di fragilità mondiale … – la solennità del Natale ci dice, ancora una volta, che Dio non abbandona il suo popolo. Anzi, proprio perché lo vede fragile, viene in suo soccorso per sempre!

 

Nella prima lettura tramite il Profeta Isaia, Dio, rivolgendosi al popolo eletto che aveva abitato in Egitto come straniero ma poi, uscito dalla schiavitù egiziana aveva incontrato il popolo assiro che, senza motivo, lo aveva oppresso, deportato senza motivi, e in tutti quei giorni aveva disprezzato il nome di Dio che aveva tratto fuori dalla schiavitù il suo popolo: Israele, dice: “Eccomi”! Intervengo a tuo favore. Sappi – lo dice al popolo eletto ma attraverso il mistero del Natale lo dice anche a noi oggi – sappi che “Regna il tuo Dio” e se regna non devi avere paura. Io sono con te!

 

Dio per salvare il suo popolo oppresso – abbiamo sempre ascoltato nella prima lettura – ha snudato il suo braccio santo!

E ciò non fa tanto riferimento alla potenza e alla forza del braccio di Dio.

Ma alla sua serietà, alla sua fedeltà.

 

Quel Dio che ci ha creati e anche dopo il peccato ci vuole salvi, si dà da fare per noi proprio come per il suo popolo – si perché noi siamo il suo nuovo popolo –, si tira su le maniche, diremmo oggi, per liberarci – come liberò il popolo eletto dall’umiliazione e dall’afflizione durante la deportazione assira –, con grande energia per debellare e vincere il peccato, l’odio, l’inimicizia, l’oppressione che sono radicati nel cuore dell’uomo e purtroppo hanno intaccato e intaccano le sue radici.

 

Ebbene, Dio, non ha paura di scendere negli inferi, là dove il male dimora, per vincerlo e trascinarlo nel mistero della salvezza.

 

Dio Regna, Dio non è vinto dalle tenebre del mondo e del peccato. Lui è luce e vita!

 

Il Vangelo ce lo ripete.

È il Vangelo di Giovanni dove i fatti non sono descritti come negli altri Vangeli e quindi non troviamo il racconto della nascita di Gesù come nel Vangelo di Luca che è stato proclamato ieri sera alla Messa della Notte o stamane alla Messa dell’Aurora. L’evangelista Giovanni non ci descrive la nascita di Gesù che pure festeggiamo o l’adorazione dei pastori, con i quali anche noi andiamo davanti a Gesù, Giuseppe e Maria a Betlemme per adorare Colui che è nato per noi, ma ce ne dà il significato.

 

E il significato è questo:

il Verbo, ossia Dio, creatore dell’universo, la cui parola fu prima di tutte le cose – ricordate l’inizio della Genesi? “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1) ossia non ci furono prima il cielo e la terra ma in principio ci fu Dio. Quel Dio che fin dall’inizio non fu silenzio, assenza, lontananza dall’uomo … ma “Verbo” ossia Parola, relazione tra Padre e Figlio, intimità di amore …, vedendo il mondo allontanarsi da Lui, “si fece carne” ossia, venne ad abitare in mezzo a noi. E si fece carne, cioè assunse e condivise con l’uomo tutto ciò che dice fragilità, caducità umana, e così divenendo uomo segnato dalla sua nudità – ecco perché l’evangelista Luca, ad esempio, ci descrive Gesù nato nella povertà, deposto nella mangiatoia, avvolto in fasce … – nato nudo come ciascuno di noi, piangendo come ha pianto ciascuno di noi appena venuto al mondo, si fece carne per assumere tutto di noi compresa la sofferenza, la solitudine, la morte e anche il peccato non perché Gesù ha peccato ma perché ha amato e ama l’uomo così come è. E si fece carne per riportare l’uomo a Dio, per riaprire la strada dell’uomo verso il Cielo da cui viene, per rispondere a quella nostalgia di Dio, di incontrare Dio Padre, che l’uomo consapevolmente o inconsapevolmente porta da sempre in sé.

 

E così, per quanti lo vorranno accogliere, Dio tramite il Figlio venuto nella carne nella nostra storia ha dato, dà e darà fino alla fine dei tempi, la possibilità di divenire figli di Dio con Lui.

 

Il Vangelo di stamattina si chiude così: “Dio, nessuno lo ha mai visto; il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”. Qualche commentatore traduce questa espressione “lo ha rivelato” in questo modo: “ha aperto la strada” dando al Verbo di Dio la funzione di guida. La Parola, dunque, che era venuta da Dio per cercare Adamo e in lui tutti noi peccatori come lui, non ritorna a mani vuote. Grazie a Gesù che si è fatto uomo per noi, che celebriamo Bambino nato per noi e che soffrirà, morirà come ciascuno di noi, ma che risorgerà vincendo per tutti coloro che crederanno in Lui peccato e morte, ci viene riaperta la strada per tornare a Dio, per incontrare – se lo vorremo – il volto divino!

 

Per questo basterà osservare due condizioni: accogliere nel nostro cuore la Parola di Dio, lasciarci amare da Lui che ci ama incondizionatamente purché gli diciamo: ho bisogno del tuo amore per trovare senso al mio vivere, al mio soffrire, al mio morire.

Ma che anche non disprezziamo e giudichiamo nessun nostro fratello in umanità poiché se il Verbo si è fatto carne per tutti, noi non possiamo parlar male, maltrattare, denigrare … nessuno. Anzi, siamo chiamati oggi più che mai ad aiutarlo, a farci suoi prossimi, a proporgli con fatti e parole, “tirandoci su le maniche” dandoci da fare, quel Dio-amore che ci vuole tutti salvi, tutti in quella relazione amorosa che c’è tra il Padre e il Figlio.

 

Cari amici, questa è la grazia del Natale! Dio si dice a noi. Ma il suo “dirsi” è un “darsi” per noi. Accogliamolo e con Lui anche noi diamoci per tutti affinché tutti possano accogliere la vita e la luce che è il Figlio di Dio nato per noi a Betlemme di Giudea e tutta la terra possa vedere oggi e sempre la salvezza del nostro Dio.

 

Sì, anche oggi, in questi giorni strani, tutta la terra possa vedere che Dio non ci abbandona ma ci dona sempre e solo la Sua compagnia, la Sua salvezza! A noi accoglierla oppure no. Il mio augurio è che la accogliamo tutti, sempre e per sempre! Amen.

 

 

+ Mauro Parmeggiani

Vescovo di Tivoli e di Palestrina

mercoledì 23 dicembre 2020

 


LA SINFONIA D'AMORE CHE SCIOGLIE LA LINGUA PER RICONCILIARCI CON DIO E CON I FRATELLI
Oggi è il giorno dell'esame di coscienza, perché altrimenti anche questo Natale passerà invano. Riconosciamolo, abbiamo perduto "il primo amore" e ci siamo ammalati di "alzheimer spirituale, che è la dimenticanza della “storia della salvezza”, della storia personale con il Signore", per cui cominciamo a "dipendere completamente dal nostro presente, dalle passioni, capricci e manie" e "costruiamo intorno a noi dei muri e delle abitudini diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che abbiamo scolpito con le nostre stesse mani" (Papa Francesco). Ma risuona oggi, alle soglie di questo Natale, un nome nuovo, Giovanni, che significa Dio fa grazia ora. Giovanni, come il nostro cuore assetato d’amore. Giovanni, l’intimo di noi che anela a Cristo. Giovanni, la Parola di Dio che ci accoglie e introduce nel Natale: è finita la nostra schiavitù al peccato, matrice d'ogni dolore. La sua nascita dal seno sterile di Elisabetta ne è il segno. Attraverso Giovanni oggi possiamo guardare la nostra vita con occhi diversi: Dio "ha esaltato in noi", come in Elisabetta, "la sua misericordia". Oggi "si compiono anche per noi i giorni del parto": comincia una vita nuova! Coraggio, proprio quel tessuto sterile, ammalato e incapace di accogliere la vita che è il tuo cuore è pronto per il miracolo. I peccati preparavano il posto al perdono come la malattia l'intervento del medico. La nostra storia di cadute e umiliazioni ci ha condotto a quest’oggi di Grazia e di gioia. Da soli non ce l'abbiamo fatta ad uscire dai peccati. E quanto dolore, in noi e intorno a noi. Quanta "vergogna", e quanto disprezzo verso noi stessi e gli altri. Ma oggi "nulla è impossibile a Dio" significa che l'amore di Dio ha il potere di trasformare la morte in vita, il nostro cuore duro come pietra in un cuore di carne capace di amare e generare vita nuova in noi e attorno a noi. Accostiamoci allora al sacramento della riconciliazione, confessiamo i nostri peccati e riceviamo il perdono e lo Spirito Santo per camminare in una vita nuova. Andiamo a chiedere perdono e a perdonare chi ci è accanto. Magari quel parente che sono anni che non ci parli, forse tua moglie, tuo padre. Come Giovanni, "cresciamo e rafforziamoci nello Spirito" pregando e meditando la Parola di Dio. "Serbiamola nel cuore" per imparare a credere all'impossibile che Dio può compiere, fonte di "meraviglia" e "timore". La misericordia di Dio, infatti, non solo ci perdona, ma fa di noi creature nuove, un Nome nuovo che il mondo, i nostri parenti, nessuno conosce. Davvero, “che sarà mai questo bambino?”, che sarà mai la nostra vita? Sarà senza dubbio una stupenda e perfetta sinfonia d'amore. L'origine dei nomi delle sette note musicali infatti ha relazione proprio con Giovanni Battista. Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, ciascuno di questi termini è tratto dalla prima sillaba dei sette versi della prima strofa dell'inno liturgico “Ut queant laxis”, che fu composto in onore del Battista. Guido d'Arezzo, colui al quale dobbiamo il rigo musicale e il nome delle note in Occidente, si servì di questo inno a scopo didattico. Applicando al testo dell'Inno una nuova melodia, mise in risalto al principio di ciascun verso, la successione delle attuali note musicali, UT, RE, MI, FA, SOL, LA. La prima sillaba di ogni verso inizia salendo di tono rispetto a quella precedente, costituendo così la moderna scala ascendente.
Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Johannes.
Affinché possano cantare
con voci libere
le meraviglie delle tue gesta
i servi Tuoi,
cancella il peccato
dal loro labbro impuro,
o San Giovanni.
L’UT, divenne poi in Italia DO. La medievale UT restò invece in Francia, dove è usato ancora oggi; il SI (S J Sancte Johannes), anch'esso per influsso dell’inno a San Giovanni, venne probabilmente introdotto alla fine del Quattrocento. La nostra vita, come quella di Giovanni, è destinata dunque ad essere un'opera d'arte, un inno eterno all'amore di Dio. Ogni istante come una nota musicale a segnare l'opera divina nella nostra povera carne sterile che diviene feconda. Una scala che, passo dopo passo, ci condurrà al Cielo. Ci attende una missione meravigliosa, annunciare il Messia come Giovanni. Il Signore, giorno dopo giorno, ci rivelerà come e dove le sue note d'amore daranno Vita e gioia alla nostra vita e a quella ai quali saremo inviati.

domenica 20 dicembre 2020




 alle «Omelie sulla Madonna» di san Bernardo, abate


(Om. 4, 8-9; Opera omnia, ed. Cisterc. 4, 1966, 53-54)

​Tutto il mondo attende la risposta di Maria
   Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito Santo. L’angelo aspetta la risposta: deve fare ritorno a Dio che l’ha inviato. Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi oppressi miseramente da una sentenza di dannazione.
   Ecco che ti viene offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, saremo subito liberati. Noi tutti fummo creati nel Verbo eterno di Dio, ma ora siamo soggetti alla morte: per la tua breve risposta dobbiamo essere rinnovati e richiamati in vita.
   Te ne supplica in pianto, Vergine pia, Adamo, esule dal paradiso con la sua misera discendenza; te ne supplicano Abramo e Davide; te ne supplicano insistentemente i santi patriarchi che sono i tuoi antenati, i quali abitano anch’essi nella regione tenebrosa della morte. Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano.
   O Vergine, da’ presto la risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo, anzi, attraverso l’angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli la Parola: di’ la tua parola umana e concepisci la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna.
   Perché tardi? Perché temi? Credi all’opera del Signore, da’ il tuo assenso ad essa, accòglila. Nella tua umiltà prendi audacia, nella tua verecondia prendi coraggio. In nessun modo devi ora, nella tua semplicità verginale, dimenticare la prudenza; ma in questa sola cosa, o Vergine prudente, non devi temere la presunzione. Perché, se nel silenzio è gradita la modestia, ora è piuttosto necessaria la pietà nella parola. Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all’assenso, il grembo al Creatore. Ecco che colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti batte fuori alla porta. Non sia che, mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Lèvati su, corri, apri! Lèvati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso.
   «Eccomi», dice, «sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38).

giovedì 17 dicembre 2020

 


UNA LUNGA STORIA D'AMORE DISTESA SUI RAMI DELLA CROCE
Una lunga storia d'amore è quella di Dio con il suo popolo e con l'umanità intera: una linea retta che ha trapassato debolezze e peccati, con pazienza e sempre rinnovata misericordia. La linea tinta con il sangue di Cristo, pensato sin da quando iniziava a scorrere il sangue in Adamo, e il mio, e il tuo. Il sangue divino che è giunto, nella pienezza dei tempi, a farsi una cosa sola con il sangue umanissimo dei suoi fratelli più piccoli, quello dei peccatori. Per questo la Novena di Natale inizia con un percorso a ritroso seguendo le gocce del sangue di Cristo, colate una dopo l'altra sul selciato della storia calcato da ogni uomo. "Egli - infatti - è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè, e nell'agnello fu sgozzato. Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato. Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e, risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l'agnello che non apre bocca nato da Maria, agnella senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all'uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l'umanità dal profondo del sepolcro" (Melitone di Sardi). Iniziamo dunque la Novena scorrendo la "genealogia di Gesù", per contemplare, nel cammino del suo seme umano, l'intensità e la profondità dell'amore di Dio che non ha mai lasciato l'uomo solo con la sua superbia. Il termine usato da Matteo per definire la genealogia - ghénesis - lo incontriamo, infatti, nella Lettera di Giacomo: "(Chi non mette in pratica la parola) somiglia ad un uomo che osserva il proprio volto - alla lettera la forma del suo essere, in uno specchio -" (1 Gc. 1,23). La storia del Popolo è tutta in questa Parola: chiamato a guardare a Dio, ad abbandonarsi alla sua promessa colma d'amore fedele, ha costantemente disatteso l'ascolto e l'obbedienza e si è trovato a contemplare il proprio volto, la forma del suo essere corrotto, inconsistente, vuoto. Come ciascuno di noi: quante ore passate a contemplarci allo specchio, costretti a sbattere contro la nostra stoltezza, sperimentando quel senso d'inappagamento, di non risolto, di effimero che sbiadisce ogni istante, relazione e gesto. Ma è proprio qui che Dio ha deciso di piantare la sua tenda. In questa fila di nomi, i nostri, fin dentro le nostre storie perdute; ci è venuto a cercare nell'intreccio di caratteri difficili, peccati, complessi, disfatte e vane glorie. Per questo abbiamo bisogno, nella Novena che ci separa dal Natale, di vedere i passi che abbiamo posato nel fango accanto a quelli del Signore. E giungere così alla nostra realtà di questo tempo, e scoprire che proprio essa è la grotta di Betlemme, il destino al quale conducevano le orme del Signore. L'incarnazione di Dio significa, infatti, la pienezza dei tempi di ogni storia, il momento speciale nel quale ogni esistenza incontra la sua salvezza. E di colpo, quello che era solo abbondanza di peccati è trasformato in Grazia sovrabbondante. Cominciamo oggi il cammino che, come accadde ai pastori di Betlemme, ci condurrà alla Grotta che è il cuore della nostra vita, per contemplarvi l'amore che la riscatta: "Bisogna riconoscerlo, la genealogia carnale di Gesù è spaventosa. Pochi uomini hanno avuto forse tanti antenati criminali, e così criminali. Particolarmente così carnalmente criminali. È in parte ciò che dà al mistero dell’Incarnazione tutto il suo valore, tutta la sua profondità, un arretramento spaventoso. Tutto il suo impeto, tutto il suo carico di umanità. Di carnale. Quantomeno per una parte, e per una gran parte" (C. Peguy).
C'è Abramo nella nostra storia, la promessa che ci ha dato vita; c'è Davide, l'elezione e il peccato della concupiscenza perdonato mille volte; c'è l'esilio, quello di ogni giorno vissuto lontano da Dio e scivolato senza amore. E ci sono quei volti che ci assomigliano rammentandoci la fedeltà di Dio: Isacco, l'impossibile che Dio ha tante volte realizzato nella nostra vita; Giacobbe, l'astuzia subdola per volgere tutto a nostro favore e piegata dalla Croce di ogni giorno; Rut, la straniera e pagana bagnata dalla Grazia come noi strappati al mondo perché accolti con misericordia nella Chiesa, dove abbiamo trovato l'unico Sposo che aveva diritto di sposarci; Salomone, scelto come noi per edificare un Tempio al Signore, che ha gettato alle ortiche primogenitura e sapienza sedotto e stritolato nei tentacoli della bellezza effimera, eppure amato da Dio con pazienza e fedeltà; e i mille altri volti, sino a Giuseppe, sino a Maria, la Chiesa nostra Madre che ci ha accolti nel suo grembo di misericordia, e ci sta gestando nella Verità e nella tenerezza sino a oggi. Attraverso di Lei siamo entrati a far parte di una famiglia santa, dove non siamo "più stranieri né ospiti, ma siamo diventati concittadini dei santi e familiari di Dio" (Ef. 2,18). Dio ha compiuto la sua promessa! Non importa se l'abbiamo dimenticata, e abbiamo vissuto da straccioni pur essendo Figli di Dio. Oggi, nell'amore fatto carne, brilla lo splendore della misericordia che riscatta e santifica la nostra carne. Oggi Gesù è di nuovo generato in noi dallo Spirito Santo, perché impariamo, da Abramo e Maria, l'inizio ed il compimento della nostra storia, ad ascoltare e a obbedire alla Buona Notizia. Viene di nuovo il Salvatore, alza lo sguardo nella liturgia, porgi l'orecchio alla Parola, intensifica la preghiera, accostati ai sacramenti, alla confessione, e lascia a Cristo i tuoi passi sozzi di peccato. E vai a cercare le persone che hai cacciato fuori dalla tua "genealogia": facevano parte di te, e un giudizio, un'invidia, un rancore li ha cancellati. Ma ora hai capito, ogni persona che la volontà di Dio ha unito alla tua storia, è un'orma insostituibile del cammino di Cristo verso di te. Anche loro sono parte della grotta dove Lui ha scelto, per amore, di nascere per far rinascere.

martedì 15 dicembre 2020

 



Dalla «Imitazione di Cristo»

​(Lib. 2, capp. 2-3)

​L’uomo umile e pacifico
   
   Non fare gran caso se uno è per te o contro di te, ma preoccupati piuttosto che Dio sia con te in tutto quel che fai.
   Abbi buona coscienza e Dio saprà ben difenderti. Nessuna perversità umana potrà nuocere a colui che Dio vorrà aiutare.
   Se tu sai tacere e sopportare, sperimenterai senza dubbio l’aiuto del Signore.
   Egli conosce bene il tempo e il modo di liberarti, e perciò devi rassegnarti alla sua volontà.
   Spetta a Dio aiutare e liberare da ogni situazione difficile.
   Spesso giova assai, per meglio conservare l’umiltà, che gli altri conoscano i nostri difetti e li riprendano.
   Quando uno si umilia per i suoi difetti, placa facilmente gli altri e dà soddisfazione a coloro che gli sono ostili.
   Dio protegge e libera l’umile, lo ama e lo consola; egli si china verso l’umile, gli elargisce grazia abbondante e dopo l’umiliazione lo innalza alla gloria.
   Egli rivela all’umile i suoi segreti e dolcemente lo attrae e l’invita a sé.
   L’umile, quando ha ricevuto un’umiliazione, rimane bene in pace, perché sta fisso in Dio e non nel mondo.
   Non credere di aver fatto alcun progresso se non ti ritieni inferiore a tutti.
   Mantieni anzitutto in pace te stesso e così potrai pacificare gli altri. L’uomo operatore di pace giova più dell’uomo dotto.
   L’uomo passionale trae al male anche il bene e facilmente crede al male.
   L’uomo buono e sereno volge tutto a bene.
   Chi è veramente in pace non sospetta di nessuno; chi invece è malcontento e inquieto è agitato da molti sospetti: né lui è in pace, né lascia in pace gli altri.
   Spesso dice quel che non dovrebbe e omette quel che gli converrebbe fare. Egli bada a quel che gli altri devono fare e trascura invece quel ch’è suo dovere.
   Sii dunque zelante prima con te stesso e così potrai essere zelante anche con il tuo prossimo.
   Tu sai bene scusare e colorire le tue azioni, ma non vuoi accettare le scuse degli altri.
   Sarebbe più giusto che tu accusassi te stesso e scusassi il tuo fratello.
   Se vuoi essere sopportato, sopporta anche tu gli altri.

 



 I CORTOCIRCUITI DIVINI CHE ILLUMINANO E FOLGORANO IL PECCATO APRENDOCI LE PORTE DEL REGNO DEI CIELI

E' splendido il Vangelo di oggi, che rivela un aspetto vero e fondamentale della vita cristiana. Da un lato le false certezze di chi presume di "farcela", d'essere pronto a compiere la volontà di Dio, il pelagiano moralista che crede di poter risolvere le questioni con le sue sole forze. Dall'altro lato la fotografia di un comunissimo e realissimo "carnal mormoratore". L'allora Card. Ratzinger affermava in una Conferenza: "La Chiesa può sorgere solo là dove l'uomo accetta la sua verità, e questa verità consiste precisamente nel fatto che egli ha bisogno della grazia. Dove l'orgoglio gli preclude questa conoscenza, egli non trova la strada che porta a Gesù".
Non a caso il Signore, ancora una volta, ci presenta una parabola con due figli, per ricordarci che l'apparenza inganna. Quanti genitori, educatori e pastori si lasciano abbacinare dalla parvenza di giustizia sfoderata dai pelagiani pii. Quanto rancore, quanta menzogna si nasconde dietro agli atteggiamenti pseudo - remissivi dei nostri figli, dei giovani, e non solo. Spesso è proprio sotto la scorza più dura, come ad esempio fu quella di San Francesco Saverio, che invece si cela un cuore docile, contrito, balbettante il desiderio di obbedire. Ignazio di Loyola confidava al segretario della Compagnia Polanco: "Tra i primi compagni, l’impasto più grezzo che mi capitò di maneggiare fu il giovane Francesco Saverio".
A volte occorre guardare ai nostri figli come a dei pubblicani e a delle prostitute, e non si tratta di un'iperbole. Metterli controluce, al chiarore del Vangelo di oggi, e lasciare che si svelino le forme autentiche del loro intimo, le loro debolezze, i loro peccati. Per aiutarli, per amarli laddove si trovano. Guardarli senza sconti, per illuminare l'ipocrisia che cela la paura, e la paura travestita da arroganza. Per accompagnare, l'uno e l'altro, sul cammino della volontà di Dio, ciascuno secondo la propria natura. Disinnescare il pelagianesimo incipiente nel figlio perfettino, e sciogliere l'acido polemico che scorre nel figlio ribelle. Educare entrambi nella certezza che la Grazia supplisce e completa sempre la natura, qualunque essa sia, senza distruggerla, come al contrario vorremmo fare noi, per toglierci d'impaccio e respirare un po' di pace. Basta invece non prendere abbagli e confondere le diverse nature: per questo è necessario restare aggrappati alla Parola di Dio, e, alla sua luce, discernere momento per momento.
Ma i due figli sono anche il paradigma di ogni relazione: quante liti potrebbero essere evitate se, invece di arrestarsi ai primi moti dell'animo altrui, alle resistenze e alle mormorazioni, sapessimo guardare oltre, con gli occhi di Dio. Egli non guarda l'aspetto, punta sempre diritto al cuore; anche quello del marito quando torna nervoso e accidioso da una giornata di lavoro e trascura sua moglie; o quello della moglie, presa nelle ragnatele dei suoi pensieri, o affogata tra pannolini, capricci e crisi adolescenziali dei figli, e vomita tutto sul marito appena rientrato; anche quando il primo impatto è con un cumulo di macerie, vite distrutte, franate sotto le scosse dei peccati. Gli occhi del Padre sanno intercettare sempre la vita che si nasconde sotto i calcinacci della storia dei propri figli. Come anche l'inganno celato dietro i villini a schiera di esistenze "a posto", senza crepe e storture.
Come quelle, tutta apparenza, dei principi dei sacerdoti e degli anziani del popolo, ma non solo. E' infatti un atteggiamento diffuso e non lontano da noi, dalle nostre famiglie, dai nostri uffici, dalle file agli uffici postali, dalle nostre riunioni di condominio, dalle vie trafficate che ci conducono ai posti di lavoro o ai luoghi delle vacanze. E sembra impossibile che il nostro cuore possa cambiare, che la pietra divenga carne. Ma c'è la Grazia. Essa è come una goccia d'acqua che instancabilmente scivola su un pezzo di ferro sino a corroderlo e a frantumarlo. E' ferro il nostro cuore oppresso dalle concupiscenze, dalle passioni, dal peso d'un passato non riconciliato. Dai peccati accumulati in una vita. Ed è acqua pura e silenziosa la Grazia che nel tempo lo bagna attraverso la predicazione, la Parola di Dio, i sacramenti, le persone e i fatti che Dio manda alla nostra vita, come in un cammino di conversione che spezzetta l'uomo vecchio sino a lasciarlo cadavere nelle acque del battesimo. Siamo duri e cocciuti, ma di tutto è più forte la Grazia d'amore del Signore.

lunedì 14 dicembre 2020

 




SAN GIOVANNI DELLA CROCE

La Notte Oscura 


Spiegazione delle strofe che mostrano come l’anima debba comportarsi nel cammino spirituale per arrivare alla perfetta unione d’amore con Dio, quale è possibile raggiungere in questa vita. In queste strofe vengono, altresì, esposte le proprietà di colui che ha raggiunto tale perfezione. Tutto questo è a firma di fra Giovanni della Croce, carmelitano scalzo, autore tra l’altro delle suddette strofe. PROLOGO AL LETTORE In questo libro vengono innanzi tutto riportate le strofe che intendo esporre. In seguito verrà spiegata ogni singola strofa, posta prima del suo commento; dopo verranno spiegati i singoli versi, sempre citandoli prima. Nelle prime due strofe si descrivono gli effetti delle due purificazioni spirituali, rispettivamente della parte sensitiva e di quella spirituale dell’uomo. Nelle altre sei si illustrano i diversi e meravigliosi effetti dell’illuminazione spirituale e dell’unione d’amore con Dio. STROFE DELL’ANIMA 1. In una notte oscura, con ansie, dal mio amor tutta infiammata, oh, sorte fortunata!, uscii, né fui notata, stando la mia casa al sonno abbandonata. 2. Al buio e più sicura, per la segreta scala, travestita, oh, sorte fortunata!, al buio e ben celata, stando la mia casa al sonno abbandonata. 3. Nella gioiosa notte, in segreto, senza esser veduta, senza veder cosa, né altra luce o guida avea fuor quella che in cuor mi ardea. 4. E questa mi guidava, più sicura del sole a mezzogiorno, là dove mi aspettava chi ben io conoscea, in un luogo ove nessuno si vedea. 2 5. Notte che mi guidasti, oh, notte più dell’alba compiacente! Oh, notte che riunisti l’Amato con l’amata, amata nell’Amato trasformata! 6. Sul mio petto fiorito, che intatto sol per lui tenea serbato, là si posò addormentato ed io lo accarezzavo, e la chioma dei cedri ei ventilava. 7. La brezza d’alte cime, allor che i suoi capelli discioglievo, con la sua mano leggera il collo mio feriva e tutti i sensi mie in estasi rapiva. 8. Là giacqui, mi dimenticai, il volto sull’Amato reclinai, tutto finì e posai, lasciando ogni pensier tra i gigli perdersi obliato. Fine Inizia la spiegazione delle strofe che mostrano in qual modo l’anima debba percorrere il cammino dell’unione d’amore con Dio, spiegazione composta dal padre fra Giovanni della Croce, carmelitano scalzo. Prima di cominciare la spiegazione di queste strofe è opportuno ricordare che l’anima le recita quando è già pervenuta allo stato di perfezione, cioè all’unione d’amore con Dio. Essa ha già superato le dure e tormentate prove interiori poste lungo la via stretta che conduce alla vita eterna, di cui parla il Signore nel vangelo (Mt 7.14) e attraverso cui abitualmente essa passa per giungere alla sublime e felice unione con Dio. Poiché questa via è così stretta e così pochi sono quelli che la percorrono, come dice ancora il Signore (Mt 7,14), l’anima deve considerare una sorte davvero fortunata l’essere pervenuta per mezzo di essa alla suddetta perfezione d’amore. Ciò è quanto canta in questa prima strofa, chiamando molto appropriatamente notte oscura questa via angusta, come spiegherò più avanti nei singoli versi della strofa. L’anima, dunque, tutta contenta di essere passata per questa via stretta e di aver ottenuto tanto bene, si esprime nel modo che segue.  

 


L'AUTORITA' DELLA VERITA' CHE CI FA CRESCERE NELLA FEDE
"Vi farò anche io una domanda". Forse anche oggi non stiamo capendo quello che ci succede. Non abbiamo parole e ragioni per rispondere. Il nostro silenzio di fronte alla domanda di Gesù provoca il suo silenzio. Se sapessimo cosa rispondere, significherebbe che avremmo accettato la sua autorità. Ma Gesù rimane in silenzio perché ha capito che la domanda che poniamo, stretta tra mormorazioni, pregiudizi e rifiuti, non cerca una risposta: è una condanna previa, il segno di una decisione già presa nel cuore. Così è di tante riflessioni, spesso delle nostre preghiere. Anche se abbiamo lunghi anni di esperienze pastorali, anche se frequentiamo la Chiesa, e ascoltiamo assiduamente la Parola, ci accostiamo ai sacramenti, e siamo impegnati in mille attività. Quando giunge lo tsunami che svela la totale precarietà che ci costituisce, reagiamo come bestie ferite, mettendo in dubbio la sua autorità. L'insegnamento di Gesù aveva rotto equilibri ormai consolidati. Già, ma con quale autorità? Con quale autorità il Signore sconvolge tante volte la nostra vita, le gerarchie esistenziali così faticosamente conseguite? Come si permette? Una malattia, un problema, un imprevisto. Una delusione, un tradimento, un fallimento. Non può permettere che crolli tutto, che ci ritroviamo nudi, al buio, senza riuscire a comprendere nulla di quello che ci accade. La Parola sembra non dirci nulla, le preghiere paiono svanire nell'aria, il rapporto con gli altri è ridotto a un colabrodo. Momenti in cui non ci rimane che un senso di frustrazione, l'incapacità di appigliarci a qualcosa, un lembo di certezza, uno straccio di pace. Niente! E quel silenzio assordante del Signore... Non una parola che giustifichi il suo operare. Non una parola a spiegare perché con la moglie non va proprio, i figli non ascoltano più, al lavoro ricevo solo disprezzo, la missione non funziona secondo lo schema appreso. Perché non riesco più a pregare, e preferisco ritirarmi in me stesso; perché mi sento lontano da Dio, pur desiderandone la presenza e l'amicizia che dia calore, consolazione e certezze alla mia vita. Eppure avevamo introdotto tutti i dati giusti, avevamo studiato, ci eravamo sacrificati, ci siamo inginocchiati. Ma arriva Lui e, invece di mettere la firma in calce ai nostri sforzi, fa saltare il banco, e la matematica spirituale cui avevamo chiesto pace e sicurezza, sembra impazzita. E scopriamo che, al di là delle nostre certezze, quella roccia non era Lui. Stavamo aspettando un ideale messianico, un idolo e non il Messia. Volevamo certezze capaci di renderci immuni al dolore, estranei alla precarietà. Per questo il Signore oggi ci pone dinanzi il battesimo di Giovanni, il segno celeste di un perdono prossimo a sconvolgere il cuore e trasformare l'esistenza; e ci scopriamo incollati sulle apparenze, incapaci di discernere la traccia divina nelle parole infuocate e nelle gocce d'acqua versate dal Battista. I fatti che ci purificano, la famiglia nella quale siamo nati, la moglie, il marito, sono un dono del Cielo oppure no? La Croce che ci inchioda ogni giorno ad una debolezza che ci fa mendicanti, reca il segno dell'autorità di Dio sulla nostra vita o è un tragico equivoco di un destino manovrato dagli uomini? Non lo sappiamo. La folla di chi ha riconosciuto il dito di Dio in ogni evento, i santi, il Popolo di Dio, i fratelli ci testimoniano la natura celeste del battesimo impartito da Giovanni. Ma abbiamo paura di sbagliarci, che la loro testimonianza possa percuotere le nostre fragili certezze. Però neanche possiamo riconoscere apertamente la Verità, l'orgoglio ce lo impedisce. Testardi, ci chiudiamo nel silenzio, e spegniamo la luce, abbracciati alla sofferenza cullata dal dubbio e dal rifiuto. Ma giunge anche oggi Gesù, pieno di zelo, la gelosia di un amante che arde d'amore. E' questa l'autorità di Gesù, quella della Croce. L'autorità dell'amore infinito. Dietro ad ogni colpo inferto alle nostre traballanti sicurezze vi è l'amore indomito di Cristo che non si rassegna a vederci corrodere l'anima. Il puro amore che ci fa puri nel crogiuolo del suo zelo. Se crolla tutto nella nostra vita è perché Lui sta ricostruendo tutto sull'unica Roccia capace di resistere. E tutto è nuovo in Lui, che viene alla nostra vita con l'autorità delle sue stigmate d'amore. Non ci risponde per indurci a gettar via le domande perverse, e a lasciare che purifichi il nostro cuore malato. Sradica ogni certezza spirituale ancor prima che materiale, per condurci a cercare e desiderare Lui solo, ad entrare nella notte oscura della precarietà, della solitudine, del non sentire né provare nulla, a volte del dolore acuto dell'anima, per trovarvi l'unico rapporto che dia certezza autentica alla nostra vita, anche quando in nulla ci si può appoggiare. La notte che "l'insegnamento" del Signore ha inaugurato nella nostra vita, suo Tempio eletto, quella cantata da San Giovanni della Croce:
"Notte che mi guidasti, oh, notte più dell’alba compiacente!
Oh, notte che riunisti l’Amato con l’amata, amata nell’Amato trasformata!
Il termine ‘autorità’ infatti, deriva dal latino auctoritas, che a sua volta si rifà al verbo augere, che significa far crescere. Ecco l'autorità del Signore, la sua mano tesa con la frusta della Verità, che ci conduce nella notte, per farci crescere nell'amore autentico. Ogni autorità che non faccia crescere nell'amore di Cristo e nell'amore a Cristo è falsa, è un inganno demoniaco, una porta spalancata sull'inferno. Anche se reca l'impronta dei figli di Abramo. Per questo Giovanni Battista, predicando il suo battesimo, annuncia la totale novità che porterà il Messia: Egli farà nascere dalle pietre, dai cuori induriti, dai peccatori, i veri figli di Abramo, cuori di carne capaci di amare. Nessun certificato di appartenenza, nessuna pratica religiosa, nulla da vantare per ottenere la salvezza! Basta solo un cuore umile, contrito, sepolto nella verità e disposto ad accogliere l'amore sconvolgente di Gesù, la sua autorità volta a farlo crescere nell'abbandono fiducioso alla sua misericordia.
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"Lei non sa chi sono io. Come si permette?". Quante volte risuona tra le nostre labbra questa frase sbattuta a malo modo in faccia a qualche malcapitato. Vigile urbano, impiegato delle poste, funzionario del Comune che sia. Qualcuno su cui, comunque, far valere i nostri diritti. Quelli acquisiti dalla nostra posizione sociale, vera o presunta, o dalle nostre capacità, più presunte che vere. Siamo convinti che gli altri, in genere, non comprendono chi siamo realmente. E non ci rispettano come meriteremmo. Il sentimento di aver subito un'ingiustizia è un denominatore più che comune delle nostre esistenze. Nel fondo del cuore rimbalza la domanda su chi abbia autorità su di noi. Chi può entrare nella nostra vita e contestarne qualcosa? Chi può dirci qualcosa?
A ben vedere, probabilmente, dovremmo rispondere nessuno. Moglie, marito, genitori, figli, colleghi, amici, suocere e nuore, nessuno ha il benchè minimo diritto. Siamo noi il primo e ultimo criterio, non v'è spazio per invasioni di campo. E così avviene con Dio. Anche se indossiamo il soprabito che ancora odora di incenso e sacrestia.

domenica 13 dicembre 2020

 


LA GIOIA DI IN UN "NO"
La “gioia” alla quale la Chiesa ci invita in questa III Domenica del Tempo di Avvento, detta appunto “Gaudete” (rallegratevi), nasce da un “no”. Un no netto, deciso, senza discussioni. Il “no” di Giovanni che prepara il “sì” a Gesù. Un “no” dell’amico che accompagna lo Sposo alla Sposa, perché siano uniti in un “si” indissolubile per l’eternità.
Pensate quanto sia stato fecondo il “no” di Giovanni. E quanto, invece, siano sterili e dannosi i nostri troppi “si”. Quelli frettolosamente pronunciati di fronte a chi ci chiede “chi sei? Che cosa dici di te stesso?”. I “si” per affermare un’identità che, invece, non ci appartiene.
E’ molto interessante capire il contesto del dialogo tra i “giudei” e il Battista. Nel Vangelo di Giovanni i “giudei” normalmente non definiscono il popolo di Israele, ma i loro capi. Che, infatti, mandano “sacerdoti e leviti” a Giovanni da “Gerusalemme”, il centro religioso e del potere.
E non per una chiacchierata tra amici; non sono mossi da una sincera curiosità. Sottopongono invece Giovanni a un vero e proprio processo, come testimoniano i termini tecnici impiegati dall’evangelista. Un processo, perché? Perché fiutavano il pericolo e avevano paura.
Come tutti i potenti, veri o presunti, i capi del popolo stavano sempre sulla difensiva, caso mai qualcuno tentasse di rubargli la “cattedra di Mosè” sulla quale si erano seduti. Erano l’altra faccia di Erode, anche lui ossessionato dal prestigio e dal titolo di re.
Come il mondo nel quale viviamo, quello di cui ci scandalizziamo quando un’inchiesta sale all’onore delle cronache svelando il malaffare mafioso che si nasconde nei centri del potere. Un mondo che, per quanto ci turbi e ci indigni, non è così lontano da noi "Rallegrati" ci dice la Chiesa in questa III domenica di Avvento. Scusa, ma di che dovrei rallegrarmi? Qui va tutto a rotoli, la crisi, la famiglia, la politica. Per non parlare della mia vita: mi ero illuso di aver fatto qualcosa di buono, un nome rispettato e stimato, e invece non so più nemmeno io chi sono. Tanti sforzi per studiare, e ora, laureato, non riesco a trovare un lavoro neanche come cameriere. Tanti sacrifici per essere un buon marito e padre, e invece mia moglie mi ripete che l'ho delusa, e per i miei figli sono un soprammobile tra i tanti allineati in salotto. Una vita per gli altri, e ora che sono vecchia e ho bisogno io, nessuno che mi venga a trovare. Perfetto! Perché è proprio per questo che puoi rallegrarti! Finalmente hai scoperto quello che Giovanni Battista aveva confessato senza paura: no, non sei Dio! Non sei tu il salvatore di nessuno! Sei, siamo solo poveri peccatori, e per questo amati infinitamente da Dio. Al punto di "mandare" Giovanni a dare "voce" alla speranza, e il suo Figlio ad immergersi nella tua vita, per unirti a Lui e alla sua vittoria. Se oggi davvero puoi ripetere il "no" di Giovanni credendo per mezzo della "testimonianza" della Chiesa, allora la Luce della verità ti illuminerà e potrai aprirti alla gioia vera, che nessuno ti toglierà più. La gioia del "no" all'inganno del demonio. La gioia della libertà da noi stessi, dagli sforzi per essere all'altezza che non ci appartiene. La gioia di essere amati per amare. Coraggio, il Signore viene oggi nella tua Betania, nella comunità dove Giovanni ti sta annunciando il Vangelo, per rivestire la tua debolezza con "le vesti di salvezza". Accogli la predicazione, entra nell'acqua della penitenza accettando d'essere un peccatore senza diritti, un orgoglioso che ha fatto tutto per se stesso, anche se hai fatto intendere, a te e agli altri, che era per amore. Convertiti, e accogli il perdono dei tuoi peccati. Perché solo in esso c'è la vera gioia, quella dell'amico dello Sposo che gioisce nel vederlo unirsi alla sposa. Sei tu la sposa, lo sai? Tu fallito e solo, frustrato e irato. E oggi è il giorno delle nozze: entra con Lui nella gioia della misericordia, per divenire anche tu "voce" che prepara la venuta del Signore e attira la sua "Parola" perché si compia nella vita di chi ti è accanto. Per questo siamo nati, e non per gonfiare di ipocrisia il nostro nome. Per metterci di lato e restarci, come una mano tesa a indicare Lui, lo Sposo al centro di ogni pensiero e gesto. Come? Vivendo immersi nel suo amore, al punto di scomparire in Lui.

sabato 12 dicembre 2020

 


LA VOCE DELLA PREDICAZIONE COLMA IL SILENZIO DEL PECCATO CON L'AMORE CHE SI FA CARNE PER RICONCILIARE OGNI CARNE CON IL PADRE E CON I FRATELLI
"Perché prima" dell'avvento del Signore "deve venire Elia?". Perché, oggi, abbiamo di nuovo bisogno di Elia? Non "è venuto già" tante volte nella nostra vita? Anche domenica scorsa, forse anche ieri, e "non lo abbiamo riconosciuto; anzi, l’abbiamo trattato come abbiamo voluto". Abbiamo preferito tagliare la testa ai pastori, catechisti, educatori, genitori, fratelli, che, come fece Giovanni con Erode, ci annunciavano la verità; che cioè non era lecito l'adulterio che stavamo consumando, perché ogni peccato in fondo è un tradimento della nostra primogenitura, del rapporto sponsale con Cristo per il quale siamo rinati nel battesimo. Nei tanti nostri rifiuti però era Cristo che si offriva, ancora, per salvarci. In chi abbiamo rifiutato era Cristo che "soffriva per opera nostra". E soffriva per amore. Proprio per questo abbiamo di nuovo bisogno di Elia, oggi.
Egli, infatti, bussa ogni giorno alla nostra vita recando il volto delle persone che incontriamo e che preparano per noi l'avvento del Messia. Anche se può sembrare impossibile, eppure proprio le parole taglienti di chi ci è accanto, colpiscono il nostro cuore per ammorbidirlo e così prepararlo ad accogliere il Signore. Senza questa moglie, senza questo marito, senza questa famiglia, questo lavoro, questa malattia, senza la storia concreta che siamo chiamati a vivere non potremmo incontrare il Signore. Pensiamoci bene, perché tutto quello che ci accade incarna ogni giorno per noi le parole del Battista. Come anche Pilato che, pur non essendo profeta, invitava la folla a scegliere tra Gesù e Barabba. E scelsero Barabba, la giustizia umana, la rivendicazione dei diritti, le proprie ragioni. E "il Figlio dell'uomo ha dovuto soffrire", come coloro che non possiamo accogliere e perdonare. Così, ogni giorno, il Signore ci interpella e una voce si alza tra le pieghe dei fatti e ci scuote come una lama che penetra sin nelle giunture più profonde. "Da che parte stai? A chi appartieni?". Per questo Elia verrà e ristabilirà ogni cosa: "Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore, perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri; così che io venendo non colpisca il paese con lo sterminio" (Ml. 3,23-24). Ristabilire ogni cosa significa dunque convertire il cuore dei padri verso i figli e quello dei figli verso i padri. Ogni rinascita sorge da questa conversione-riconciliazione, perché ogni disordine è frutto del peccato consumato nell'Eden, la ribellione dei figli al Padre... La missione di Elia compiuta da Giovanni consiste in un'educazione che converta il cuore dei padri e dei figli gli uni verso gli altri, affinchè i figli apprendano ad essere uomini e i padri si fortifichino nella loro umanità.
Per accogliere il Messia è necessario che i figli siano uomini, e che lo siano pienamente! Giovanni è il pedagogo, la Legge annunciata perché formi e illumini, innanzi tutto la divisione tra padri e figli, il peccato originale, origine di tutti gli altri. Il peccato di Adamo, il peccato di Satana. Se il cuore del figlio è avverso a quello del padre non lascia spazio alla sua parola perché non può non ammette che egli abbia qualcosa da insegnargli. E' chiuso nella sua pretesa autosufficienza, nell'illusione di poter fare tutto da sé; è un cuore infantile e capriccioso. Allo stesso modo il cuore di un padre schiavo dei propri schemi, incapace di accettare e amare davvero il figlio nelle sue debolezze, stretto nella pretesa di vedere realizzati in lui i propri sogni infranti, è un cuore malato, tutto carne e niente Spirito. La missione del Precursore è quello di una voce che, nel deserto immagine dell'esistenza lontana dal paradiso e schiava del peccato, parli al cuore dei figli per convertirli a quelli dei padri e al cuore dei padri per convertirli a quello dei figli. Un rinnovato cuore a cuore nel cuore di Cristo figlio del Padre e in quello del Padre genitore del Figlio. Così entrambi, nello Spirito Santo, impareranno l'obbedienza dell'amore. Perché i cuori non si stanchino in sterili discussioni, in antagonismi e divisioni laceranti. Ogni uomo è figlio di un padre! Ogni figlio è generato nel peccato, ha bisogno di rinascere! Convertire il cuore del padre verso il figlio significa renderlo consapevole della ferita che gli ha trasmesso, perché è portatore dello stesso virus; significa schiudere gli occhi del padre sull'indigenza originale di suo figlio. Mentre convertire il cuore del figlio verso il padre significa illuminarlo sul mistero della propria libertà ferita; significa, per così dire, "scagionare" il padre dalle responsabilità circa la sua coscienza, così spesso e frettolosamente addossate al genitore. Convertire i loro cuori significa correggerne il cammino, illuminarne la fragilità, perché si pongano, non già l'uno contro l'altro in una lotta per affermarsi, bensì come mendicanti in attesa della salvezza. Elia-Giovanni viene a ristabilire ogni cosa, a fare verità sul cuore dell'uomo. Egli battezza con acqua, lava via le menzogne che rendono il cuore pesante e indurito. Prepara un Popolo ben disposto, abbassa i colli e colma le pianure, per mostrare da dove viene la salvezza, per indicare Chi è il Salvatore. Il Precursore, e con Lui ogni padre e madre, ogni insegnante, ogni apostolo, catechista, sposo e sposa, fratello, che abbia davvero a cuore le sorti dell'altro, è come un buon medico che, con lastre e analisi, fa la diagnosi esatta della malattia insinuata nel cuore. E così può indicare, prove alla mano, lo "Specialista" capace di intervenire e curare. L'Avvento è anche questa discesa al fondo della nostra storia, dove siamo stati e siamo figli, e dove siamo padri, per convertirci seriamente all'amore di Dio.

martedì 8 dicembre 2020

 



8 dicembre. Solennitá della Immacolata Concezione della Vergine Maria



 

COLMI DI GIOIA PERCHE' ACCOLTI E GESTATI NEL SENO PIENO DI GRAZIA DI NOSTRA MADRE MARIA, IMMAGINE DELLA CHIESA CHE CI RIGENERA NELLA VITA NUOVA E IMMACOLATA DEI FIGLI DI DIO
Quel giorno a Nazaret non fu tutto per caso, come non lo è oggi per noi. La Vergine Maria era stata concepita senza peccato, Immacolata Concezione, perché tutto di Lei fosse per il Signore. Da sempre, e da prima che il sempre fosse tempo. Non un secondo della sua vita fu separato dal Figlio che il suo seno avrebbe ospitato. Su di Lei il silenzio, sino a quel giorno durante "il sesto mese" della gravidanza di Elisabetta, quando è apparso Gabriele sulle soglie di una casa di Galilea ad "una ragazza di nome Maria". E' in quell'istante che le parole dell'Angelo ci rivelano tutto di Lei: "piena di Grazia", perché "il Signore era già con Maria". Maria, il vuoto pneumatico colmato in ogni centimetro dalla Grazia di Dio. Senza peccato originale, ovvero senza tutto quello che, invece, riempie il nostro cuore, la nostra mente, le nostre forze. Per questo, in Maria, ha potuto prendere dimora la carne di quel Dio che già la colmava con la sua ""charis", la Grazia che coincide con Dio stesso, essendo il suo soffio vitale, lo Spirito Santo, il suo amore. Maria è "kecharitomène", piena di Grazia, completamente colma di Dio. Non a caso il termine "charis" ha la stessa radice di "chara", gioia: essendo piena di Dio Maria è pura gioia. Quando Gabriele la saluta dicendole di "rallegrarsi", la sta, semplicemente, chiamando per nome. Come oggi chiama ciascuno di noi. Ora, in questo istante preciso, non importa se non hai ragioni per gioire. La grande notizia di questa Solennità è infatti che, essendo stati chiamati nella Chiesa, possiamo scoprire che il nostro vero nome, la nostra natura autentica è la gioia, non la tristezza. Siamo immagine e somiglianza di Dio, creati cioè per essere colmi della sua Grazia, Tempio del suo Spirito, dimora del suo amore. La menzogna del demonio ci ha fatto credere il contrario, e per questo stiamo buttando la vita nei peccati. Ma, come dice San Paolo, non è questa la verità su di noi! E' il peccato che ha preso dimora in noi al posto di Dio che ci fa pensare e fare cose che, nel fondo incontaminato del nostro essere, non vorremmo. Non siamo fatti per peccare, ma per amare! Siamo nati per gioire, non per gettare le ore nella tristezza. Perché la gioia, come la tristezza, non dipendono da ciò che ti accade. La gioia sei tu, mentre la tristezza è il peccato, ovvero quello che tu non sei! Sei un peccatore, ma è molto diverso. Pecchi e soffri perché in te ci sono spazi che Dio non può occupare; per questo non sei pienamente te stesso, e quindi non puoi gioire pienamente: assapori momenti di gioia, quando ad esempio perdoni un fratello, ma è tutto troppo intermittente, e facilmente cadi nella frustrazione, la madre di tutte le mormorazioni. In te è ancora vivo l'uomo vecchio, la caricatura del tuo essere autentico, la maschera di Dio che il demonio ti ha spinto a indossare. Feriti dal peccato, infatti, non sappiamo più rallegrarci. Abbiamo bisogno di ragioni umane per farlo. Per gioire deve accadere qualcosa, e ciascuno pensi ciò che aspetta per poterlo fare: nel matrimonio, nel rapporto con i figli, nello studio o al lavoro. Non mi riferisco solo agli aspetti prosaici dell'esistenza, penso anche a quelli spirituali. Magari per gioire abbiamo bisogno di vedere dei segni di conversione in noi e negli altri. E siccome tutto è così precario, abbiamo smesso di credere nella gioia incorruttibile, quella piena e duratura; nella migliore delle ipotesi speriamo di gustarla in Paradiso. Nel fondo del nostro cuore pensiamo ancora che per Dio vi siano cose impossibili. E sai perché? Perché, a differenza di Maria, noi "conosciamo uomo", eccome. Viviamo cioè ancora schiacciati dalla carne, incatenati a rapporti morbosi e affettivi dai quali esigiamo ragioni per esistere, e quindi gioire. Speriamo dalla terra nella quale viviamo da esuli e pellegrini quello che solo il Cielo, la nostra Patria, può darci. Per questo l'Arcangelo Gabriele, ovvero gli inviati dal Padre alla nostra vita, ci ripete oggi le parole con cui ha visitato Maria: "nulla è impossibile a Dio!". C'è una parte di noi che "non ha conosciuto uomo", l'intimo nel quale oggi, come fece il figlio prodigo, siamo chiamati a rientrare, perché è proprio lì che “lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio". Colui che nascerà in te sarà l'uomo nuovo ricreato in Cristo, e finalmente sarai autenticamente tu, immagine e somiglianza di Dio. Esistevamo, prima del tempo, immacolati nel pensiero di Dio che ci aveva scelti e amati, come Adamo ed Eva nel Paradiso.

Coraggio allora, metti in fila tutte le cose nelle quali, come i progenitori dopo aver accolto la menzogna del serpente, pensi che Dio non ce la possa fare... Tua moglie, tuo marito, quel figlio perduto, la malattia, la vecchiaia, la solitudine, il lavoro? Ebbene, proprio in mezzo a tutte queste ragioni umani di tristezza risuonano per te queste parole: "rallegrati piena di Grazia". Rallegrati oggi perché sei chiamato nella Chiesa per imparare a gioire, ovvero a vivere secondo la volontà di Dio, che è il compimento della tua vita nell'amore. "il Signore è con noi" da sempre, anche se lo abbiamo rifiutato. Ci ama infinitamente e per questo non ci ha mai abbandonati al nostro destino. Egli agisce nella nostra storia, anche attraverso i fatti che ci inducono alla tristezza, lasciandoci liberi di peccare e sperimentare il fallimento che, a poco a poco, ci svuota dei falsi ideali, dei criteri e dei progetti partoriti dall'uomo vecchio. "Rallegrati" proprio oggi dunque, e "non temere, perché hai trovato Grazia presso Dio". Te lo testimoniano proprio gli eventi e le relazioni che stanno demolendo la dimora del nemico per fare spazio alla Grazia. La Parola che la Chiesa ci predica e i sacramenti ai quali possiamo accostarci hanno infatti il potere di stanare il demonio e scacciarlo dalle zone che usurpa in noi. E così, giorno dopo giorno, con Maria che è Madre della Chiesa e Madre nostra, possiamo camminare aprendoci sempre più alla Grazia, sino a che essa prenda completamente possesso di noi. Vuoi essere te stesso? Vuoi essere tu la ragione della tua gioia? Vuoi cioè che l'amore colmi ogni centimetro della tua vita per riconsegnarti l'identità perduta, infondendo senso ad ogni suo istante e la dignità di figlio di Dio ad ogni tuo pensiero e gesto? Lasciati accogliere nel seno benedetto di Maria immergendoti nelle viscere di misericordia della Chiesa. Nell'Immacolata sua concezione c'era anche la nostra storia. Impura eppure già purificata nella compassione di Dio, colma di peccati già gravidi di misericordia. La sua Grazia giunge a noi per mezzo di Maria, che instancabilmente corre a cercare le tante Elisabetta sue parenti che la misericordia di Dio ha già visitato. Oggi non è l'anno zero fratelli, siamo tutti "al sesto mese" di un'opera che Dio ha cominciato in noi mentre eravamo sterili, incapaci di gioire perché incapaci di amare; abbiamo solo bisogno che Maria venga a visitarci, a certificare con il suo saluto che anche noi siamo "pieni di Grazia". E lo fa oggi, perché possa sussultare di gioia l'uomo nuovo che Dio ha seminato in noi. Nella stessa luce di Pasqua per la quale Maria fu preservata da ogni peccato, infatti, risplende anche la nostra vita graziata, per la cui salvezza Gesù ha dato la sua vita, gratuitamente e senza condizioni. E' questo che ci unisce a Maria, il mistero di un amore che previene il peccato in Lei proprio per perdonarlo e cancellarlo in noi.  Allora, come non dire ripetere al Signore insieme a Maria le stesse parole con le quali si è consegnata a Lui? Sì, "ecco" anche me, "sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”.