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domenica 29 luglio 2018


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IL TOCCO DI GESU' CI RICREA E MOLTIPLICA LA VITA OLTRE IL LIMITE DELLA CARNE E DELLA MORTE
Gesù, che nel Vangelo di oggi appare già risorto perché “passato all’altra riva”, anche questa Domenica “alza gli occhi” e ci “vede” mentre ci avviciniamo a Lui. Con la “gran folla”, abbiamo “visto i segni che ha compiuto” su tanti “infermi”; noi stessi abbiamo sperimentato i suoi “miracoli” nella nostra vita. Ci ha saziato mille volte, eppure la fame non ci dà tregua. Cerchiamo sicurezze, materiali e spirituali, per questo stiamo seguendo Gesù.
E il capitolo 6 del vangelo di Giovanni, “mettendoci alla prova” con il miracolo e le parole che ne seguono, ci svela il senso più profondo della Pasqua, che non è soltanto “magiare e saziarsi”, ma infinitamente di più.
San Giovanni Paolo II consegnava la sua ultima Enciclica dedicata all’Eucarestia, “fonte e apice di tutta la vita cristiana”. Con San Giovanni Paolo II nella sua ultima Enciclica dedicata all’Eucarestia, ci chiediamo se “gli Apostoli che presero parte all’Ultima Cena” avessero capito “il significato delle parole” con cui Gesù istituì il Sacramento dell’Eucarestia. Di certo non compresero immediatamente le parole sul Pane della Vita pronunciate nella sinagoga di Cafarnao. Si trattava di un Mistero troppo grande, inaudito: “come può costui darci la sua carne da mangiare?”.
Era un “discorso duro” perché inchiodava ogni uomo alla verità: senza l’unione intima e reale con Cristo nessuno ha la vita in sé. Anche se respira e fa molte cose è morto dentro.
Per questo San Giovanni Paolo II scriveva che tutte le parole di Gesù sull’Eucarestia, “si sarebbero chiarite pienamente soltanto al termine del Triduo sacro. In quei giorni”, infatti, “si inscrive il Mistero Pasquale; in essi si inscrive anche il Mistero dell’Eucarestia”. Il Mistero decisivo per la salvezza dell’umanità è “come raccolto, anticipato, e «concentrato» per sempre nel dono eucaristico”, con il quale “Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l’attualizzazione perenne del Mistero Pasquale. Con esso istituiva una misteriosa «contemporaneità» tra quel Triduum e lo scorrere di tutti i secoli”.
Ciò significa che, “nell’evento pasquale e nell’Eucaristia che lo attualizza nei secoli”, vi è “una «capienza» davvero enorme, nella quale l’intera storia è contenuta, come destinataria della grazia della redenzione”.
Compresa la storia difficile nella quale siamo chiamati vivere, con i suoi dolori, i dubbi, le ansie e i peccati. Per questo, ogni giorno, anche oggi, è “vicina la Pasqua”; Gesù “sa quello che sta per fare” per noi, estendere cioè la “capienza” della sua Pasqua perché “contenga” anche i nostri passi e le nostre cadute, e così fare di ogni nostro giorno il “destinatario” della sua salvezza. Nella nostra storia sperimentiamo innanzitutto il bisogno reale di nutrirci per poter vivere, non diverso da quello della “grande folla”.
Ognuno sa di che cosa avrebbe bisogno: un posto di lavoro, uno stipendio o una pensione migliore, la salute, una casa, una macchina nuova che questa ormai è pure pericolosa, qualche giorno di ferie.
O forse qualcosa di spirituale: un po’ di pazienza e tenerezza, l’umiltà che tenga a bada questa superbia che non riesco a frenare, la carità verso i fratelli, la purezza e la castità, la libertà negli affetti. Insomma abbiamo fame, e Gesù lo sa, perché ci “vede” affannati e stremati “venire” a Lui.
Ma, invece di prendere la bacchetta magica e saziarci con ciò di cui abbiamo bisogno, ci rivolge a bruciapelo la stessa domanda fatta quel giorno a Filippo: “Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”.
La rivolge a Filippo mettendo l’accento sui bisogni della folla, ma è “per mettere alla prova” il suo cuore, e aiutarlo a scoprire che sono gli stessi bisogni che ha anche lui. Ed è una domanda rivolta oggi alla Chiesa, ai pastori e a ogni cristiano, agli sposi e ai genitori, perché imparino a riconoscere i propri bisogni in quelli del mondo.
Solo così potremo sperimentare in noi stessi la “contemporaneità” e il potere del Mistero Pasquale del Signore che siamo chiamati ad annunciare al mondo e a chi ci è accanto. Solo così non ci crederemo diversi e migliori, “già ipocritamente sazi”…
Gesù, infatti, non può operare nulla se prima non illumina il nostro cuore. Non a caso il Signore usa le parole “dove” e “comprare”, perfette per fotografare il nostro cuore. Tutti cerchiamo luoghi che non esistono dove crediamo di poter comprare ciò di cui abbiamo bisogno.
Per questo sballiamo i conti, e ci ritroviamo impotenti di fronte ai fatti della storia nei quali più forte si fa sentire la fame. Filippo siamo tutti noi, spesso incapaci di guardare oltre, con il cuore appesantito dalla ragione imprigionata dall’unica evidenza che balza immediatamente agli occhi: “duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”.
Matematica imperfetta perché incapace di contemplare l’infinito che abbraccia e dà senso a ogni numero. Anche se qualcosa abbiamo – “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci” – come Andrea non pensiamo che sia sufficiente: “ma che cos’è questo per tanta gente?”.
Siamo abituati ad altri schemi, seduti ogni giorno nel consiglio di amministrazione che governa famiglia e affetti, lavoro e scuola, amicizie e relazioni. Ma nonostante i nostri libri contabili, le previsioni di bilancio saltano sempre e ci ritroviamo incapaci di sfamare una moltitudine, fosse anche solo di due persone, coniuge e un figlio.
E allora precipitiamo nella frustrazione, che genera silenzi, nervosismo, ira e rancori. Ingannati dal demonio che si nasconde nell’educazione e nella cultura, crediamo ciecamente nelle nostre possibilità e in quelle altrui; ma, una volta sperimentati i limiti, cominciamo a disprezzarci e a disprezzare.
Invece, i “cinque pani e i due pesci” sono molto più di quello che le mani sono capaci di afferrare. Sono la debolezza e la povertà che la “capienza” infinita del Mistero Pasquale di Cristo vuole accogliere e fare sue per moltiplicarle nella sovrabbondanza d’amore che esso rivela.
La creazione stessa obbedisce a precise formule matematiche, ma i numeri che la definiscono non sorgono dal nulla, da un big-bang riproducibile in laboratorio. Vi è un’evidenza nascosta eppure intuibile, il segreto tracciato di numeri che non hanno fine perché il loro stesso principio è puro mistero. Un computer, un telefono, una pila, tutto ci parla d’infinito. Ma non solo.
Anche le persone che ci molestano e non accettiamo, anche questo giorno, con le solite cose da fare, il letto d’ospedale che non sopporti più, o la fila alla posta per due spiccioli di pensione. Anche te stesso con i tuoi limiti e contraddizioni.
Tutto ci parla dell’infinito in cui si vorrebbe tuffare il nostro cuore per saziarsi; della vita che non ha limiti dove riposare e sentirsi pienamente accettati e amati così come siamo. E l’infinito a cui aneliamo si svela pienamente nel miracolo compiuto dal Signore.
Il Messia atteso è Dio fattosi prossimo, l’origine d’ogni vita. E’ lui l’infinito che, raccogliendo tra le mani quel “cinque” e quel “due”, nel breve istante d’una Parola benedicente, li riconduce alla pienezza originaria, allo splendore del compimento, deponendoli nella successione che li lega all’infinito.
Quei due numeri che, a una prima e piatta visione, non dicono altro che un contenuto definito, circoscritto e tragicamente limitato, nelle mani e nelle parole di Gesù, scavalcano il limite imposto dalla ragione carnale e acquistano il loro significato autentico. Sono numeri, segni di una realtà ben visibile, eppure aperta, misteriosamente, all’infinito.
“Cinque pani e due pesci” sfamano e saziano una gran moltitudine, e avanzano per sfamare e saziare ancora, da quel pomeriggio sulle rive del Lago di Galilea sino a questo nostro giorno, sino alla fine del mondo, e più in là, sino all’eternità.
Così è di ogni numero che descrive e sembra limitare le nostre esistenze, la storia stessa del mondo. L’età, lo stipendio e il conto in banca, l’altezza e il peso, la forza, i metri cubi delle nostre case, gli anni d’una amicizia, di un amore, le distanze, i progetti, le mura che ci stringono e sembrano frustrarci e tenerci schiavi, e la chimica dei sentimenti, degli umori, delle speranze e delle delusioni, i valori alterati che sbucano dalle analisi, le parole che ci diciamo per contraddirle in un minuto, il carattere e i difetti, perfino i peccati!
Ogni numero che fa di noi quello che siamo, la matematica che, fredda, sembra sospingere le nostre storie verso destini ineluttabili, attende invece una mano e una Parola, quelle dell’Autore di ogni matematica e di ogni scienza, l’Architetto di ogni vita.
“Attualizzando il Mistero Pasquale” che ha distrutto il limite della morte che gravava sulla storia, le mani di Gesù creano e ricreano liberando ogni centimetro della nostra vita, dei nostri pensieri e dei nostri gesti, dalla prigione del peccato che li soffocava nell’egoismo e nell’orgoglio.
Quelle mani e quelle parole che hanno compiuto il Miracolo che profetizzava la Pasqua, si fanno prossime a ciascuno di noi attraverso le mani e le parole dei suoi Apostoli. E’ la Chiesa che, da duemila anni, si piega sull’umanità, ne riconosce, nascosto, il seme divino impresso dal Creatore, e, per la Parola e il Sacramento, lo riconduce allo splendore del compimento.
Ogni istante, ogni numero della nostra vita, anche quelli negativi, grigi, che sembra ci stiano schiacciando, non sono altro che i segni d’una porta dischiusa nell’attesa della Chiesa che, annunciando e celebrando il Mistero Pasquale del Signore, prende la nostra vita per moltiplicarla nell’amore che sa andare oltre la paura e la sofferenza.
Ogni grumo dell’esistenza è gravido d’eterno. Ma solo l’incontro esistenziale, concreto, autentico con il Signore rende possibile quello che tutti speriamo.
Cosa posso fare allora per vedere trasformata in pienezza questa mia fame, il desiderio che mio figlio guarisca e la speranza di compiere comunque la volontà di Dio? Cosa fare perché le mie incoerenze, i difetti, le cadute siano trasfigurate e non mi schiaccino più, e possano diventare invece occasioni e strumenti per dare da mangiare a chi mi è accanto? Tranquillo, non devi fare nulla di speciale, solo obbedire. Come gli apostoli che hanno consegnato a Cristo quel poco che, senza di Lui, non è nulla “per sfamare tanta gente”.
E obbedire alla Chiesa che vede sotto i tuoi piedi “la molta erba” immagine dei pascoli preparati da Dio per noi nella nostra storia, nei nostri “luoghi”. Ascoltare e fare come ci dice la Chiesa, dunque, e “sederci” laddove ci troviamo, perché Dio lo ha già preparato come un giardino dove pregustare le delizie del Paradiso.
Ma dai, dovrei sedermi invece di darmi da fare? Sì, obbedisci e “siediti”, perché se non sperimenti che Cristo può moltiplicare quello che sei, non vedrai la tua vita compiuta; se non sperimenti che la Vita che sfama e sazia non si “compra” in nessun “dove” ma è Lui stesso che si dona a noi, resterai schiacciato nelle tue meschinità.
Solo consegnandoti totalmente a Cristo e umiliandoti rinnegando te stesso, infatti, vedrai moltiplicata in te la vita di Cristo che si fa carne della carne, sangue del tuo sangue.
Allora potrai “dare da mangiare” a chi ti è accanto, amando nell’amore che ti nutre e sazia: potrai perdonare e non resistere al male, offrire l’altra guancia del tuo onore e rispettare tua moglie senza esigere che ti sazi con il suo corpo; saprai donarti perché è così che Cristo ha salvato te, e se il suo amore invade il tuo essere, esso ti catapulterà verso l’altro senza neanche accorgertene.
Perché solo “chi perde la sua vita la ritroverà” moltiplicata, solo chi sfama gli altri con la sua vita sperimenterà cosa significa la pienezza, la gioia, l’autentica sazietà!
Così la Chiesa, e tutti noi in essa, saprà donare se stessa annunciando credibilmente il Vangelo, i genitori sapranno trasmettere la fede ai loro figli, facendo “sedere” tutti alla mensa imbandita da Cristo, dove offrire, in ogni circostanza, il poco, pochissimo che tutti abbiamo alle sue mani. Tuo marito è superficiale, arido, assiduo a poltrona, pantofole e televisione?
Bene, prendi su di te questa sua attitudine allo svicolamento dalle responsabilità e consegnala a Cristo, la vedrai moltiplicata in uno zelo mai visto… Tuo figlio è pigro, incapace di studiare e concentrarsi? Bene, prendi su di te questa debolezza e dalla a Cristo, l’unico capace di tirare fuori da ciascuno il meglio, ovvero il seme di vita eterna seminato dal Padre.
Guarda che il miracolo è tutto qui: forse tuo marito sarà ogni giorno propenso a sdraiarsi sul divano, come tuo figlio incapace di star fermo dieci minuti, esattamente come quei cinque pani sono restati tra le mani di Gesù quello che erano; il Vangelo, infatti, a proposito dei pezzi avanzati dice che “li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo”, segno che Gesù ha continuato a “distribuire” i frammenti dai pani originari. Non ha prima moltiplicato e poi distribuito, ma ha continuato a tenere tra le mani gli stessi cinque pani che gli erano stati dati.
Così, come il pane e il vino dell’eucarestia trasformati in corpo e sangue di Cristo, restano, alla vista, quello che sono, Gesù prende, tocca e benedice quello che siamo, compresi i difetti e i limiti, per farne un cibo capace di sfamare e avanzare per una moltitudine immensa, ovvero tutte le persone che incontreremo durante la vita.
Dio non ci cambia magicamente, ma, lasciandoci deboli e poveri, ci colma del suo Spirito. Così anche una malattia, un problema, un dolore, un fallimento, un peccato, toccato da Cristo, si trasforma in una “Eucarestia”, una porta spalancata sulla gratitudine per il prossimo che non vede nulla per cui lodare Dio.
Questa è la Pasqua che si fa “contemporanea” dell’umanità, che accoglie nel passaggio di Cristo ogni uomo. Questa è la Pasqua che accende la luce dell’amore sino alla fine nel mondo avvolto nelle tenebre dell’infelicità perché i suoi calcoli, pur da premio Nobel, quando si tratta di amare davvero sballano sempre.
Il “segno” che svela il Profeta al mondo, infatti, che annuncia agli uomini “il Messia inviato da Dio”, è la Vita moltiplicata e capace di saziare, offerta gratuitamente all’umanità. Il “segno” del Profeta è la Chiesa, “sacramento di salvezza” come l’Eucarestia: povera, debole, bisognosa di penitenza e conversione, eppure ricca della ricchezza che nessun altro nel mondo possiede: la Parola – i “cinque pani”, immagine dei cinque libri della Torah – e il potere di Dio nella carne del suo Figlio – i “due pesci”, immagine delle due nature del Signore.
Il “segno” dato al mondo sono i “Dodici” apostoli colmi del suo amore come i “dodici canestri” che hanno “raccolto” la sovrabbondanza della Grazia, inviati a sfamare e molto di più, a saziare la vita di ogni uomo. Il “segno” sei tu, con la tua vita, la tua famiglia e la tua storia di oggi, raggiunta dalla “capienza” dell’amore di Dio.
Sfamati e saziati siamo chiamati a donare a tutti la sovrabbondanza del suo amore che colmato la nostra vita: il tempo e le parole, i gesti e il denaro, gli sguardi e le lacrime, le sofferenze e le gioie, ogni secondo che ci è dato, tutto è “raccolto perché nulla vada perduto”; nulla della nostra vita è insignificante, perché tutto è, tra le mani di Gesù, una “benedizione” per chi ci è accanto.
Ma perché ciò si compia e l’opera di Dio non si trasformi nell’ennesima preda del demonio, della vanagloria e della superbia, abbiamo bisogno di “ritirarci” con Gesù da “soli Lui sulla montagna”, ovvero crocifissi con Lui nella storia. Abbiamo bisogno della sua intimità che possiamo sperimentare nella nostra comunità cristiana, nella preghiera e nell’offerta continua di ogni nostro secondo a Lui.
E’ qui il cuore segreto della nostra vita, da dove nasce la nostra missione: uniti indissolubilmente a Cristo e nascosti in Lui, morti al mondo e alle sue tentazioni, perché chi ci è accanto veda sempre in noi l’opera di Dio e non resti ingannato, credendo che l’amore vero è possibile comprarlo in qualche dove.

sabato 28 luglio 2018

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Satana voleva impedirgli di celebrare la Messa e diede fuoco alla sua camera da letto

Il Santo Curato d’Ars nacque in Francia nel 1786. Era un grande predicatore, compiva molte mortificazioni ed è stato un uomo di preghiera e carità. Aveva un dono speciale per la Confessione. Per questo le persone accorrevano da ogni luogo per confessarsi con lui e ascoltare i suoi santi consigli. Per via del suo fecondo lavoro pastorale è stato nominato Patrono dei Sacerdoti. Ha anche combattuto contro il Maligno in varie occasioni, a volte anche non solo a livello spirituale.
In un’occasione, mentre si preparava a celebrare la Messa, un uomo gli disse che la sua camera da letto stava andando a fuoco. Quale fu la sua risposta? “Quel villano d’un grappino! Non ha potuto prendere l’uccello, e così brucia la gabbia”. Consegnò la chiave a chi andava ad aiutare a estinguere il fuoco. Sapeva che Satana voleva impedirgli di celebrare la Messa e non glielo permise.
Dio premiò la sua perseveranza di fronte alle prove con un potere straordinario che gli permetteva di espellere i demoni dalle persone possedute.
La sua fiducia in Dio e la sua fede inamovibile ci offrono varie lezioni che possono aiutarci anche nelle nostre lotte quotidiane su questa terra. Sì, il male esiste, ma Dio è più potente. “Chi è come Dio?”
Ecco alcuni insegnamenti che ci offre il Curato d’Ars nella lotta contro il demonio:
1. Non immaginate che esista un luogo sulla terra in cui possiamo fuggire dalla lotta contro il demonio. Se abbiamo la grazia di Dio, che non ci viene mai negata, possiamo sempre trionfare.
2. Come il buon soldato non ha paura della battaglia, così il buon cristiano non deve aver paura della tentazione. Tutti i soldati sono validi nell’accampamento, ma è sul campo di battaglia che si vede la differenza tra coraggiosi e codardi..
3. Il demonio tenta solamente le anime che vogliono uscire dal peccato e quelle che sono in stato di grazia. Le altre già gli appartengono, non ha bisogno di tentarle.
4. Una santa si lamentò con Gesù dopo una tentazione, chiedendogli: “Dov’eri, mio adorabile Gesù, durante quell’orribile tempesta?”, al che Egli le rispose: “Stavo in mezzo al tuo cuore, incantato al vederti lottare”.
5. Un cristiano dev’essere sempre pronto al combattimento. Come in tempo di guerra, ha sempre sentinelle qui e lì per vedere se il nemico si avvicina. Allo stesso modo, dobbiamo stare attenti per vedere se il nemico non ci sta preparando delle trappole, e se viene a coglierci di sorpresa.
6. Tre cose sono assolutamente necessarie contro la tentazione: la preghiera, per chiarirci; i sacramenti, per rafforzarci; la vigilanza, per preservarci.
7. Con i nostri istinti la lotta è raramente da pari a pari: o sono i nostri istinti a governarci o siamo noi a governare i nostri istinti. Quanto è triste lasciarsi trascinare dagli istinti! Un cristiano è un nobile, e come un grande signore deve comandare sui suoi vassalli.
8. Il nostro angelo custode è sempre al nostro fianco, con la penna in mano, per scrivere le nostre vittorie. Dobbiamo dire ogni mattina: “Forza, anima mia, lavoriamo per guadagnarci il Cielo”.
9. Il demonio lascia tranquilli i cattivi cristiani; nessuno si preoccupa di loro, ma contro quelli che fanno il bene suscita mille calunnie, mille offese.
10. Il Segno della Croce è temuto dal demonio perché è attraverso la Croce che fuggiamo da lui. Bisogna fare il Segno della Croce con grande rispetto. Iniziamo dalla testa: è l’aspetto principale, la creazione, il Padre; poi il cuore: l’amore, la vita, la redenzione, il Figlio; infine le spalle: la forza, lo Spirito Santo. Tutto ci ricorda la Croce. Noi stessi siamo fatti a forma di Croce.


Una Chiesa insicura non genera speranza

Come diceva Chesterton: «Non abbiamo bisogno di una religione che sia nel giusto quando nel giusto siamo anche noi. Ciò che ci occorre è una religione che sia nel giusto anche quando noi siamo nell'errore».



In questi giorni sto rileggendo un libretto di K.G.C. intitolato “La Chiesa Cattolica e la conversione”, in una vecchia edizione della Morcelliana, nel quale l’autore descrive le ragioni della sua definitiva conversione al cattolicesimo. Caratteristica del genio è quella di parlare e scrivere anche per il futuro: ed infatti, quanto ho letto appare ancora attualissimo rispetto alla situazione del cattolicesimo di oggi (come appare attualissimo il giudizio che 60 anni fa dava don Giussani circa la situazione del cristianesimo).

Nella parte finale del suo libro, G.K.C. così scriveva: “La Chiesa cattolica è la sola capace di salvare l’uomo dallo stato di schiavitù in cui si troverebbe se fosse soltanto il figlio del suo tempo. L’ho posta a confronto con le religioni nuove, ed è esattamente qui dove essa differisce dalle nuove religioni: queste sono, sotto molti riguardi, adatte alle nuove condizioni, ma sono adatte soltanto a queste. Una volta che tali condizioni, entro un secolo o due, siano mutate, i punti sui quali esse unicamente insistono avranno perduto ogni importanza. Se la fede ha tutta la freschezza di una religione nuova, essa possiede anche la ricchezza di una religione antica, e specialmente ne contiene le riserve. Sotto questo riguardo, la sua antichità è di per sé un grande vantaggio, e specialmente grande allo scopo di rinnovellare e mantenere giovani”.

E più avanti annota: “La Chiesa cattolica ha il corso dei secoli a sua disposizione, e può far avanzare un’epoca a sostegno di un’altra. Per aggiustare l’equilibrio del mondo nuovo può mettere in azione l’antico. E’ vero che le religioni nuove sono adatte al mondo nuovo, e questo è il loro difetto più grave….Non abbiamo bisogno di una religione che sia nel giusto quando nel giusto siamo anche noi. Ciò che ci occorre è una religione che sia nel giusto anche quando noi siamo nell'errore”.

Mi scuso per questa lunga citazione, ma essa mi sembrava necessaria per capire fino in fondo il pericolo che stiamo vivendo (ogni epoca espone i cristiani ad un pericolo, nei confronti del quale occorre testimonianza e giudizio). Vedo molti laici, preti, vescovi e cardinali cattolici (questi ultimi soprattutto del nord Europa), che mi sembrano ossessionati dalla preoccupazione, espressa in buona fede, di rendere appetibile la Chiesa agli appetiti del momento, mentre la Chiesa rimane appetibile proprio perché è una roccia su cui ogni piede, in ogni epoca, può posarsi con sicurezza.

Una Chiesa insicura non può generare speranza. Sinceramente, devo dire che che l’atteggiamento appena descritto mi sembra patetico, anche se munito di buone intenzioni. Il problema non è quello di annacquare la grande tradizione per cercare di renderla più comprensibile all’uomo di oggi. Ancora una volta, il problema è educativo, nel senso che consiste nello spiegare le ragioni di questa tradizione. A me, allora lontano dalla Chiesa, mi è capitato di avere un incontro con una persona e con una comunità che, con parole a me comprensibili, mi hanno buttato in una esperienza nuova e mi hanno spiegato la grandezza della storia della Chiesa. Oggi vedo molti cattolici preoccupati solo di sottolineare i supposti errori storici della Chiesa, piuttosto che spiegare la saggezza eterna di una esperienza che è strana, perché è insieme umana e divina.

Sono un povero laico battezzato e convertito, ma oso dire che i cardinali tedeschi dovrebbero spiegare il significato delle parole di Gesù e della Chiesa circa il matrimonio e la famiglia, piuttosto che confondere il popolo per rendersi simpatici ai pochi fedeli divorziati che vorrebbero accedere alla comunione (spiegando magari il significato profondo della stessa parola “comunione”). Se spiegata con convinzione questa grande tradizione, la Chiesa tornerebbe ad essere più appetibile e più comprensibile. Invece, annacquando la tradizione, le chiese si stanno svuotando, come capita in misura clamorosa proprio in Germania (e non solo).

Insomma, i cattolici devono tornare ad avere il coraggio di testimoniare e affermare con carità il giusto, anche quando l’uomo ateo di oggi approfondisce il proprio errore.

Personalmente, sarò grato fino alla morte a chi, di fronte alle mie obiezioni, ebbe il coraggio di non annacquare la verità e la storia della Chiesa, ma di farmi capire come la Chiesa fosse nel giusto: la sguardo a questa certezza ha provocato (aiutato dallo Spirito) la mia conversione, perché mi ha fatto capire che le mode per le quali ero “lontano” erano fatue. Ed infatti, dopo 60 anni non ci sono più (anche se ce ne sono altre, a cui non inchinarsi).

giovedì 26 luglio 2018

Joseph Paelicnk, Sacra Famiglia con i Santi Gioacchino ed Anna
Joseph Paelicnk, Sacra Famiglia con i Santi Gioacchino ed Anna

IL SILENZIO DEI VANGELI CANONICI

Paradossalmente delle due figure così importanti nella storia della salvezza non vi è alcuna traccia nei Vangeli canonici. Di loro viene trattato ampiamente nel Protovangelo di S. Giacomo, un vangelo apocrifo del II secolo. Le elaborazioni posteriori di tale documento aggiunsero via via altri particolari, che soltanto la devozione andava dettando. Anna era una israelita della tribù di Giuda, figlia del sacerdote betlemita Mathan, con discendenza quindi dalla stirpe davidica.
Il “Protovangelo di san Giacomo” narra che Gioacchino, sposo di Anna, era un uomo pio e molto ricco e abitava vicino Gerusalemme, nei pressi della fonte Piscina Probatica; un giorno mentre stava portando le sue abbondanti offerte al Tempio come faceva ogni anno, il gran sacerdote Ruben lo fermò dicendogli: “Tu non hai il diritto di farlo per primo, perché non hai generato prole”. Gioacchino ed Anna erano sposi che si amavano veramente, ma non avevano figli e ormai data l’età non ne avrebbero più avuti; secondo la mentalità ebraica del tempo, il gran sacerdote scorgeva la maledizione divina su di loro, per il fatto di essere sterili.
L’anziano ricco pastore, per l’amore che portava alla sua sposa, non voleva trovarsi un’altra donna per avere un figlio; pertanto addolorato dalle parole del gran sacerdote si recò nell’archivio delle dodici tribù di Israele per verificare se quel che diceva Ruben fosse vero e una volta constatato che tutti gli uomini pii ed osservanti avevano avuto figli, sconvolto non ebbe il coraggio di tornare a casa e si ritirò in una sua terra di montagna e per quaranta giorni e quaranta notti supplicò l’aiuto di Dio fra lacrime, preghiere e digiuni. Anche Anna soffriva per questa sterilità, a ciò si aggiunse la sofferenza per questa ‘fuga’ del marito; quindi si mise in intensa preghiera chiedendo a Dio di esaudire la loro implorazione di avere un figlio. Durante la preghiera le apparve un angelo che le annunciò: “Anna, Anna, il Signore ha ascoltato la tua preghiera e tu concepirai e partorirai e si parlerà della tua prole in tutto il mondo”. Così avvenne e dopo alcuni mesi Anna partorì. Il “Protovangelo di san Giacomo” conclude: «Trascorsi i giorni necessari si purificò, diede la poppa alla bimba chiamandola Maria, ossia “prediletta del Signore”».

L’INCONTRO ALLA PORTA AUREA

L’iconografia orientale mette in risalto rendendolo celebre, l’incontro alla porta della città, di Anna e Gioacchino che ritorna dalla montagna, noto come “l’incontro alla porta aurea” di Gerusalemme; aurea perché dorata, di cui tuttavia non ci sono notizie storiche. I pii genitori, grati a Dio del dono ricevuto, crebbero con amore la piccola Maria, che a tre anni fu condotta al Tempio di Gerusalemme, per essere consacrata al servizio del tempio stesso, secondo la promessa fatta da entrambi, quando implorarono la grazia di un figlio. Dopo i tre anni Gioacchino non compare più nei testi, mentre invece Anna viene ancora menzionata in altri vangeli apocrifi successivi, che dicono visse fino all’età di ottanta anni, inoltre si dice che Anna rimasta vedova si sposò altre due volte, avendo due figli la cui progenie è considerata, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, come la “Santa Parentela” di Gesù.
Santi Gioacchino ed Anna con la Vergine Maria, icona bizantina
Santi Gioacchino ed Anna con la Vergine Maria, icona bizantina

IL CULTO

Il culto di Gioacchino e di Anna si diffuse prima in Oriente e poi in Occidente (anche a seguito delle numerose reliquie portate dalle Crociate); la prima manifestazione del culto in Oriente, risale al tempo di Giustiniano, che fece costruire nel 550 circa a Costantinopoli una chiesa in onore di s. Anna. L’affermazione del culto in Occidente fu graduale e più tarda nel tempo, la sua immagine si trova già tra i mosaici dell’arco trionfale di S. Maria Maggiore (sec. V) e tra gli affreschi di S. Maria Antiqua (sec. VII); ma il suo culto cominciò verso il X secolo a Napoli e poi man mano estendendosi in altre località, fino a raggiungere la massima diffusione nel XV secolo, al punto che papa Gregorio XIII (1502-1585), decise nel 1584 di inserire la celebrazione di s. Anna nel Messale Romano, estendendola a tutta la Chiesa; ma il suo culto fu più intenso nei Paesi dell’Europa Settentrionale anche grazie al libro di Giovanni Trithemius “Tractatus de laudibus sanctissimae Annae” (Magonza, 1494).
Gioacchino fu lasciato discretamente in disparte per lunghi secoli e poi inserito nelle celebrazioni in data diversa; Anna il 25 luglio dai Greci in Oriente e il 26 luglio dai Latini in Occidente, Gioacchino dal 1584 venne ricordato prima il 20 marzo, poi nel 1788 alla domenica dell’ottava dell’Assunta, nel 1913 si stabilì il 16 agosto, fino a ricongiungersi nel nuovo calendario liturgico, alla sua consorte il 26 luglio.

PROTETTRICE DELLA PARTORIENTI

La madre della Vergine, è titolare di svariati patronati quasi tutti legati a Maria; poiché portò nel suo grembo la speranza del mondo, il suo mantello è verde, per questo in Bretagna dove le sono devotissimi, è invocata per la raccolta del fieno; poiché custodì Maria come gioiello in uno scrigno, è patrona di orefici e bottai; protegge i minatori, falegnami, carpentieri, ebanisti e tornitori. Perché insegnò alla Vergine a pulire la casa, a cucire, tessere, è patrona dei fabbricanti di scope, dei tessitori, dei sarti, fabbricanti e commercianti di tele per la casa e biancheria. È soprattutto patrona delle madri di famiglia, delle vedove ed è invocata nei parti difficili e contro la sterilità coniugale. Le partorienti a lei si rivolgono per ottenere da Dio tre grandi favori: un parto felice, un figlio sano e latte sufficiente per poterlo allevare

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MEMORIA DEI SANTI GIOACCHINO E ANNA.IL PAPA : I “NONNI” DI GESU’ ESEMPIO DI UNITA’ E AMORE FRA LE GENERAZIONI. LUGLIO 2009

Sono i genitori della Vergine, Gioacchino e Anna, i Santi che oggi la Chiesa universale ricorda e celebra. Negli anni scorsi, in occasione di questa ricorrenza o di alcune udienze dedicate al tema della famiglia, Benedetto XVI si è soffermato volentieri a considerare l’“altro” ruolo rivestito da Gioacchino e Anna: quello di “nonni” di Gesù.



Un tema al quale il Papa ha sempre unito la riflessione sul modo in cui le famiglie contemporanee vivono la presenza dei nonni all’interno del proprio nucleo. Il servizio di Alessandro De Carolis:

La domanda non sarà originale, ma anche al cristiano più distratto sarà capitato almeno una volta di chiedersi pensando ai Santi Gioacchino e Anna: cosa avrà voluto dire essere il papà e la mamma di Maria e il nonno e la nonna di Gesù? Tra le tante, certamente è possibile ricavare una certezza: l’amore che univa i componenti di quella specialissima casa è un’icona cui guardare per capire cosa sia la bellezza dei legami familiari in un tempo in cui – ha affermato qualche anno fa il Papa – “relativismo dilagante” e “nuovi modelli di famiglia” “hanno indebolito” i valori fondamentali di quello tradizionale e reso quindi più fragile il ruolo dei nonni:

“Oggi, l’evoluzione economica e sociale ha portato profonde trasformazioni nella vita delle famiglie. Gli anziani, tra cui molti nonni, si sono trovati in una sorta di ‘zona di parcheggio’: alcuni si accorgono di essere un peso in famiglia e preferiscono vivere soli o in case di riposo, con tutte le conseguenze che queste scelte comportano”. (Discorso alla plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, 5 aprile 2008)

Una denuncia, quella di Benedetto XVI, che non ha perso niente di attualità, anzi. L’emarginazione per gli anziani è una storia vecchia che diventa nuova cronaca ogni anno, specie d’estate. E dunque, richiede qualcuno che non lo dimentichi ed esiga il rispetto per chi non ha più molte forze per chiederlo da sé, talvolta neanche ai propri parenti:

“Ritornino i nonni ad essere presenza viva nella famiglia, nella Chiesa e nella società. Per quanto riguarda la famiglia, i nonni continuino ad essere testimoni di unità, di valori fondati sulla fedeltà ad un unico amore che genera la fede e la gioia di vivere”. (Discorso alla plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, 5 aprile 2008)

Ma c’è ancora un aspetto, osserva il Papa, che la festa dei Santi Gioacchino e Anna pone sotto i riflettori:

“Questa ricorrenza fa pensare al tema dell’educazione, che ha un posto tanto importante nella pastorale della Chiesa. In particolare, ci invita a pregare per i nonni, che nella famiglia sono i depositari e spesso i testimoni dei valori fondamentali della vita. Il compito educativo dei nonni è sempre molto importante, e ancora di più lo diventa quando, per diverse ragioni, i genitori non sono in grado di assicurare un’adeguata presenza accanto ai figli, nell’età della crescita. Affido alla protezione di Sant’Anna e San Gioacchino tutti i nonni del mondo, indirizzando ad essi una speciale benedizione”. (Angelus, 26 luglio 2009)


ACCOLTI NEL MISTERO D'AMORE CHE CI FA FIGLI NEI QUALI RISPLENDE IL VOLTO DEL PADRE PER OGNI UOMO
Dio ci ama, ed è l'unico a renderci beati, felici. Perché? Perché lo possiamo "ascoltare" e "vedere" compiute le sue parole. Nella Chiesa, infatti, il cuore e la mente sono illuminati dallo Spirito Santo che Dio effonde nei nostri cuori aprendoli all'ascolto e al discernimento. Le Parabole, immagini dipinte dalla Parola del Signore perché siano svelati i pensieri di molti cuori, ci sono spiegate nell'intimità alla quale ci ha chiamati la sua imperscrutabile volontà. Strappati alla menzogna, siamo oggi, per Grazia, nella cerchia dei suoi amici. E questa è la vita, meravigliosa e beata, che ci è offerta come un anticipo di quello che sarà il Cielo. Anche noi eravamo meritevoli d'ira, come tutti. Eppure la sua misericordia ci ha aperto gli occhi, perché l'opera che Lui compie in noi ogni giorno, sia essa stessa una parabola per il mondo. La Parola che convoca e crea, in ogni luogo e in ogni momento, la sua Chiesa, facendo crescere in essa i suoi eletti, sino alla statura adulta della fede; così, essi diventano i compagni dell'Agnello, crocifissi con Lui per la salvezza d'ogni uomo. E' questa l'unica nostra beatitudine, seguirlo ovunque vada, stretti nella sua intimitàEssere cioè sacramento di salvezza per ogni uomo, una parabola vivente che indica il Mistero del suo amore intrecciato alla nostra vita. "Il termine «mistero» (gr. mystérion , lat. mysterium ) può assumere accezioni assai diverse a seconda del contesto e dell'orizzonte culturale nel quale viene usato. In prima istanza, però, esso appartiene alla fenomenologia della religione perché è un termine legato al discorso sul “divino”. Il vocabolo "mistero" proviene assai probabilmente dal verbo greco myein (chiudere, fermare), al quale risultano ancora collegati, in alcune lingue moderne, termini come «miope» o «muto». Vi si esprime dunque l'idea di chiusura, ma secondariamente anche quella di limite e di confine. Allo stesso campo semantico appartiene l'aggettivo «mistico» (mystikós), che indicherebbe «ciò che appartiene al mistero». Il termine latino "sacramentum" traduce spesso il greco mystérion, ma indica preferibilmente l'aspetto rituale legato al rapporto con il sacro o anche l'impegno giuridico che ne deriva.... L'ebraismo, e successivamente il cristianesimo, parlano di un orizzonte a noi precluso e accessibile a Dio solo, di una sfera divina che trascende quella umana; nelle diverse religioni esistono sacerdoti, riti e sacramenti, come anche una sapienza che non si può acquistare senza ascesi e purificazione. Ma proprio nella tradizione religiosa giudaico-cristiana la nozione di mistero assume un carattere specifico: essa trova il suo principale luogo ermeneutico nel concetto di «Rivelazione». Edificata sui pilastri della creazione e dell'alleanza, si rende disponibile all'umanità una storia di salvezza nella quale il Dio di Israele è soggetto di una rivelazione gratuita del mistero. Egli non solo svela il mistero della sua volontà, ma comunica agli uomini anche il mistero della sua vita personale, vita trinitaria. Ancor più, è Dio in persona a comunicarsi all'uomo nell'incarnazione del Figlio, rivelatore perfetto del Padre, mistero dell'amore del Padre per il mondo, cui seguirà l'effusione ed il dono stabile dello Spirito Santo. Nella logica della rivelazione cristiana, l'uomo non ha più bisogno di congetturare o di carpire ciò che la divinità tiene nascosto, perché è proprio Dio a prendere l'iniziativa e a farsi avantiNella rivelazione biblica il mistero non rappresenta più l'orizzonte del nascondersi di Dio, ma piuttosto l'ambito ricchissimo della sua comunicazione e del suo rivolgersi all'uomo: il mistero cessa di essere qualcosa di sottratto alla conoscenza per divenire qualcosa di offerto" (cfr. Documentazione interdisciplinare di scienza e fede). 


Il "Mistero", la volontà di Dio nascosta persino agli angeli, a poco a poco rivelata lungo il cammino della Storia della Salvezza, è finalmente svelato dal Signore ai più piccoli della terra, ai "pitocchi", secondo la giusta traduzione dell'originale greco. Il Mistero è confidato ai suoi intimi, agli ultimi della terra, ai poveri in Spirito, gli anawin che nulla hanno se non il Signore. “Proprio questi sono i figli, i signori, gli dei: gli schiavi, i prigionieri, i disprezzati, i crocifissi… Questi, unti con l’unguento estratto dal legno della vita, Gesù Cristo, e dalla pianta celeste, sono resi idonei a raggiungere il culmine della perfezione, del Regno e dell’adozione; infatti quelli che sono intimi del Re del Cielo, e ancorati alla fiducia dell’Onnipotente, entrano fin da questo mondo nel suo palazzo… e neppure si meravigliano come di cosa insolita e nuova di essere chiamati a regnare con Cristo, grazie allo Spirito che li colma di fiducia. E in che modo? Perché, mentre ancora vivono sulla terra, sono posseduti da quella soavità e dolcezza, da quella forza che è propria dello Spirito. Poiché già prima hanno potuto conoscere i misteri della Grazia… Noi infatti, pur vivendo ancora sulla terra, abbiamo in Cielo la nostra cittadinanza, vivendo secondo il nostro uomo interiore come se già fossimo nell’eternità” (Da un’antica Omelia del IV secolo). La rivelazione dei misteri del Regno dischiude già ora, qui, nella nostra vita concreta, le porte del Cielo: conoscere i segreti di Dio significa dimorare in essi come in una fortezza inespugnabile, tra le onde avverse della carne e del mondoPer questo le "parabole" si fanno carne negli “intimi” di Gesù, sono decodificate nel segreto delle stanze più remote, le nostre comunità che celebrano la Parola e i sacramenti nella comunione soprannaturale dell'amore di Dio, per essere annunciate dai tetti, sul posto di lavoro, nella scuola, al mercato, ovunque. "Non vi è nulla di nascosto che non sarà rivelato", dice il Signore. Ma lo sarà attraverso la vita concreta e reale dei suoi piccoli, suo corpo benedetto gestato e dato alla luce in ogni generazione. Gli istanti più banali sono allora un riflesso del Cielo, una parabola fatta vita: lavoro, stress e dolore, matrimonio e figli, vecchiaia e malattia, tutto rivela la Vita che vince la morte nella morte dei piccoli di Gesù. Come, nel corso della Storia, è accaduto ai tanti poveri innalzati come Maria sino al trono della Maestà divina. San Francesco, Santa Teresina di Lisieux e tanti altri. Il "Mistero" li ha abbracciati, conquistati, legati a sé, sino a farne i suoi ambasciatori: il "Mistero" della Croce, ovvero l'albero che spalanca il Cielo e giunge sino al cuore di Dio, al pensiero di Cristo. I crocifissi con Lui sono i suoi amici ai quali non nasconde nulla. Anche quando non spiega nulla alla ragione: ma lo rivela nella profondità del cuore, e lo muove a compiere la volontà di Dio che nessuno può accettare, in un atto d'amore che solo l'amore ricevuto può realizzareStretti tra le sue braccia, inchiodati allo stesso legno, nella conoscenza vera e profonda del suo amore, siamo chiamati a vivere amando Cristo, e tanto basta, sazia e rende felici. Perché i piani di pace e di gioia eterne concepiti nel cuore di Dio, i misteri del Regno dei cieli, che sussistono per ogni generazione (cfr. Sal. 33, 11), i suoi piani che non sono i nostri, sono scolpiti in noi per condurci alla Vita vera ed eterna. SI tratta della "esah" di Dio, quella volontà misteriosa alla quale Dio conduce Giobbe, qualcosa che è intraducibile nei nostri lessici occidentali, un progetto d'amore pensato e calibrato nei particolari, e che si incarna in una storia concreta, la nostra. Quella passata, quella presente, quella futura. E' il prodigio del Dio fedele in ogni sua opera, ovvero il "beth essentiae", "un modo semitico per esprimere l'essenza profonda su cui poggia una realtà: l'agire di Dio è radicato stabilmente nel suo amore verso la creatura, e nella sua rettitudine che non conosce deviazioni e inganni" (G. Ravasi). Il mistero del suo amore dunque, preparato ogni giorno per noi nella storia che ci attende, è il "Mistero" svelato sulla Croce, essenza profonda, pilastro dell'Universo. Il mondo non lo conosce: guardate, non ha parole, se non il solito sdegno, la solita indignazione, e farsi di circostanza, e proclami effimeri. E' beato, invece, chiunque abbia in sé la Sapienza della Croce, la chiave che dischiude al mistero di Dio, e quindi al mistero della storia. Solo su di essa è preparata la beatitudine, l'amore infinito di Dio. Che il Signore, anche oggi, ci leghi come Isacco alla Croce preparata per noi, per sperimentare sul monte che Dio provvede; l'agnello immolato che ci ha salvato la vita, Cristo crocifisso e risorto nelle relazioni e le situazioni della nostra vita, svelerà così a ogni persona che ci è accanto, il mistero di pace e di gioia nascosto nella Croce.


Stai con me, e io inizierò a risplendere come tu risplendi,
a risplendere fino ad essere luce per gli altri.
La luce, o Gesù, verrà tutta da te:
nulla sarà merito mio.
Sarai tu a risplendere, attraverso di me, sugli altri.
Fa' che io ti lodi così nel modo che tu più gradisci,
risplendendo sopra tutti coloro
che sono intorno a me.
Dà luce a loro e dà luce a me;
illumina loro insieme a me, attraverso di me.
Insegnami a diffondere la tua lode,la tua verità, la tua volontà.

John Henry Newman