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venerdì 27 aprile 2018

L' IMMAGINE MIRACOLOSA DELLA MADONNA DISCESA DAL CIELO

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Nel corso dei secoli è stata fonte di innumerevoli miracoli


In una paese vicino Roma c’era una chiesa in onore di Nostra Signora del Buon Consiglio che aveva bisogno di urgenti riparazioni. Gli abitanti non avevano il denaro sufficiente a restaurarla, e quindi aspettavano e pregavano che accadesse un miracolo.

Poi, secondo una leggenda popolare, il 25 aprile 1467, prima di una Messa in onore di San Marco, la gente del paese testimoniò un fatto straordinario. Sentì una musica melodiosa venire dall’alto, e quando guardò in su vide una nuvola bianca luminosa. La nube scese lentamente e alla fine si poggiò sul muro di una cappella laterale della chiesa.

La nube iniziò a svanire, e al suo posto rimase un’immagine miracolosa della Madonna. Quasi immediatamente i malati vennero guariti. Da allora l’immagine e la devozione nei confronti di Nostra Signora del Buon Consiglio hanno ottenuto innumerevoli guarigioni.

Sì l’immagine scese dal cielo, il dipinto è autentico ed è stato trasportato miracolosamente da una chiesa dell’Albania. Dopo numerose sconfitte militari, si temeva che la chiesa venisse distrutta e la preziosa immagine profanata. Due uomini testimoniarono allora come l’immagine della Madonna si fosse sollevata dal muro della chiesa volando in cielo. La seguirono e alla fine arrivarono a Roma, dove la videro scomparire.

Dopo un’inchiesta, venne scoperto che l’immagine dell’Albania era quella che era scesa nella chiesa di Nostra Signora del Buon Consiglio.

Qualunque siano le vere origini dell’immagine, è una delle preferite dai cristiani di tutto il mondo, e continuano a verificarsi molti miracoli attraverso l’intercessione della Beata Vergine Maria sotto il titolo di Nostra Signora del Buon Consiglio.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

tratto da  https://it.aleteia.org/2018/04/26/immagine-miracolosa-della-madonna-discesa-dal-cielo/

di   Philip Kosloski | Apr 26, 2018


Il vescovo nega l'assistenza spirituale ad Alfie
L'arcivescovo Malcolm McMahon

L’arcivescovo di Liverpool va a Roma a rassicurare il Papa sulla bravura dei medici dell’Alder Hey Hospital e sulla correttezza dei giudici britannici che hanno condannato a morte Alfie Evans; e nel frattempo fa scacciare padre Gabriele Brusco dall’ospedale, lasciando Tom e Kate senza alcuna assistenza spirituale e testimonianza concreta di una vicinanza umana. 

Neanche il più critico osservatore della Chiesa inglese (e non solo) avrebbe mai potuto immaginare uno scandalo del genere. L’immagine cara a papa Francesco del “pastore con l’odore delle pecore” mutata in “pastore che si macchia del sangue delle pecore”.

Al titolare cattolico dell’arcidiocesi di Liverpool, Malcom McMahon, in tutti questi mesi gli impegni pastorali hanno impedito di percorrere quei 7 chilometri che separano la sua residenza dall’Alder Hey Hospital; in compenso martedì sera ha trovato il tempo per andare a Roma per poter partecipare mercoledì all’udienza generale con papa Francesco, cui è seguito un breve incontro privato. Al Papa, monsignor McMahon ha così potuto ripetere quel mucchio di menzogne che va propagando da quando il caso di Alfie ha conquistato un’attenzione internazionale tale da non poter più fare finta di nulla.

Basterebbe rileggersi la nota dei vescovi di Inghilterra e Galles diffusa nel pomeriggio del 18 aprile, poche ore dopo l’udienza privata che il Papa ha concesso a Thomas Evans, il papà di Alfie. Ecco un estratto:

«Affermiamo la nostra convinzione che tutti coloro che hanno preso le decisioni strazianti che riguardano la cura di Alfie Evans agiscono con integrità e per il bene di Alfie, così come loro lo vedono.
La professionalità e la cura per bambini seriamente malati dimostrata all’Alder Hey Hospital deve essere riconosciuta e affermata. Sappiamo che le critiche pubbliche recentemente pubblicate sul loro lavoro non sono fondate così come l’attenzione della nostra cappellania per lo staff, e davvero offerta alla famiglia, è stata fornita in maniera consistente».

Come si vede, la prima parte ricalca l’inaccettabile posizione più volte espressa anche da monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita (clicca qui), che non a caso ha buoni rapporti con l’episcopato inglese.

Quanto al resto è evidente che McMahon ha sempre volutamente ignorato Alfie e i suoi genitori, e non solo lui (basti il racconto della settimana a Liverpool della nostra Benedetta Frigerio, clicca qui). Nel report dell’arcidiocesi di Liverpool sul caso Alfie Evans, pubblicato il 13 aprile 2018 a firma del portavoce della diocesi Peter Heneghan, si afferma che il vescovo ausiliare Tom Williams «ha offerto sostegno ai medici e allo staff». Quanto ad Alfie, «egli non ha incontrato i suoi genitori che – a quanto si sa – non sono cattolici».

Davvero curioso per chi si è costantemente prodigato per Alfie non sapere neanche che il bambino è battezzato cattolico come suo padre. Chissà come mai tutta la preoccupazione pastorale è per i sanitari (saranno tutti cattolici?) e niente per i pazienti. Dopo l’incontro con il Pontefice, al settimanale inglese The Tablet mons. McMahon ha riferito di aver espresso a papa Francesco quanto «i cattolici di Liverpool hanno il cuore spezzato per Alfie e i suoi genitori e continuano a offrire appoggio e preghiere».

Qualche cattolico può darsi, certamente non il loro vescovo. Il quale vescovo, mentre brigava per andare a raccontare al Papa quanto sono bravi i medici e giusti i giudici, esercitava pressioni insostenibili per cacciare dall'ospedale padre Gabriele Brusco, che dal 16 aprile è al capezzale di Alfie. Cosa che alla fine gli è riuscita oggi, grazie al sostegno combinato del cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, diocesi in cui padre Brusco attualmente risiede.

Prima che McMahon si recasse a Roma, l'ausiliare di Liverpool monsignor Williams aveva convocato padre Gabriele nel suo ufficio: anticamera di 45 minuti e poi un'ora di confronto sul significato della sua presenza all’Alder Hey che – ricordiamolo – aveva solo lo scopo di sostenere la famiglia di Alfie stante l’indisponibilità di un qualsiasi prete cattolico locale.
Il colloquio non deve essere stato particolarmente amichevole, visti gli sviluppi. Certamente qualche sanitario non ha gradito il richiamo di padre Gabriele al diritto-dovere dell’obiezione di coscienza che ha fatto al personale incaricato di staccare la ventilazione ad Alfie. Del resto per chi sta uccidendo, il richiamo alla coscienza è intollerabile, e magari se ne deve essere lamentato con l’arcivescovo.

Comunque, dopo il colloquio padre Gabriele è restato al suo posto, al fianco di Tom, Kate e Alfie, sapendo anche di contare sul tacito sostegno della Segreteria di Stato (dopo l’intervento del Papa). Ma dopo la visita di ieri a Roma di McMahon deve aver cominciato a vacillare anche l’appoggio vaticano, e nello stesso tempo il cardinale Nichols – che, attraverso il suo ausiliare mons. Sherrington, aveva già inviato una mail a padre Gabriele – lo ha fatto richiamare a Londra, dal parroco dove da qualche tempo presta servizio. Visto il livello morale e spirituale dei personaggi coinvolti, non ci stupiremmo se a breve scoprissimo un padre Gabriele costretto ad abbandonare l’Inghilterra e trovarsi un’altra terra di missione. Ovviamente l'arcivescovo di Liverpool ha detto che l'assistenza spirituale verrà garantita dal cappellano, ma qualcuno è davvero disposto a credere a chi non fa altro che dire menzogne?

Alla fine comunque resta il fatto vergognoso di un arcivescovo cattolico che, in combutta con il cardinale primate d’Inghilterra, toglie anche il conforto spirituale e umano ai genitori di Alfie, dopo che medici e giudici hanno già tolto al piccolo bambino il diritto alla vita e ai suoi genitori la libertà di movimento. Una vergogna per tutta la Chiesa cattolica inglese, la cui tradizione ricca di martiri non merita successori tanto indegni.

E comunque ce ne è abbastanza per chiedersi che strani intrecci e interessi ci siano tra vescovi inglesi e l’establishment rappresentato dalla casta dei medici e dei giudici.

La società che ha condannato a morte Alfie ha vita breve



Nel caso del piccolo Alfie, Il giudizio morale da darsi e il corretto comportamento da assumere erano chiari e privi di incertezze. Perciò è allarmante che non siano stati seguiti. La società che ha condannato a morte Alfie ha vita breve, bisogna continuare a preparare il futuro.
Il giudice Hayden
Nelle vicende accadute al piccolo Alfie Evans, che tutti seguono con grande apprensione e partecipazione, colpisce e preoccupa il fatto che i comportamenti corretti da assumere fossero molto chiari e che, nonostante ciò, ci si sia accaniti a non metterli in atto. In questo caso il giudizio morale si imponeva senza molti margini di discrezionalità: la vita del bambino doveva essere salvata e tutti gli interessati, familiari e personale sanitario, avrebbero dovuto aiutarlo a vivere, pur nella estrema precarietà della sua situazione clinica.

Certo, la situazione era ed è complessa, per il convergere di tante situazioni di tensione emotiva, di pena e di umana compassione. Mal dal punto di vista del giudizio morale non era e non è complessa, in quanto si dà il dovere di aiutare a vivere. Né gli interventi medici nei suoi confronti erano qualificabili come accanimento terapeutico.

A maggior ragione, quindi, stupisce e preoccupa l’atteggiamento di non tenere conto di queste elementari considerazioni di buon senso etico e di costruire degli artificiosi e contradditori paradigmi morali secondo i quali il “bene” del bambino avrebbe dovuto consistere nella sospensione della ventilazione, ossia nella sua morte. Come provocare la morte possa essere fatto in vista del “bene” di un bimbo innocente rimane una contraddizione logica ed etica difficile da spiegare.
C’è poi un altro elemento in questa triste vicenda che risulta molto chiaro al buon senso naturale, vale a dire che lo Stato, nemmeno tramite le sue magistrature come sono i giudici nei tribunali, può sostituirsi al diritto naturale. La sentenza che ha ordinato la morte di Alfie tramite un atto eutanasico non ha rispettato il diritto naturale almeno in due punti: ha decretato la morte di un innocente, cosa che la coscienza di tutti i popoli ha sempre condannato come immorale, e ha sottratto il bambino alla potestà dei genitori, affidandolo allo Stato che, in qualche modo, è diventato “padrone” del piccolo. Si tratta di due aspetti molto preoccupanti, che gettano una luce torva sul futuro di noi tutti.

Lo Stato, attraverso i suoi magistrati, e nonostante la legge britannica non preveda l’eutanasia per i minori, si è sostituto alla volontà dei genitori, ha come segretato il bambino, ha impedito il suo trasferimento e infine ha messo in atto la sospensione della ventilazione. E’ chiaro che un simile potere non può appartenere a nessun Stato e se così fosse tutti sarebbero in pericolo.
Il giudizio morale da darsi e il corretto comportamento da assumere erano e sono quindi chiari e privi di incertezze. Proprio questo però rende molto allarmante il fatto di non averli seguiti. Ciò sta a significare che in questo caso si è perso il contatto con la realtà e la coscienza, con le verità del senso comune, dimenticando cosa sia il bene in senso oggettivo. Più le verità sono ovvie e più preoccupa se non vengono rispettate e seguite perché significa che le nostre categorie mentali e morali stanno cambiando in peggio.
Davanti a simili fatti, chi si occupa di Dottrina sociale della Chiesa, di giustizia e pace nella società umana, sperimenta come un fallimento. Nel lettino del piccolo Alfie tutti i princìpi della Dottrina sociale della Chiesa sembrano naufragati. Il bene comune svanisce se si uccide un innocente, non come fatto accidentale ma come obiettivo voluto e ufficialmente decretato dall’autorità. Non c’è sussidiarietà se lo Stato si impossessa di una bimbo sottraendolo ai genitori. Non c’è solidarietà se il bene di Alfie è stabilito da un giudice secondo le proprie categorie di qualità della vita. Non c’è scelta preferenziale per i poveri se è proprio un povero bambino ad essere assassinato. Non c’è dignità della persona umana se la vita viene così calpestata. La sentenza su Alfie ha eliminato il diritto naturale, ha fatto piazza pulita del diritto a fare obiezione di coscienza, ha raso al suolo il concetto di oggettività del bene. Rimane solo l’oggettività del potere del nuovo Leviatano. Anche a tutto ciò si sono opposti coloro che, in varie forme, hanno manifestato la loro solidarietà al piccolo Alfie e alla sua famiglia, tra cui anche il Santo Padre Papa Francesco.
Ma non sarà la sentenza di un giudice, né l’azione di un governo, né la decisione di un ospedale a cambiare la verità e il bene. La sentenza inglese e quanto ne è seguito e ne segue non tengono conto né della verità né del bene, ma così ne testimoniano ugualmente in forma negativa la necessità e l’urgenza. La società che ha condannato a morte Alfie ha vita breve, bisogna continuare a preparare il futuro.
* Arcivescovo di Trieste
  Presidente dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân

αποφθεγμα Apoftegma

Non si comprende l'uomo se ci si chiede solo da dove viene.
Lo si comprende solo se ci si chiede anche dove può andare.
Solo dalla sua altezza risulta chiara davvero la sua essenza.

Card. Joseph Ratzinger
IL NOSTRO POSTO NELLA STORIA E' ACCANTO A QUELLO DI CRISTO


Anche oggi, probabilmente, ci siamo svegliati con un peso sul “cuore”, come quando a scuola avevi un’interrogazione; qualunque cosa facessi quel brusio di fondo gracchiava e sporcava le note dei giorni. Siamo "turbati" e non riusciamo a riposare, perché ci assedia la precarietà di non avere “un posto” dove "essere" noi stessi, in modo unico e inequivocabile. Per questo spendiamo la vita per trovare e conquistarci “un posto” nel cuore degli altri, nella società, a scuola, sul lavoro, nella Chiesa. Non trovandolo, abbassiamo sempre di più l’asticella, spegniamo i desideri alti per rintanarci in “beni rifugio”, che sembrano oro mente sono paglia. In fondo, fuggiamo sempre la "verità", perché essa “turba il nostro cuore”. Crediamo che si tratti di ansie e sofferenze legate a un’immagine romantica del “cuore”, ma nella Scrittura esso non c’entra nulla con le passioni, i sentimenti e gli affetti. Piuttosto coincide con la “mente”, ovvero il centro della vita personale; essendo la sede della volontà, nel “cuore” decidiamo cosa fare, se scegliere il bene o il male. “Nel cuore” siamo noi e noi soltanto, liberi per aprirci alla volontà di Dio oppure no. Ed è “nel cuore” che ci “turbiamo” perché vi abbiamo accolto, liberamente, la menzogna del demonio che ci ha indotto a peccare. Peccando abbiamo conosciuto la morte, così, come gli apostoli, quando Gesù (la predicazione e la Parola di Dio) ci rivela che la vita è un Getsemani dischiuso sulla Croce, ci “scandalizziamo” e non c’è “via” di scampo; l’unica “verità” che conosciamo è quella che il demonio ci ha insinuato, e cioè che nella Croce c’è la morte e non la “vita”. Per questo Gesù dice agli apostoli e a tutti noi di “non essere turbati nel cuore, ma di avere fede in Dio e in Lui”. Non permettere, ci dice, che laddove tu sei la persona che sei, libera, il demonio ti insinui il “turbamento”, ovvero il “dubbio”. Abbi “fede” invece, in ebraico “emunah” da cui deriva “amen”, e che significa “appoggiarsi stabilmente”. La “fede”, dunque, è l’antidoto al “turbamento”: coraggio allora, abbi “fede in Dio e in Gesù”: appoggiati a loro saldamente perché il Padre ha risuscitato suo Figlio. Gesù è “andato” sulla Croce, è sceso nel sepolcro, è risorto e asceso al Cielo proprio per "prepararci un posto”. In Cielo c'è il tuo “posto” riservato che nessuno può toglierti. Hai un abbonamento valido per l'eternità che Gesù, “tornato” dal Cielo, vuole donarti. Viene infatti anche oggi a “prenderci e portarci dove Lui è” per farci “essere”, esistere, proprio lì, nelle "tante dimore" che sono "nella casa del Padre"; "tante" quanti sono i tuoi giorni con le loro croci; "tante" perché Cristo le trasformerà tutte in una primizia della “dimora” eterna. La sua Pasqua, infatti, ha aperto la “via” alla “vita” che non si esaurisce, facendo di ogni passo la “verità” che le dà senso e pienezza. Coraggio, quando ti sentirai senza “un posto” dove essere, “non turbarti”, non scappare, ma “appoggiati e rimani in Cristo”; scoprirai il tuo “posto” proprio in quello che pensavi ti togliesse la vita e l’essere. Accostati alla Parola, nutriti con i sacramenti, non allontanarti dalla Chiesa, non chiuderti in te stesso ma chiedi aiuto ai pastori e ai catechisti; solo gestato alla "fede" adulta potrai dire “Amen” alla storia, per camminare sulla “via” della Croce e così passare alla “vita” piena dell'amore, e giungere a dimorare nel cuore del Padre "attraverso Cristo", vivo nella sua Chiesa. Gli atri del Paradiso, infatti, sono vicinissimi: hanno il colore degli occhi di tua moglie, le pareti ruvide dell’adolescenza di tuo figlio, vi si odono le voci di chi ti è accanto e ti giudica, sono bagnati dalle lacrime della malattia. Sono “il posto” di Cristo qui sulla terra, il tuo e il mio.