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lunedì 30 novembre 2015

Gender, protesta delle associazioni: niente figli a scuola il 4 dicembre

Generazione Famiglia lancia una mobilitazione contro il gender e accusa il ministro Giannini: "Dice che il gender è una truffa, ma in realtà nelle scuole vengono insegnate certe teorie"


La questione era stata già chiarita dal ministero dell’Istruzione, lo scorso 15 settembre, con una circolare.
Poi, il ministro Giannini era di nuovo intervenuta, personalmente, un mese fa, sul tema del presunto inserimento delle cosiddette teorie gender nelle scuole italiane, ribadendo come l’art.1 comma 16 della legge Buona Scuola, si riferisse solamente alla promozione dell'educazione alla parità di genere e non ad altre teorie, come quella gender, appunto, definita dallo stesso ministro una “truffa culturale”.

Nonostante le rassicurazioni del ministero però, i movimenti pro-family sono tornati sul piede di guerra. In particolare Generazione Famiglia, una delle sigle che ha organizzato il Family Day dello scorso 20 giugno a Roma, ha lanciato una campagna per chiedere al ministro Giannini di pronunciarsi nuovamente sul tema del gender nelle scuole. L’oggetto del contendere, infatti, è proprio

In Polonia il Congresso europeo per la difesa dei cristiani. Sotto lo sguardo di Giovanni Paolo II

In Polonia il Congresso europeo per la difesa dei cristiani. Sotto lo sguardo di Giovanni Paolo II La collina di Lagiewniki è un rifugio spirituale alla periferia di Cracovia. In un’atmosfera di pace sorge un convento di suore in pregevole stile gotico. È qui che visse e morì santa Faustina Kowalska, ed è qui che in una sera d’inverno del 1931 le apparve Gesù in veste bianca. Episodio, quest’ultimo, da cui scaturisce la Festa della Divina Misericordia, proclamata da San Giovanni Paolo II.

Fu lo stesso papa Wojtyla che, nel 2002, consacrò la basilica della Divina Misericordia, un grande edificio moderno eretto proprio accanto al convento. Questi due luoghi, che specie nel fine settimana pullulano di pellegrini, svettano tra i grigi palazzoni d’architettura socialista.

La loro presenza è un simbolo dell’identità cattolica polacca, che ha resistito e vinto dinanzi all’incedere nel secolo scorso di un’ideologia atea e massificante. Assume dunque un valore speciale

Ecco perché non c'è differenza tra Isis e Arabia Saudita

di Valentina Colombo                                             29-11-2015                                                                
Esecuzione capitale in Arabia Saudita«Se Daesh e Riad appaiono simili quanto al velo di segretezza che avvolge i processi, il paragone però si ferma lì. Non essendo uno Stato, Daesh “non ha alcuna legittimazione a decidere di uccidere la gente”, come ebbe a dire il portavoce del ministero saudita degli Interni. In pochi casi, questa “differenza” ha permesso di salvare qualche condannato, come il blogger Raif Badawi, condannato a mille frustate. In molti altri casi, le pressioni internazionali sono sembrate invece senza effetto. Nonostante questo, ogni paragone tra il sistema giudiziario saudita e la presunta “giustizia” amministrata da banditi del Daesh è fuorviante.  All’ombra del Califfato, infatti, abbiamo assistito a esecuzioni sommarie di civili e militari, allo sgozzamento di ostaggi locali e occidentali, allo sfollamento di intere comunità cristiane e all’abuso sessuale contro ragazze e madri di confessioni ritenute “eretiche». Così il giornalista e docente universitario Camille Eid ha commentato, sul sito di Avvenire, la citazione in giudizio di un utente Twitter da parte del ministero della Giustizia saudita poiché, a seguito di un’ennesima condanna a morte per apostasia, ha scritto che si tratta di una sanzione ‘in stile Daesh’.
Mi permetto di dissentire, seppur parzialmente. Se è vero che lo Stato Islamico non è riconosciuto a livello internazionale in quanto Stato, è ancor più grave che a uno Stato riconosciuto a livello internazionale, che nel 2014 è entrato a far parte del Consiglio per i diritti umani dell’Onu, insieme alla Cina, il cui ambasciatore presso le Nazioni Unite, Faisal

Il Natale oscurato segno della nostra disgregazione

di Tommaso Scandroglio                                          29-11-2015
L'ingresso denell’istituto Garofani di Rozzano (Milano) dove il preside ha proibito i canti di NataleSe passate dall’aeroporto di Fiumicino alcuni negozi hanno addobbato le vetrine e gli interni con sagome di abeti in cui campeggia la scritta “Season Greetings” che letteralmente significa “Auguri di stagione”. Questi auguri “stagionati” vogliono sostituire gli auguri natalizi. Già Babbo Natale aveva avuto gran parte nello sfrattare dall’immaginario collettivo, soprattutto infantile, il Bambin Gesù. Ora si sono messi pure catene commerciali ed enti pubblici in giro per il mondo a svuotare ancor più dall’interno il significato cristiano del Natale, sostituendolo con un Natale laico, che è un vero e proprio ossimoro, o con una Festa d’Inverno dal sapore tanto celtico.
Questa tendenza a candeggiare nella tinozza laicista il Santo Natale non ha risparmiato le scuole di ogni ordine e grado. Già da anni molte scuole hanno abolito i presepi e Maria, Giuseppe e Gesù sono persone non più gradite nelle aule scolari, immigrati clandestini con il foglio di via. La ventata cristianofobica ha avuto un suo picco in quel di Rozzano (Milano), in particolare nell’istituto Garofani. Marco Parma, dirigente scolastico dello stesso, ha deciso di annullare l’usuale festa di Natale che si teneva ogni anno (faranno eccezione le classi delle medie) e di sostituirla con festicciole private nelle

domenica 29 novembre 2015

Le radici cristiane dell'Unione europea, una occasione mancata

La politica non è stata capace di guardare al futuro

Le radici cristiane dell'Unione europea, una occasione mancata - Se ne discusse, per la verità con poca passione, per circa quattro anni dal 2003 al 2007. Era opportuno inserire nella Costituzione Europea, o almeno nel suo "preambolo", un riferimento alle comuni i radici giudaico-cristiane? Alla fine si decise per il no. Il più attento – e non settario - sostenitore della tesi favorevole fu, curiosamente, un laico di ferro, tale Giuliano Amato, ex braccio destro di Craxi, ex presidente del consiglio e vice presidente proprio della Convenzione che varò quello che doveva essere il manifesto della nuova Europa. Entrato in vigore nel 2009, nessun europeo lo ha mai letto, pochissimi ne conoscono l’esistenza.

A onor del vero occorre dire che anche la Chiesa Cattolica Romana non fece una forte e adeguata battaglia di principio per ottenere quell'inserimento nella Costituzione. Ci furono timide parole di

venerdì 27 novembre 2015

Volete un assaggio della violenza che attende chi difende la famiglia? Guardate la Germania

Volete un assaggio della violenza che attende chi difende la famiglia? Guardate la Germania25 ottobre 2015. Nel teatro Schaubühne di Berlino, va in scena uno spettacolo intitolato Fear (“Paura”). Sul palcoscenico appaiono degli zombie di nazisti le cui facce sono quelle di cinque personaggi pubblici che in Germania si battono contro la ridefinizione del matrimonio e della sessualità umana. Mentre vengono cavati gli occhi alle sagome si sente una voce dire: «Gli zombie muoiono solo quando gli spari direttamente nel cervello e il loro cervello muore. Questo è l’unico modo».
25 ottobre 2015. L’auto di uno dei cinque personaggi pubblici rappresentati nello spettacolo viene bruciata.
3 novembre 2015. La macchina di un altro dei protagonisti viene bruciata insieme al negozio di famiglia.
Gli autori di Paura negano ogni possibile legame tra la loro opera e i fatti.

Gli “zombie nazisti” rappresentati nello spettacolo sono Beatrix von Storch, membro del parlamento europeo e del partito “Alternativa per la Germania” (Afd), che ha subìto l’attentato del 25 ottobre, Hedwig von Beverfoerde, tra i leader dell’organizzazione “Demo für Alle” che si batte contro

Quella barbarie che li unisce alla nostra “laicitè”

di Tommaso Scandroglio                                             27-11-2015
Manifestazioni a Parigi dopo gli attacchi dei terroristi islamiciI terroristi islamisti, uccidendo tutti quei giovani al Bataclan, hanno colpito al cuore i valori della nazione francese, valori di libertà, uguaglianza e fratellanza. Questo slogan è diventato ormai un mantra che tutti dovrebbero ripetere. Scarabocchiamo al riguardo un paio di riflessioni. A parte che – e il giudizio qui espresso non vuole minimamente mancare di rispetto per le vittime - rintracciare quella triade valoriale in un concerto di una band che si chiama Eagles of death metal e che – misterioso ed inquietante presagio - stava cantando al momento dell’attacco Kiss the devil (Bacia il diavolo) ci pare impresa ardua e suggerisce invece l’esistenza di un deriva giovanile verso l’abisso mortifero del nichilismo e della dissoluzione valoriale, ecco a parte questo ci viene da ricordare che il motto “Liberté, Égalité, Fraternité” fu coniato in piena Rivoluzione francese, momento storico che non brilla certamente per irenismo.
Quei valori repubblicani che gli integralisti islamici vestiti di nero odio vogliono annientare furono concepiti e rivendicati dai giacobini che nulla hanno da invidiare agli uomini dell’Isis in quanto a strategia del terrore e abilità nel provocare eccidi. La matrice è la medesima e i padri fondatori dell’odierna Francia avevano lo stesso Dna dei terroristi che

giovedì 26 novembre 2015

«Nulla sarà come prima...». Il vuoto trionfalismo di chi non ha imparato la lezione del Concilio

«Nulla sarà come prima...». Il vuoto trionfalismo di chi non ha imparato la lezione del ConcilioCaro direttore,

credo alle riforme, non alle rivoluzioni. Le prime appartengono alla storia della Chiesa, le seconde no. Le prime portano al bene, a rinnovare nella continuità, a pulire le incrostrazioni; le seconde nascono da uno spirito ideologico e utopico: si propongono non il rinnovamento ma la distruzione e la ricostruzione totale e portano sempre con sé, inevitabilmente, violenza e intolleranza.

Per questo, come tanti, sono stupito di leggere ogni giorno, da parte di uomini di Chiesa o di laici cattolici famosi alla Melloni, dichiarazioni del genere: Nasce la nuova Chiesa della tenerezza; La Chiesa ha cambiato passo; Nulla sarà più come prima; C'è aria nuova nella Chiesa...

martedì 24 novembre 2015

«Questa devastazione è generata da una società che gioca a fare Dio»

novembre 24, 2015 Benedetta Frigerio

Sabato a Vignola si è svolto il convegno “Guarda la Stella, invoca Maria”. Tra gli interventi anche quello di Stephanie Raeymaekers, nata nel 1979 tramite eterologa


Stephanie-RaeymaekersL’umanità della Madonna è necessaria per sconfiggere l’antropologia moderna «che concepisce l’uomo come il padrone della realtà. Dove la conoscenza e l’amore sono sostituite dal possesso, dove la parola verità è sostituita dall’opinione». Dove impera «il soggettivismo in cui ha la meglio il più forte», Maria invece «ha vissuto la nuova antropologia di cui il mondo e la Chiesa hanno bisogno oggi». Ha detto così sabato 21 novembre a Vignola (Mo) monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, al convegno “Guarda la Stella, invoca Maria”. Un incontro che ha messo al centro la figura della madre di Gesù e che pure non ha mancato dal fare numerosi riferimenti alla situazione dell’uomo contemporaneo.
«La Madonna, pur nelle difficoltà, nella delusione delle sue speranza, si è identificata nel Signore certa della presenza buona del Mistero nella realtà», ha spiegato Negri. «Von Balthasar e don Giussani dicevano che Lei è la sintesi del cristianesimo. Attraverso il rosario, le feste mariane, la devozione, dobbiamo seguire il movimento della sua intelligenza e del suo cuore che ha fatto sì che

«L’integralismo laico è il miglior alleato degli integralisti islamici»


novembre 24, 2015 Leone Grotti

Intervista a padre Pierre-Hervé Grosjean: «La Francia è stata attaccata per la sua storia e le sue radici. Il nichilismo non ha mai unito nessuno»



Pierre-Hervé Grosjean è un sacerdote di 37 anni, responsabile per i temi politici, bioetici e di etica economica della diocesi di Versailles. Molto presente nel dibattito pubblico francese con il suo Padreblog, ha scritto una tribuna su Le Figaro per criticare la debolezza del paese davanti all’assalto dei terroristi islamici e le recenti proposte laiciste dei sindaci francesi che in un vademecum sono tornati a proporre di eliminare dalla scena pubblica ogni traccia di religione, presepi compresi. A tempi.it spiega perché «l’integralismo laico è il miglior alleato degli integralisti islamici».
Padre Grosjean, perché ha criticato così duramente il Vademecum dell’Associazione dei sindaci francesi?L’integralismo laico nega la dimensione spirituale della persona umana e vuole far sparire la dimensione religiosa dalla società. Vuole soffocare le religioni. Ma una nazione che dimentica le

lunedì 23 novembre 2015

Vivere la vecchiaia con gli occhi della Fede

La vecchiaia è segnata da prestigio e circondata da venerazione (cf. 2 Mac 6, 23). E il giusto non chiede di essere privato della vecchiaia e del suo peso; al contrario così egli prega: «Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza... E ora, nella vecchiaia e nella canizie, Dio, non abbandonarmi, finché io annunzi la tua potenza, a tutte le generazioni le tue meraviglie» (Sal 71/70, 5.18). L'ideale del tempo messianico è proposto come quello in cui «non ci sarà più... un vecchio che non giunga alla pienezza dei suoi giorni» (Is 65, 20).
Ma, nella vecchiaia, come affrontare il declino inevitabile della vita? Come atteggiarsi di fronte alla morte? Il credente sa che la sua vita sta nelle mani di Dio: «Signore, nelle tue mani è la mia vita» (cf. Sal 16/15, 5), e da lui accetta anche il morire: «Questo è il decreto del Signore per ogni uomo; perché ribellarsi al volere dell'Altissimo?» (Sir 41, 4). Come della vita, così della morte l'uomo non è padrone; nella sua vita come nella sua morte, egli deve affidarsi totalmente al «volere dell'Altissimo», al suo disegno di amore.
Anche nel momento della malattia, l'uomo è chiamato a vivere lo stesso affidamento al Signore e a rinnovare la sua fondamentale fiducia in lui che «guarisce tutte le malattie» (cf. Sal 103/102, 3). Quando ogni orizzonte di salute

sabato 21 novembre 2015

Perdonare non è dimenticare

L'arte della misericordia

Perdonare non è 'dimenticare'. Non si tira un segno di penna sopra, non si 'gira pagina', non si 'lascia perdere', non si 'aggiustano' le cose: non si dimentica! Quando una corda è rotta, si può fare un nodo, ma resterà sempre quel nodo nel punto in cui la corda è stata riparata. Occorre lasciare spazio alle proprie ferite, per curarle con il perdono.


Bisogna scovare l’aggressione nascosta dentro di noi per trasformarla. Bisogna mettere la sofferenza all’esterno di sé fino al giorno in cui non si soffrirà più. Cristo è risorto, ma conservando il segno dei chiodi nelle sue mani. Perdonare non è dimenticare. Bisogna perdonare chi, che cosa? Un graffio? Ci possiamo passar sopra. Ma una ferita profonda penetra nel subconscio.
Ci sono offese che è umanamente impossibile perdonare. Il papà e la mamma che vedono la loro figlia morta, dopo essere stata violentata e ferita crudelmente, non dimenticheranno mai lo spettacolo di quel corpo. Si dice che bisogna dimenticare, ma Dio ha creato la memoria. E nel Vangelo ci dà la capacità di perdonare, che talvolta rientra nella sfera del miracoloso.
Ma non potrete mai dimenticare completamente l’offesa che vi è stata inflitta. Però, ogni volta che ripenserete alla colpa dell’altro, la vostra memoria vi ricorderà anche che gli avete perdonato. La psicologia del profondo e la psicanalisi ci

Cattolici e ortodossi in Siria: la Russia agisce, l'Occidente li ha di fatto abbandonati a se stessi

Cattolici e ortodossi in Siria: la Russia agisce, l'Occidente li ha di fatto abbandonati a se stessi«... Nel frattempo, la Chiesa ortodossa siriana chiede protezione a Mosca. Il patriarca siro-ortodosso di Antiochia e tutto l’Oriente, Ignazio Efrem II, arrivato in Russia per la sua prima visita (che terminerà domani, 13 novembre), ha lanciato un appello per salvare una comunità sempre più assottigliata. Ha lasciato la Siria circa un terzo della minoranza cristiana. “Alcuni sono fuggiti nei Paesi vicini e altri in Europa. Si tratta di una situazione molto allarmante. Scappano dal terrorismo, da chi prova a privarle della loro casa, da chi cerca di cambiare il loro modo di vita”, ha dichiarato il patriarca. Ha poi invitato gli “Stati Uniti e le altre potenze mondiali a fermare il flusso di finanziamenti alle organizzazioni terroristiche e gruppi estremisti”, che costringono i siriani a scappare in Europa. Mentre, per quanto riguarda Mosca, “Crediamo che l’intervento della Russia con operazioni militari porterà speranza a tutto il popolo siriano, come crediamo anche che il ruolo della Russia in Siria è un ruolo di pacificatore e l’obiettivo

I vescovi americani sfidano l'impero del porno

di Lorenzo Bertocchi                                                          21-11-2015
Il presidente dei vescovi americani, monsignor KurtzQualche commentatore statunitense ha parlato di una dichiarazione fondamentale. Storica perfino. Certamente un segnale forte, specialmente dopo il Sinodo sulla famiglia dove il tema è stato affrontato, ma secondo alcuni non con la dovuta forza. Un padre sinodale confidava alla Bussola quotidiana che uno dei limiti della Relatio finale era proprio quello di non parlare in modo approfondito del problema della pornografia per le famiglie. I vescovi degli Stati Uniti, raccolti in questi giorni per la loro assemblea annuale, hanno risolto il problema approvando praticamente all’unanimità (98%) una dichiarazione intitolata “Crea in me un cuore puro: una risposta pastorale alla pornografia” (Create in me a clean heart).
Il vescovo Richard Malone di Buffalo, presidente della commissione per Laici, Matrimonio, Vita, Famiglia e giovani, ha dichiarato che questo documento mostra la preoccupazione dei vescovi per il ruolo che la pornografia ha assunto nella cultura di oggi. «In qualche modo», ha detto, «tutto è influenzato dalla pornografia». Questo fenomeno viene definito nel

«Se l’Occidente non reagisce, subirà una sorte peggiore di quella di noi cristiani iracheni»

 
novembre 20, 2015 Leone Grotti
Intervista a monsignor Amel Nona, già arcivescovo di Mosul, cacciato dai terroristi islamici, e ora a Sydney. «Strage di Parigi? Non avete voluto fare niente e ora pagate tutto»



È stato per quattro anni vescovo di Mosul, dal 2010 al 2014. Poi è arrivato l’Isis. Cacciato dalla sua terra come tutti gli altri cristiani iracheni, ha vissuto da profugo in Kurdistan, a Erbil, fino a quando non è stato inviato a maggio a Sydney a dirigere l’eparchia cattolica caldea in Australia. Così, dopo aver conosciuto (fin dalla nascita) la società islamica, ora monsignor Amel Nona (foto sotto), 48 anni, ha avuto un assaggio della vita in una società occidentalizzata. Ecco perché è l’interlocutore perfetto per parlare della strage di Parigi, che ha messo in luce la crisi tanto dell’islam quanto dell’Occidente.
?????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????Monsignor Nona, si aspettava un attacco a Parigi di queste proporzioni?Certo che me lo aspettavo e l’ho anche predetto. Due settimane dopo essere stato cacciato da Mosul ho dichiarato in un’intervista: se l’Occidente non reagisce, subirà una sorte peggiore della nostra. Non poteva accadere altrimenti.
Perché?All’inizio lo Stato islamico era composto da 1.000-2.000 uomini e poteva fare ben poco. Ma 30-40 paesi dell’Occidente, in modo per me inspiegabile, hanno permesso che conquistassero metà Siria e metà Iraq senza fare nulla.
Ci sono stati i bombardamenti.Appunto, bombardare è come non fare niente. Lo Stato islamico è furbo, è abituato a vivere combattendo. La cosa incredibile è che neanche dopo l’attacco di Parigi agite: gli avete lasciato campo libero prima e ora continuate ad accettare che i paesi della Regione li finanzino e armino perché ci sono tanti interessi economici. Ci sono domande che non trovano risposta.
Quali domande?Dov’erano i governi dell’Occidente quando migliaia di giovani entravano in Siria per combattere? Volete farci credere che le cose che in Iraq tutti vedevamo, in Occidente i governanti non le conoscevano? Non avete fatto niente, ma ora pagate tutto.
Lei è nato in Iraq e conosce l’islam da sempre. Come mai la religione di Maometto presta sempre il fianco a movimenti fondamentalisti?Perché nel Corano ci sono versetti che istigano alla violenza: spiegano che tutti i non musulmani sono infedeli e bisogna ucciderli o convertirli all’islam. Il problema sta in quei versetti che dicono chiaramente queste cose. Definire un uomo “infedele” nella lingua araba è molto pericoloso. L’infedele infatti è considerato così inferiore che un musulmano può fare di lui ciò che vuole: ucciderlo, prendere sua moglie, confiscargli figli e proprietà.
Quindi non c’è speranza di vedere un cambiamento?Bisognerebbe spiegare meglio questi versetti, darne una interpretazione moderna. Nel VII secolo, magari, servivano per una situazione particolare ma oggi non si può prenderli alla lettera. Il problema è questo.
L’idea di interpretare il Corano non va molto di moda nell’islam.No, perché i musulmani vedono il Corano come una cosa eterna. Per loro non è una cosa scritta in un tempo preciso ma un testo eterno, che si trova da sempre con Dio in cielo, e che a un certo punto della storia è stato inviato a Maometto. Quindi i versetti non si possono spiegare o interpretare o passare al vaglio della ragione.
Un imam francese ha detto che l’islam di oggi sta vivendo una «crisi della ragione».È vero ma non solo l’islam di oggi. Sono tanti gli intellettuali musulmani che lungo la storia di questa religione hanno cercato di interpretare alla luce della ragione il Corano. E tutti sono stati o perseguitati o uccisi.
I musulmani a Sydney sono diversi da quelli che ha conosciuto in Iraq?Sì. I musulmani che stanno qui, come quelli che si trovano in America o Europa, sono molto più fondamentalisti. Quando arrivano nel mondo occidentale, infatti, si radicalizzano perché sentono che tutto il mondo e la modernità è contro la loro mentalità, contro l’islam. Perciò sono più aggressivi, più irascibili. Il problema non è pensare che la propria religione sia l’unica vera, ma volerla imporre con la violenza.
Dev’essere stato difficile passare da una società islamica a una occidentalizzata.È tutto diverso. Qui c’è libertà di agire, pensare, parlare e tutte queste cose non esistono nella società islamica. Non dico nei paesi islamici, perché magari in alcune dittature laiche si vive più o meno bene e alcune libertà ci sono. Ma in sé la società musulmana veicola una mentalità unica e se una persona va contro quello che dice l’islam è considerato sbagliato. Anche qui però non è tutto rosa e fiori.
A che cosa si riferisce?La società occidentale è in crisi ed è una crisi di valori. Voi state perdendo i valori fondamentali della vita e questo vi rende deboli, impauriti, assolutamente incapaci di affrontare una crisi grave come quella di oggi. I terroristi sono una minoranza, i musulmani nei vostri paesi anche, eppure vi stanno facendo paura.
Qual è la causa secondo lei?State ripudiando i valori che hanno costruito la vostra società, i valori cristiani. Avete puntato tutto sulla libertà, che è e resta importante, ma senza la verità rimanete indifesi davanti a quello che sta succedendo. Non si possono ripudiare duemila anni di storia, preservando solamente la libertà, perché poi la conseguenza è che otto terroristi fanno un attentato e milioni di persone sono impaurite e non riescono a reagire.

Voi cristiani in Iraq siete sempre stati una minoranza. Avevate paura?A Mosul c’erano 400 famiglie cristiane e tre milioni di musulmani. Tutta la società era contro di noi, aggressiva, piena di terroristi, piena di persone che volevano ucciderci. Ma noi eravamo felici perché avevamo la fede, che mostravamo con coraggio e gioia, e loro non potevano farci niente. Sì, ogni tanto uccidevano due o tre cristiani, ma ci rispettavano perché sentivano che eravamo forti, anche se pochi.
Cosa vi rendeva forti?Noi sapevamo che con la fede si può andare incontro a tutto ed è quello che facevamo, con gioia affrontavamo ogni crisi. E i terroristi temevano e temono la nostra fede. I cristiani iracheni, con coraggio, hanno preferito perdere tutto, case, proprietà, terre, chiese, solo per un motivo: per non perdere la fede. E questo ai terroristi ha fatto male.
Se dovesse dire una cosa che manca alla società occidentale?Direi che qui non c’è gioia, non c’è felicità. C’è la libertà ma non c’è nient’altro. Vi siete concentrati solo sulla libertà e avete perso tutto il resto. Anche la Chiesa, devo dire, dovrebbe essere più felice.
Lei ora vive in questa società. In Australia ci sono 50 mila cristiani caldei. Qual è il compito di un cristiano?Mostrare che noi siamo felici nella nostra vita, dobbiamo essere più attivi nella nostra missione all’interno della società. Non bisogna solo cambiare mentalità, ma anche le leggi sbagliate. Penso che si possa fare molto.
Foto Ansa


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venerdì 20 novembre 2015

Il terrorismo, l’islam e il dialogo con i musulmani Ratzinger a Ratisbona ci aveva già detto tutto
                      
    
di Massimo Introvigne                                               20-11-2015
Bwenedetto XVI con principe giordano Ghazi Bin Muhammed Bin Talal, uno dei firmatari del Messaggio indirizzato al Papa nell’ottobre 2007
 Si avvicina l’anno 2016, in cui cadrà il decimo anniversario del discorso tenuto a Ratisbona nell’Aula Magna dell’Università il 12 settembre 2006. Papa Ratzinger amava molto gli anniversari. Qualcuno potrebbe pensare che celebrare quello del discorso di Ratisbona lo amareggerebbe, visto quanto poco fu capito e quanto spesso fu travisato. Ma forse gli farebbe piacere, perché si tratta di uno dei vertici della sua analisi culturale della storia dell’Europa e del suo confronto con l’islam. Tragedie come quella di Parigi l’hanno reso ancora più attuale. Mi porto dunque avanti con il lavoro, e avvio una meditazione che spero possa accompagnarci nel corso del 2016.
A Ratisbona Benedetto XVI parte da un dialogo che vede contrapposti nel 1391 ad Ankara l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un saggio persiano musulmano. L’imperatore gioca fuori casa, dopo avere ricevuto un invito che non può rifiutare ad accompagnarlo in una partita di caccia dal sultano turco Bayazet I, il cui minaccioso esercito è molto più potente del suo. Sulla passione per la caccia di Bayazet, Manuele si permette anche qualche battuta: il sultano si aspetta, dice, di trovare in Paradiso non solo le famose vergini, ma anche un buon numero di cani da caccia. Notiamo, di passaggio, che benché Bayazet I sia passato alla storia come un sovrano piuttosto crudele, da certi punti di vista la tolleranza di questi musulmani turchi del XIV secolo regge favorevolmente il paragone con quella di parecchi musulmani moderni. Manuele può permettersi – in un Paese musulmano e in pubblico – non solo la battuta sui cani paradisiaci, ma anche quelle aspre critiche a Muhammad la cui semplice citazione da parte di Benedetto XVI indusse l’islam fondamentalista a proteste, manifestazioni di piazza e perfino omicidi nel 2006.
Non amando la caccia, Manuele si trova un altro passatempo. Sulla piazza di Ankara, organizza una specie di talk show dove di fronte a un folto pubblico dibatte per ventisei serate con un intellettuale musulmano – ma lo stesso imperatore è un appassionato di filosofia – sui meriti rispettivi del cristianesimo e dell’islam. Tuttavia, nel 1391 certamente Manuele non può invocare il Vangelo o la teologia di fronte a un pubblico musulmano: propone allora al suo interlocutore di discutere non sulla base della fede, ma della ragione. L’islamico accetta, ma il dialogo non va da nessuna parte perché Manuele e il musulmano hanno due idee diverse della ragione. Per l’imperatore greco la ragione è il fondamento filosofico di tutte le cose. Per il musulmano questo fondamento non esiste: il suo Dio, Allah, «non dipende da nessuno dei suoi atti» e può cambiare ogni minuto le leggi che regolano il mondo, così che ogni conoscenza razionale è incerta e provvisoria.
Per l’islamico argomentare in base alla ragione significa semplicemente citare fatti empirici. La sua nozione di ragione è meramente strumentale. Da questo punto di vista il quarto dei ventisei dialoghi fra l’imperatore e il saggio islamico, apparentemente una disputa – precisamente – “bizantina”, ha invece la sua importanza. Manuele II contesta l’opinione di alcuni musulmani secondo cui, dal punto di vista della capacità di conoscere con certezza la verità, l’anima dell’uomo e quella degli animali non sono poi così diverse. Niente affatto, ribatte Manuele: l’uomo ha la ragione, che gli animali non hanno. Ed è evidente che importanti qui non sono tanto gli animali, ma la possibilità della ragione umana di conoscere la verità.
Munito della sua nozione meramente strumentale di ragione, il musulmano usa nel quinto dialogo l’argomento che pensa chiuda la discussione: la prova della superiorità dell’islam sul cristianesimo è che le armate del Profeta stanno vincendo ovunque, e lo stesso impero di Bisanzio è ridotto a uno staterello. Naturalmente tre secoli dopo, quando a partire dalla sconfitta di Vienna nel 1683 i musulmani cominceranno a perdere le battaglie e le guerre, l’argomento potrà essere rovesciato. Ma non è questo il punto. Per Manuele II – e per Benedetto XVI – la vita, i diritti umani e la possibilità di convivere fra religioni diverse sono garantite solo da una fiducia nella ragione come strumento capace di conoscere la verità che vale per tutti, cristiani e musulmani, credenti e non credenti. Se manca questa fiducia nella ragione, tra persone di fede diversa quale sia la verità è deciso da quali eserciti vincano, e oggi da chi sia più capace di fare esplodere bombe. La verità – e Dio stesso, che è verità – diventano semplici funzioni della violenza.
È stato detto molte volte, e con ragione, che il discorso di Ratisbona non voleva essere un discorso “sull’islam”. L’islam è assunto come esempio di una perdita della fiducia nella ragione e nel diritto naturale che ha contagiato anche l’Europa e l’Occidente. Qui l’incontro fra fede e ragione si è sviluppato paradossalmente a una «sintesi tra spirito greco e spirito cristiano». Faticosamente raggiunta, fin da subito questa armonia è stata messa in crisi. La storia della modernità in Occidente è ricostruita nel discorso di Ratisbona di Benedetto XVI come un seguito di tentativi di “de ellenizzazione”, cioè di negazione, in diverse e distinte “ondate”, della tesi corretta la quale postula che «il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte integrante della fede cristiana» e della sintesi che fa dell’Europa quello che essa è, perché solo così si salva l’unità fra fede e ragione.
Se stampiamo il discorso di Ratisbona, ci troviamo otto pagine dedicate all’Europa e una e mezza all’islam. Se questo va ricordato, non è meno vero che quello che si dice dell’islam è decisivo. San Giovanni Paolo II, nell’enciclica Fides et ratio, ricordava che per volare l’uomo ha bisogno di due ali, fede e ragione. Se l’ala della ragione diventa ipertrofica a scapito dell’ala della fede, ci troviamo di fronte al laicismo. Se l’ala della fede diventa ipertrofica a scapito dell’ala della ragione, ecco il fondamentalismo. L’uomo, come l’aereo, ha bisogno di due ali per volare. Diversamente, non vola e si schianta. La Chiesa non promuove affatto uno sviluppo anomalo dell’ala della fede contro l’ala della ragione, anche se ammonisce sulle conseguenze del laicismo, dove la ragione nega la fede. Vuole l’armonia fra le due ali, consapevole che solo così si può volare.
A Ratisbona Benedetto XVI ha messo a fuoco il problema dell’islam. A un certo punto della sua storia, spaventato da forme di razionalismo che seducevano molti suoi filosofi, ha chiuso il dialogo fecondo che aveva avviato con la cultura greca. Ha bruciato i libri di filosofia, e qualche volta per non sbagliare ha bruciato anche i filosofi. Ma così facendo, per evitare il razionalismo, è caduto nell’errore opposto del fideismo, che diventando politica nel XX secolo si sarebbe chiamato fondamentalismo. Benedetto XVI, lo abbiamo ricordato su queste colonne (clicca qui), è il Papa che ha indicato come obbligatorio il dialogo con l’islam. Un dialogo, però, che non si esima dall’indicare ai musulmani quanti danni nella loro storia abbia fatto la separazione della fede dalla ragione e mostri come questa separazione porti inevitabilmente alla violenza.
Non per denigrare o offendere l’islam, ma per invitarlo a riflettere sulla necessità dell’armonia fra la fede e la ragione. Solo accettando che la ragione fonda un diritto naturale e diritti da riconoscere a tutti a prescindere dalla loro religione, l’islam – senza rinunciare alla sua identità – potrà trovare la via per isolare il fondamentalismo e fondare una condanna definitiva della violenza.

Il Corpo di Cristo salva. E guarisce. Testimonianza di un sacerdote al Congresso eucaristico di Mumbai

Il Corpo di Cristo salva. E guarisce. Testimonianza di un sacerdote al Congresso eucaristico di Mumbai
 
Mumbai (AsiaNews) – Ho sentito «la presenza di Gesù, attraverso il potere della preghiera nel momento profondo della celebrazione eucaristica. È stato come essere nella “Tenda della Gloria”, è stato bello… Ho creduto e ho chiesto a Gesù di salvarmi, di guarirmi e di liberarmi, e una grande pace mi ha sopraffatto, una calma e una serenità mai provate prima. Ho sentito Gesù toccarmi e guarirmi nel fisico. I miei dottori lo testimoniano, la mia è una guarigione miracolosa». È accaduto a p. Michael Martires, sacerdote 81enne, durante l’omelia del Legato papale card. Ranjith per la messa conclusiva del Congresso eucaristico nazionale di Mumbai. Il cardinale sollecitava ad essere «coscienti degli eventi divini sull’altare, e della reale presenza di Gesù nell’Eucarestia».

P. Lawrence D’Souza, un confratello di p. Michael, racconta ad AsiaNews: «P. Michael ha 81 anni ed è molto attivo, ma era stato malato negli ultimi due mesi. Da tempo si sentiva febbricitante ed era stato ricoverato all’ospedale St. Elizabeth due volte. Quasi ogni giorno ci raccontava di passare intere notti insonni, con dolori al petto e con problemi di pressione». «I dottori – continua p. Lawrence – gli avevano consigliato di sottoporsi ad una serie di test, ed era sotto continuo trattamento di antibiotici e di altre medicine. Per molte settimane non aveva potuto celebrare la messa. La scorsa settimana, gli avevo proposto di partecipare alla celebrazione inaugurale del Congresso eucaristico, ma aveva declinato perché stava male».

«Gli ho proposto di andare almeno alla Messa conclusiva domenica 15 novembre – dice il confratello – ma era indeciso. La mattina sono passato e l’ho visto prepararsi per uscire. Così l’ho aiutato ad attraversare la strada e abbiamo preso un taxi. Mentre andavamo al seminario, abbiamo recitato il rosario per mezz’ora. La celebrazione eucaristica presieduta dal card. Ranjith è stata un’esperienza di ringiovanimento per p. Michael. È stata la stessa esperienza dei discepoli di Emmaus, che è iniziata con quel ‘bruciare dei cuori’ alla fiamma dello Spirito Santo».

«Quando ho guardato p. Michael alla fine della Messa – afferma p. Lawrence – l’ho visto del tutto cambiato, con una nuova energia e ringiovanito. Di sicuro è stata l’Eucarestia a guarirlo. I giorni seguenti è potuto tornare a fare molte cose e a preparare viaggi che non pensava di poter compiere. “Sia lode al Dio eucaristico”, mi ha detto, “perché la Sua misericordia non ha mai fine”». Nella Messa d'apertura del Congresso, l'arcivescovo di Mumbai card. Gracias aveva pregato affinché tutti i delegati presenti potessero «fare l'esperienza di Emmaus».
Christus Rex, abside of Saint Gioachino church at Rome

Commento al Vangelo della Domenica di Cristo Re (Anno B) - 22 novembre 2015

 Don Antonello Iapicca          
Tutti noi oggi, insieme a Pilato, chiediamo a Gesù: “Sei tu il Re dei giudei?”. Coraggio, non scandalizzatevi, è proprio così. Si chiude l’anno liturgico, è tempo di bilanci. E tra gli uomini, spesso, i bilanci si fanno sotto forma di processi. Proprio come quello a cui è stato sottoposto Gesù al termine del suo “anno terreno”. Stava per inaugurare una cosa nuova, ma doveva passare attraverso quello scrutinio.
La domanda di Pilato è la stessa che gli ha rivolto il Sommo Sacerdote: la risposta di Gesù gli è costata la condanna. Ma è anche la domanda che, come un fiume carsico, lo ha inseguito durante tutta la sua vita, sin dalla nascita: “Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo” (Mt. 2,2).
Per rispondere a questa domanda, infatti, Gesù “è nato ed è venuto nel mondo”. E per questo, lo ripeto, non scandalizzatevi, ogni liturgia eucaristica in fondo è anche il rinnovarsi dello stesso processo al quale il Sinedrio e Pilato ha sottoposto Gesù. La messa è il memoriale del sacrificio di Gesù, no? E’ il compiersi, qui ed ora, del suo Mistero Pasquale, e in esso, centrale, è stato il processo.
Voglio dire che ogni domenica anche noi ci affacciamo in Chiesa con la stessa domanda nel cuore: “Sei tu il Re dei Giudei?” gli abbiamo chiesto mille volte, presentandogli quello che dice di essere il suo regno: il matrimonio, i figli, il lavoro, la salute, perfino la Chiesa… Rovine su rovine, e questo sarebbe il tuo regno? Ecco fratelli, più o meno così arriviamo ogni domenica a messa. Una settimana di problemi, ingiustizie, angosce e dolori come bagaglio.
È passata solo una settimana dalle stragi di Parigi, ma i media continuano a bombardarci, e la paura copre come una coltre oscura le nostre giornate. “Sei tu il Re dei giudei?”, perché guarda che qui regna tutt’altro sovrano. Innanzitutto la paura, e non è proprio possibile continuare così: ci vogliono togliere il piacere di una pizza con gli amici, di una partita di calcio, di un film o una visita a un museo. Non possiamo tollerare di vivere così.
Beh, è del tutto ragionevole, anche se mi sembra che ci stiamo perdendo qualcosa. La “paura” è il frutto del peccato, come quella che, insieme alla vergogna, ha provato Adamo che per questo si è nascosto. Prima di peccare non conosceva né vergogna né paura. Quindi, se i terroristi riescono ad impaurirci significa che stanno ridestando quei sentimenti che, per non scomodare la coscienza, abbiamo anestetizzato da tanto tempo con alienazioni varie.
Ed ecco che la prima parte della domanda ha già trovato una risposta. Vorremmo giudicare il Signore per averci ingannato circa la sua regalità, e invece proprio lasciando ogni uomo libero di fare il male ci sta svegliando dal torpore maligno in cui eravamo scivolati. Abbiamo paura? Bene, significa che siamo peccatori; che abbiamo paura di morire, quindi, pur andando a messa, la morte in noi è ancora stata vinta. Siamo schiavi della menzogna del demonio che usa proprio la nostra paura per farci fare quello che vuole.
Accidenti, dalle bombe di Parigi siamo arrivati dritti dritti nel Giardino dell’Eden, davanti al solito albero, dove il serpente ci ha sedotto con la sua menzogna: Dio non ci ama perché non ci fa giustizia, anzi, Lui stesso è ingiusto. Quindi il suo Figlio non è il Re che afferma di essere, ma un dittatore spietato incapace di regnare secondo i nostri, umanissimi, criteri.
Accettiamolo fratelli, stiamo mettendo sotto processo Gesù, come ha fatto Giobbe con Dio. Il nome Giobbe, infatti, significa “Dov’è mio padre? Dov’è il Dio che mi protegge?”. Nel Libro omonimo risuona spesso la celebre “lammà” - perché? – tipica delle lamentazioni.
“Perché” la morte? “Perché” la vita? Se lo chiede mille volte Giobbe, giungendo a dire: “Oh, avessi uno che mi ascoltasse! Ecco qui la mia firma! L’Onnipotente mi risponda!” (Gb 31,37). Giobbe si trova in piedi proprio come in un tribunale (i termini usati sono quelli classici della giurisprudenza): si crede giusto, e aspetta il giudice che ha citato in causa.
Giobbe non accetta la sua situazione, non entra nella sua testa religiosa che l’innocente possa soffrire. No, non è possibile quello che mi sta accadendo: “Sei tu il Re dei Giudei?”, che è come chiedersi se c’è ancora speranza per la mia vita o è destinata a precipitare in questo regno di morte del quale sento impietoso il fetore? E’ possibile che quest’uomo flagellato e coronato di spine sia un re capace di salvarmi?
Vediamo. Dopo la maledizione del suolo a causa del peccato, la terra ha cominciato a produrre spine e cardi, a significare l’aridità, la fatica e il dolore che seguono l’orgoglio. E Gesù si presenta davanti a Pilato e a ciascuno di noi coronato proprio di spine: le conseguenze dolorose del peccato sono sul suo capo il segno della sua regalità!
Che follia, che significa? Un re che si lascia trafiggere da ogni nostra parola insensata, da ogni peccato palese e nascosto, da ogni istante che avrebbe meritato la maledizione. E perché lo fa? Perché Lui è Re “da” Dio e non “dagli” uomini, secondo la lezione dell’originale greco.
Se il suo fosse un regno ottenuto “dagli” uomini, quegli stessi uomini avrebbero combattuto perché non fosse incoronato con le spine. E invece, siccome il regno gli viene “dal” Cielo, da Dio, allora viene Dio e…. E invece di difenderlo fa quello che nessuno di noi si sarebbe aspettato: lascia che gli empi gli pongano la corona di spine sulla testa. Lo consegna ai chiodi, e poi alla lancia, e alla morte e alla tomba.
Questa è la risposta di Gesù a Pilato e a ciascuno di noi. Questa è la Verità alla quale, muto e docile come agnello condotto al macello, Gesù ha dato testimonianza. L’unica Verità credibile, perché è l’unica capace di smentire e dissolvere la menzogna del demonio che ci ha indotto a dubitare dell’amore di Dio e a credere che Gesù non fosse l’unico Re con diritto e potere di governare.
Probabilmente sino ad oggi non siamo stati “dalla Verità”. Abbiamo indurito il cuore e non siamo stati capaci di “ascoltare la voce del Re”. E se non si ascolta non si può accogliere il dono della fede che Dio ha scelto di fare attraverso la predicazione. Per questo la domanda decisiva per la vita si è sempre infranta sul limite angusto della carne, sui criteri che da essa ricaviamo.
Per essi ad esempio, un regno deve disporre di legioni che ne assicurino la difesa. In questi giorni i media non fanno che parlare di questo, che cosa fare per difenderci dalla furia dei terroristi, quali strategie seguire. E giù riflessioni, analisi e approfondimenti culturali, storici, religiosi e antropologici. Ma tutti, in piccola o gran parte, fanno risuonare l’eco senza risposta della stessa domanda: “Che cos’è la verità?”. Come dire, esiste una verità assoluta? E’ la mia? E allora perché non trionfa e non annichilisce la menzogna altrui? E’ la mia religione, è la mia cultura, sono i miei valori?
Ma in fondo, ammettiamolo, sono più i dubbi che le certezze ad affiorare di fronte alle bombe che esplodono quando e dove non ti aspetti. La morte come reale e improvvisa possibilità – e il terrorismo non sta facendo altro che ricordarci che potremmo morire tra dodici secondi a prescindere dalle sue bombe… - mostra senza pietà le crepe che vergano le risposte che ci siamo dati sino ad oggi. 
E oggi, di nuovo, con la corona di spine sulla testa, Gesù ci risponde, come il Padre ha risposto a Giobbe: “Dov’eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se hai tanta intelligenza!”; che è come dire a ciascuno di noi oggi: “dove eri quando mio Padre ha posto a fondamento della tua vita questo amore?”; “hai tanta intelligenza da aver previsto e sperato un amore così?”.
Allora coraggio fratelli, di fronte a questo amore infinito che Dio ci dona attraverso la Chiesa che è il corpo benedetto del Re, possiamo ripetere con Giobbe: “Ecco, sono ben meschino: che ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò, ho parlato due volte, ma non continuerò… Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere” (Cfr Gb 40,4 ss).
Possiamo convertirci, che significa accettare la realtà di peccato che ci definisce per accogliere il perdono che definisce il Re. Solo l’umiltà di un cuore contrito sa “ascoltare”, perché non è più “dalla” menzogna che lo rinchiude nell’ipocrisia, ma è “dalla” verità, dalla parte cioè di verità di cui ogni uomo è capace: quella di riconoscersi peccatori, accettando la realtà.
Chi dopo un lungo cammino di conversione nella Chiesa viene a Cristo “dalla” verità su stesso può “ascoltare la sua voce” e accogliere la sua “testimonianza”, il suo “Lammà, perché?” gridato dalla Croce per rispondere ad ogni “perché” di tutti i Giobbe dell’umanità; l’amore imporporato dal suo sangue, e in esso lavare le sue vesti perché risplendano, nel mondo, della Verità che viene “dal” Cielo.
Gesù è Re fratelli, il nostro re che fa della nostra vita il suo regno nel quale si vive nella Verità che viene “da” Dio e ridona bellezza e autenticità all’esistenza dell’uomo, sospingendo fuori la bruttezza della menzogna satanica.
Coraggio, oggi può terminare il processo con l’assoluzione degli accusatori, perché l’accusato ha rivelato con la sua testimonianza d’amore di essere il nostro Re che ci accoglie nel suo Regno attraverso la porta regale della misericordia. Sì, possiamo regnare con Lui, basta “ascoltare” umilmente la predicazione della Chiesa e nutrirci della Verità che si fa cibo per noi nei sacramenti.

giovedì 19 novembre 2015

Olanda, se l'eutanasia entra nella vene della società. Ecco la “Kill Pill” per chi compie 70 anni

Olanda, se l'eutanasia entra nella vene della società. Ecco la “Kill Pill” per chi compie 70 anni
 
Basta con l’eutanasia solo per chi è malato terminale, malato mentale, affetto da imperfezioni e problemi fisici o più semplicemente stanco di vivere. Ora la potente associazione per il diritto di morire (Nvve) vuole che l’eutanasia sia estesa d’ufficio a tutti coloro che hanno compiuto i 70 anni.
L’anno scorso in Olanda la “buona morte” è stata somministrata ufficialmente a 5.306 persone (in realtà, le vittime sono almeno 6 mila), un aumento del 182 per cento rispetto a quando la legge è stata approvata nel 2002. Me per Nvve non basta e così ha ritenuto maturi i tempi per riproporre un vecchio cavallo di battaglia degli anni ’90: la “Kill Pill”.

MORTE, NON SUICIDIO.
«Noi vediamo che la società vuole una pillola del genere», ha spiegato il direttore della lobby pro eutanasia Robert Schurink. «Soprattutto la generazione del baby boom, che non ha paura di dire esplicitamente ciò che desidera. Vogliono avere il controllo sulla fine delle loro vite». A prescindere dall’essere affetti o meno da patologie, fisiche o mentali che siano.
La pillola eutanasica sarebbe messa gratuitamente a disposizione di tutti gli olandesi che abbiano compiuto i 70 anni e comodamente ritirabile in farmacia. La Nvve ha detto che nelle prossime settimane discuterà una sperimentazione con l’associazione dei medici olandesi e con i ministri di Giustizia e Salute. Questa servirà per assicurare che «la pillola non venga usata per il suicidio, l’abuso o l’omicidio». Ma solamente per procurarsi la “buona morte”.
NUOVA CONCEZIONE. L’Olanda sta procedendo velocemente e inesorabilmente verso una nuova concezione di eutanasia. Quando è stata approvata nel 2002, era considerata un’eccezione, uno strappo alla regola dettato dalla compassione per permettere ai “pochissimi” casi di persone che soffrono in modo insopportabile a causa di malattie terminali di anticipare di poche settimane la propria dipartita. Com’era prevedibile, una volta affermato che alcune persone possono essere uccise in casi particolari, una volta stabilito che c’è anche un solo caso in cui una vita perde di valore, il diritto di morire si è esteso negli anni ed ora viene rivendicato per tutti, sani e malati, come se fosse un modo di morire come gli altri, naturale come gli altri, perché non c’è niente di più naturale della volontà e dell’autodeterminazione. È giusto quindi fornire la pillola per tutti quelli che compiono 70 anni (ci vorrà ancora qualche anno per abbassare la soglia di questa età). Basta che non venga chiamato con una bruttissima parola: “suicidio”.

Questo è l’Avvento, figli miei. Lettere dal carcere di un padre dissidente

 
novembre 19, 2015 Angelo Bonaguro


vaclav_bendaNato nel 1946, filosofo e cibernetico, Václav Benda nella seconda metà degli anni ‘70 fu una figura di spicco del dissenso cecoslovacco, uno dei pochi rappresentanti dell’intellicencija cattolica – minoritaria rispetto al mondo della «polis parallela», e a volte anche in disaccordo sulla linea da proporre come alternativa al regime comunista. Abbiamo già citato su queste pagine Havel quando ricordava con simpatia quelle discussioni tra i dissidenti che però «non suscitavano tra i partecipanti alcuna antipatia, inimicizia o bisogno di aprire reciproche ostilità. Ricordo bene gli infiniti contrasti di due fra i più attivi e stretti collaboratori di Charta 77, ossia Uhl, politico di sinistra, e il cattolico Benda: erano il siparietto atteso ed emozionante delle nostre serate!».
Poi capitò che nel ’79 Benda venisse condannato a 4 anni di carcere con Havel e altri responsabili del VONS, il comitato creato per assistere i dissidenti «meno famosi» e le loro famiglie. Dal carcere il filosofo iniziò una fitta corrispondenza con la moglie Kamila e i cinque figli, ancora piccoli. Ne uscì un percorso spirituale e umano in generale, ed educativo nei confronti dei bambini, capace di dare significato anche a quell’esperienza dolorosa e ancor oggi ricco di sollecitazioni.
In alcune lettere, scritte con la consueta ironia e concretezza che lo contraddistinguevano, Benda accompagnò i familiari nella preparazione al periodo natalizio. Ne presentiamo alcuni brani.
Verso l’Avvento
Proviamo per una volta ad avvicinarci all’Avvento in modo un po’ diverso, dicendo: “Io, così furbo e capace e promettente, che eccelle per le tante qualità e virtù (non so voi, ma io mi sento tutto sommato soddisfatto di me stesso), non sono niente a paragone di questo bambino povero e rifiutato, e non sono degno di allacciare una scarpina del suo piede, una sola sua lacrima ha per la mia salvezza un significato mille volte maggiore di ogni mia buona intenzione, e se non guarderò dentro a questo mistero, se non vi guarderò con tutto il cuore, morirò per l’eternità”».
Carcere di Heřmanice, settembre 1980
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Kamila con i figli durante la prigionia del marito.
L’attesa della venuta
«Un altro tema è l’attesa della venuta, l’attesa del momento in cui diremo a un bambino inerme: tu sei il mio Signore e il mio Dio. …Tutto è bene se sapete che l’unica garanzia è questo bimbetto piangente e probabilmente sporco di cacca, abbandonato in quella notte gelida (o, più tardi, quell’uomo pieno di sudore e di paura in un’altra notte), e se questo non vi spaventerà o vi scandalizzerà, poiché è stato e sarà la pietra di inciampo per molti. Certezza, ordini, dogma e fedeltà sono parole belle e sonanti, ma occorre sapere se si riferiscono esclusivamente a questo ridicolo bambino, poiché Lui è la via, la verità e la vita. Solo in Lui riponiamo la nostra folle speranza e il nostro folle amore: se noi non tentiamo di difenderci e di cercare astutamente, nel privato, dei surrogati, allora siamo davvero folli agli occhi di questo mondo e spesso anche agli occhi dei nostri fratelli. In questo certamente c’è la gloria di Dio, e una visibile prefigurazione, un miracolo e un trionfo, ma non confidate assolutamente in questo: infatti a confronto con quel bambino tutto ciò è semplice fumo, poiché non si va al Padre se non attraverso di Lui. Ragazzi che sarete cavalieri, fedele moglie che cuce le camicie al marito, rallegratevi per i doni che riceverete, rallegratevi per l’amore e la pace, siate forti e magari orgogliosi, ma non dimenticate: non può resistere chi non ha radicato tutto in questa debolezza e incertezza; non vi sono strade diverse da questa, stretta e consapevole. E solo chi riconosce questa pazzia davanti agli uomini sarà riconosciuto davanti a Dio».
Carcere di Heřmanice, settembre 1980
L’incontro attivo e storico con Dio
«La Pasqua è un po’ come la festa di Dio nella quale gli uomini svolgono solo una parte negativa, mentre in occasione del Natale partecipano attivamente, e ciò influisce anche sul modo di intendere i periodi preparatori alle due feste e su come vengono concepite dal punto di vista sacro o profano. Sarei giunto all’elegante conclusione che anche la vituperata versione consumistica che comprende la frenesia degli acquisti, è solo un’espressione – sia pur esagerata – della direzione verso cui tendono queste feste (diversamente sarebbe del tutto autentica) che celebrano l’incontro attivo e storico con Dio… È chiaro che la salvezza non è una promessa incerta, ma un avvenimento hic et nunc (e che la maggior parte delle difficoltà ricade sull’uomo per i suoi inutili timori)».
Carcere di Ruzyně, dicembre 1979
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I portavoce di Charta77 nel 1979, prima degli arresti. Da sinistra, in piedi: V. Havel, J. Dienstbier, L. Hejdanek, V. Benda. Sotto, J. Hajek e Z. Tominová.
Sulla misericordia
«Se qualcuno sbaglia e manca in qualcosa, se si rende colpevole di malvagità, allora certamente infrange i comandamenti e pecca (è ugualmente chiaro che i comandamenti ci sono perché è umano infrangerli), ma questo è nel suo genere un comportamento onesto, e soprattutto quest’uomo sarà giudicato secondo misericordia. Se però qualcuno preferisce girare lo sguardo quando incontra il Signore, preferisce non sentire la chiamata dei sofferenti per non dover riconoscere in essi la Sua voce, preferisce seppellire il denaro avuto in consegna per non rischiare nulla, allora quest’uomo tenta di ingannare Dio e se stesso, ha ucciso il suo cuore e in esso l’amore, per evitare di essere confuso, e l’ultima parola verso di lui non sarà misericordia ma giustizia. E allora povero lui!
…Posso solo aggiungere che dietro tuo consiglio mi sono affidato alla protezione della Vergine Maria, con conseguenze del tutto impensate e, per mio demerito, temibili. Il culto mariano ha ugualmente un grande vantaggio, dato dalla differenza fra il principio maschile e quello femminile: agli uomini diamo ordini o ne accettiamo da loro, mentre le donne le preghiamo sempre. Se Dio sa meglio di me che cosa è bene per me, e io posso chiedergli tutt’al più misericordia e pazienza, alla Vergine Maria posso chiedere secondo il cuore. È una donna e perciò capisce la nostra debolezza e povertà, molto più di tutte quelle altre cose che ci rendono cavalieri».
Carcere di Heřmanice, novembre 1980


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