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sabato 31 gennaio 2015

La Slovacchia al referendum per dire no ai matrimoni gay, alle adozioni per le coppie omosessuali, al gender a scuola


«La Slovacchia ha un suo ruolo specifico nella costruzione dell’Europa del Terzo Millennio: siatene ben consapevoli! Con le sue tradizioni e la sua cultura, con i suoi martiri e confessori, con le forze vive delle sue nuove generazioni». Così Giovanni Paolo II disse il 9 novembre 1996 a un gruppo di pellegrini slovacchi giunti a Roma.
Quelle parole sono risuonate anche nelle ultime settimane in Slovacchia, chiamata  ora a una testimonianza importante per tutta l’Europa. Il prossimo sabato 7 febbraio i suoi cittadini sono infatti chiamati ad esprimersi in un referendum in materia di matrimonio e famiglia, promosso da laici - cattolici, protestanti, ortodossi, persone di buona volontà - che di fronte ai primi tentativi di importare nel Paese l’ideologia del gender non sono stati con le mani in mano, ma hanno deciso di reagire. Questi i quesiti referendari:
1. Matrimonio: sei d'accordo sul fatto che nessun'altra unione, se non quella di un uomo e una donna, possa essere definita matrimonio?
2. Adozione: sei d'accordo sul fatto che non sia permesso a coppie composte da persone dello steso sesso di adottare e crescere figli?
3. Educazione sessuale ed eutanasia: sei d'accordo sul fatto che le scuole non obblighino gli alunni a partecipare a lezioni in tema di comportamento sessuale ed eutanasia nel caso in cui i loro genitori non ne condividano i contenuti?

Anche la Chiesa non ha taciuto: domani, come ultimo atto di una vasta opera di sensibilizzazione, i parroci leggeranno dopo la Messa una lettera scritta dalla Conferenza episcopale, che invita tutti a fare la propria

venerdì 30 gennaio 2015

2030, l'anno in cui spariranno i matrimoni religiosi

di Lorenzo Bertocchi                             23-01-2015 

Secondo le previsioni, nel 2030 in Italia non ci saranno più matrimoni religiosiDal 1995 al 2002 è stato Direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia della Cei, dal 2003 al 2009 Consultore del Pontificio Consiglio per la Famiglia, da sempre si occupa “sul campo” di pastorale familiare. È don Renzo Bonetti, oggi presidente della Fondazione Famiglia Dono Grande. Poco prima del Sinodo di ottobre è stato tra i firmatari di una lettera (Commitment to marriage) che alcune personalità di varie nazioni hanno firmato, rivolgendosi ai padri sinodali. Ha tutte le carte in regola per fare due chiacchiere sui temi del Sinodo.
Don Renzo in Italia, secondo le statistiche, dal 1963 abbiamo perso circa 6.000 matrimoni religiosi all’anno, se andiamo avanti così fra circa 15 anni non ci saranno più matrimoni religiosi. Come può esserci Chiesa senza famiglia?
«Spesso diamo la colpa al “mondo”, ma raramente ci poniamo la domanda se noi come Chiesa siamo stati capaci di insegnare la bellezza della realtà della coppia e della sessualità. I vescovi italiani, con un documento del 1975, proponevano una profonda revisione dei corsi in preparazione al matrimonio e additavano il Sacramento come fonte di bellezza, di santificazione, di impegno pastorale. Se allora quello fu uno snodo importante, dobbiamo purtroppo constatare che a tutt’oggi, a 40 anni di distanza, si ripropongono più o meno quegli stessi corsi. Forse non abbiamo saputo correre e percorrere fino in fondo quelle intuizioni. Forse perché occupati troppo in altre cose. Ma così facendo non abbiamo saputo mettere al centro la famiglia e ora che ne veniamo privati ci rendiamo conto che non possiamo permettercelo, perché senza famiglia non comprendiamo la Chiesa. Come affermava san Giovanni Paolo II al n°19 della Lettera alle famiglie, «non si può comprendere la Chiesa come Corpo mistico di Cristo, come segno dell'Alleanza dell'uomo con Dio in Cristo, come sacramento universale di salvezza, senza riferirsi al grande mistero, congiunto alla creazione dell'uomo maschio e femmina ed alla vocazione di entrambi all'amore coniugale, alla paternità e alla maternità. Non esiste il grande mistero, che è la Chiesa e l'umanità in Cristo, senza il grande mistero espresso nell'essere “una sola carne”, cioè nella realtà del matrimonio e della famiglia».
Purtroppo oggi gli uomini e le donne faticano a interpretare questo “grande mistero”...
«In un certo senso dobbiamo chiederci se le nostre coppie di sposi non siano troppo trascinate dalla corrente culturale

giovedì 29 gennaio 2015

«Non si conceda mai ai musulmani una chiesa per il culto, per loro è la prova della nostra apostasia»

di Piero La Porta

«Non si conceda mai ai musulmani una chiesa per il culto, per loro è la prova della nostra apostasia»L’Arcivescovo di Smirne (Turchia), Mons. Germano Bernardini, fece un intervento al Secondo Sinodo di Vescovi d’Europa  il 13 ottobre 1999. Il testo scritto fu consegnato alla segreteria del Sinodo sul problema dell’Islam. Ecco il testo integrale.

«Santo Padre, Eminenze, Eccellenze,
vivo da 42 anni in Turchia, paese musulmano al 99,9%, e sono arcivescovo di Izmir – Asia Minore – da 16 anni. L’argomento del mio intervento è quindi scontato: il problema dell’Islam in Europa ora e nel prossimo futuro. Ringrazio Mons. Pelatre e chi ha già parlato sull’argomento in questo prestigioso consesso, dispensandomi così da lunghi esami e dalle relative interpretazioni.

Il mio intervento è fatto soprattutto per rivolgere al S. Padre un’umile richiesta. Per essere breve e chiaro, prima riferirò tre casi che, data la loro provenienza, reputo realmente accaduti.
  - Durante un incontro ufficiale sul dialogo islamo-cristiano, un autorevole personaggio musulmano (ndR, secondo fonti attendibili era Sadat Anwar (1918-1981), presidente della repubblica egiziana dopo la morte di Nasser-1970. Sadat venne assassinato dalla corrente integralista dei Fratelli musulmani, che pensavano invece ad una lotta armata), rivolgendosi ai partecipanti cristiani, disse ad un certo punto con calma e sicurezza: «Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo».
C’è da crederci perché il “dominio” è già cominciato con i petrodollari, usati non per creare lavoro nei paesi poveri del Nord Africa o del Medio Oriente, ma per costruire moschee e centri culturali nei paesi

lunedì 26 gennaio 2015

Perché l'odio degli gnostici per il Dio dell'antico testamento è un veleno ancora in circolazione

di Maria Bettetini da «Il Sole 24Ore», 25.1.15
Perché l'odio degli gnostici per il Dio dell'Antico Testamento è un veleno ancora in circolazioneAli pensava di aver trovato un tesoro. Rimosse la ciotola di ceramica che chiudeva l’orcio di terracotta rossa, vide balenare un colore simile all’oro. Con emozione vi infilò la mano, con delusione si accorse di avere trovato solo striscioline di papiro così antico da essersi disfatto e avere assunto un delicato color paglia, simile a quello dell’oro. Era il 1945, Muhammad Ali al-Sammin si trovava sull’isola detta Elefantina, in un’ansa del Nilo, vicino al villaggio di Nag Hammadi e agli splendori di Luxor. Quei papiri, che per dieci anni dopo il ritrovamento caddero in mani inesperte, erano dodici codici e otto pagine, e contenevano il tesoro dei primi testi gnostici completi a disposizione degli studiosi: fino allora, si poteva conoscere lo gnosticismo (termine coniato nel Settecento), con l’eccezione di quattro codici molto frammentari, solo dalle citazioni dei numerosi nemici, da Plotino, che li confonde con i cristiani, a Tertulliano, ai Padri della Chiesa che lo combattono come perniciosa eresia. Giustino, Ireneo, Ippolito e molti altri combattono il dualismo gnostico, che per Agostino avrà il volto del manicheismo persiano. Ma probabilmente lo gnosticismo non è, o non è solo, un’eresia cristiana.
Premessa la necessità innanzitutto di riconoscere “gli” gnosticismi, perché le dottrine furono moltissime con pochi punti in comune, noi da una parte abbiamo documenti che risalgono unicamente all’era cristiana, a partire dal II secolo, dall’altra in tutte le dottrine gnostiche è evidente l’influenza delle religioni orientali, nessuna esclusa. Un mistero che ha sempre esercitato molto fascino anche prima della scoperta dei papiri sul Nilo, si pensi al libro di Hans Jonas (due volumi pubblicati tra il 1934 e il 1954) per anni punto di riferimento per gli studiosi: l’idea del filosofo tedesco era uno gnosticismo parallelo al cristianesimo, un movimento culturale vicino a esistenzialismo e nichilismo, profondamente anticristiano e dai toni anche malinconici, quasi per intellettuali alla Sartre. Ora abbiamo qualche testo in più, e si possono formulare altre ipotesi, ancora però difficili da verificare.
È stato di recente tradotto in italiano un libro che si presenta come un “manuale” sui manoscritti di Nag

domenica 25 gennaio 2015

L'America che marcia per la vita. Il card. O'Malley: «We shall overcome»


Un fiume umano ha raggiunto Washington tra mercoledì e giovedì scorso, quello dei partecipanti alla Marcia per la vita. Giunta alla sua edizione numero 42, la Marcia si è confermata anche quest’anno come l’iniziativa più rappresentativa ed “ecumenica” di tutto il grande mondo pro-life  statunitense.
Mercoledì sera, alla vigilia dell’evento, il cardinale Sean O’Malley ha celebrato una Messa presso la Cattedrale della Santa Croce. Nell’omelia ha sottolineato come negli Usa sia sta verificando un sorprendente cambiamento dell’opinione pubblica riguardo all’aborto, nel silenzio dei media. Un fenomeno «generazionale» che il porporato attribuisce appunto ai «giovani», oggi « il segmento pro life più importante». E ha aggiunto una serie di considerazioni ispirate, di cui riportiamo qui uno scampolo:
[…] Nella storia del nostro Paese, persone di fede hanno lavorato insieme per sconfiggere il razzismo e l’ingiustizia. Ora anche noi siamo qui per difendere la vita innocente, quella vulnerabile degli anziani e quella coloro che la vedono minacciata. Noi vinceremo (we shall overcome).
In realtà stiamo già trionfando, ma è un segreto molto ben custodito. […]
Dobbiamo lavorare incessantemente per cambiare le leggi ingiuste, ma dobbiamo lavorare ancora di più per cambiare i cuori, per costruire una civiltà dell’amore. Solidarietà e comunità sono gli antidoti all’individualismo e all’alienazione che porta sulla strada dell’aborto e dell’eutanasia.
Il giovane ricco se ne andò scoraggiato perché quello che Cristo gli chiedeva era difficile. Le sfide che affrontiamo sono grandi  e lo scoraggiamento è il nostro maggiore nemico.
Ma sappiate che Gesù ci sta guardando con amore. Il suo amore deve darci energia e unirci. Nessun sacrificio è troppo grande, non dobbiamo guardare i costi, ma insistere, convinti che vinceremo […].

venerdì 23 gennaio 2015

Anche se hai vissuto una vita di tante cose brutte, Dio ti perdona tutto!


Nella Messa a Santa Marta, Francesco parla di misericordia e della confessione, quale occasione d'incontro con Dio che riconcilia, perdona e fa festa

Non è una tintoria la confessione, dove vai a far lavare una macchia. Tantomeno un’officina dove tutto il ‘lavoro’ si svolge in modo meccanico. La confessione è un momento profondissimo in cui Dio “fa festa”, perché “perdona” e si “riconcilia” con i suoi figli.
Nella Messa a Santa Marta di oggi, Francesco torna a riflettere su uno dei suoi temi preferiti: il perdono e la misericordia di Dio. Una misericordia che si riversa come una cascata sulla persona che la invoca.
Risultati immagini per foto del santo padre francescoIl “lavoro” di Dio è proprio questo, dice il Papa: perdonare, riconciliare, effondere misericordia. Un lavoro “bello” che si esplica nel Sacramento della confessione che, appunto per questo, non va considerato un “giudizio”, ma un “incontro”.
“Il nostro Dio perdona” qualsiasi peccato, rimarca il Santo Padre, perdona “sempre” e “dimentica tutto”; poi fa “festa” con quel figlio con cui stipula una “nuova alleanza”. Questa alleanza “il Dio che riconcilia” l’ha già suggellata inviando nel mondo il Suo unico Figlio Gesù Cristo, proprio per ristabilire un nuovo patto con l’umanità.
Caposaldo di questa alleanza è il perdono, che il Signore “non si stanca” di elargire. Semmai – dice Francesco ricordando una delle frasi più significative del suo pontificato – “siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”. Lui, invece, mai! Anche “se tu hai vissuto una vita di tanti peccati, di tante cose brutte, ma alla fine, un po’ pentito, chiedi perdono, ti perdona subito! Lui perdona sempre”.
Eppure, noi uomini diffidenti dubitiamo ugualmente. Soprattutto sul “quanto” Dio sia disposto a perdonare. Ebbene, ripete Bergoglio, basta “pentirsi e chiedere perdono”, “non si deve pagare niente”, perché già “Cristo ha pagato per noi”. Come il figliol prodigo della parabola, che si arrovella a cercare le migliori parole di scuse per farsi riaccogliere dal padre che aveva abbandonato, ma che invece non riesce neanche ad aprir bocca perché il papà appena lo vede lo abbraccia e lo tiene stretto a sé.
Questa stessa accoglienza Dio la riserva a noi, rimarca Papa Francesco: “non c’è peccato che Lui non perdoni. Lui perdona tutto. ‘Ma, padre, io non vado a confessarmi perché ne ho fatte tante brutte, tante brutte, tante di quelle che non avrò perdono...’ No. Non è vero. Perdona tutto. Se tu vai pentito, perdona tutto. Quando… eh, tante volte non ti lascia parlare! Tu incominci a chiedere perdono e Lui ti fa sentire quella gioia del perdono prima che tu abbia finito di dire tutto”.
Inoltre, aggiunge il Pontefice, Dio dimentica” qualsiasi nostro peccato e “fa festa” quando perdona perché è contento di “incontrarsi con noi”. Anche i sacerdoti devono porsi in questo atteggiamento dentro al confessionale. Domandarsi cioè: “Sono disposto a perdonare tutto?”, “a dimenticarmi i peccati di quella persona?”.
Questo Sacramento infatti è molto più profondo di quanto appaia. “Tante volte – osserva Bergoglio - le confessioni sembrano invece una pratica, una formalità: Po, po, po, po, po… Po, po, po… Vai! Tutto meccanico! No! E l’incontro dov’è? L’incontro con il Signore che riconcilia…”.
Allora, conclude il Papa, dobbiamo insegnare ai nostri bimbi, ai nostri ragazzi “a confessarsi bene”, perché “andare a confessarsi non è andare alla tintoria perché ti tolgono una macchia. Bensì “andare a incontrare il Padre, che riconcilia, che perdona e che fa festa”.

giovedì 22 gennaio 2015

I figli e la felicità (riflettendo sui conigli…)

di antonelloiapicca


Articolo apparso su “La Croce” del 22 gennaio 2015

Sei felice? Forse perché sono lontano dall’Italia, ma io nelle parole del Papa ho sentito forte e chiara questa domanda. Perché i conigli figliano rispondendo a un istinto che non genera felicità ma soddisfazione; i cristiani, invece, procreano obbedendo alla volontà di Dio, che è l’unica fonte di felicità.
paralisiNon c’è legge che tenga, se non sei felice vuol dire che non stai nella volontà di Dio, anche se hai avuto dieci figli! Ci urta questo? Se sì, significa che siamo ancora incastrati nel moralismo, e la morale in noi non sta seguendo l’essere, ma al contrario cerca di definire questo con gli sforzi farisaici destinati all’insoddisfazione. Perché è matematico, uno fa quello che è non il contrario. Altrimenti, per quanto luccicante sia, è pura ipocrisia.
L’apertura alla vita, infatti, è un Vangelo fatto carne, mai un randello con cui bastonare chi al Vangelo non ha ancora creduto. E neanche un argomento con cui polemizzare. E’ gioia pura che sgorga dal grembo di combattimenti a volte duri, come quelli di Giacobbe al guado di Jabbok, per sperimentare il potere di Cristo risorto nell’estrema debolezza della nostra carne.
Per questo pro-creare è gioia autentica, ti trascina in Cielo insieme al Creatore, ed è la sconfitta reale e sperimentabile, empirica, del demonio e della sua menzogna: allungando orgogliosamente la mano per rubare non si diventa come Dio, ma offrendogli noi stessi perché per mezzo nostro continui, nella storia, il miracolo della creazione fa risplendere in noi la sua immagine e somiglianza.
Certo, l’apertura alla vita magari scatena pure invidie e gelosie, ma è sempre apertura, accoglie la vita per darla, anche a chi non è d’accordo e imbraccia le mitragliatrici ideologiche per spazzare via la verità sull’uomo. Una coppia aperta alla vita resta lì, come un segno del Cielo piantato sulla terra, un testimonial della vittoria di Cristo sulla morte, uno spot sull’amore più forte dell’egoismo; ci puoi sempre tornare per chiedergli di dare ragione della loro gioia, incontrerai persone debolissime come tutti ma bagnate dalla Grazia; e magari comincerai a fare come loro, seguendone le orme nella Chiesa, sempre pronta ad aprire gli scrigni dei suoi tesori.
I figli, infatti, non sono medaglie da esporre alla parata dei buoni cristiani, quelle dove narcisisticamente a volte siamo tentati di partecipare. Sono il frutto spesso immeritato del milligrammo di credito (il granello di fede che sposta le montagne) che abbiamo dato alla Parola di Dio risuonata nella Chiesa. Fosse per noi, per la nostra carne, si che ci accoppieremmo come i conigli, e Dio sa che combattimenti e che sonore sconfitte subiamo sotto le lenzuola.
E’ lo stesso per un prete, e lo dico per esperienza. Sei felice perché sei casto o sei casto perché sei felice? Sembra una domanda oziosa, invece è tanto decisiva quanto profonda: solo chi è felice perché è in comunione con Dio e sta compiendo la sua volontà può essere casto, e quindi difendere la castità combattendo per essa diventa un’attitudine naturale. Altrimenti saranno arrampicate in solitaria e quando finiscono i chiodi son dolori. Basta un imprevisto e giù in picchiata. Pornografia e masturbazione per non dire di peggio sono dietro ogni angolo, per i preti come per i mariti…
Per questo ci occorre come il pane il sano realismo di Papa Francesco che ci aiuti a non volare coi sentimenti

martedì 20 gennaio 2015

Se io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo (S.Agostino)

Questo è il nostro vanto: la testimonianza della coscienza (cfr. 2 Cor 1, 12). Vi sono uomini avventati, detrattori, delatori, mormoratori, che cercano di congetturare quello che non vedono e si adoperano perfino a diffondere quello che neppure sono in grado di sospettare. Contro costoro che cosa resta, se non la testimonianza della nostra coscienz...a? Infatti, fratelli, neppure in quelli ai quali vogliamo piacere, noi pastori di anime, cerchiamo o dobbiamo cercare la nostra gloria, bensì mirare alla loro salvezza, in modo che, se ci comportiamo rettamente, essi non abbiano ad andare fuori strada nel tentativo di seguirci. Siano nostri imitatori, solo se almeno noi siamo imitatori di Cristo. Se invece non siamo imitatori di Cristo, lo siano almeno essi. Egli infatti pasce il suo gregge e, con tutti quelli che pascolano come si deve il loro gregge, vi è egli solo, perché tutti sono in lui.    Non cerchiamo dunque il nostro interesse quando vogliamo piacere agli uomini, ma vogliamo rallegrarci con gli uomini, e siamo lieti che a loro piaccia il bene, per la loro utilità non per la nostra gloria. Contro chi l'Apostolo abbia detto: Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo! (cfr. Gal 1, 10), è evidente. E per chi abbia detto: Cercate di piacere a tutti in tutto, come anch'io cerco di piacere a tutti attraverso tutte le cose (cfr. 1 Cor 10, 33), è altrettanto evidente. Tutte e due le cose sono lampanti, tutte e due pacifiche, tutte e due semplici, tutte e due chiare. Tu però mangia e bevi solamente, non calpestare e non intorbidare quello che mangi e quello che bevi.    Certamente hai ascoltato anche il Signore stesso Gesù Cristo, maestro degli apostoli: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5, 16), cioè colui che vi ha resi tali. Noi siamo infatti il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce (cfr. Sal 94, 7). Sia lodato perciò chi ti ha reso buono se sei buono. Non sei tu, perché, per te stesso, non avresti potuto essere se non cattivo. Perché poi vorresti stravolgere la verità pretendendo lodi quando fai bene, e rigettando sul Signore la vergogna quando operi male?    Certamente chi disse: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini» (Mt 5, 16), ha ugualmente affermato nello stesso discorso: «Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini» (Mt 6, 1). Ma come questi insegnamenti ti sembravano contraddittori nell'Apostolo, così avviene nel vangelo. Se però non intorbidisci l'acqua del tuo cuore, anche qui riconoscerai l'armonia delle Scritture e anche tu sarai in piena armonia con loro.    Cerchiamo dunque, fratelli, non soltanto di vivere bene, ma anche di comportarci bene davanti agli uomini. Non tendiamo solo ad avere una retta coscienza, ma per quanto lo comporta la nostra debolezza e lo consente la fragilità umana, sia anche nostro fermo impegno a non compiere nulla che possa destare un cattivo sospetto nel fratello debole. Mentre mangiamo buone erbe e beviamo acque limpide, non calpestiamo i pascoli di Dio, perché le pecore inferme non abbiano a mangiare ciò che è calpestato, e bere ciò che è stato intorbidato.(Sant'Agostino, Disc. 47, 12-14; CCL 41, 582-584)
Se io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo (S.Agostino)Se io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo (S.Agostino)

Tuona il Papa: «C'è chi vuole ridefinire il matrimonio mediante il relativismo e il rifiuto della vita»

di Matteo Matzuzzi
Difesa dell'Humanae Vitae di Paolo VI, condanna delle nuove impostazioni ideologiche che minacciano la famiglia. È stato chiaro, il Papa, durante l'Incontro con le Famiglie al Mall of Asia Arena di Manila. Di seguito, alcuni estratti del discorso tenuto da Francesco.
Tuona il Papa: «C'è chi vuole ridefinire il matrimonio mediante il relativismo<br>e il rifiuto della vita»«I pesi che gravano sulla vita della famiglia oggi sono molti. Qui nelle Filippine, innumerevoli famiglie soffrono ancora le conseguenze dei disastri naturali. La situazione economica ha provocato la frammentazione delle famiglie con l’emigrazione e la ricerca di un impiego, inoltre problemi finanziari assillano molti focolari domestici. Mentre fin troppe persone vivono in estrema povertà, altri vengono catturati dal materialismo e da stili di vita che annullano la vita familiare e le più fondamentali esigenze della morale cristiana. Queste sono le nuove forme di colonizzazione. La famiglia è anche minacciata dai crescenti tentativi da parte di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita. Penso al Beato Paolo VI in un momento in cui esisteva il problema della crescita della popolazione, lui ha avuto il coraggio di difendere l'apertura alla vita nella famiglia e conosceva le difficoltà che esistevano e per questo nella sua lettera enciclica è stato misericordioso in relazione a casi specifici e ha chiesto ai confessori che fossero misericordiosi e lui ha guardato ai popoli della terra e ha visto questa minaccia di distruzione della famiglia a causa della privazione dei figli. Paolo VI era molto coraggioso (...)».
«Il mondo ha bisogno di famiglie buone e forti per superare queste minacce! Le Filippine hanno bisogno di famiglie sante e piene d’amore per custodire la bellezza e la verità della famiglia nel piano di Dio ed essere di sostegno e di esempio per le altre famiglie. Ogni minaccia alla famiglia è una minaccia alla società stessa. Il futuro dell’umanità, come ha detto spesso san Giovanni Paolo II, passa attraverso la famiglia. Dunque, custodite le vostre famiglie! Vedete in esse il più grande tesoro della vostra nazione e nutritele sempre con la preghiera e la grazia dei Sacramenti. Le famiglie avranno sempre le loro prove, non hanno bisogno che gliene aggiungiate altre! Invece, siate esempi di amore, perdono e attenzione. Siate santuari di rispetto per la vita, proclamando la sacralità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. Che grande dono sarebbe per la società se ogni famiglia cristiana vivesse pienamente la sua nobile vocazione! Allora, alzatevi con Gesù e Maria e disponetevi a percorrere la strada che il Signore traccia per ognuno di voi».

lunedì 19 gennaio 2015

Quattro tesi per difendere la famiglia

18-01-2015
Pubblichiamo la relazione introduttiva di Massimo Introvigne al convegno "Difendere la Famiglia per difendere la Comunità", promosso e organizzato dalla Regione Lombardia. Al convegno hanno partecipato circa 3mila persone, mentre qualche centinaio di attivisti pro-gay - che spalleggiati dal quotidiano "Repubblica" hanno montato una campagna menzognera contro il convegno - hanno manifestato all'esterno del Pirellone. All'interno, in prima fila a manifestare solidarietà alla Regione che non ha ceduto di fronte a contestazioni di ogni genere, oltre al governatore Maroni e al presidente del Consiglio regionale Cattaneo, c'erano il ministro Lupi, l'ex governatore Formigoni, Ignazio La Russa e il deputato siciliano Alessandro Pagano.

Buon pomeriggio dai mostri di Milano.
Maria CerroneGrazie alla Regione Lombardia per avere promosso e organizzato questa iniziativa, e ancora di più per avere tenuto duro di fronte a una colossale mistificazione che ha trasformato un convegno sulla famiglia in una sorta di clinica degli orrori dove si accusano gli omosessuali di essere malati e se ne organizza a forza la cura. Ma grazie anche ai mistificatori. Temevo di trovarmi di fronte a un convegno sulla famiglia come se fanno tanti, forse anche un po' noioso, e - da sociologo - mi si offre invece un'occasione straordinaria per studiare quello che ho sempre studiato, i panici morali alimentati dalla diffusione di notizie false.
Il pubblico però è qui per sentir parlare del tema del convegno, cioè della famiglia. Lo introduco proponendo quattro tesi.
La prima è che la famiglia non è solo - come ha detto Papa Francesco - «il motore del mondo e della storia» ma è anche, forse più modestamente, l'ancora di salvezza dell'Italia. Le statistiche sul nostro Paese sono terrificanti. Siamo ai primi posti tra i Paesi industrializzati nelle classifiche sul debito pubblico, sulla corruzione, sull'inefficienza della pubblica amministrazione, sui ritardi burocratici, sul cattivo funzionamento della scuola. Nonostante tutto questo, il nostro tenore di

domenica 18 gennaio 2015

Tarcento, la rivoluzione scolastica possibile

di Costanza Signorelli                    18-01-2015 

scuola4Immagina una scuola dove gli insegnati accolgono gli alunni come in una famiglia. Perché, in effetti, la scuola è anche la loro casa. Dove i ragazzi non mangiano in un’anonima “mensa”, ma aiutano ad apparecchiare la “sala da pranzo” e - perché no - anche a pelare le patate o tagliare il salame. Dove le mamme, si offrono a turno per dare una mano a rassettare le aule mentre, tra un battito di scopa e una spolverata, condividono gioie e preoccupazioni della giornata. Una scuola dove l’inizio di ogni nuovo giorno è un momento di accoglienza, per fare memoria di cosa si sta cominciando insieme e, la sera, ci si saluta con la musica che si diffonde nei corridoi, come fosse una gran festa. Una scuola completamente gratuita. Dove non esistono rette, ma i genitori - ognuno per come può - danno il loro contributo. C’è chi versa una parte del proprio stipendio, e chi porta uova fresche o zucchine biologiche. Roba d’altri tempi? Forse. Utopia? Niente affatto. Questa scuola, non solo è possibile, ma esiste davvero.
La curiosità di capire come sia possibile tutto questo, ci spinge ai confini dell’Italia. Su, su, fino all’estremo nord. Per l’esattezza, ci troviamo a Tarcento: un paesino di novemila abitanti nel friulano, venti chilometri sopra Udine. Ad attenderci su un muretto di pietra, c’è un omone vestito di nero: è don Antonio Villa, meglio noto come “il Villa”. Con i suoi ottant’anni suonati e una lucidità formidabile, il Villa da quelle parti è una sorta di “istituzione”. Senza di lui la scuola media Camillo di Gaspero oggi non potrebbe essere quello che è.  “Tutto è nato proprio qui. – ci spiega don Villa - Un giorno ero seduto su questo muretto e un signore mi dice “Villa oggi non fischietta?” Gli rispondo che sono triste perché un amico di Milano ci vuole regalare una scuola, ma non abbiamo il terreno. “Eccolo!”, mi fa lui e indica con il dito la sua proprietà. Ce la regalava per fare la scuola. Ma ai tempi qui c’erano solo macerie”.
C’erano solo macerie. E infatti, per comprendere la vicenda di questa “strana scuola”, dobbiamo riavvolgere il nastro della

venerdì 16 gennaio 2015

"Attente famiglie! C'è una colonizzazione ideologica che vuole distruggervi..."

Grande partecipazione all'incontro del Papa con le famiglie di Manila. Nella sua omelia, in gran parte a braccio, Francesco invita a riposare, per poi agire ed essere voce profetica nel mondo

Citta' del Vaticano,       Salvatore Cernuzio

Un’accoglienza da rockstar quella riservata a Bergoglio dalle famiglie filippine riunite in gran numero nel "Mall of Asia Arena" di Manila. Dell’intero viaggio nell’arcipelago l’incontro nel Palazzo dello Sport è sicuramente l’appuntamento più emozionante e partecipato.
Al suo ingresso, il Papa si guardava intorno divertito nel vedere questa folla variegata urlare e cantare ad ogni suo avvicinamento. 20mila persone, tra bambini, anziani, coppie, interi nuclei familiari sono venuti a dare il loro saluto al Santo Padre per rimarcare quanto la realtà della famiglia sia fondata nel tessuto culturale e sociale delle Filippine.
Tra i fotogrammi più belli sicuramente l’abbraccio con i componenti di una delle famiglie proprietarie del Palazzetto, circa 30 persone capitanate dalla matriarca di 100 anni. Una di loro ha anche messo sul collo del Pontefice una tipica collana di fiori. Oppure quando Francesco ha scherzato ripetendo per tre volte il tipico inchino di saluto o quando ha scambiato il solideo con uno nuovo donatogli da un'anziana signora.
Dopo il saluto di mons. Gabriel Reyes, vescovo di Antipolo e presidente della Commissione Episcopale per la Famiglia, e alcune testimonianze, si è aperta quindi la Liturgia della Parola, con la lettura del brano evangelico sulla fuga in Egitto e i due sogni di Giuseppe, dal quale Bergoglio ha tratto le tre parole-chiave della sua lunga omelia: riposarealzarsi e essere voce profetica.

mercoledì 14 gennaio 2015

L’annuncio del Vangelo, l’unica mano tesa per salvare l’Europa, sempre più vecchia suocera preda della febbre

di antonelloiapicca

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Anche per chi come me vive a migliaia di chilometri dall’Europa, in questi giorni sembra di essere inghiottiti nella massa informe della menzogna. Piazze e stadi, luci e liturgie, slogan e canzoni sono le cattedrali plein air costruite per gli idoli destinati a saziare la fame implacabile di certezze che assilla questa generazione. Un cantante, un calciatore, un ideale, tutto fa brodo per ingannare e occupare tempo, cervello e sentimenti. A me sembra che il demonio si stia divertendo tantissimo. Milioni in piazza per manifestare in favore di quei valori che stanno uccidendo l’Europa, ben più a fondo e con molto anticipo rispetto ai fondamentalisti islamici. A loro basta continuare a far figli, viverci accanto, e qualche attentato buttato lì come un lacrimogeno, tanto sanno benissimo che le nostre sono solo lacrime ipocrite versate su ciò che non ha più nessun valore, la vita umana. E sanno anche che a far saltare le fondamenta ci pensiamo noi, i nipoti degli enciclopedisti illuminati e dei rivoluzionari che presero la Bastiglia. Ci stiamo impegnando eccome a “schiacciare l’infame”, come disse Voltaire (riferendosi a Cristo, ai cristiani, alla Chiesa). Butto lì una domanda: quante vittime abbiamo fatto in Europa con l’aborto? Milioni! Una carneficina di persone alle quali è stato tolto il diritto di dire la propria. Ma come, non si marciava per difendere la libertà? Ho sentito ripetere con enfasi che i terroristi non riusciranno a cambiare il nostro modo di vivere. Ecco, proprio questo è il gol di satana, da incorniciare. Ciechi e guide di ciechi, siamo orgogliosi della nostra decadenza e dei nostri abomini. Squartiamo embrioni, uccidiamo i bambini, e le chiamiamo conquiste di civiltà, altro che medioevo vero? Non c’è un Isaia da qualche parte? Un Geremia, un Giovanni Battista? Un profeta che gridi al nostro cuore e faccia “tacere” la menzogna demoniaca? Il terrorismo islamico, non diverso dalle scorrerie dei saraceni, sono una Parola di Dio per noi, per te e per me. Una chiamata a conversione, urgente! Alla Chiesa innanzitutto, perché ritorni di corsa alla stoltezza della predicazione, all’annuncio del Vangelo, l’unico che abbia il potere di “mettere la museruola” a satana e far risplendere la Verità. Dio esiste, e ci ama: ha inviato suo Figlio a prendere i peccati di ogni uomo, per riscattarlo dalla morte e farne una creatura nuova. Di questo annuncio ha bisogno l’Europa, come l’anziana suocera di Pietro: siamo tutti a letto con la febbre, gli anticorpi sottozero, basterà un niente per collassare. A meno che non arrivi la mano di Cristo a prendere la nostra per rialzarci, e la sua voce sulle labbra della Chiesa per strapparci all’egoismo presuntuoso dei falsi diritti e farci servi dell’amore, ovvero liberi per donarci.

martedì 13 gennaio 2015

La strage a Parigi al grido di ''Allah è grande'' dimostra l'inconsistenza della distinzione tra Islam fondamentalista e Islam moderato


Scopo ultimo di tutti i musulmani è la conquista del mondo e l'imposizione della legge del Corano

di Luigi Amicone

«Dove ci condurrà questa terza guerra mondiale che, come ha detto Francesco, "è già cominciata"? In qualsiasi momento e per qualsiasi "incidente" ci condurrà a una catastrofe». La considerazione era contenuta nell'editoriale con cui ieri mattina salutavamo su questo sito il vecchio anno e ci auguravamo il miracolo di una ripresa di libertà in un mondo fatto di opposte ma complementari spinte fanatiche e totalitarie: l'odio dell'altro da una parte e l'odio di sé dall'altra; il nichilismo islamista di là e l'irrazionalismo buonista di qua; lo Stato islamico in Oriente, lo Stato laicista in Occidente.

ALLAH È GRANDE
Ed ecco che nella stessa mattinata di ieri il "qualsiasi momento" e "qualsiasi incidente" si è materializzato nell'orrenda strage dei giornalisti di Charlie Hebdo al grido di "Allah è grande". La rivista era da tempo nel mirino del terrorismo perché si è permessa di fare sistematica satira sull'islam e sul suo Profeta. Naturalmente così come dissacrava l'islam, Charlie Hebdo dissacrava tutte le altre religioni, cristianesimo ed ebraismo in testa (e d'altronde attaccare i cristiani, la Chiesa, i simboli giudeo-cristiani è oggi lo sport preferito in ogni posto del mondo). Ma solo l'islamismo ha dichiarato guerra ai dissacratori, alla satira, alla vita, al mondo. Solo gli islamisti associano «Allah è grande» all'«amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita».
E noi che adesso guardiamo con sgomento e paura alla capitale di certi nostri week-end, cosa vediamo in quella strada dei Lumi gonfia di orrore e di sangue? Vediamo, purtroppo, ancora poco. Abituati a essere forti e sprezzanti con i deboli e deboli e timorosi con i forti, i nostri cari leader ed élite europee ci hanno abituati a una dieta di idee che prevede sempre e comunque da una parte il disprezzo delle nostre tradizioni, ragione e libertà rimpiazzate dall'idolatria di un accomodante pacifismo e di uno sciocco relativismo, dall'altra il "rispetto" delle culture "altre", anche laddove esse manifestano tutto il loro rifiuto di integrazione e replicano con disprezzo a quanti li richiamano all'osservanza dell'ordine e della democrazia che li ospita.
Feroci con i nostri popoli (accusati puntualmente di razzismo e fascismo se mostrano disagio sociale e protesta politica per le prepotenze altrui), l'ordine che circola ad ogni livello delle società europee è mantenere la calma, il basso profilo, la comprensione - in nome di una equivoca "tolleranza" e "multiculturalità" - nei confronti di tutti quei soggetti e comunità che praticano nel cuore dell'Europa la sharia o il disprezzo degli infedeli; l'asservimento delle donne o l'ignoranza dei bambini. O tutte queste cose insieme. Ora, per l'ennesima volta, la realtà testarda ci è venuta a trovare. Tremende sono le immagini dell'eccidio parigino. Ma forse ancor più tremendo sarà il tentativo rimozione di chi, puntualmente, chiamerà in causa le "colpe dell'Occidente".

BENEDETTO XVI E IL DISCORSO A RATISBONA
Ma insomma, siamo stufi di chiudere gli occhi, come ci sono stati chiusi da quando Benedetto XVI

giovedì 8 gennaio 2015

«Una società senza le madri è contro l'uomo»

di Massimo Introvigne                       07-01-2015 

Papa FrancescoAll'udienza generale del 7 gennaio 2015, Papa Francesco dopo la pausa natalizia ha ripreso le sue catechesi sulla famiglia, meditando sulla figura della madre. Indispensabile nella Chiesa e in ogni società che voglia essere pienamente umana. Proprio in questi giorni la liturgia «ha posto dinanzi ai nostri occhi l’icona della Vergine Maria Madre di Dio. Il primo giorno dell’anno è la festa della Madre di Dio, a cui segue l’Epifania, con il ricordo della visita dei Magi». La Madonna è la madre per eccellenza che, «dopo averlo generato, presenta il Figlio al mondo. Lei ci dà Gesù, lei ci mostra Gesù, lei ci fa vedere Gesù». Così Maria è icona di tutte le madri del mondo.
«Ogni persona umana deve la vita a una madre, e quasi sempre deve a lei molto della propria esistenza successiva, della formazione umana e spirituale». Oggi però si assiste a un paradosso. La figura della madre è «molto esaltata dal punto di vista simbolico, - tante poesie, tante cose belle che si dicono poeticamente della madre». Ma nello stesso tempo «viene poco ascoltata e poco aiutata nella vita quotidiana, poco considerata nel suo ruolo centrale nella società. Anzi, spesso si approfitta della disponibilità delle madri a sacrificarsi per i figli per “risparmiare” sulle spese sociali». Se questo è un problema degli Stati, capita talora che «anche nella comunità cristiana la madre non sia sempre tenuta nel giusto conto, che sia poco ascoltata». Un altro paradosso, perché «al centro della vita della Chiesa c’è la Madre di Gesù». Dunque rispetto alle madri occorrerebbe «comprendere di più la loro lotta quotidiana per essere efficienti al lavoro e attente e affettuose in famiglia».«Io ricordo a casa», ha detto il Papa, «eravamo cinque figli e mentre uno ne faceva una, l’altro pensava di farne un’altra, e la povera mamma andava da una parte all’altra, ma era felice. Ci ha dato tanto».
L'aneddoto ha un valore universale, «Le madri sono l’antidoto più forte al dilagare dell’individualismo egoistico. “Individuo” vuol dire “che non si può dividere”. Le madri invece si “dividono”, a partire da quando ospitano un figlio per darlo al mondo e farlo crescere». Francesco ha citato l'arcivescovo martire del Salvador Oscar Arnulfo Romero, il quale «diceva che le mamme vivono un “martirio materno”». Di monsignor Romero il Papa ha citato questo brano, tratto da un'omelia ai funerali di un sacerdote assassinato per ragioni politiche: «Tutti dobbiamo essere disposti a morire per la nostra fede, anche se il Signore non ci concede questo onore… Dare la vita non significa solo essere uccisi; dare la vita, avere spirito di martirio, è dare nel dovere, nel silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; in quel silenzio della vita quotidiana; dare la vita a poco a poco? Sì, come la dà una madre, che senza timore, con la semplicità del martirio materno, concepisce nel suo seno un figlio, lo dà alla luce, lo allatta, lo fa crescere e accudisce con affetto. È dare la vita. È martirio».
Papa Francesco ha commentato che «una società senza madri sarebbe una società disumana, perché le madri sanno testimoniare sempre, anche nei momenti peggiori, la tenerezza, la dedizione, la forza morale». Le madri sono importanti anche per la religione, perché «trasmettono spesso anche il senso più profondo della pratica religiosa: nelle prime preghiere, nei primi gesti di devozione che un bambino impara, è inscritto il valore della fede nella vita di un essere umano. É un messaggio che le madri credenti sanno trasmettere senza tante spiegazioni: queste arriveranno dopo, ma il germe della fede sta in quei primi, preziosissimi momenti». Senza le madri, «non solo non ci sarebbero nuovi fedeli, ma la fede perderebbe buona parte del suo calore semplice e profondo».
Sappiamo che la Chiesa è madre, che la Madonna è madre di tutti, e che la madre terrena non ci abbandona mai. Queste tre maternità sono collegate. «Noi non siamo orfani, abbiamo una madre! La Madonna, la madre Chiesa, e la nostra mamma. Non siamo orfani, siamo figli della Chiesa, siamo figli della Madonna, e siamo figli delle nostre madri». Non siamo soli.

lunedì 5 gennaio 2015

Credi davvero che un neonato può salvare la tua vita?

In questa festa dell’Epifania esplode la gioia. Giunti al culmine del Tempo di Natale arriviamo anche allo zenit della gioia. Pregustata dai pastori la gioia diventa per i Magi “estremamente grande”. Perché?

Fateci caso, essi gioiscono per aver visto di nuovo la stella. Non sono ancora entrati nella casa dove si trovava il Bambino con Giuseppe e Maria. La gioia è dunque precedente all’incontro con Gesù.
Come? Vuoi dire che si può sperimentare una gioia grandissima anche senza vedere Gesù? Sì, e no… Per comprendere dobbiamo metterci ancora una volta sotto la Parola perché ci dica la verità. Se non riusciamo a situarci nel vangelo forse ci commuoveremo, ma non ci sposteremo di un centimetro.
Ogni particolare delle liturgie di Avvento e Natale, ogni Parola proclamata, ogni segno, compreso quello del presepe ci mostra l’Incarnazione come l’umiliazione di Dio.
Abbiamo avuto in questi giorni dinanzi agli occhi un Dio Bambino, dolce, tenero, ma piccolo, debole, fragile, bisognoso di tutto. Un Dio che, sin dall’inizio, ha scelto l’ultimo posto.

A Boff ed agli altri critici che non hanno letto

 

di Vittorio Messori, Corriere della Sera, 5 gennaio 2015

Leonardo Boff, leader della Teologia della Liberazione alla brasiliana , quella con più esplicito riferimento al marxismo, dopo i contrasti con il cardinal Joseph Ratzinger e dopo i moniti di Giovanni Paolo II, dichiarò che quella Chiesa era inabitabile e irreformabile. Così,  lasciò il saio francescano e andò a vivere con una compagna. Giunse però  la sorpresa dell’implosione del comunismo e , come avvenuto per tanti, passò dal rosso al verde, all’ambientalismo più dogmatico, con aspetti di culto panteistico alla Madre Terra. Continua, però, a celebrare i sacramenti, con liturgie eucaristiche e battesimali da lui stesso elaborate (non mancano, si dice, le risonanze new age) nell’acquiescenza dell’episcopato brasiliano. In una intervista apparsa un anno fa su Vatican Insider ha affermato di avere non solo buoni rapporti con papa Francesco, come già in Argentina con l’allora arcivescovo, ma di collaborare con lui sui temi ambientalisti, in vista della  enciclica “verde“ annunciata dal Vescovo di Roma e, pare, da lui stesso suggerita.
Diciamo questo perché, in questo convinto ammiratore di Jorge Bergoglio, sembra esserci davvero poco della tenerezza, dell’accoglienza, del rispetto dell’altro, della misericordia indulgente predicati con tanta passione da papa Francesco. Il suo commento, pubblicato ieri da questo giornale, a proposito del mio articolo del 24 dicembre, non ha nulla dei buoni modi che Bergoglio esige nei riguardi di tutti, fossero anche antagonisti. Il già padre Leonardo mi attribuisce “grossi vuoti nel pensiero“, scarsa intelligenza, ignoranza, dandomi anche del mal convertito che, giunto a un’ età rispettabile, deve finalmente decidersi portare a termine la conversione. Mi lancia pure quella che per lui è una pesante accusa, ma che per me suona come un complimento, dandomi del “cristomonista“. Non so bene che voglia dire, ma quel che intuisco non mi dispiace, anzi mi lusinga.
Comunque, nessuna sorpresa: scrivendo cose che non piacciono a tutti, so bene come siano, nel concreto, quegli edificanti intellettuali (spesso religiosi) che del dialogo, appunto, vorrebbero fare una sorta di religione.

domenica 4 gennaio 2015

C'è aria di "Tribunale del popolo" nella Chiesa

di Riccardo Cascioli          03-01-2015 

Tribunale del popoloÈ un dato di fatto. Chi vive di ideologia perde il senso del ridicolo. Solo così si può spiegare il crescendo di attacchi – e anche insulti – a Vittorio Messori per l’articolo pubblicato il 24 dicembre sul Corriere della Sera e da noi ripubblicato il 28 dicembre (clicca qui). Commenti feroci di cui abbiamo dato un saggio ieri (clicca qui), ma che sono straordinariamente ampi e che hanno trovato il loro vertice in una petizione online per “Fermare gli attacchi contro papa Francesco” (clicca qui), in cui l’articolo di Messori è giudicato addirittura «una dichiarazione di guerra» e «un avvertimento di stampo mafioso», evocando dei «mandanti» non meglio specificati.
Le critiche scendono nel ridicolo ponendo il Corriere della Sera al centro di una oscura trama che mira a boicottare il pontificato di Francesco. Evidentemente questi signori non leggono molto spesso il Corriere se non si sono accorti di quanto invece abbia contribuito il quotidiano milanese a mettere all’indice tutti quei vescovi e cardinali che nel recente Sinodo hanno osato criticare le posizioni del cardinale Kasper, bollandoli come «nemici del Papa» (basterebbe ricordare certi articoli di Massimo Franco).
Così chi non avesse letto l’articolo di Messori sarebbe portato a pensare che vi siano contenute chissà quali critiche terribili a papa Francesco, mentre il cuore del discorso è tutto un altro: partendo dalla constatazione di una «apparente contraddittorietà» di alcuni interventi del Papa che disorientano molti cattolici, Messori ricorda che il credente «sa che non si guarda a un Pontefice come a un Presidente eletto di repubblica o come a un re, erede casuale di un altro re. Certo, in conclave, quegli strumenti dello Spirito Santo che, stando alla fede, sono i cardinali elettori condividono i limiti, gli errori, magari i peccati che contrassegnano l’umanità intera. Ma capo unico e vero della Chiesa è quel Cristo onnipotente e onnisciente che sa un po’ meglio di noi quale sia la scelta migliore, quanto al suo temporaneo rappresentante terreno. Una

venerdì 2 gennaio 2015

Missionari che salvano i disperati. Con Cristo, mica con il parolaio. Lettera dalla lontana Cambogia

di Padre Luca (Cambogia)

Missionari che salvano i disperati. Con Cristo, mica con il parolaio. Lettera dalla lontana CambogiaLa prima volta che ho incontrato Vuon, mi trovavo in viaggio con alcuni cristiani della nostra comunità di Kdol Leu. Passando vicino alla missione di Kratiè, ci siamo fermati un attimo a salutare quel trionfo di tenerezza e bontà che è suor Savier, anziana missionaria thailandese. Appena sceso dal pulmino vedo un giovanotto venirmi subito incontro, cammina a fatica a causa di un’evidente storpiatura delle gambe, ma sfoggia un bellissimo sorriso a 34 denti (mancandogli due incisivi). Mi chiama lopok, cioè “padre”, come sono chiamati i sacerdoti in Cambogia. Lo guardo meglio, ma non è un volto conosciuto. Si presenta, si chiama Vuon e sta andando a Ratanakiri, la sua provincia natale, per prendere le ceneri dei genitori e portarle in una pagoda di Kratiè. Parliamo un po’ e mi spiega che, da alcuni mesi, sta studiando al Centro per disabili dei Gesuiti vicino a Phnom Penh. Al momento di salutarlo e riprendere il viaggio, avendo saputo che è al verde, gli lascio qualcosa, ma non molto, perché purtroppo mi faccio prendere dal dubbio che forse non sia tutto vero quello che mi ha detto. E lui, in cambio, mi dà una piccola colomba di legno che ha intagliato al Centro. Parto con l’idea di non rivederlo più. Ma nel pomeriggio, sulla strada del ritorno, ritrovo Vuon da un benzinaio mentre sta ancora aspettando un mezzo di trasporto per andare a Ratanakiri. Quando mi vede mi abbraccia commosso. Quel gesto mi intenerisce, forse Vuon è più onesto di quello che penso.
Dopo alcuni mesi, dovendo passare dal Centro dei gesuiti, ne approfitto per chiedere di Vuon. Lo chiamano e quando mi vede è tutta una festa, mi presenta i suoi amici, mi fa vedere la casetta dove vive e mi spiega che nel frattempo ha iniziato il corso di agricoltura e allevamento. La stessa scena si ripete quando ritorno dopo un paio di mesi, stavolta però mi fa conoscere anche i suoi insegnanti e mi porta a visitare i porcili e i pollai. Mi viene allora un’idea: proprio in quelle settimane, con il Consiglio Pastorale stiamo valutando la possibilità di iniziare un piccolo progetto di allevamento di polli e maiali; ne parlo con padre Indoon, giovane gesuita coreano responsabile del Centro. All’occasione successiva faccio la proposta a Vuon. È felicissimo. Fra poco concluderà il corso e non gli sembra vero di avere già un lavoro.

Il giorno che andiamo insieme a Kdol Leu, Vuon è tutto emozionato, durante il viaggio in macchina mi