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giovedì 31 gennaio 2019




BRUCIATA UNA CHIESA... IN NOME DEI MIGRANTI
A Trento è stata lanciata una molotov contro il portone della chiesa di San Rocco perché il parroco aveva fatto un presepe che metteva in luce i disastri dell'aborto

di Caterina Giojelli


Ma che c'azzecca bruciare il portone di una chiesa con i migranti? Succede a Rovereto (Trento) quando la mattina del 10 gennaio, intorno all'alba, qualcuno avvisa le autorità: sta andando a fuoco il portone della chiesetta di San Rocco, in corso Bettini. Domato l'incendio, la scena che si propone a don Matteo Graziola, incaricato dell'adorazione eucaristica perpetua a cui è dedicata la chiesa, è desolante: il cuore del portale in legno è sventrato, sul grande bassorilievo in cotto che rappresenta l'incontro tra san Francesco e san Rocco sopra l'entrata si allungano le scie nere delle fiammate. Il fumo ha danneggiato gli intonaci, c'è fuliggine ovunque. Sul muro della facciata troneggia una scritta: "I veri martiri sono in mare".

IL PRESEPE ANTIABORTISTA
«Sono due giorni che puliamo, grazie a Dio il fuoco non ha raggiunto i banchi. Sono arrivato poco prima delle sette e ancora non si vedeva niente, fumo ovunque», spiega a tempi.it don Matteo. La procura ha aperto una indagine, la scena suggerisce c'entrino il lancio di una molotov e la pista anarchica, i giornali invece suggeriscono il movente: l'allestimento del presepe antiabortista intitolato "La strage di Erode" (con la statuina di Erode accanto alla Natività e quella di minuscoli feti abortiti disseminati sul cammino dei Re Magi) posto sulla scalinata di San Rocco. Non è la prima volta che un'iniziativa prolife scatena rappresaglie a Rovereto, ma il battagliero don Matteo ha sempre tirato dritto per la sua strada, dividendosi tra l'insegnamento di religione al Liceo Rosmini, i gruppi di preghiera antiabortisti, e la partecipazione ai gesti delle Sentinelle in piedi.
Una volta, nel 2014, è pure finito al pronto soccorso  con un ematoma e un amico col setto nasale fratturato da una squadraccia di figuri poco inclini al confronto e molto agli insulti, pugni, calci, spintoni e lancio di uova che avevano aggredito le Sentinelle. Questa estate invece il pronto soccorso l'ha probabilmente evitato grazie l'intervento della polizia, ma gli anarchici che fuori dall'ospedale avevano circondato il suo gruppo del Rosario per la vita, dopo la giornata di volantinaggio per la città con le vele di Provita e Movimento per la Vita, non promettevano nulla di buono.
Insomma, è la vecchia storia dell'Italia che sente di vivere in un regime di aborto libero e insindacabile, il resto, con buona pace della libertà di espressione, è medievalismo bigotto e retrogrado e come tale va zittito. A colpi di bombette incendiarie.

RISCHIAMO L'ESTINZIONE DELLE COSCIENZE
Hanno scritto i giornali che il presepe in seguito alle polemiche era stato spostato dalla scalinata all'interno della chiesa. «Veramente è sempre stato fuori, lo abbiamo ritirato un giorno perché ci avevano rubato il muschio. Il tempo di procurarcene del nuovo ed era di nuovo sulla scalinata». Ma la notte del rogo non c'era, di notte viene sempre riposto nella chiesetta francescana insieme al pannello che lo accompagna con la cronistoria delle leggi abortiste, da quelle hitleriane alla Cina di Mao fino alle moderne norme occidentali, «lo sa quanti aborti legali vengono registrati ogni giorno in Europa? 5.600, è la cultura dello scarto, piaccia o meno i numeri sono questi, che lascia dietro di sé una scia di bambini abortiti ma punta all'estinzione delle coscienze». Piaccia o meno, don Matteo ha fatto il suo mestiere, boicottare l'addormentamento della comunità sull'aborto, «Giovanni Paolo II ci esortava all'evangelizzazione, alla battaglia culturale, legale, alla caritativa».
Certo, la sua natività ha impressionato negativamente anche molti cattolici e chi abortista non lo è affatto, ma in un momento in cui esistono preti che invitano a non fare il presepe in segno di protesta contro il decreto sicurezza o che fanno nascere il bambinello di Betlemme su un barcone alla deriva, la reazione a una minuscola rappresentazione come quella di San Rocco può diventare il pretesto per appiccare il fuoco?

LE CONDANNE DI CHIESA E PROVINCIA
«Bruciare una porta, che sia di una struttura di accoglienza, come accaduto in passato, o di una chiesa, luogo di culto aperto e libero, è uno sfregio per tutta la comunità», ha tuonato l'arcivescovo di Trento, Lauro Tisi. «Ogni parola di condanna rischia però di essere scontata se non ne deriva l'impegno affinché il dissenso e la diversità di opinione, legittimi anche all'interno della comunità ecclesiale, non travalichino mai il rispetto delle persone e degli ambienti ad esse destinati. Chi ha appiccato quel fuoco potrà alimentare paura e divisione, ma non riuscirà mai a mandare al rogo la forza del dialogo e del confronto, conquista di civiltà di cui tutti dobbiamo essere custodi e garanti».
Di "opinione" ha anche parlato il presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti: «Esprimere il proprio pensiero con il danneggiamento dei simboli e delle proprietà altrui, quindi con la violenza e la prepotenza, è sempre sbagliato. In una democrazia ci sono altri modi per esprimere le proprie idee. Chi ha incendiato l'ingresso della chiesa di San Rocco, a Rovereto, è nemico del dialogo e del confronto pacifico», promettendo che qualora i responsabili «fossero garantiti alla giustizia, dovranno essere pesantemente condannati».
Ma di quali pensieri si parla? Davvero sono i "martiri del mare" il primo dei pensieri di chi dà fuoco a una chiesa? «Guardi, la diocesi di Trento è in prima linea nell'accoglienza dei migranti e degli emarginati, attorno alla nostra chiesa fanno riferimento profughi pachistani, bulgari, africani, c'è una famiglia musulmana che viene qui ogni mese con i bambini. La scritta sulla facciata è fumo negli occhi come quello che ha invaso San Rocco e ha avvolto il nostro presepe: se le nostre statuine rappresentano davvero un grumo di cellule senz'anima né valore perché prendersi il disturbo di incenerirci il portone?».
 

Titolo originale: Rovereto. Bruciata in nome dei migranti la chiesa antiabortista (anche se li accoglie)
Fonte: Tempi, 12 gennaio 2019



Siate uomo, Pietro.
Siate degno della fiamma che vi consuma.
E se bisogna essere divorati,
sia ciò su un candelabro d'oro
come il Cero Pasquale in mezzo al coro
per la gloria di tutta la Chiesa.

Paul Claudel, L'Annuncio a Maria

Luce sul candelabro della storia

Per amore Dio si è fatto carne, ha vinto la morte e il peccato, e ha scelto un manipolo di uomini per inviarli ad annunciare il Kerygma, la Notizia della loro liberazione. Ha chiamato gli Apostoli innanzi tutto perché "stessero con Lui", gli amici intimi ai quali ha “confidato i misteri del regno di Dio”. Con la luce della sua Parola che si andava compiendo nella sua carne ha illuminato la storia giungendo a svelare le ragioni profonde della sofferenza di ogni uomo. Accanto a Lui, in una comunità dove l'amore li univa al di là di ogni barriera, essi hanno visto diffondersi nella propria vita la luce della Pasqua, la risposta definitiva di Dio al male, al peccato e alla morte. Plasmati nell'incontro esistenziale con Lui, hanno conosciuto il “tutto ciò” di cui sarebbero stati "testimoni" (cfr Lc 24,48). Quell'esperienza costituiva la fiamma che arde nella “lampada” di cui ci parla oggi Gesù: "tutto ciò vuole dire innanzitutto la Croce e la Risurrezione; i discepoli hanno visto la crocifissione del Signore, vedono il Risorto e così cominciano a capire tutte le Scritture che parlano del mistero della Passione e del dono della Risurrezione. Tutto ciò è il mistero di Cristo, attraverso il quale – questo è il punto essenziale - conosciamo il volto di Dio". Ma "come possiamo noi essere testimoni di tutto ciò? Possiamo essere testimoni solo conoscendo Cristo, solo se lo conosciamo di prima mano e non solo da altri, dalla nostra propria vita, dal nostro incontro personale con Cristo. Incontrandolo realmente nella nostra vita di fede diventiamo testimoni e possiamo così contribuire alla novità del mondo, alla vita eterna" (Benedetto XVI). E’ Cristo dunque la lucerna "portata", "che viene sul lucerniere”, secondo l'originale greco. E' Lui "che viene" attraverso i suoi Apostoli, ovvero risorto e vivo nella sua Chiesa. Intendiamoci, se non lo conosciamo di prima mano, sarà normale "mettere sotto il moggio o sotto il letto" la sua luce. Come? Fuggendo nei compromessi e nell'ipocrisia, perché il dubbio prevarrà sempre sullo zelo; la diffidenza, pur mascherata, impedirà l'ardore apostolico. La tiepidezza nasce sempre dall'aridità del cuore. Non si può amare Dio e gli uomini se non si ha l'esperienza del suo amore. Per questo “nessun segreto sarà tenuto nascosto”: non possiamo avere una doppia vita, un cristiano che va a messa ma vive le relazioni, il lavoro e il rapporto con il denaro come un pagano è la caricatura più ridicola che il mondo abbia visto. E con la storia Dio gli strapperà le maschere dietro le quali tenta di nascondersi. Perché chi è stato scelto e non ha Cristo, non ha nulla, e vedrà evaporare nel nulla anche ciò che crede di possedere. Non si gioca, Dio non può permettere che inganniamo il mondo. Esso giace avvolto nel buio, e ha bisogno della “lampada” che solo la Chiesa può mettere sul "lucerniere"; non può "metterla sotto il moggio o sotto il letto", annacquando il Vangelo nel pensiero mondano e screditarlo scappando dalla Croce! Può succedere anche a noi, se non custodiamo gelosamente la memoria di Cristo e cominciamo a “misurare” con avarizia il suo amore. Attenzione, perché il demonio è sempre in agguato per spingerci di nuovo a dubitare mostrandoci la bilancia truccata con cui pesa le attenzioni, la pazienza, la misericordia e la provvidenza di Dio nei nostri confronti. E ciò accade soprattutto quando appare la Croce nella nostra vita. Se lo ascoltiamo finiremo col cadere ancora nella gelosia e nell'invidia, sino a spegnerci nell'accidia e nel cinismo che ci farà evitare di entrare nella storia che Dio ha preparato per noi. Nasconderemo la luce che ci ha salvato per nascondere noi stessi, ormai incapaci di amare e di uscire allo scoperto per offrirci agli altri. 

E in quell'angolo d'egoismo superbo lontano dal Golgota, “fuori” cioè dal raggio della Grazia, ci vedremo “tolto” quello che "abbiamo" già ricevuto, la pienezza della vita divina e la gioia che ne scaturisce. "Tolto" perché lo abbiamo disprezzato; "tolto" perché lo abbiamo già rifiutato e gettato via. "Quello che abbiamo" ricevuto gratuitamente, infatti, lo "abbiamo" perché sia donato altrettanto gratuitamente. La "lampada" che Cristo ha acceso in noi può brillare solo sulla Croce, il luogo dove si ama sino alla fine, dove la vita è consegnata appunto "senza misura". Lontano da essa saremo ovviamente “misurati con la stessa misura con la quale abbiamo misurato”: e risulteremo vuoti, senza nulla. Non si tratta perciò di durezza e severità, Dio non si vendica; ma dell’estremo atto d’amore con il quale Egli cerca di scuotere chi si è allontanato da Lui, perché dalle conseguenze dolorose di tale scelta riconosca i propri peccati e si apra alla sua misericordia. Ma coraggio, perché il Signore è buono, e con amore ci ammonisce oggi a ben guardare” la Parola che ascoltiamo, secondo l'originale greco tradotto con "fate bene attenzione". Ci chiama ancora a fermarci e a guardare bene alla nostra vita nella quale la Parola si è incarnata e freme per continuare ad operare. Quante grazie abbiamo ricevuto! Quanti "segreti" ci sono stati svelati nella Chiesa! Quante volte abbiamo pensato che quell'evento doloroso avrebbe segnato la fine di progetti e speranze, e invece abbiamo visto che proprio attraverso di esso Dio ha moltiplicato la gioia nella nostra vita. Guardati attorno oggi, tua moglie, tuo marito, i tuoi figli, le persone che hai accanto; guarda te stesso, anche la tua debolezza, la fragilità, le contraddizioni, e ascolta la Parola del Signore. Essa "viene" a te per rinnovare i prodigi della Pasqua che hai già sperimentato, quelli di cui la Chiesa è testimone da duemila anni. "Guardare", infatti, è un verbo legato alla risurrezione, usato nel Vangelo per definire l'esperienza visiva dei discepoli dinanzi a Cristo risorto. Siamo dunque chiamati a guardare Cristo, a fissarlo e contemplarlo mentre ci dona “senza misura” la sua vita, perché attraverso di noi la vuol donare a ogni uomo. Anche oggi, e ogni giorno la Chiesa ci "dà" Cristo, nella Parola e nei sacramenti. Con Lui potremo restare crocifissi sul “candelabro” della storia che ci attende, sapendo che, come il roveto ardente di Mosè, la Croce ci brucia senza consumarci. 

mercoledì 30 gennaio 2019

L'immagine può contenere: una o più persone e spazio all'aperto

IN OGNI UOMO E' NASCOSTA LA TERRA BUONA DOVE LA CHIESA VI SEMINA CRISTO
Una barca sul mare, e sulla terra “una folla enorme” di volti e cuori in attesa. Di che cosa hanno bisogno? Di una parabola, che li strappi uno ad uno dall’anonimato che stinge l’unicità di ciascuno impedendo un rapporto vivo con Cristo. Tra le “molte cose” che Egli insegnava, il Vangelo ne registra una, trasmessa attraverso una parabola che racconta di un Seminatore che è “uscito a seminare” il seme della Parola. Immaginiamo che si riferisse alla terra che aveva davanti, la Galilea, fatta di pescatori e peccatori, uomini capaci di gesti generosi e coraggiosi come quando ci si infila nel mare per strappargli il cibo per vivere; ma anche testardi e duri di cuore, incapaci di comprendere la Parola. La Galilea, così simile alla terra della nostra vita, attraversata dalle "strade" del pensiero mondano dove corrono veloci le menzogne del demonio per scipparci la Parola ascoltata. Piena di "pietre", dure come i nostri cuori gonfiati dall'ego, che si infiammano al sole dei facili entusiasmi, mentre però occupano con la superbia spazi preziosi di terra sottraendoli alle radici del seme. Aggredita dalle "spine" acuminate come i pensieri che il demonio ci insinua di fronte alla precarietà per farci dubitare di Dio; si conficcano nell'intimo condannandoci all'avarizia e all'avidità con cui ci illudiamo di possedere cose e persone, mentre invece "soffochiamo" il seme che, fruttificando, ci darebbe libertà e pace. Ma proprio nella descrizione che Gesù fa della "terra" su cui è seminata la Parola è celata la chiave che ci apre all'intelligenza di tutte le parabole: a noi, infatti, è "confidato il mistero del regno di Dio", ovvero l'esistenza di un lembo di "terra buona" in mezzo alla "terra infruttuosa". Tutte le parabole ne parlano, descrivendolo piccolo come un "seme" appunto, perseguitato, nascosto, accerchiato dalla zizzania, mentre la sua crescita sarà proprio come avviene quando "un uomo getta un seme nella terra". La Parola che il seminatore è uscito a seminare è dunque il seme del Regno di Dio! Esso è rifiutato dalla maggioranza degli uomini, ma accolto da un resto, chiamato ed eletto perché il seme possa crescere e divenire un sacramento di salvezza per il mondo. Gesù sta parlando della Chiesa, del suo stare nel mondo come “terra bella” e feconda di "frutti" che hanno il sapore della vita eterna, il destino per il quale ogni uomo è venuto al mondo. Ma quello che Gesù dice della Chiesa vale anche per ciascuno di noi, che siamo chiamati nella Chiesa a "dare frutto" per la salvezza del mondo. Come ogni uomo anche noi, a causa del peccato, viviamo su una "terra" che non è quella "buona e bella" del Paradiso, proprio come annunciato da Dio ad Adamo: "poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato: «Non devi mangiarne», maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba dei campi" (Gen 3,17-18). In queste parole sono profetizzati i tipi di terra nei quali il seme della Parola non attecchisce, cioè la situazione concreta del mondo e di chi ne è parte. Eppure, come è accaduto agli apostoli, anche in noi il Signore ha visto un pezzo di "terra buona", così piccolo e nascosto che probabilmente nessuno ci ha mai fatto caso; neanche noi, che forse ci sentiamo "abbattuti" perché "incostanti" e fragili dinanzi ai problemi e alle sofferenze, induriti nell'orgoglio e schiavi delle concupiscenze.
Ma il Vangelo di oggi ci annuncia che in noi c'è un frammento di Paradiso, e lì Gesù vuol seminare la sua Parola! La natura umana, infatti "non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata « concupiscenza »)". Ma "il Battesimo, donando la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l’uomo verso Dio; le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell’uomo e lo provocano al combattimento spirituale" (Catechismo della Chiesa Cattolica 405). Il battesimo, ecco il “mistero del Regno di Dio” che Gesù “ci confida” oggi! Come descritto nella parabola, nella Chiesa primitiva si giungeva al battesimo dopo una lunga preparazione che iniziava con la “semina”, ovvero con l’ascolto del kerygma, della Buona Notizia. I pagani raggiunti dallo zelo degli apostoli erano peccatori, schiavi delle concupiscenze, concubini e adulteri, non importava quanto fosse infeconda la loro terra. Importava che la Chiesa li avesse raggiunti, che i cristiani avessero offerto la testimonianza dei propri frutti chiamandoli alla fede, e che ascoltassero la predicazione che seminava in loro la Parola. E che iniziassero un serio cammino di conversione guidati dalla Chiesa, proprio perché il seme caduto nella “terra buona” dei catecumeni giungesse a maturazione. Un cammino di iniziazione cristiana nel quale essa potesse mettere radici e crescere sino a dare i frutti di una vita nuova nella "Grazia di Cristo", in virtù della quale “il sasso può diventare una terra fertile, la strada non essere più calpestata dai passanti e diventare un campo fecondo, le spine essere sradicate e permettere al seme di dare frutto liberamente” (San Giovanni Crisostomo). Si trattava di un lungo cammino di conversione perché doveva essere cacciato “satana” sempre pronto a “portare via la parola seminata in loro”. Occorreva vincere l’“incostanza” togliendo una ad una le “pietre” dal loro cuore perché in esso la Parola potesse mettere “radici” e resistere senza “abbattersi” “al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola”. Era necessario cambiare mentalità togliendo le “spine” del pensiero mondano, perché la Parola non restasse “soffocata” dalle “preoccupazioni del mondo, dall'inganno della ricchezza e da tutte le altre bramosie”. Il battesimo giungeva solo dopo questo cammino, che alcuni abbandonavano come afferma chiaramente il Signore nella parabola. Esso sigillava l'opera di Dio nel neofita, che, annegando nell’acqua l’uomo vecchio schiavo del peccato e per questo infecondo, risorgeva con Cristo come un figlio del Regno, pronto a offrire al mondo i suoi frutti, “dove il trenta, dove il sessanta, dove il cento”. Non tutti, infatti, sono chiamati con la stessa vocazione, ma in ciascuno la Parola produce il frutto necessario in quel momento, per quella persona che si trova in quella situazione. Per questo con la parabola di oggi Gesù ci ridesta perché torniamo al cuore e al fondamento della nostra chiamata; altrimenti, come accade per le parabole, non capiremo nulla della nostra vita. Perché essa sia compiuta e dia i “frutti” che Dio ha pensato per noi dobbiamo tornare al battesimo attraverso i cammini che la Chiesa ci offre. Solo così saremo le primizie del Regno che solca il mare della morte. Per questo “la barca” di Gesù che, “seduto”, annuncia il Vangelo e insegna la Verità come l'unico Maestro, è separata dalla terraferma: è il segno sua risurrezione!. Così è la Chiesa, la “terra buona” che risplende feconda; così le nostre comunità sparse nel mondo senza appartenergli; così ciascuno di noi, issati su quella barca per assumere il combattimento spirituale di ogni giorno per difendere la bellezza della vita celeste in noi, il frutto squisito dell'amore da offrire a chi ci è accanto.

Un prete nega l’Eucaristia a un politico pro aborto

Padre John Hogan ha evitato di dare la Comunione a Robert Troy, esponente del Fianna Fáil che ha votato per l’abrogazione dell’Ottavo emendamento, la norma costituzionale che proteggeva i nascituri. Intanto, mentre i fedeli e qualche vescovo chiedono la scomunica di Andrew Cuomo, prosegue il silenzio dei vertici del Vaticano sulla legge dello Stato di New York che consente l’aborto fino alla nascita.



Pare che in Irlanda ci sia ancora qualche sacerdote capace di trarre le conseguenze dagli atti. In particolare per quello che riguarda l’aborto. Un uomo politico irlandese del Fianna Fáil, Robert Troy, si è visto di recente rifiutare la Comunione nel corso di una Messa di requiem. Troy aveva ammesso di aver votato a favore della cancellazione dell’Ottavo emendamento della Costituzione irlandese, una mossa che ha aperto la strada alla legalizzazione dell’aborto in Irlanda.

Padre John Hogan, parroco della chiesa di Saint Nicholas, a Multyfarnham (nella contea di Westmeath), ha evitato di dare l’ostia a Troy qualche settimana fa, per l’esattezza il 4 gennaio. L’1 gennaio è diventato legale l’aborto in Irlanda nel corso delle prime 12 settimane di gestazione, e anche più avanti nel caso di pericolo per la vita o la salute della donna o di possibili malformazioni del feto.

Né padre Hogan né Troy hanno voluto commentare questa notizia. Alcune fonti dicono che il vescovo Thomas Deenihan, della diocesi di Meath, dove si è svolto l’evento, ha parlato con Hogan, ma dei contenuti della conversazione non si sa nulla. Troy dice di essere cattolico. Fino a qualche tempo fa era noto per le sue posizioni pro life. Nel 2013 aveva votato contro un provvedimento che avrebbe aperto la strada all’aborto. Ma da allora ha tenuto un comportamento a dir poco ondivago, passando da dichiarazioni in senso anti-abortista alla sua posizione più recente, il voto per la cancellazione dell’Ottavo emendamento. E, a dispetto della sua dichiarata appartenenza al cattolicesimo, Troy ha fatto campagna per il cosiddetto “matrimonio omosessuale”.

Certamente l’appoggio all’aborto ha fatto sì che padre Hogan prendesse la decisione di non dare la Comunione all’esponente politico. E, d’altronde, tre giorni prima di questo fatto il vescovo Kevin Doran della diocesi di Elphin ha criticato i cattolici in politica che avevano fatto campagna contro l’Ottavo emendamento per “ragioni politiche” o “per il proprio vantaggio personale”, aggiungendo che dovrebbero pentirsi per aver promosso “la soppressione di vite innocenti”. E aveva detto inoltre che questi politici “hanno scelto una posizione che è chiaramente fuori dalla comunione con la Chiesa. Inutile fingere altrimenti”.

Il gesto di padre Hogan assume un valore emblematico in questi giorni, in cui è ancora viva la polemica negli Stati Uniti per l’approvazione da parte dello Stato di New York di una legge che in pratica ammette l’aborto fino al parto. Una legge promossa dal governatore Andrew Cuomo, che si dice cattolico, e per cui è stata chiesta da molti cattolici - compreso qualche vescovo - la scomunica.

La risposta del cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, è parsa a molti commentatori debole e insoddisfacente. Nel 2004 il prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, scriveva in una nota all’allora cardinale Theodore McCarrick che “per quanto riguarda il grave peccato dell’aborto o dell’eutanasia, quando diventa manifesta la cooperazione formale di una persona [evidentemente cattolica, che fa campagna e vota a favore, ndr], il suo Pastore dovrebbe incontrarlo, istruirlo sull’insegnamento della Chiesa, informarlo che è bene che non si presenti a ricevere l’Eucarestia fino a quando non pone termine a una oggettiva situazione di peccato, e avvisarlo che se si comporta altrimenti gli sarà negata la Comunione”.

Si ignora se l’arcivescovo Dolan abbia nel frattempo parlato privatamente con Cuomo e se gli abbia fatto presente tutto questo. Certo è che il governatore democratico ha assunto in questi giorni un atteggiamento molto aggressivo verso la Chiesa cattolica, provocando una risposta molto decisa da parte di Bill Donahue, presidente della Catholic League, poiché Cuomo ha tentato di sfruttare il Pontefice per i propri fini politici, dicendo di “stare con il Papa” e che “i vescovi possono avere una posizione diversa da quella del Papa”. Il che, come scrive Donahue, non è vero, perché Cuomo non è per esempio con il Papa “sul matrimonio o sui diritti del nascituro”. E aggiunge: “Se Cuomo vuole continuare a ostentare il dito medio in faccia ai cattolici, può almeno smetterla di tirare fuori le sue supposte credenziali cattoliche? I miei amici ebrei pro life, che si oppongono alla discriminazione religiosa, sono molto più cattolici di quanto quest’uomo sia mai stato”.

Ma, ancora una volta, il silenzio - straordinario - dei vertici del Vaticano su questa legge dello Stato di New York che spazza via gli ultimi limiti dell’infanticidio, promossa da un sedicente cattolico, aiuta l’ambiguità. Un silenzio straordinario: così come quello dei giornalisti sul volo papale, che non hanno pensato di porre in merito una domanda precisa al Pontefice. Eppure, la polemica sulla scomunica era bollente, in quei giorni… E ci sembra strano che nessuno nell’attenta e numerosa coorte dell’informazione pontificia non ne abbia fatto parola a Bergoglio. Uno dei tanti silenzi strani.

martedì 29 gennaio 2019

Bisogna ricreare un clima autenticamente catto­lico, 
ritrovare il senso della Chiesa come Chiesa del Signore, 
come spazio della reale presenza di Dio nel mondo. 
Quel mistero di cui parla il Vaticano II 
quan­do scrive quelle parole terribilmente impegnative 
e che pure corrispondono a tutta la tradizione cat­tolica: 
"La Chiesa, cioè il regno di Cristo già pre­sente in mistero".

Card. Joseph Ratzinger



Il Signore fa nuove tutte le cose. Egli siede sul trono della Gerusalemme celeste, è l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine. E' sceso dal Cielo per riscattare ogni uomo precipitato fuori dal Paradiso. Ha vinto la morte e ha riaperto il cammino al Padre, alla comunione perduta con Dio. E' asceso al Cielo "conducendo prigionieri", e ha "ricevuto uomini in tributo", perché così "anche i ribelli abiteranno presso il Signore Dio". Il Vangelo di oggi è un'istantanea della Gerusalemme celeste descritta dall'Apocalisse: "Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro". E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate». Gesù è la novità che attira il passato, lo trasfigura e lo rende un presente compiuto nel suo amore e dischiuso su un futuro che non avrà fine. Nell'episodio narrato nel Vangelo odierno la Madre di Gesù e i suoi fratelli, stando fuori, mandano a chiamare Gesù. Ma tra loro e Lui vi è come un diaframma, un muro che li separa: "Attorno a Lui era seduta una folla". Attorno e seduta, e Lui al centro: il Maestro e i suoi discepoli, come Maria, ai piedi di Gesù, scegliendo l'unica parte buona che nessuno mai potrà strappare. I discepoli che ascoltano e per questo obbediscono e fanno la volontà di Dio sono madre e fratelli di Gesù. Gesù guarda quella folla che lo cinge come le mura della Gerusalemme di lassù, e ne attesta la familiarità nuova, il legame che supera carne e sangue, l'intimità che viene dal Cielo. I discepoli sono attorno a Lui come una corona cinge il diadema, stretti a quello splendore che ha rapito i loro cuori e le loro anime. 

Gesù infatti, "venne fra la sua gente, ma i suoi non l' hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità" (Gv. 1, 11 ss). Hanno visto Gesù nella sua gloria, la luce di una presenza unica nel dare senso, consistenza, pace e gioia alla loro vita; hanno intuito che in quell'Uomo, nelle sue parole, Dio stesso era con loro; Gesù tergeva le loro lacrime nella sua misericordia, le cose di prima, quelle che sino ad allora li avevano fatto soffrire, che sembravano pesare come un macigno, erano passate, trasfigurate nella profezia d'amore che traspariva dalle sue parole. Niente lutto, né affanno, né lamento, perché quel Maestro aveva deposto la speranza, il perdono, la vita laddove aveva regnato la morte. Per questo, come cuccioli in attesa di cibo, lo hanno ascoltato e ora erano lì, semplicemente seduti attorno a Lui. E' la Chiesa, Ecclesia, assemblea convocata per ascoltare e accogliere. Gesù li fissa girando tutto intorno lo sguardo e ne svela l'identità nuova e sorprendente: per il fatto di essere lì attorno a Lui e ascoltare la sua Parola sono il nuovo Israele convocato intorno al Sinai. Sono madre e fratelli di Gesù, generati in Dio e fecondi della stessa natura, dello stesso amore. La fede viene infatti dall'ascolto: è come per la terra assetata, arida e sterile bagnata dall'acqua che feconda e infonde vita e conduce a portare frutto. Ascoltare è aprirsi alla vita, per dare la vita.

Gesù non chiede nulla, non esige, non detta regole. Gesù ama e annuncia il suo amore. Gesù attira a sé donando se stesso perché è possa essere accolto e donare la nuova natura incorruttibile. Essere attorno a Gesù ascoltando la sua parola, cibandosi del suo amore fatto carne in Lui: questo è fare la volontà di Dio. Nel Vangelo non appare null'altro, inutile fantasticare e immaginare. Quegli uomini fissati dallo sguardi di Gesù ascoltano e per questo fanno: accolgono come Maria la Parola capace di generare in Lui Colui che è il Principio e il compimento, l'unico capace di colmare la vita nel compimento della volontà del Padre. La Chiesa non è programmare e fare, la Chiesa è amore, perché chi ascolta davvero accoglie, si dona, abbandona pesi e zavorre carnali, si lasca trasformare dalla novità dell'annuncio; chi ascolta ama e per questo compie la volontà di Dio. Come Gesù che ha compiuto la volontà del Padre nel Getsemani dove ha ascoltato, accolto e obbedito. La via crucis è stata poi il frutto benedetto di quell'ascolto drammatico fattosi obbedienza. 

Ecco dunque la Chiesa, la Gerusalemme di lassù, libera e "risplendente della gloria di Dio" il Cielo disceso sulla terra: "La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele...  Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello... Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello. Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte... Non entrerà in essa nulla d'impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello." (Ap. 21, 12 ss). La Gerusalemme che oggi accoglie noi, la Chiesa madre e maestra che ci consegna la Parola di Dio e i segni del suo amore. Nessun tempio costruito dagli sforzi umani. Certo, siamo chiamati ogni giorno al combattimento contro chi, continuamente, ci chiama a tornare alla carne, perché "fuori" c'è il passato nel quale abbiamo vissuto. C'è la madre della carne, non quella autentica dello Spirito. Sì, ogni istante la carne che ci ha generato per la morte "ci cerca" per indurci a pensieri, criteri e vita mondana. Ma ormai siamo creature nuove e potremo salvare questa generazione solo restando "dentro", nell'intimità con Gesù, senza compromessi con il mondo. Proprio per ascoltare Lui e non la carne potremo scendere alla carne di chi ci è accanto per attirarli nella volontà di amore di Dio. 

E' Cristo che ci chiama, laddove ci troviamo,  fuori dalla sua cerchia, schiavi dei nostri idoli, accampando diritti di parentela secondo la carne, chiamando Gesù ed esigendo da Dio che lasci di essere Dio per assecondare i nostri capricci. Ancora una volta oggi è Gesù stesso che ci attira e accoglie nella sua famiglia, e ci chiama a percorrere il cammino che anche Maria ha dovuto fare: passare dalla conoscenza secondo la carne a quella nuova dello Spirito. Conoscere Cristo seguendo la lampada dell'Agnello che illumina le orme sui sentieri della storia: stretti a Lui nell'ascolto della sua Parola, cibandosi del suo amore, per vivere pienamente ogni istante donato, ogni relazione, ogni evento come agnelli che offrono la vita. Madre e fratelli di Gesù, partorendo al mondo il suo amore, le porte della vita sempre aperte perché i poveri e i piccoli possano entrare a partecipare della stessa vita, ma ben serrate sul peccato e la menzogna. La vita sempre aperta su ogni uomo perché la notte non esiste più per chi è seduto attorno alla Luce.