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giovedì 17 settembre 2020

 


LACRIME DI PENTIMENTO, LACRIME D'AMORE, L'UNICO AUTENTICO
Che tipo di relazione abbiamo con Gesù? Il Vangelo ce ne mostra due. Una supponente, che lo cerca sì, e lo invita a pranzo, addirittura pregandolo di condividere la mensa, ma con il cuore lontano. L'atteggiamento di Simone, che si ferma sulla soglia dell'intimità, che resta imprigionato nella sua pretesa giustizia di fariseo, in quella sottile e subdola certezza che la visita in fondo gli sia dovuta, quasi un tributo. Il suo cuore non si stacca dal suo io, nessuna lacrima solca il suo viso, crede di conoscersi e invece è prigioniero della menzogna. E giudica, appoggiandosi sulla propria conoscenza delle Scritture, guidato solo dai propri criteri, quelli fondati su regole e "precetti di uomini" buoni solo ad ingrassare l'uomo vecchio, accecato nell'orgoglio. Simone è con Gesù a mensa, ma è puro formalismo, il suo ego lo catapulta in una posizione di superiorità e sufficienza che gli fa dimenticare anche le regole elementari dell'accoglienza. Crede di compiere la Legge e i precetti, ma tralascia l'essenziale che è l'accoglienza di un ospite, con i riti che qualunque ebreo era solito compiere; neanche questa semplice attenzione aveva, neanche il minimo... Parla con parole carnali, pensa con pensieri mondani, e il suo rapporto con Cristo rimane superficiale. E poi c'è l'atteggiamento della "peccatrice di quella città", che nonostante sapesse di non potersi accostare a Gesù, "si avvicinò dunque non al capo, ma ai piedi del Signore; lei che aveva a lungo battuto la strada del vizio, cercava di seguire le orme segnate dai piedi santi del Signore. Cominciò a versare lacrime, che sono come il sangue del cuore, quindi lavò i piedi del Signore con l'umile confessione dei propri peccati" (S. Agostino). E dal fondo del dolore e del pentimento, la "fede" - ovvero il cammino che l'aveva condotta sino a quel pezzo di terra ai piedi di Gesù come al fonte battesimale, con la speranza che l'impossibile di una vita nuova potesse divenire possibile - la spinge ad inginocchiarsi dinanzi a Lui. Gesù sa perfettamente "chi e che specie di donna è quella che lo sta toccando": è "una peccatrice", come Simone, ma, a differenza di questi, lo "tocca" per amore: lo "tocca" per consegnargli la sua impurezza... E' la "specie" di donna che piace a Gesù... Di donne come Lui Egli si innamora perdutamente, pazzo di tenerezza da riversare su tante ferite... Immonda e indegna, che il solo toccarla infetta e rende impuri. Lei lo sa, conosce la propria assoluta indegnità, i peccati sono lì, tra le sue mani, evidenti. E un dolore acuto a percuoterle il petto, un'angoscia mortale. Questa donna ha toccato la morte.
A differenza degli altri "commensali" che "cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest'uomo che perdona anche i peccati?»" lei non si chiede chi sia. Lei non ha tempo per pensare, deve inginocchiarsi, piangere e spandere la sua vita su quei piedi che hanno condotto Dio così vicino ai suoi peccati. Fin dentro alla sua storia, perché Lui era da Simone per lei! Gli occhi della sua anima guardano Gesù, e lo vedono adagiato a mensa e ne intuiscono il destino, il sepolcro nel quale sarebbe adagiato, la tomba nella quale ella stessa giace a causa dei propri peccati. Gli occhi di questa donna vedono oltre, e, come la Maddalena al mattino di Pasqua, contemplano la vittoria sulla morte di Gesù, la pietra rovesciata e il suo sorgere dal sepolcro. Lei conosce quel sepolcro, per questo, con l'audacia figlia dell'amore, cerca Colui che, solo, può spalancare la sua tomba e ridonarle la libertà. E, ai piedi di Gesù, sperimenterà il perdono, "la pace" nella quale "andare", il frutto squisito di una vita nuova libera dal peccato per amare gratuitamente e non offrirsi, come noi, per saziare la carne e il portafoglio. Abbiamo solo le lacrime con le quali abbandonarci alla misericordia di Dio; esse sono l'unico linguaggio possibile per uscire dal nostro orgoglio, e dire a Gesù che lo amiamo, così come siamo e possiamo, con quello che abbiamo, il pentimento e le sue lacrime. Come quelle di Pietro, traditore e apostata, con la carne peccatrice trapassata e perdonata dallo sguardo misericordioso di Gesù. Chissà, forse questa donna avrà incrociato lo stesso sguardo, da dietro la folla, nascosta e tremante. E ora era ai suoi piedi, sperando che le sue lacrime scivolate sui piedi di Gesù possano introdurla nel suo cuore, dove essere liberata per "andare in pace". L'amore vero e reale e possibile a te e a me oggi non può che essere bagnato dalle lacrime. Di nessun altro nel Vangelo il Signore ha mostrato l'amore - ponendolo addirittura come esempio - se non quello della donna del brano di oggi. Così anche noi oggi possiamo versare le lacrime su Gesù supplicando la carità che può trasformare il nostro amore limitato al pentimento in dono e perdono che oltrepassa la soglia della morte e del peccato. Lacrime nostre sui piedi del fratello, perché in ciascuno è vivo Cristo. Lacrime di moglie a scorrere sui piedi del marito, e lacrime di marito a scorrere sui piedi della moglie. Oggi, nel bel mezzo di una lite che si protrae da settimane, prender su e inginocchiarsi, senza parole, di fronte al fratello, coniuge, genitore o figlio che sia, e cominciare a piangere nel ricordo struggente dei nostri peccati. Solo la memoria che non fa sconti sulla verità sul nostro passato e sulla debolezza del nostro cuore può far sgorgare lacrime di pentimento autentico. Saranno queste lacrime a cancellare il ricordo dei peccati del prossimo, e a purificare ogni relazione. E accanto alle lacrime l'olio prezioso e profumato, i nostri beni - tutti perché no? - e quanto abbiamo di più importante, forse il tempo, i criteri, i progetti... noi stessi finalmente offerti al fratello. La conversione, infatti, spazza via idolatria e avarizia, e ci fa liberi per amare d'amor puro che non cerca contraccambio, e ci fa consegnare all'altro gratuitamente e senza misura

mercoledì 16 settembre 2020

 


DAGLI «ATTI PROCONSOLARI DEL MARTIRIO DI SAN CIPRIANO "IN UNA COSA COSÌ GIUSTA NON C'È DA RIFLETTERE"

(Atti, 3-6; CSEL 3, 112-114)
    Al mattino del 14 settembre molta folla si era radunata a Sesti secondo quanto aveva ordinato il proconsole Galerio Massimo. E così lo stesso proconsole Galerio Massimo ordinò che gli fosse condotto Cipriano all'udienza che teneva nel medesimo giorno nell'atrio Sauciolo. Quando gli
fu davanti, il proconsole Galerio Massimo disse al vescovo Cipriano: «Tu sei Tascio Cipriano?». Il vescovo Cipriano rispose: «Sì, sono io».
    Il proconsole Galerio Massimo disse: «Sei tu che ti sei presentato come capo di una setta sacrilega?». Il vescovo Cipriano rispose: «Sono io».
    Galerio Massimo disse: «I santissimi imperatori ti ordinano di sacrificare». Il vescovo Cipriano disse: «Non lo faccio».
    Il proconsole Galerio Massimo disse: «Rifletti bene». Il vescovo Cipriano disse: «Fa' ciò che ti è stato ordinato. In una cosa così giusta non c'è da riflettere».
    Galerio Massimo, dopo aver conferito con il collegio dei magistrati, a stento e a malincuore pronunziò questa sentenza: «Tu sei vissuto a lungo sacrilegamente e ti sei aggregato moltissimi della tua setta criminale, e ti sei costituito nemico degli dèi romani e dei loro sacri riti. I pii e santissimi imperatori Valeriano e Gallieno Augusti e Valeriano nobilissimo Cesare non riuscirono a ricondurti all'osservanza delle loro cerimonie religiose. E perciò, poiché sei risultato autore e istigatore dei peggiori reati, sarai tu stesso di esempio a coloro che hai associato alle tue scellerate azioni. Col tuo sangue sarà sancito il rispetto delle leggi». E dette queste parole, lesse ad alta voce da una tavoletta il decreto: «Ordino che Tascio Cipriano sia punito con la decapitazione». Il vescovo Cipriano disse: «Rendiamo grazie a Dio».
    Dopo questa sentenza la folla dei fratelli diceva: «Anche noi vogliamo esser decapitati insieme a lui». Per questo una grande agitazione sorse fra i fratelli e molta folla lo seguì. E così Cipriano fu condotto nella campagna di Sesti e qui si spogliò del mantello e del cappuccio, si inginocchiò a terra e si prostrò in orazione al Signore. Si tolse poi la dalmatica e la consegnò ai diaconi, restando con la sola veste di lino, e così rimase in attesa del carnefice.
    Quando poi questo giunse, il vescovo diede ordine ai suoi di dargli venticinque monete d'oro. Frattanto i fratelli stendevano davanti a lui pannolini e fazzoletti. Quindi il grande Cipriano con le sue stesse mani si bendò gli occhi, ma siccome non riusciva a legarsi le cocche del fazzoletto, intervennero ad aiutarlo il presbitero Giuliano e il suddiacono Giuliano.
    Così il vescovo Cipriano subì il martirio e il suo corpo, a causa della curiosità dei pagani, fu deposto in un luogo vicino dove potesse essere sottratto allo sguardo indiscreto dei pagani. Di là, poi, durante la notte, fu portato via con fiaccole e torce accese e accompagnato fino al cimitero del procuratore Macrobio Candidiano che è nella via delle Capanne presso le piscine. Dopo pochi giorni il proconsole Galerio Massimo morì.
    Il santo vescovo Cipriano subì il martirio il 14 settembre sotto gli imperatori Valeriano e Gallieno, regnando però il nostro Signore Gesù Cristo a cui è onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen

 

Gesù scaccia lo spirito immondo nella sinagoga di Cafarnao - Affresco XI Sec.

αποφθεγμα Apoftegma

L'uomo non è solo sanabile, è sanato di fatto. 
Dio ha introdotto la guarigione. 
È entrato in persona nella storia. 
Alla permanente fonte del male 
ha opposto una fonte di puro bene. 
Cristo crocifisso e risorto, nuovo Adamo, 
oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. 
E questo fiume è presente nelle storia: 
vediamo i santi, i grandi santi ma anche gli umili santi,
 i semplici fedeli. 
Vediamo che il fiume di luce che viene da Cristo 
è presente, è forte.

Benedetto XVI


SOLO LA PAROLA DELLA CROCE CHE CI ANNUNCIA LA CHIESA CI SALVA "SENZA FARCI ALCUN MALE"


Abbiamo bisogno dell'"autorità" e del "potere" della Parola di Gesù. Senza di essa i demoni e i loro inganni non si smascherano, e noi continuiamo a vivere profondamente insoddisfatti perché obbligati a frustrare la missione che dà senso alla nostra vita. Certo, ci fanno soffrire molte cose esterne a noi, ma non sono queste a "rendere impuro" il nostro cuore. Infatti, nonostante le lotte e gli sforzi, restiamo "impuri", incapaci cioè di vivere nella gioia e nella benedizione. In Israele la "purità" era proprio la condizione per celebrare il culto. Gli ebrei sapevano che il peccato che rende "impuro" è legato alla morte, entrata nel mondo per invidia del demonio. Scelto e "santificato", cioè separato dall'impurità del mondo, attraverso la "purezza" di una vita obbediente alla Torah, Israele era la primizia chiamata a mostrare i frammenti di quello che l'umanità ha perduto con il peccato. Ma anche Israele è stato infedele a causa della sua dura cervice sedotta dal demonio, e si trovava "impuro" nella sinagoga dove avrebbe dovuto celebrare il culto. Doveva venire il Messia, la cui "parola comandasse con autorità e potenza agli spiriti immondi". Doveva "discendere" Gesù a Cafarnao, la città dove giaceva "posseduto da uno spirito impuro" ogni figlio di Israele; doveva visitare di "sabato" la "sinagoga", il luogo che sostituiva il tempio per le liturgie settimanali, perché è proprio lì che satana attira nella sua impurità pervertendo la Parola di Dio. Satana è un angelo decaduto, conosce le liturgie celesti, figurati quelle celebrate sulla terra... "Sa chi è" Gesù e ce lo dice proprio mentre ascoltiamo la Parola e la predicazione, magari nella preghiera, a messa, durante le attività della parrocchia, presentandoci Gesù come il "santo di Dio”. E cadiamo nel tranello di una verità avvelenata dalla menzogna, perché il Gesù di satana è un Messia secondo il pensiero del mondo, un taumaturgo che deve risolvere i problemi e cambiare la storia. E siccome Gesù non compie la nostra volontà che ci condurrebbe alla rovina riservata ai superbi, ma la volontà d'amore del Padre che ci vuole salvi a tutti i costi, cominciamo a mormorare: “se Gesù è il Figlio di Dio non può permettere questa sofferenza, la deve eliminare e cambiare la storia e le persone”. Ci ribelliamo e non vogliamo "avere niente a che fare" con il Messia crocifisso perché il demonio ci ha convinto che Gesù, piantando la sua Croce nella nostra vita, “venga a rovinarci”. Per questo "gridiamo forte" prestando la voce al demonio che "possiede" il nostro cuore, e diciamo “basta!" alla volontà di Dio. Ma proprio questo grido di ribellione è il segno che Gesù è "disceso" alla nostra vita e ci sta salvando; attraverso la sua parola che ascoltiamo nella Chiesa, sta “intimando” al demonio con "autorità" e "potenza" di “tacere e di uscire da noi”. Gesù ci sta esorcizzando oggi attraverso la parola della Croce sulla quale ci attira e dove “si dirige” al demonio: è lui infatti il padre che ci ha generati all'impurità, sarebbe inutile parlare con noi. Proprio come accade in ogni esorcismo. E il demonio tace, perché ad ogni suo inganno, la Croce di Gesù oppone la verità dell'amore infinito di Dio. Coraggio allora, lasciamoci abbracciare da Cristo crocifisso, perché, al contrario di ciò che pensa il mondo, solo sulla Croce potremo sperimentare che il suo amore ci salva “senza farci alcun male”. La Croce, infatti, "getta a terra" il nostro uomo "impuro" per far nascere in noi l'uomo "puro" che entra nella storia benedicendo Dio, come un segno del suo amore "in mezzo a tutti". 

martedì 15 settembre 2020

 


Come una pecora che vede il suo agnello condotto al macello, consumata dal dolore, Maria seguiva con le altre donne: "Dove vai, figlio mio? Perché finisce così la tua breve vita? Ci sono altre nozze a Cana, è là che vai per fare del vino con l'acqua? Posso accompagnarti, figlio mio, o meglio aspettarti? Dimmi una parola, Verbo, non passare in silenzio davanti a me..., tu che sei mio figlio e mio Dio...
Vai a una morte ingiusta e nessuno condivide il tuo dolore. Pietro non è con te, lui che diceva: "Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò". Ti ha abbandonato Tommaso che diceva: "Andiamo anche noi a morire con lui!". E pure gli altri, i più vicini, che devono giudicare le dodici tribù, dove sono adesso? Non ne resta che uno solo; ma tu, tutto solo figlio mio, tu muori per tutti. È la tua ricompensa per aver salvato tutti gli uomini e averli serviti, figlio mio e Dio mio".
Volgendosi a Maria, colui che da lei era nato, disse: "Perché piangi, madre?... Non dovrei soffrire? non dovrei morire? Come potrei salvare Adamo? Non dovrei scendere nella tomba? Come potrei riportare alla vita coloro che sono morti? Perché piangi? Di’ piuttosto: "È per sua volontà che soffre, mio figlio e mio Dio. 'Vergine saggia, non divenire simile alle stolte; tu sei nella sala delle nozze, non fare come se fossi fuori... Non piangere dunque, di’ piuttosto: 'Abbi pietà di Adamo, sii misericordioso verso Eva, tu, figlio mio e Dio mio'.
Sta' certa, madre, per prima mi vedrai risorgere dalla tomba. Verrò a mostrarti da quali mali ho riscattato Adamo, quali sudori ho versato per lui. Ai miei amici ne rivelerò i segni che mostrerò nelle mie mani. Allora tu vedrai Eva viva come una volta e griderai di gioia: 'Ha salvato i miei progenitori, mio figlio e mio Dio!'.
San Romano il Melode

lunedì 14 settembre 2020

 Girodivite: La Passione di Cristo - The Passion - di Mel Gibson

Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo

​(Disc. 10 sull'esaltazione della santa croce;
PG 97, 1018-1019. 1022-1023)

​La croce è gloria ed esaltazione di Cristo
     Noi celebriamo la festa della santa croce, per mezzo della quale sono state cacciate le tenebre ed è ritornata la luce. Celebriamo la festa della santa croce, e così, insieme al Crocifisso, veniamo innalzati e sublimati anche noi. Infatti ci distacchiamo dalla terra del peccato e saliamo verso le altezze. È tale e tanta la ricchezza della croce che chi la possiede ha un vero tesoro. E la chiamo giustamente così, perchè di nome e di fatto è il più prezioso di tutti i beni. È in essa che risiede tutta la nostra salvezza. Essa è il mezzo e la via per il ritorno allo stato originale.
     Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sarebbe stata affissa al legno. Se poi la Vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo. La sentenza di condanna scritta per il nostro peccato non sarebbe stata lacerata, noi non avremmo avuto la libertà, non potremmo godere dell'albero della vita, il paradiso non sarebbe stato aperto per noi. Se non ci fosse la croce, la morte non sarebbe stata vinta, l'inferno non sarebbe stato spogliato. 
     È dunque la croce una risorsa veramente stupenda e impareggiabile, perchè, per suo mezzo, abbiamo conseguito molti beni, tanto più numerosi quanto più grande ne è il merito, dovuto però in massima parte ai miracoli e alla passione del Cristo. È preziosa poi la croce perchè è insieme patibolo e trofeo di Dio. Patibolo per la sua volontaria morte su di essa. Trofeo perchè con essa fu vinto il diavolo e col diavolo fu sconfitta la morte. Inoltre la potenza dell'inferno venne fiaccata, e così la croce è diventata la salvezza comune di tutto l'universo.
     La croce è gloria di Cristo, esaltazione di Cristo. La croce è il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, è la sintesi completa della sua passione. Per convincerti che la croce è la gloria di Cristo, senti quello che egli dice: «Ora il figlio dell'uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e lo glorificherà subito» (Gv 13, 31-32).
     E di nuovo: «Glorificami, Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17, 5). E ancora: «Padre glorifica il tuo nome. Venne dunque una voce dal cielo: L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò» (Gv 12, 28), per indicare quella glorificazione che fu conseguita allora sulla croce. Che poi la croce sia anche esaltazione di Cristo, ascolta ciò che egli stesso dice: Quando sarò esaltato, allora attirerò tutti a me (cfr. Gv 12, 32). Vedi dunque che la croce è gloria ed esaltazione di Cristo.

 

 

ESALTATI NEL CIELO PERCHE' UNITI A COLUI CHE PER AMORE SI E' UMILIATO LASCIANDOSI INCHIODARE ALLA CROCE
Stravaganti questi cristiani; mentre nel mondo si esaltano il denaro e i successi, loro esaltano uno tra i patiboli più cruenti della storia. Da sempre questa adorazione per la Croce è stata presa di mira dagli avversari del cristianesimo. E’ incomprensibile che qualcuno possa credere che un uomo visto da tutti inchiodato e morto su una croce sia risuscitato, come disse “a gran voce” il Re Agrippa a San Paolo che glielo aveva annunciato: “Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello!”. E a te, e a me? La scienza della Croce ci ha dato al cervello, ha operato cioè un cambio radicale di mentalità? Come per San Paolo, il “mio e il tuo unico vanto è la Croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per noi è stato crocifisso, come noi per il mondo”? Forse no… Forse abbiamo dimenticato che il primo gesto con cui la Chiesa ci ha accolto è stato proprio il segno della Croce. Per questo i pastori non possono predicare niente altro che Cristo crocifisso, come i genitori cristiani, che sin dall’inizio hanno crocifisso profeticamente con Lui i propri figli. Certo, per il mondo è una pazzia. Quale genitore si augurerebbe la Croce per i propri figli? Se la pensi così significa che non sei ancora un cristiano. Non hai capito che Dio non ha giudicato il mondo, ma lo ha amato tanto da dare il suo unico figlio. Tu odi il mondo, perché odi te stesso e la tua vita, e giudichi Dio che permette in essa e nel mondo l’ingiustizia e il male. Il demonio ha tanto “esaltato” il tuo ego da farti scambiare il deserto di questo mondo con il tuo paradiso. Per questo, come il Popolo di Israele, mormori costantemente. Hai dimenticato che Dio ti ha scelto dal mondo liberandoti dalla schiavitù al peccato per farti camminare nel mondo con il Popolo di Dio per testimoniare ad esso l’amore di Dio. Ha salvato te per salvarne molti. Non ti ha giudicato perché il mondo non si senta giudicato. Ma il demonio è riuscito a non farti accettare di camminare nel “deserto” della precarietà. Tu vuoi il paradiso già, come lo desidera la tua carne. Dove “non ci sono né pane né acqua”, sei “nauseato dal cibo” che Dio ti dona, non ti basta il suo amore perché per il tuo cuore indurito è troppo “leggero”. Nel deserto il sibilo del “serpente” si fa più suadente, e ci insinua che Dio ci ha liberato “per farci morire”. E riesce a “morderci” perché l’odore e il sapore di agli e cipolle ci è rimasto appiccicato addosso, come le esperienze di peccato che il demonio, invitandoci a guardare indietro, usa contro di noi per farci disperare della salvezza. Per questo passiamo tanto tempo guardando il passato con nostalgia e rimpianto, e restiamo paralizzati, come “morti”, depressi e incapaci di amare davvero. La mormorazione è gestata e nasce da un cuore ancorato al passato dal quale il demonio è riuscito a trafugare la memoria dell’amore di Dio, e che per questo pensa al presente e al futuro come la sua nefasta conseguenza. Ma la Festa di oggi ci viene in aiuto, illuminando la verità sulla nostra vita bagnata dall’amore infinito di Dio. “Bisognava” che Cristo fosse “innalzato” sulla Croce: “Adamo aveva perduto il paradiso terrestre. In lacrime lo cercava: Paradiso mio, paradiso meraviglioso! Ma il Signore nel suo amore gli fece dono, sulla croce, di un paradiso migliore di quello perduto, un paradiso celeste dove rifulge la luce increata della santa Trinità” (Silvano del Monte Athos). Mormoriamo perché abbiamo perduto il Paradiso autentico, e quello che il demonio ci ha dipinto è invece un inferno! Ma Gesù si è fatto “serpente”, ovvero peccato, perché ogni “serpente” che ci ha ucciso, ossia ogni evento della nostra vita che abbiamo rifiutato con il peccato, fosse trasformato in un paradiso migliore. I cristiani “esaltano” la Croce perché essa “esalta” l’amore di Dio in ogni circostanza che ci ha “abbassato”; trasforma il matrimonio come acqua che diventa vino, infonde “vita eterna” in ogni relazione che giaceva senza amore e speranza. La Croce piantata nel mondo, nel deserto dove, come tutti nel mondo, abbiamo peccato, rivela la misericordia di Dio: su di essa, come sulla nostra storia, è colato il sangue di Cristo che ha lavato ogni peccato; su di essa, come sulla nostra carne, si è abbandonata la sua carne che ha vinto la morte per farci passare con Lui a una vita celeste, già qui, nella carne. Coraggio, mettiamo oggi una croce nel luogo più bello della casa, e passiamo un po’ di tempo ai suoi piedi con la nostra famiglia; fissiamola senza fretta, e impariamo a farlo ogni giorno. Su di essa vedremo i fatti e le relazioni che Dio ha mandato a morderci dissolversi nel suo Unigenito dato per noi, perché il dolore che abbiamo imputato a Lui ci umili spingendoci a implorare di nuovo la salvezza che abbiamo disprezzato. Esaltare la Croce, infatti, significa umiliare noi stessi nell’abbraccio senza condizioni di Cristo. Lasciarci amare così come siamo contemplando il patibolo sul quale Cristo è stato innalzato per innalzarci con Lui alla destra del Padre. Significa donarci a Cristo per appartenergli accettando di vivere crocifissi con Lui nella storia; così, chi ancora è del mondo, potrà vedere Cristo in noi, proprio attraverso la testimonianza che nel mondo, pur non essendo il Paradiso, non si è condannati a morire ma, credendo in Lui e accogliendo il suo perdono, vi si possono gustare le primizie della vita eterna

 

Quest'albero è per me di salvezza eterna:
di esso mi nutro,
di esso mi pasco.
Per le sue radici io affondo le mie radici,
per i suoi rami mi espando,
della sua rugiada mi inebrio,
del suo spirito, come da soffio delizioso, sono fecondato.
Sotto la sua ombra ho piantato la mia tenda
e ho trovato riparo dalla calura estiva.
Quest'albero è nutrimento alla mia fame,
sorgente per la mia sete,
manto per la mia nudità;
le sue foglie sono spirito di vita e non foglie di fico.
Quest'albero è mia salvaguardia quando temo Dio,
appoggio quando vacillo,
premio quando combatto,
trofeo quando ho vinto.
Quest'albero è per me "il sentiero angusto e la via stretta";
è la scala di Giacobbe,
è la via degli angeli
alla cui sommità realmente è "appoggiato" il Signore.
Quest'albero dalle dimensioni celesti si è elevato dalla terra al cielo
fondamento di tutte le cose,
sostegno dell'universo,
supporto del mondo intero,
vincolo cosmico che tiene unita la instabile natura umana,
assicurandola con i chiodi invisibili dello Spirito,
affinchè stretta alla divinità non possa più distaccarsene.
Con l'estremità superiore tocca il cielo,
con i piedi rafferma la terra,
tiene stretto da ogni parte, con le braccia sconfinate,
lo spirito numeroso e intermedio dell'aria.
Egli era in tutte le cose e dappertutto.
E mentre riempie di sè l'universo intero,
si è svestito per scendere in lizza nudo contro le potenze dell'aria.
Dal Trattato "Sulla Santa Pasqua" dell' Anonimo Quartodecimano (Pseudo-Ippolito)

sabato 12 settembre 2020

 

FONDANDO LA VITA SULL'UNICO FONDAMENTO CHE NELLA CHIESA SPERIMENTIAMO SOLIDO E AUTENTICO
"In quel tempo", oggi, Gesù parla alla comunità dei "suoi discepoli"; non si rivolge al mondo, ma a noi, vescovi, preti, catechisti, padri, madri, insegnanti, a tutti coloro che sono stati piantati nel suo campo per dare "frutti buoni e belli". Quando nel Vangelo appare l'immagine dell'albero occorre pensare innanzitutto al seme da cui si è sviluppato. Alla predicazione che ha seminato nel "cuore" l'annuncio del kerygma, dando inizio a un percorso di crescita nella fede.
Per questo Gesù dice anche che bisogna "scavare molto profondo", "porre le fondamenta sulla roccia", e così "costruire bene". Sta parlando del battesimo, del cammino con cui ci preparava a riceverlo e della vita nuova dei cristiani con cui la Chiesa avrebbe annunciato al mondo la salvezza .
Di fronte ai "fiumi" in "piena" che, gonfi di male, "investono" il mondo facendo andare in "rovina" la vita di tanti, i cristiani sono chiamati a mostrare la Chiesa come una "casa" che il demonio non "riesce a smuovere". Ovunque intorno a noi il nome di Dio è maledetto: famiglie distrutte, aborti, abomini di ogni tipo, guerre, sfruttamenti delle persone.
Non solo, anche le malattie e le morti premature, i disastri ambientali, i rovesci economici inducono a bestemmiare Dio. In mezzo a tutto questo i cristiani sono chiamati a "santificare il Nome di Dio" nella loro vita; perché gli uomini possano passare dalla bestemmia alla benedizione devono poter vedere in loro i "frutti buoni" che nascono dall'"albero buono" della Croce. Devono poter ascoltare dalle loro "bocche" l'annuncio di salvezza che "parla dalla pienezza" d'amore di un "cuore" rigenerato.
Chi ci è accanto ha diritto alla salvezza, quindi ha diritto di incontrare un popolo che dà gloria a Dio nelle stesse situazioni difficili e di sofferenza che vivono tutti; una comunità che annuncia e testimonia la verità, che cioè Dio è un Padre buono, che ama ogni uomo, che ha mandato suo Figlio a vincere il peccato e la morte, per dare a tutti la possibilità di camminare in una vita diversa, piena, felice, anche tra le sofferenze.
Per questo, con le sue parole il Signore viene oggi a "vendemmiare" nella sua vigna, cercandovi l"'uva", ovvero il vino nuovo della vita cristiana da offrire al mondo. Così faceva la Chiesa primitiva: "Quanti sono stati scelti e messi da parte per ricevere il battesimo saranno esaminati riguardo alla loro vita: se sono vissuti piamente mentre erano catecumeni, se hanno onorato le vedove, visitato i malati e praticato tutte le buone opere. Se coloro che si presentano rendono testimonianza della loro condotta, allora ascoltino il Vangelo... Se si trova uno che non è puro, verrà scartato, perché non ha ascoltato le parole dell'istruzione con fede. Uno spirito estraneo e cattivo dimora in lui" (Ippolito, Tradizione Apostolica).
Il Signore scruta i nostri "cuori" per vedere che tipo di "pienezza" stanno producendo, se i frutti sono dati dallo Spirito Santo o da uno spirito estraneo al Vangelo e "cattivo". Guarda alla nostra "bocca" come a un "albero", e ascolta le "parole" che vi escono come fossero i suoi "frutti". Sono "buoni" come i "fichi" o pieni di "spine"? Sono i "frutti" della Croce gloriosa di cristo, o sono avvelenati come quello che il demonio ha spinto Eva a mangiare?
Non possiamo illudere nessuno, come "un albero buono non può dare frutti cattivi", così anche le "parole rivelano il cuore"; anche se con esse chiamiamo Gesù "Signore, Signore", potremmo celare lo stesso cuore di Giuda che si era avvicinato a Lui per baciarlo. Quello che conta sono i fatti, le opere, "i frutti", non le "parole".
Non importa se sono impreziosite da citazioni bibliche, piene di forza profetica, unite come una collana di perle a formare una catechesi stupenda. Scriveva San Francesco Saverio: "nell'inferno vi sono molti i quali, quando stavano nella vita presente, furono la causa e lo strumento affinché gli altri si salvassero per mezzo delle loro parole e se ne andassero alla gloria del paradiso, mentre loro, mancando di umiltà interiore, andarono all'inferno essendosi fondati su una ingannevole e falsa opinione di loro stessi".
Forse oggi il Signore trova la nostra vita come "una casa" appena appoggiata sulla "terra", senza altro "fondamento" che il nostro orgoglio presuntuoso. Per questo, di fronte ai "fiumi" che ci "investono" ogni giorno, non possiamo far altro che difenderci ed erigere argini sempre più precari, e darci sotto più forte, rispondendo al male con il male, colpo su colpo.
Quante volte a messa hai ripetuto "Signore, Signore"? Moltissime, ma poi quando torni a casa, e tua moglie, che ti conosce e non ha voglia di passare la settimana discutendo, ti chiede all'ultimo momento di andare a pranzo dai suoi? Basta un secondo, e l'eco di quel "Signore, Signore" è già spenta, sostituita immediatamente da un irato "io, io"... Io non ce la faccio, mi brontolano sempre, mia suocera poi non la sopporto; guarda, ho mille cose da fare, non posso perdere tempo con quei babbioni. Ecco la "spina" con cui ferisci tua moglie, che invece aveva bisogno della tua "uva"... Come le altre parole con le quali mentiamo, insultiamo, inganniamo, uccidiamo, perché il nostro cuore è pieno di veleno, non ha altro con cui riempire la nostra bocca.
Spesso ci ritroviamo così, senza "fondamenta", perché abbiamo dimenticato che cosa significhi dire "Signore, Signore". Il termine traduce la parola greca "Kyrios", il termine che nella "Settanta" (traduzione greca dell'Antico Testamento del III secolo) a sua volta traduceva il tetragramma YHWH, il Nome di Dio: "Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre".
Dunque, se diciamo "Signore, Signore" significa che anche la nostra lingua sta proclamando che Gesù Cristo, crocifisso e morto per i nostri peccati, è risuscitato ed è "il Signore". Significa che lo crediamo perché lo abbiamo sperimentato nella nostra vita, dove Lui è il Signore della nostra carne e dei suoi desideri.
Ma se "non facciamo quello che Gesù dice", allora stiamo "pronunciando invano il nome di Dio". In ebraico "pronunciare" si può tradurre anche "portare". Per questo "il Talmud interpreta il comandamento "non porterai il nome di Dio invano" come "non farai falsi giuramenti", perché l'espressione "portare il nome" significa "giurare" ( M-A. Ouaknin). Stiamo giurando che Dio esiste, che Cristo e risorto, e con la vita affermiamo il contrario.
Stiamo ripetendo il nome "Signore, Signore" invano, ovvero, secondo il significato ebraico del termine, senza distinguerlo dal resto. Dio è per noi uno tra i tanti, e per questo ci è indifferente vivere obbedendo a quello che dice o seguire la nostra volontà. Come farà allora chi ci incontra a distinguere la terra e il Cielo, la speranza dalla disperazione, la vita autentica da quella destinata a corrompersi?
Chiamati a "santificare il nome di Dio" lo stiamo rendendo oggetto di insulto e bestemmia. E così siamo uno scandalo, una "rovina" per la Chiesa, per i fratelli e per chi attendeva da noi "parole" autentiche, "piene" di speranza, un annuncio del Vangelo credibile a cui aggrapparsi.
Per questo il Signore oggi ci chiama a conversione. Con te e con me, con la maggioranza di quanti vanno a messa e dicono di essere cristiani ma non danno i frutti del battesimo, è necessario un percorso di formazione cristiana che accompagni tutta la vita: "Il Battesimo si estende a tutta la nostra vita: sia pre-battesimale, sia post-battesimale, siamo sempre in cammino battesimale, in cammino catecumenale. La nostra sfida è vivere il dono del battesimo, vivere realmente, in un cammino post-battesimale" (Benedetto XVI).
Per vincere questa "sfida" bisogna innanzitutto "scavare molto profondo". Per questo il Signore scende come uno Sposo nella sua vigna in “rovina”, come quando si inoltrò negli inferi. E ci tende la mano con misericordia, per "andare a Lui", ma stavolta per "ascoltare le sue parole" e "metterle in pratica". Ciò significa accogliere la Parola di Dio, la predicazione e la catechesi che "scavano" in noi, svelandoci gli inganni con cui il demonio ci tiene schiavi. Sono così "profondi" che non ce ne siamo mai accorti.
Solo quando saranno illuminati e spazzati via saremo liberi per “ascoltare”, obbedire e fondare la nostra vita sulla "Roccia" del suo amore incorruttibile. Rinunciato agli idoli e al peccato, potremo accogliere il "Signore" nella nostra vita abbracciando la Croce che ci unisce a sé indissolubilmente, l'unica che dà frutti autentici e capaci di saziare.
Allora sapremo "costruire bene", seguendo le sue orme incise nell’insegnamento della Chiesa, dei pastori e dei catechisti, divenendo noi stessi il Nome di Dio annunciato al mondo, come lo furono Abramo, Isacco e Giacobbe: "Dio prende questi tre e proprio nel suo nome essi diventano il nome di Dio. Per capire chi è questo Dio si devono vedere queste persone che sono diventate il nome di Dio, un nome di Dio, sono immersi in Dio. Chi sta nel nome di Dio è vivo, perché Dio – dice il Signore – è un Dio non dei morti, ma dei vivi. E proprio questo succede nel nostro essere battezzati: diventiamo inseriti nel nome di Dio, in un’unica, nuova esistenza apparteniamo a Dio, siamo immersi in Dio stesso, così che apparteniamo a questo nome e il Suo nome diventa il nostro nome e anche noi potremo, con la nostra testimonianza – come i tre dell’Antico Testamento –, essere testimoni di Dio, segno di chi è questo Dio, nome di questo Dio” (Benedetto XVI).

venerdì 11 settembre 2020

 

SULLA TRAVE DELLA CROCE GESU' HA CANCELLATO I NOSTRI PECCATI PER PREPARARCI A ILLUMINARE IL MONDO CIECO DI FRONTE ALL'AMORE DI DIO
"Nessun cieco può guidare un altro cieco”. Eppure anche oggi ci accingeremo a prendere per mano moglie e figli per accompagnarli a “cadere nelle buca”; essa è immagine delle trappole del demonio che non si vedono a occhio nudo, quello cioè di chi crede di vedere perfettamente e invece è cieco, incapace di riconoscere “la trave” infilata nella sua pupilla. Siamo ciechi perché i nostri occhi, sedotti dal demonio, hanno smesso di guardare il Creatore per fissarsi sul frutto che ci è stato proibito. Mostrandocelo "bello, buono da mangiare, e desiderabile" ci ha indotto a prenderlo per crederci "da più del Maestro", cioè più intelligenti di Gesù che ci ammaestra nella Verità, per essere liberi di decidere noi cosa sia bene o male, e così poter giudicare tutto e tutti, occupandoci a togliere le "pagliuzze" dagli occhi dei fratelli. Ci è accaduto quello che successe a Sansone che cedette alle lusinghe di Dalila (il demonio), quando "i Filistei (i peccati) lo presero e gli cavarono gli occhi; lo fecero scendere a Gaza e lo legarono con catene di rame. Egli dovette girare la macina nella prigione". Il demonio ci ha cavato gli occhi donati dal Padre per contemplare il volto di Cristo e in esso il suo amore a cui consegnare la nostra vita. Senza gli occhi della fede non vediamo più l’amore di Dio nella nostra vita e per questo non possiamo guardare con amore il prossimo. Come un uomo a cui è stato tolto lo stomaco, abbiamo cominciato a sentire una fame atroce, per saziare la quale abbiamo posato lo sguardo su immagini seducenti e avvelenate. In prigione, infatti, sognando la libertà, si immagina il mondo di fuori come un paradiso. Ma è irreale! Così, prigionieri e obbligati a girare intorno a noi stessi per soddisfare il nostro ego senza riuscirci, guardiamo tutto privi del discernimento, e nulla più ci appare per quello che è: la moglie e il marito, i figli e i parenti, gli amici e i colleghi, il lavoro, la scuola, i fatti di ogni giorno, che nella realtà sono pagliuzze che non avrebbero il potere di farci del male, diventano travi che pesano sugli occhi, togliendoci gioia e pace. Per questo sogniamo felicità artificiali nella pornografia, negli acquisti a rate di televisori sempre più grandi, macchine e gadget elettronici, sublimando negli oggetti e nei progetti, ciò che la fantasia avvelenata vorrebbe fosse la nostra vita. L'ipocrisia nasce qui, come un anestetico per non sentire dolore. Mentre il demonio ci ripete il fatidico "stai sereno" che cela il colpo finale con cui uccidere la nostra anima, ci autoconvinciamo e cerchiamo di convincere gli altri che va tutto bene, che stiamo da Dio perché siamo Dio... Il demonio è riuscito nel suo vero obbiettivo, che non è solo farci cadere nella buca. Questo è solo il primo passo; occultandoci i peccati, vuole convincerci che non siamo ciechi per impedirci di vedere la “trave” della Croce sulla quale abbiamo crocifisso il Signore. Guardate la società, che prima di accogliere il perdono pretende di mettere le condizioni a Dio, confondendo la misericordia con il suo contrario, cioè un certificato di buona condotta. Di peccati e di dolore e compunzione per essi neanche l'ombra. Ed è ciò che accade per molti divorziati che vorrebbero accostarsi alla comunione. Ditemi, c'entra qualcosa la misericordia? Essa è come un ambulanza che appare con le sirene spiegate facendo slalom nel traffico quando uno sta male ed è moribondo. Gli autisti fanno i salti mortali pur di salvarlo. Avete mai visto un'ambulanza correre verso uno che pensa di essere sanissimo? L'avete vista nell'urgenza di portargli un defibrillatore mentre mangia a quattro palmenti? Perché questa è la misericordia per chi, non sentendosi peccatore, non pensa di aver bisogno di pentirsi. Inculcandoci subdolamente di non averne bisogno, il demonio svela il suo autentico obiettivo che è proprio farci disperare della salvezza. Sembra un paradosso invece fa proprio così: ti induce a pensare che in fondo, non avendo peccato così gravemente, non hai bisogno di così tanta misericordia da dover scomodare la Croce e il sangue di Cristo che vi è colato sopra. Se accetti questo pensiero sei fritto, perché, quando ti troverai un peccato grosso tra le mani, quando cioè ti accorgerai di essere in prigione come Sansone e di non poter uscire, il prossimo pensiero che il demonio ti presenterà sarà l'opposto: sei uno schifo, il più grande peccatore, non c’è salvezza per te. Ma siccome avevi creduto di non aver bisogno del perdono di Dio, non ne hai fatto l'esperienza o l’hai dimenticata, e quindi non puoi credere al suo amore che perdona senza giudicare. E così precipiti nella disperazione, ti convinci che per te non c'è più speranza, che non cambierai. Ma se ti guardi così, se non guardi cioè la "trave" della Croce di Gesù che ha dato se stesso per strapparti dal peccato, allora ti accanirai contro gli altri che guarderai con la stessa disperazione con la quale guardi te stesso. E ti soffermerai sulle loro pagliuzze, perché ti appariranno come travi. Chi infatti ha dimenticato o non ha mai fatto l'esperienza del perdono di Dio capace di trasformare nelle sue viscere di misericordia che sono i sacramenti le proprie travi in pagliuzze, vedrà travi in ogni pagliuzza del fratello. E divorzierà, e poi esigerà che Dio benedica e sigilli quel suo guardare stolto, mettendo la firma sulla sua cecità.
Ma coraggio, perché Gesù ci viene a visitare proprio in questa situazione di ipocrisia; il demonio "non è da più del nostro Maestro" che, per liberarci dalla menzogna e salvarci dalla disperazione, ha portato sulle spalle la "trave" dei nostri peccati che è divenuta la sua Croce. Si è fatto peccato perché il Padre guardasse su di Lui "la trave" che ci condannava come a una "pagliuzza" che le sue mani trafitte hanno tolto con misericordia. Fratelli, guardando la tua trave Gesù non ha mai disperato di te; il suo amore ha ridotto a pagliuzza il peccato più grave, per togliertela con tenerezza. Coraggio, puoi guardare la Croce senza paura, non è la tua condanna, ma la porta di Verità che apre per te le viscere di misericordia nelle quali Cristo ha il potere di rigenerarti e salvare il tuo matrimonio fallito ad esempio, sino a farne una cosa nuova e meravigliosa. Inginocchiati oggi davanti alla Croce, e fissala bene. Ci troverai scritti i tuoi peccati, e quelli degli altri, tutti lavati e cancellati dal sangue preziosissimo di Cristo. Avvicinati senza timore al trono della Grazia, e lascia che il suo amore giunga sin dentro il tuo cuore, per trasformarlo con il suo perdono. Cammina giorno dopo giorno nella Chiesa dove sarai "un discepolo ben preparato" per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. La "preparazione" di cui Gesù parla è infatti il catecumenato con il quale la Chiesa primitiva preparava i pagani a ricevere il battesimo. Ma è anche il cammino di purificazione e conversione che Dio ha preparato per noi nella Chiesa. Alla luce della Parola di Dio scoprirai cioè la trave dove hai inchiodato il Signore, ti umilierai accettando di essere un peccatore, e così vedrai l'amore con cui Cristo ha tolto i tuoi peccati inchiodandoli alla Croce. L'esperienza di essere stato perdonato mille volte illuminerà di misericordia i tuoi occhi donandoti lo sguardo di Cristo sui peccati del fratello che ti appariranno come pagliuzze; solo allora potrai avvicinarti a lui con pazienza e misericordia per accompagnarlo a Cristo, l'unico capace di togliere quella pagliuzza dai suoi occhi perché veda anche lui lo stesso amore nella sua vita. Così un padre potrà aiutare con amore suo figlio solo se è consapevole della trave che ha chiuso i suoi occhi e non dispererà della sua conversione; si avvicinerà a lui come ha visto avvicinarsi Cristo, con la speranza invincibile che gli fa vedere anche il suo peccato più orribile come una pagliuzza di fronte alla misericordia infinita di Dio e al suo potere di risuscitare i morti. E così un marito o una moglie, così con chiunque è accanto a noi. Solo dall'ultimo posto, infatti, nella nostra storia illuminata, pacificata e accettata nelle acque del battesimo, nella consapevolezza di essere gli ultimi e i più indegni, ma amati infinitamente e gratuitamente da Dio, si può servire con la verità i fratelli. Perché "togliere la pagliuzza dall'occhio del fratello" significa servirlo illuminando i suoi peccati perché si renda conto di averne con la luce dell'amore che ha tolto la trave dal proprio occhio. Come il Signore, i "discepoli" "tolgono" la pagliuzza che impedisce ai fratelli di vedere l'amore di Dio inginocchiati davanti a loro, lavando i loro piedi, prendendo su di sé i loro peccati.

mercoledì 9 settembre 2020

 

BENEDETTO XVI. LE BEATITUDINI
Le Beatitudini vengono non di rado presentate come l'antitesi neotestamentaria al Decalogo, come, per così dire, l'etica più elevata dei cristiani nei confronti dei comandamenti dell'Antico Testamento. Questa interpretazione fraintende completamente il senso delle parole di Gesù. Gesù ha sempre dato per scontata la validità del Decalogo (cfr., per es., Mc 10,19; Lc 16,17); il Discorso della montagna riprende i comandamenti della Seconda tavola e li approfondisce, non li abolisce (cfr. Mt 5,21-48); ciò si opporrebbe diametralmente al principio fondamentale premesso a questo discorso sul Decalogo: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla Legge neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto " (Mt 5,17s). Intanto è sufficiente notare che Gesù non pensa di abolire il Decalogo, al contrario: lo rafforza.
Ma allora che cosa sono le Beatitudini? Anzitutto, esse si inseriscono in una lunga tradizione di messaggi veterotestamentari, quali troviamo, per esempio, nel Salmo 1 e nel testo parallelo di Geremia 17,7s: "Benedetto l'uomo che confida nel Signore...". Sono parole di promessa, che nello stesso tempo contribuiscono al discernimento degli spiriti e diventano così parole guida.
La cornice data da Luca al Discorso della montagna chiarisce la destinazione particolare delle Beatitudini di Gesù: "Alzati gli occhi verso i suoi discepoli...". Le singole affermazioni delle Beatitudini nascono dallo sguardo verso i discepoli; descrivono per così dire lo stato effettivo dei discepoli di Gesù: sono poveri, affamati, piangenti, odiati e perseguitati (cfr. Lc 6,20ss).
Sono da intendere come qualificazioni pratiche, ma anche teologiche, dei discepoli - di coloro che hanno seguito Gesù e sono diventati la sua famiglia.
Tuttavia la situazione empirica di minaccia incombente in cui Gesù vede i suoi si fa promessa, quando lo sguardo su di essa si illumina a partire dal Padre. Riferite alla comunità dei discepoli di Gesù, le Beatitudini rappresentano dei paradossi: i criteri mondani vengono capovolti non appena la realtà è guardata nella giusta prospettiva, ovvero dal punto di vista della scala dei valori di Dio, che è diversa dalla scala dei valori del mondo. Proprio coloro che secondo criteri mondani vengono considerati poveri e perduti sono i veri fortunati, i benedetti, e possono rallegrarsi e giubilare nonostante tutte le loro sofferenze. Le Beatitudini sono promesse nelle quali risplende la nuova immagine del mondo e dell'uomo che Gesù inaugura, il "rovesciamento dei valori". Sono promesse escatologiche; questa espressione tuttavia non deve essere intesa nel senso che la gioia che annunciano sia spostata in un futuro infinitamente lontano o esclusivamente nell'aldilà.
Se l'uomo comincia a guardare e a vivere a partire da Dio, se cammina in compagnia di Gesù, allora vive secondo nuovi criteri e allora un po' di éschaton, di ciò che deve venire, è già presente adesso. A partire da Gesù entra gioia nella tribolazione. (…) Ma ora si pone la que stione fondamentale: è giusta la direzione che ci indica il Signore nelle Beatitudini e nei moniti a esse contrapposti? È davvero male essere ricchi, sazi, ridere, essere apprezzati? Per la sua rabbiosa critica del cristianesimo Friedrich Nietzsche ha fatto leva proprio su questo punto. Non sarebbe la dottrina cristiana che si dovrebbe criticare: sarebbe la morale del cristianesimo che bisognerebbe attaccare come "crimine capitale contro la vita". E con "morale del cristianesimo" egli intende esattamente la direzione che ci indica il Discorso della montagna.
"Quale è stato fino ad oggi sulla terra il più grande peccato? Non forse la parola di colui che disse: "Guai a coloro che ridono!"?". E contro le promesse di Cristo dice: noi non vogliamo assolutamente il regno dei cieli. "Siamo diventati uomini - vogliamo il regno della terra".
La visione del Discorso della montagna appare come una religione del risentimento, come l'invidia dei codardi e degli incapaci, che non sono all'altezza della vita e allora vogliono vendicarsi esaltando il loro fallimento e oltraggiando i forti, coloro che hanno successo, che sono fortunati. All'ampia prospettiva di Gesù viene contrapposta un'angusta concentrazione sulle realtà di quaggiù: la volontà di sfruttare adesso il mondo e tutte le offerte della vita, di cercare il cielo quaggiù e in tutto ciò non farsi inibire da nessun tipo di scrupolo.
Molto di tutto questo è passato nella coscienza moderna e determina in gran parte il modo in cui oggi si percepisce la vita. Così il Discorso della montagna pone la questione dell'opzione fondamentale del cristianesimo e, da figli del nostro tempo, avvertiamo la resistenza interiore contro quest'opzione - anche se non siamo insensibili di fronte all'elogio dei miti, dei misericordiosi, degli operatori di pace, degli uomini sinceri.
Dopo le esperienze dei regimi totalitari, dopo il modo brutale con cui essi hanno calpestato gli uomini, schernito, asservito, picchiato i deboli, comprendiamo p ure di nuovo coloro che hanno fame e sete di giustizia; riscopriamo l'anima degli afflitti e il loro diritto a essere consolati. Di fronte all'abuso del potere economico, di fronte alla crudeltà del capitalismo che degrada l'uomo a merce, abbiamo cominciato a vedere più chiaramente i pericoli della ricchezza e comprendiamo in modo nuovo che cosa Gesù intendeva nel metterci in guardia dalla ricchezza, dal dio Mammona che distrugge l'uomo prendendo alla gola con la sua mano spietata gran parte del mondo. Sì, le Beatitudini si contrappongono al nostro gusto spontaneo per la vita, alla nostra fame e sete di vita. Esigono "conversione" - un'inversione di marcia interiore rispetto alla direzione che prenderemmo spontaneamente. Ma questa conversione fa venire alla luce ciò che è puro, ciò che è più elevato, la nostra esistenza si dispone nel modo giusto.
Il mondo greco, la cui gioia di vivere si rivela in modo meraviglioso nell'epopea omerica, era tuttavia profondamente consapevole del fatto che il vero peccato dell'uomo, la sua minaccia più intima è la hy´ bris: l'autosufficienza presuntuosa, in cui l'uomo eleva se stesso a divinità, vuole essere lui stesso il suo dio, per essere completamente padrone della propria vita e sfruttare fino in fondo tutto ciò che essa ha da offrire.
Questa consapevolezza che la vera minaccia per l'uomo consiste nell'autosufficienza ostentata, a prima vista così convincente, viene sviluppata nel Discorso della montagna in tutta la sua profondità a partire dalla figura di Cristo.
Abbiamo visto che il Discorso della montagna è una cristologia nascosta. Dietro di essa c'è la figura di Cristo, di quell'uomo che è Dio, ma che proprio per questo discende, si spoglia, fino alla morte sulla croce. I santi, da Paolo a Francesco d'Assisi fino a madre Teresa, hanno vissuto questa opzione mostrandoci così la giusta immagine dell'uomo e della sua felicità. In una parola: la vera "morale" del cristianesimo è l'amore. E questo, ovviamente, si oppone all 'egoismo - è un esodo da se stessi, ma è proprio in questo modo che l'uomo trova se stesso. Nei confronti dell'allettante splendore dell'uomo di Nietzsche, questa via, a prima vista, sembra misera, addirittura improponibile. Ma è il vero "sentiero di alta montagna" della vita; solo sulla via dell'amore, i cui percorsi sono descritti nel Discorso della montagna, si dischiude la ricchezza della vita, la grandezza della vocazione dell'uomo

 

S. GIOVANNI PAOLO II. OMELIA SULLE BEATITUDINI
Korazim, Monte delle Beatitudini, Venerdì, 24 marzo 2000
“Considerate la vostra vocazione, fratelli” (1 Cor 1, 26)
1. Oggi queste parole di san Paolo sono rivolte a tutti noi che siamo giunti qui sul Monte delle Beatitudini. Siamo seduti su questa collina come i primi discepoli e ascoltiamo Gesù. In silenzio ascoltiamo la sua voce gentile e pressante, gentile quanto questa terra stessa e pressante quanto l'invito a scegliere fra la vita e la morte.
Quante generazioni prima di noi si sono commosse profondamente udendo il Discorso della Montagna! Quanti giovani nel corso dei secoli si sono riuniti intorno a Gesù per apprendere le parole di vita eterna, proprio come oggi voi siete riuniti qui! Quanti giovani cuori sono stati ispirati dalla forza della sua personalità e dalla avvincente verità del suo avvincente messaggio! È meraviglioso che siate qui!
Grazie, Arcivescovo Boutros Mouallem, per la sua cordiale accoglienza. La prego di trasmettere i miei saluti oranti a tutta la comunità greco-melkita che presiede. Estendo i miei auguri fraterni ai numerosi Cardinali, al Patriarca Sabbah, ai Vescovi, e a tutti i sacerdoti qui presenti. Saluto i membri delle Comunità Latina, Maronita, Siriana, Armena, Caldea, e tutti i nostri fratelli e sorelle delle altre Chiese Cristiane e Comunità Ecclesiali. Rivolgo una speciale parola di ringraziamento ai nostri amici Musulmani che sono qui, ed ai membri di fede Ebraica.
Questo grande raduno è come una prova generale per la Giornata Mondiale della Gioventù che si svolgerà a Roma nel mese di agosto! Il giovane che ha parlato ha promesso che avrete un’altra montagna, il Monte Sinai! Giovani di Israele, dei Territori Palestinesi, della Giordania e di Cipro, giovani del Medio Oriente, dell'Africa e dell'Asia, dell'Europa, dell'America e dell'Oceania! Saluto ognuno di voi con affetto e amore!
2. I primi che udirono le Beatitudini di Gesù serbavano nel cuore il ricordo di un altro monte, il Monte Sinai. Proprio un mese fa, ho avuto la grazia di recarmi là, dove Dio parlò a Mosè e Gli diede la Legge scritta “dal dito di Dio” (Es 31, 18) su tavole di pietra. Questi due monti, il Sinai e il Monte delle Beatitudini, ci offrono la mappa della nostra vita cristiana e una sintesi delle nostre responsabilità verso Dio e verso il prossimo. La Legge e le Beatitudini insieme tracciano il cammino della sequela di Cristo e il sentiero regale verso la maturità e la libertà spirituali.
I Dieci Comandamenti del Sinai possono sembrare negativi: “Non avrai altri dèi di fronte a me;... Non uccidere; Non commettere adulterio; Non rubare; Non pronunziare falsa testimonianza...” (Es 20, 3, 13 -16), Essi sono invece sommamente positivi. Andando oltre il male che nominano, indicano il cammino verso la legge d'amore che è il primo e il più grande dei Comandamenti: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente... Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22, 37, 39). Gesù stesso afferma di non essere venuto per abolire la Legge, ma per darle compimento (cfr Mt 5, 17). Il suo messaggio è nuovo, ma non distrugge ciò che già esiste. Anzi sviluppa al massimo le sue potenzialità. Gesù insegna che la via dell'amore porta la legge al suo pieno compimento (cfr Gal 5, 14). Ed ha insegnato questa verità importantissima su questa collina, qui in Galilea.
3. “Beati voi”, dice “Beati i poveri in spirito, i miti e i misericordiosi, gli afflitti, coloro che hanno fame e sete della giustizia, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati! Beati voi!”. Le parole di Gesù possono sembrare strane. È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore” (Mt 11, 29), queste parole lanciano una sfida che richiede una metanoia profonda e costante dello spirito, una grande trasformazione del cuore.
Voi giovani comprenderete il motivo per cui è necessario questo cambiamento del cuore! Siete infatti consapevoli di un'altra voce dentro di voi e intorno a voi, una voce contraddittoria. È una voce che dice: “Beati i superbi e i violenti, coloro che prosperano a qualunque costo, che non hanno scrupoli, che sono senza pietà, disonesti, che fanno la guerra invece della pace e perseguitano quanti sono di ostacolo sul loro cammino”. Questa voce sembra avere senso in un mondo in cui i violenti spesso trionfano e pare che i disonesti abbiano successo. “Sì” dice la voce del male “sono questi a vincere. Beati loro!”
4. Gesù offre un messaggio molto diverso. Non lontano da qui egli chiamò i suoi primi discepoli, così come chiama voi ora. La sua chiamata ha sempre imposto una scelta fra le due voci in competizione per conquistare il vostro cuore, anche ora, qui sulla collina, la scelta fra il bene e il male, fra la vita e la morte. Quale voce sceglieranno di seguire i giovani del XXI secolo? Riporre la vostra fiducia in Gesù significa scegliere di credere in ciò che dice, indipendentemente da quanto ciò possa sembrare strano, e scegliere di non cedere alle lusinghe del male, per quanto attraenti possano sembrare.
Dopo tutto, Gesù non solo proclama le Beatitudini. Egli vive le Beatitudini. Egli è le Beatitudini. Guardandolo, vedrete cosa significa essere poveri in spirito, miti e misericordiosi, afflitti, avere fame e sete della giustizia, essere puri di cuore, operatori di pace, perseguitati. Per questo motivo ha il diritto di affermare “Venite, seguitemi!”. Non dice semplicemente, “Fate ciò che dico”. Egli dice “Venite, seguitemi!”.
Voi ascoltate la sua voce su questa collina e credete a ciò che dice. Tuttavia, come i primi discepoli sul mare di Galilea, dovete abbandonare le vostre barche e le vostre reti e questo non è mai facile, in particolare quando dovete affrontare un futuro incerto e siete tentati di perdere la fiducia nella vostra eredità cristiana. Essere buoni Cristiani può sembrare un'impresa superiore alle vostre forze nel mondo di oggi. Tuttavia Gesù non resta a guardare e non vi lascia soli ad affrontare tale sfida. È sempre con voi per trasformare la vostra debolezza in forza. CredeteGli quando vi dice: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12, 9)!
5. I discepoli trascorsero del tempo con il Signore. Giunsero a conoscerlo e ad amarlo profondamente. Scoprirono il significato di quanto l'Apostolo Pietro disse una volta a Gesù: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6, 68). Scoprirono che le parole di vita eterna sono le parole del Sinai e le parole delle Beatitudini. Questo è il messaggio che diffusero ovunque.
Al momento della sua Ascensione, Gesù affidò ai suoi discepoli una missione e questa rassicurazione: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 18-20). Da duemila anni i seguaci di Cristo svolgono questa missione. Ora, all'alba del terzo millennio, tocca a voi. Tocca a voi andare nel mondo e annunciare il messaggio dei Dieci Comandamenti e delle Beatitudini. Quando Dio parla, parla di cose che hanno la più grande importanza per ogni persona, per le persone del XXI secolo non meno che per quelle del primo secolo. I Dieci Comandamenti e le Beatitudini parlano di verità e di bontà, di grazia e di libertà, di quanto è necessario per entrare nel Regno di Cristo. Ora tocca a voi essere coraggiosi apostoli di quel Regno!
Giovani della Terra Santa, giovani del mondo, rispondete al Signore con un cuore aperto e volenteroso! Volenteroso e aperto come il cuore della figlia più grande di Galilea, Maria, la Madre di Gesù. Come rispose? Disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38).
O Signore Gesù Cristo, in questo luogo che hai conosciuto e che hai tanto amato, ascolta questi giovani cuori generosi! Continua a insegnare a questi giovani la verità dei Comandamenti e delle Beatitudini! Rendili gioiosi testimoni della tua verità e apostoli convinti del tuo Regno! Sii con loro sempre, in particolare quando seguire te e il Vangelo diviene difficile e arduo! Sarai tu la loro forza, sarai tu la loro vittoria!
O Signore Gesù, hai fatto di questi giovani degli amici tuoi: tienili per sempre vicino a te!
Amen!

martedì 8 settembre 2020

 

8 SETTEMBRE, NATIVITA’ DELLA BEATA VERGINE MARIA
Nella data odierna le chiese d’Oriente e d’Occidente celebrano la nascita di Maria, la madre del Signore. La fonte prima che racconta l’evento è il cosiddetto Protovangelo di Giacomo secondo il quale Maria nacque a Gerusalemme nella casa di Gioacchino ed Anna. Qui nel IV secolo venne edificata la basilica di sant’Anna e nel giorno della sua dedicazione veniva celebrata la natività della Madre di Dio. La festa si estese poi a Costantinopoli e fu introdotta in occidente da Sergio I, un papa di origine siriana. «Quelli che Dio da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati»: Dante sembra quasi parafrasare il versetto di san Paolo quando definisce Maria «termine fisso d’etterno consiglio».
In particolare, la devozione verso la Natività di Maria si sviluppò nella Sardegna bizantina (ma sempre fedele alla Chiesa romana), dove in tale ricorrenza si festeggia in quasi tutte le chiese dedicate alla Madre di Dio (moltissime di remota origine bizantina), e nella diocesi ambrosiana, dove risulta attestata fin dal X secolo. Espressione di questa devozione è lo stesso Duomo di Milano, consacrato da san Carlo Borromeo il 20 ottobre 1572 e dedicato a Maria Nascente (Mariae Nascenti, come appare scritto sulla facciata). Alla fine degli anni settanta il vescovo di Vicenza Arnoldo Onisto, accogliendo i comuni voti, approvò l'elezione della Beata Vergine Maria, "Madonna di Monte Berico" a patrona principale della città e della diocesi di Vicenza e ogni anno tale solennità viene celebrata l'8 settembre, giorno del ricordo della nascita della madre di Gesù. Alla festa liturgica si affianca un'antica devozione popolare a Maria Bambina, diffusa specialmente in area lombarda, dove fino agli anni sessantamolti genitori imponevano alle loro figlie il singolare nome di Bambina.
Dall’eternità, Il Padre opera per la preparazione di Colei che doveva divenire la madre del Figlio suo, il tempio dello Spirito Santo. La geneaologia di Gesù proposta dal Vangelo di Matteo culmina nell’espressione «Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo». Per la Chiesa ortodossa la nascita di Maria riveste un'importanza particolare ed è computata come una delle 12 feste maggiori. Nella tradizione agricola il ricordo della nascita di Maria coincide con il termine dell'estate e dei raccolti. Molte chiese hanno come titolo la Natività di Maria.
Maria nasce, viene allattata e cresciuta per essere la Madre del Re dei secoli, di Dio". E’ questo del resto il motivo per cui di Maria soltanto (oltre che di S. Giovanni Battista e naturalmente di Cristo) non si festeggia unicamente la " nascita al cielo ", come avviene per gli altri santi, ma anche la venuta in questo mondo. La festa odierna è stata celebrata con lodi magnifiche da molti santi Padri che hanno attinto alla loro conoscenza della Bibbia e alla loro sensibilità e ardore poetico. Leggiamo qualche espressione del secondo Sermone sulla Natività di Maria di S. Pier Damiani: “Dio onnipotente, prima che l'uomo cadesse, previde la sua caduta e decise, prima dei secoli, l'umana redenzione. Decise dunque di incarnarsi in Maria”."Oggi è il giorno in cui Dio comincia a mettere in pratica il suo piano eterno, poiché era necessario che si costruisse la casa, prima che il Re scendesse ad abitarla. Casa bella, poiché, se la Sapienza si costruì una casa con sette colonne lavorate, questo palazzo di Maria poggia sui sette doni dello Spirito Santo. Salomone celebrò in modo solennissimo l'inaugurazione di un tempio di pietra. Come celebreremo la nascita di Maria, tempio del Verbo incarnato? In quel giorno la gloria di Dio scese sul tempio di Gerusalemme sotto forma di nube, che lo oscurò. Il Signore che fa brillare il sole nei cieli, per la sua dimora tra noi ha scelto l'oscurità (1 Re 8,10-12), disse Salomone nella sua orazione a Dio. Questo nuovo tempio si vedrà riempito dallo stesso Dio, che viene per essere la luce delle genti.
"Alle tenebre del gentilesimo e alla mancanza di fede dei Giudei, rappresentate dal tempio di Salomone, succede il giorno luminoso nel tempio di Maria. E’ giusto, dunque, cantare questo giorno e Colei che nasce in esso"