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mercoledì 17 dicembre 2014

L'abito ecclesiastico per i sacerdoti non è un optional, è un obbligo. Lo ricorda la Santa Sede


Quella dell’importanza, anzi dell’obbligatorietà dell’abito talare o di «un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali» per i sacerdoti non è la fissazione di qualche nostalgico del passato. E’ una norma della Chiesa ricordata anche nell’ultimo Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri emanato lo scorso anno dalla Congregazione del clero.
Qui a fianco, un video prodotto dalla spagnola Agnus Dei production, che vuole ricordare il valore e la bellezza della talare. Sotto un estratto dal documento redatto dal dicastero vaticano.
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L’abito ecclesiastico è il segno esteriore di una realtà interiore: «infatti, il sacerdote non appartiene più a se stesso, ma, per il sigillo sacramentale ricevuto (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1563, 1582), è “proprietà”  di Dio. Questo suo “essere di un Altro” deve diventare riconoscibile da tutti, attraverso una limpida testimonianza. […] Nel modo di pensare, di parlare, di giudicare i fatti del mondo, di servire ed amare, di relazionarsi con le persone, anche nell’abito, il sacerdote deve trarre forza profetica dalla sua

martedì 16 dicembre 2014

Da Internet Alla Croce

 
Da internet alla croce. La storia di Tom Peters, star tra i blogger cattolici, rimasto paralizzatoIl 16 luglio dello scorso anno Thomas Peters si trovava per un incontro di lavoro in Maryland. A 27 anni era uno dei blogger cattolici più popolari negli Stati Uniti, grazie al suo seguitissimo “American Papist”. Era stato invitato in Vaticano all’incontro internazionale dei blogger cattolici, e si avviava a diventare uno giovane e brillante vaticanista. L’amore per la Chiesa e il gusto per l’apologetica l’aveva  acquisito in famiglia: figlio di Edward N. Peters, illustre canonista, consulente legale della Santa Sede, convertitosi al cattolicesimo dopo la lettura della Humanae Vitae di Paolo VI, era cresciuto in un ambiente intellettualmente stimolante e segnato da un cattolicesimo fervoroso. La sua ascesa come voce “smart” della blogosfera era dovuta al dinamismo e all’impegno profuso nell’informazione ecclesiale e nelle battaglie in difesa del cattolicesimo. Era diventato anche un attivista del movimento in difesa della matrimonio e della famiglia naturale, contro la promozione dei matrimoni gay da parte dell’amministrazione Obama.
Quel 16 luglio, poco prima di pranzo, la sua vita è però cambiata. Ha salutato gli amici per andare a fare una nuotata in mare. Dopo un po’ è stato visto galleggiare a corpo morto fra le onde. Probabilmente a causa di un tragico tuffo, si è spezzato la quinta vertebra cervicale. E’ stato salvato in extremis: portato a riva e poi ricoverato alla clinica dell’Università del Maryland per salvargli innanzitutto i polmoni pieni d’acqua e permettergli di tornare a respirare.
Tom sé ritrovato paralizzato, in gran parte del corpo,dal torace in giù. Dopo una lunga e intensa riabilitazione,

lunedì 15 dicembre 2014

La crisi della Chiesa, il bisogno della santità

di Luigi Negri*                                       15-12-2014

La Chiesa si vive. Dobbiamo partire da questa certezza per comprendere il momento che la Chiesa e la società stanno vivendo. Della Chiesa non si parla come di un oggetto a partire dalle proprie presupposizioni di carattere ideologico, culturale, filosofico o altro. La Chiesa si vive. Per la Chiesa si soffre, per la Chiesa si gioisce, soprattutto si tenta di dare il nostro apporto significativo e creativo.
Piazza san PietroEbbene, lo scandalo della situazione della Chiesa oggi – e uso volutamente la parola “scandalo” - è che la Chiesa è stata buttata in pasto alla stampa. La Chiesa è uno strumento manipolabile e manipolato dalla stampa, da una stampa che in Italia è per il 90% di impostazione laicista e anticattolica. Quindi siamo al paradosso che la mentalità laicista la fa da padrona in casa nostra pretendendo di decidere chi sono i veri ortodossi e chi sono gli eterodossi, qual è la posizione corretta e qual è la posizione del Santo Padre, perché poi ciascuno di questi pretende o millanta un credito presso il Santo Padre. Per cui noi assistiamo impotenti a una manipolazione che è avvilente, cioè avvilisce la fede del nostro popolo. Perché il nostro popolo ha un’esperienza di fede reale e personale che non ha nulla da spartire con le pensate di Eugenio Scalfari e altri.
Questi possono essere strumenti che verificano una posizione, ma il dialogo – come più volte ha detto Benedetto XVI nel Sinodo sull’evangelizzazione - è l’espressione di una identità forte. Forte non di mezzi, ma forte di ragioni. Se c’è un’identità forte è inevitabile che questa identità ponendosi incontri uomini, situazioni, condizioni, problemi, fatiche; quindi entri in dialogo con chi ha un’altra impostazione. Ma se non c’è un’identità il dialogo è un illusione. Il dialogo è la conseguenza di un’identità, non può essere l’obiettivo. L’obiettivo è l’evangelizzazione.
È un momento ben definito da quell’affermazione di Paolo VI a Jean Guitton, pochi mesi prima di morire: «All'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia». È un’affermazione che sollecita all’assunzione di un criterio di giudizio a cui consegue un comportamento.
Voglio ricordare questa splendida frase della lettera di san Giacomo: «Considerate perfetta letizia fratelli miei quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi perché siate perfetti ed integri senza mancare di nulla» (Gc 1, 2-4).
Questo è il tempo in cui viviamo. Dire che è un tempo di prova, non significa analizzare e programmare una soluzione di questa crisi. È per l’incremento della santità. Dio permette certe cose perché uno assumendo una posizione vera di fronte a Cristo e alla Chiesa, possa diventare "perfetto". Per meno di questo non vale la pena discutere della Chiesa, come non varrebbe la pena discutere di niente.
Ecco dunque una prima osservazione, che è anche uno dei nodi centrali del cammino conciliare che la Chiesa ha fatto su se

domenica 14 dicembre 2014

Sentinelle in Piedi: il silenzio sfida il rumore

Cori e insulti contro i manifestanti ieri a Roma, ma cresce la partecipazione alle veglie in nome della libertà di espressione e della famiglia naturale
Roma,          Luca Marcolivio

Sfidando un cielo che minacciava pioggia e rinunciando ad un’ora di shopping pre-natalizio, 400 manifestanti si sono dati appuntamento ieri sera a piazza San Silvestro, nel centro storico di Roma, per la nuova veglia delle Sentinelle in Piedi.

L’obiettivo è sempre lo stesso: protestare pacificamente contro il ddl Scalfarotto e tutti i progetti legislativi ed amministrativi a vario titolo finalizzati a demolire il concetto di famiglia fondato sul matrimonio tra uomo e donna, e le naturali differenze tra i due sessi.
La veglia di ieri sera a Roma è stata disturbata da un gruppo di una trentina di persone legate a movimenti LGBT, che hanno inscenato cori ed insulti contro le Sentinelle, dipinte come nemici della libertà e assimilate alle dittature nazista e comunista.
Le forze dell’ordine hanno tuttavia impedito che i facinorosi sconfinassero nell’area della veglia e le aggressioni sono state soltanto verbali. Nessuna Sentinella ha reagito alle provocazioni, opponendo soltanto la lettura silenziosa di un libro, simbolo della cultura che sconfigge tutti i pregiudizi, anche quelli di marca “progressista” e liberal.
Nonostante il clima a tratti teso, secondo Enrico Mantovano, portavoce romano delle Sentinelle in Piedi, la veglia di ieri “si può ritenere un grande successo: abbiamo di nuovo riempito piazza San Silvestro, anche se i numeri sono relativi, perché quello che conta è il rapporto umano con i singoli partecipanti, che in questa veglia penso sia riuscito particolarmente bene”.
Dopo oltre un anno di manifestazioni delle Sentinelle in tutta Italia, non sono mancati i risultati concreti: il ddl Scalfarotto si è arenato in Senato tra decine di emendamenti e gli opuscoli pro-gender dell’UNAR sono stati ritirati.
Come spiegato da Mantovano a ZENIT, tuttavia, “la battaglia continua su tutti i fronti” e si estende al progetto di legge sulle “unioni civili”, come pure alle “nuove vie al gender in ambito scolastico”, fino al “divorzio breve”. Una battaglia che “interessa particolarmente anche il Comitato Articolo 26 che si sta battendo molto in questo campo”.
Le contestazioni ricevute ieri sono il segno che “le Sentinelle ‘danno fastidio’ e ci immaginiamo quale possa diventare il clima dopo un’eventuale approvazione del ddl Scalfarotto”, conclude Mantovano.
In un comunicato stampa successivo alla veglia romana, infatti, le Sentinelle in Piedi lamentano il clima di scontro alimentato dai loro oppositori e il rischio che l’approvazione di una legge contro l’omofobia possa andare “a ledere una libertà fondamentale, quella di pensiero ed espressione”, con conseguenze “anche penali”.
Al tempo stesso, le Sentinelle in Piedi hanno preso le distanze da “gruppi esterni, estranei alla veglia, che hanno concorso a causare disordini, rispondendo alle provocazioni dei movimenti LGBT”.
Nonostante le aggressioni, prosegue il comunicato, “le 400 Sentinelle presenti, a testimonianza della straordinaria unicità di un popolo che si mobilita, sono però rimaste in silenzio, senza reagire, dimostrando ancora una volta che lo scopo non è creare contrapposizioni ma difendere la libertà. Di tutti, pure di chi contesta”.
Le Sentinelle rivolgono infine “un ringraziamento sentito alle Forze dell’Ordine che, in un clima ostile e pericoloso, hanno comunque garantito l’incolumità fisica” dei manifestanti.
Oltre che a Roma, ieri le Sentinelle in Piedi hanno tenuto veglie a Rieti, Milano, Brescia, Forlì, La Spezia, Bolzano, Parma. Oggi pomeriggio l’appuntamento è a Verona alle ore 17.30 in piazza Bra.

giovedì 11 dicembre 2014

La famiglia, fondata sul sacramento del matrimonio, soggetto e perno nella comunità cristiana

Lettera pastorale di mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina.


La gioia della vita e dell’amore

Siamo entusiasti della vita, siamo grati a Dio di questo grande dono che fa all’umanità, siamo contenti del creato in cui ci ha collocato come essere unici e irripetibili, responsabili della sua conservazione e del suo sviluppo, intelligenti per capirne i segreti e entusiasti di collaborare con Lui. Non loderemo mai abbastanza Dio del dono della vita, della terra, dei fiori, delle piante, degli animali, del cielo e degli oceani. Siamo contenti di essere stati immersi in un sogno grandioso e di aver gioito con Dio della creazione e di essere stati aperti alla vita nel culmine della bellezza dell’universo.
Ci sentiamo ancora oggi quell’Adamo che guarda con stupore la natura, le cose, le stelle, il mondo creato e avvertiamo dentro di noi che un passo decisivo verso la nostra felicità è solo possibile in una assoluta novità: la relazione con una persona all’altezza della attesa dell’uomo. Maschio e femmina li creò e Adamo disse: questa è carne della mia carne e ossa delle mie ossa.
Nel grande progetto di Dio sta immediatamente una relazione, sta un mettersi l’uno nelle mani dell’altro, nel guardarsi e uscire dall’isolamento e dalla autosufficienza, dal calcolo e dallo sfruttamento, dall’egoismo e dalla solitudine. Dio ci ha dedicati l’uno all’altra nell’amore. Lui ne è la sorgente. L’amore decide per tutti la qualità della vita, porta dentro i nostri passi, i progetti di Dio; l’amore ci rende simili a Lui, l’amore è una luce che nei nostri occhi fa brillare il sorriso di Dio. Il creato per l’amore che Dio ha messo nell’umanità assume il suo volto.
Abbiamo davanti agli occhi la storia d’amore di due ragazzi che si vogliono bene, che scoprono nella vita che c’è una potenza, una energia indistruttibile, una forza che costringe alla mobilitazione di corporeità, sentimenti, atteggiamenti, intelligenza, dialoghi, emozioni.
Non si tratta solo di ragazzini curiosi e innamorati persi, ma anche di adulti, di uomini maturi che riscoprono ogni giorno come nel proprio esistere è scritto uno slancio incoercibile che è quello dell’amore. Nel nostro mondo tecnologico, spesso troppo materiale, sempre motivato da interessi e utilitarismi, da commercio e guadagno, da programmazione e risultati ci sono ancora ragazzi ingenui che sfidano la gravità, le leggi, le solitudini, gli utilitarismi e scrivono sui muri, sugli asfalti delle nostre strade: ti amo, sei la mia vita, ogni giorno ti penso, non posso vivere senza di te….
Non ringrazieremo mai a sufficienza Dio di aver scritto nelle nostre vite questi slanci, questi sogni, questo fuoco che fa esplodere le nostre esistenze e semina in noi la forza della vita.
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La scelta di Dio: vita e amore hanno casa nella famiglia

In una storia d’amore c’è in piccolo la storia dell’uomo e dell’universo: la gioia, il dolore, il tradimento, il peccato, il cammino di ritorno e di conversione, la tenuta di un legame, la crescita e le crisi, i progetti, le fatiche, le soddisfazioni, l’appagamento egoistico, la dedizione generosa e gratuita. È un vasto mondo di esperienze che concentra tutto il bene e il male dell’uomo. Noi sappiamo però che ogni storia dell’uomo, è storia di Dio con Lui, è storia di salvezza, di alleanza, di morte e risurrezione, un concentrato del senso dell’esistenza e in essa del rapporto con Dio.
L’esperienza dell’innamoramento e dell’amore nel piano di Dio trova il luogo indispensabile del suo svilupparsi in una comunione di vita e di sentimenti, di progetti e di sogni, di accoglienza e di dono che è la famiglia. È un cantiere del regno di Dio, cioè un luogo, uno spazio in cui Dio e l’uomo-donna, perché così siamo stati creati, fanno un patto di acciaio (alleanza) e realizzano la pienezza della creazione.


Il regalo e il fondamento di Cristo per la famiglia: il matrimonio

In questa alleanza primordiale che ci riporta alla creazione, all’ordine naturale inscritto nella natura dell’uomo e della donna, Dio colloca un grande regalo: il sacramento del matrimonio, lo spazio di un dono vicendevole senza riserve, che ha Gesù Cristo come centro, forza, grazia e dono.
Il sacramento del matrimonio è la luce che illumina e la porta che apre l’uomo e la donna a un amore stabile, forte nelle avversità, sicuro nel fine, necessario per il bene di ambedue e culla della nuova umanità. Il sacramento dà la grazia per giungere al culmine dell’amore, vivendo senza riserve l’uno per l’altra per sempre, donando vita, generando figli, trasmettendo quel dono della vita che ha Dio come autore. Il dono del sacramento è la collocazione dell’amore umano tra uomo e donna nella tenacia del cammino della croce e nella forza invincibile della risurrezione, nella gratuità più assoluta dell’amore di ciascuno per l’altra, perché questo amore è quello di Gesù per la sua chiesa, per l’umanità, un amore che non è mai venuto meno. E come Cristo non ha mai abbandonato né l’umanità, né la chiesa quando lo inchiodavano alla croce, così anche ogni matrimonio stabilito nel Signore si conserva come definitivo anche quando è diventato una crocifissione: per incompatibilità di carattere, per malattia, per strumentalizzazione, per noia, perché si porta dentro tutta la forza di un riscatto, di una redenzione, di un rinnovamento dei cuori. Nel sacramento Gesù è sempre lì a dare forza, conforto, speranza, a far esplodere risurrezione. Gli sposi per il dono del sacramento hanno in regalo la forza stessa che unisce per sempre Cristo alla Chiesa e diventano segno percepibile da tutti che Dio vuole bene all’umanità.
Tramite il sacramento l’amore e la vita, doni indispensabili per la gioia di vivere, hanno casa allora in un originale tessuto di relazioni, che rimane nella storia dell’uomo come unico e irripetibile, realizzato pure in forme diverse legate alla cultura, che è la famiglia.


La pedagogia dell’amore

Il punto di vista della nostra fede nel Dio di Gesù Cristo deve essere messo a confronto con la situazione concreta della vita dei ragazzi e delle ragazze di oggi, che in questo campo è caratterizzata da un eccesso e distorsione di informazioni e da una grande solitudine nel capire i valori veicolati dalla sessualità umana e quindi ancora più soli nel costruirsi una coscienza retta.
Non solo si è bloccati alla fase dell’istinto, ma lo stesso istinto, che è un grande dono di Dio, viene deviato dalla visione culturale della vita affettiva. Mi riferisco in particolare alle teorie della sessualità di genere che prevede non solo la figura del maschio e della femmina e del loro rapporto, ma di ogni genere di rapporto indipendentemente dal sesso. C’è un dato antropologico da ricostruire nel rispetto di ogni uomo, ma non nella omologazione alle mode o tendenze delle lobby vincenti.
E qui si apre una grande missione della comunità cristiana nel portare a conoscenza e nell’aiutare a capire il progetto di Dio sulla sessualità umana.

1. Il bambino ha bisogno fin dalle sue prime domande di essere aiutato a orientare sentimenti e istinto nelle direzione di una apertura agli altri e all’altro sesso. Il suo cuore e la sua intelligenza devono essere aiutati ad aprirsi. Di fronte alla violenza delle informazioni e dei comportamenti, alle volgarità diffuse i bambini vanno anche custoditi e difesi. L’ educazione sessuale deve poter offrire anche parole come pudore, purezza, rispetto per il proprio corpo e quello degli altri, delicatezza di informazione e di tratto. Il perno di questo momento educativo è la famiglia, assoluta responsabile in prima persona, in collaborazione con la scuola e il mondo associativo ecclesiale.

2. L’età che ha maggiore urgenza di intervento educativo oggi è la preadolescenza, l’età della scuola secondaria inferiore, che si trova nel massimo della solitudine ad affrontare un cumulo di informazioni e di coinvolgimenti anche sessuali, di cui non conosce la portata. È l’età in cui si rischia la banalizzazione della vita affettiva e la assoluta mancanza di aiuto nel cogliere i significati e la grande potenzialità della sessualità. La scoperta di sé deve essere fatta nel massimo della stima delle corporeità, del rispetto delle differenze, della acquisizione di atteggiamenti di relazione differenziati. L’impegno principale è quello di aiutare a dialogare con le differenze, con le vocazioni diverse dell’uomo e della donna, con le emozioni e i coinvolgimenti affettivi, che non sono avventure, ma segni di apertura alla novità e bellezza della vita.
è il tempo delle amicizie, dello stare assieme, del fare gruppo, della solidarietà tra compagni e compagne di scuola, del fare corpo giovanile che si distanzia e talvolta difende dagli adulti.
L’amicizia è una esperienza umana decisiva per molti uomini e donne e non può essere orientata a rapporti sessuali, ma pur connotata come ogni comportamento umano da sessualità, deve essere aiutata a esprimersi con sentimenti di altruismo e di coinvolgimento negli ideali, nelle visioni di mondo, nelle competizioni, nelle piccole grandi solidarietà, nell’aiuto a uscire dalle proprie solitudini. È il tempo dell’educazione alla tenerezza, alla conquista di sentimenti positivi verso la propria e altrui corporeità.
La parole cristiane che forse possono catalizzare meglio l’intervento educativo sono vocazione e amicizia, chiamata di Dio a cose grandi, consapevolezza di stare a cuore a Lui e dono vicendevole.

3. L’adolescenza è oggi una età meno pericolosa, perché la tempesta è avvenuta prima, ma necessita di proposta di grandi ideali.
Il rischio è sempre quello del moralismo o dello spontaneismo dell’isolamento, della solitudine e della disinformazione o di una informazione che va solo al lato igienico. Il discorso del preservativo, della pillola RU, dei rapporti con molti partner è sbandierato dalla moda e tenuto sotto traccia dalla formazione cristiana. Qui occorre fare in modo esplicito, entro un dialogo di fede, un primo grande salto di qualità nell’andare oltre l’informativo, oltre il cosiddetto naturale e politicamente corretto verso la visione teologica dell’amore tra due persone, verso il progetto di Dio e il patto di alleanza tra Cristo e il giovane, il ragazzo, non solo della procreazione naturale, ma della bellezza del piano di salvezza.
Per farmi capire dico che ogni coppia di innamorati devono sapere che: il regalo più grande è quello di proiettare il loro amore e i sentimenti che lo esprimono verso l’alto, il bacio più bello è quello di due che si scambiano la presenza di Dio in loro. Quella cena al lume di candela è la cospirazione di due che stanno trovando l’intesa migliore per offrire a Dio l’abitazione più adatta a continuare la forza della vita. Quel ballo appassionato, forse ormai lontano dal chiasso della discoteca quando si muovevano i primi passi di questa bella avventura, è la danza della vita con gli occhi negli occhi, il cuore sul cuore, la vita abbracciata in una tensione di promessa, di impegno e di attesa di qualcosa di definitivo.
È in gioco la ricerca della felicità e la consapevolezza che Dio investe in questa ricerca tutto se stesso proprio a partire e attraverso l’esperienza di coppia, l’esperienza dell’amore. Giovanni Paolo II ha sempre aiutato i giovani a collocare l’esperienza d’amore dentro il piano grande di Dio di condurre l’uomo alla felicità piena, a quella che Gesù ha innescato nella vita dell’uomo con la sua morte e risurrezione. A Tor Vergata ha avuto il coraggio di dire: “È importante rendersi conto che, tra le tante domande affioranti al vostro spirito, quelle decisive non riguardano il “che cosa”. La domanda di fondo è “ chi”: verso “chi” andare, “chi” seguire, “a chi” affidare la propria vita. Voi pensate alla vostra scelta affettiva, e immagino che siate d’accordo: ciò che veramente conta nella vita è la persona con la quale si decide di condividerla. Attenti, però! Ogni persona umana è inevitabilmente limitata: anche nel matrimonio più riuscito, non si può non mettere in conto una certa misura di delusione.... Solo Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio e di Maria, il Verbo eterno del Padre nato duemila anni orsono a Betlemme di Giudea, è in grado di soddisfare le aspirazioni più profonde del cuore umano.” E questo lo si impara proprio quando si impara ad amare, quando nel proprio originalissimo amore di coppia si sa vedere l’amore di Dio.

4. L’allungarsi dei tempi di decisione per il matrimonio ha allungato enormemente il tempo di questi approcci adolescenziali, il tempo del “non solo amici, ma non ancora fidanzati”, dello stare assieme non decisivo, ma spesso molto coinvolgente. La comunità cristiana può aiutare questo momento con un intervento educativo non ossessivamente portato sul tema della coppia o della sessualità, ma allargato da questo nuovo punto di vista a tutti gli ideali che un giovane deve avere: la solidarietà, l’amore alla giustizia, la voglia di dare il proprio contributo al cambiamento della società. Entra poi in gioco il discorso della responsabilità nei confronti della vita, l’educazione alla bellezza della procreazione come missione umana scritta nella natura, ma prima ancora nel piano di Dio e soprattutto della proposta del matrimonio come piano di Dio, come progetto di salvezza, come valore aggiunto, come vocazione, chiamata esplicita di Dio a dialogare cuore a cuore con Lui, a condividere e partecipare alla creazione del nuovo mondo in Cristo. La sessualità umana non è per la semplice conservazione della specie, come per le altre specie animali. Non è soprattutto l’istinto alla cui soddisfazione è connesso un piacere. È invece l’ambito della libera realizzazione della persona come relazione di amore e appartenenza vicendevole, che fa sì che uno diventi la vita dell’altro e si possa trasmettere una vita sensata ad altri.
La sessualità indica l’insufficienza radicale dell’uomo nei confronti della vita: il limite di un sesso è rimando all’altro, diverso. Questa alterità può essere vissuta come minaccia e aggressione, in difesa o in attacco, o come attrazione e cura, in comunione e dono reciproco.
Nel rapporto con l’altro diverso da sé, si riflette e concretizza il rapporto stesso con il primo Altro e diverso, con Dio.
È impegnativo riuscire a mettersi assieme, far diventare dialogo profondo il sentimento, uscire dalla solitudine in cui si è stati troppo tempo, trovare finalmente un’intesa, aiutati dalla forza insopprimibile della sessualità. È difficile districarsi tra quel mare di immagini, di provocazioni, di esperienze, di fallimenti che ti sbatte davanti la società con i suoi interessi e con le sue TV. È il tempo in cui occorre approfondire la stima per la corporeità.
Tanti ragazzi, rispetto alle relazioni che stabiliscono con gli altri attraverso la loro corporeità, sono preda solo del visto e del reclamizzato. Ho sempre in mente un ragazzo che un giorno si confessa e dice: ho buttato via il primo bacio della mia vita.
Perché? Perché l’ho dato solo per farmi vedere dai miei amici e per la voglia di fare il maschio. Un gesto che si porta dentro l’imprinting di Dio, perché un bacio è gesto d’amore e l’amore nasce e sussiste solo perché c’è Dio, buttato via. La situazione di molti giovani e adulti è purtroppo questa. La sessualità è un linguaggio molto coinvolgente, ma delicatissimo, ci mette un niente a scadere di significato.
Oggi è in atto un passaggio dal genitale al sentimentale, perché molti giovani dopo aver fatto le agognate conquiste ed esperienze che vengono tanto spudoratamente gettonate, hanno il coraggio di dire: tutto qui? Certo che non è tutto qui. Ricordo un romanzo di alcuni anni fa di un ragazzo che aveva come tesi: vogliamo vivere questo promettente tempo di amore senza andare a letto assieme. E per far questo occorre uscire dal gruppo o meglio dalla banda, dalla mentalità corrente, dalla omologazione.
Le aberrazioni diventeranno sempre più assurde, mentre la felicità sta proprio nell’armonia, nel caricare di amore vero i gesti della corporeità.
È mai possibile che due ragazzi vivano il tempo dello scambio di affetto, della scelta dell’amore, della vita di coppia, del fidanzamento chiusi in se stessi, senza altro ideale che quello di implodere su di sé, di annoiarsi appiccicati l’uno sull’altra, di essere sempre vestiti come impone la moda o preoccupati di raccontare conquiste o di farsi vedere? Essere la generazione dei pantaloni bassi, non significa che non si possa inventare un nuovo modo di costruire famiglie fondate sull’amore di Dio espresso dal sacramento del matrimonio, che non si sappia vivere una castità nuova, inusitata, ma tanto delicata e bella, perché è una forza interiore che dona equilibrio di corpo e di spirito, serenità di rapporto, forza di progettazione del futuro e non solo preoccupazione di strappare soddisfazioni al presente. Il divertimento, il tempo libero, la propria bellezza, la propria corporeità, il gusto delle cose, dei contatti, della festa: sono da recuperare, ogni giorno, facendo in modo che diventino espressione della propria persona e, in particolare, della propria disponibilità ad amare.
L a corporeità e tutto quello che è legato ad essa, fa parte della globalità della persona e, quindi, va recuperata dal suo interno come un “segno”; soprattutto deve diventare lo spazio personalissimo e originale per vivere veri rapporti con tutti e veri rapporti di amore. Il primo segno di una fede giovanile che vede in Dio l’unico Signore della vita è smettere di fare del proprio corpo un idolo, con una nuova corporeità..

5. Il tempo del fidanzamento e della preparazione al matrimonio.
Il fidanzamento è tempo di Grazia, è spazio di un particolare incontro con Dio della coppia che è tempo di attesa e di discernimento.
Si ha paura di perdere l’altro, di poter sprecare tempo, energie, sentimenti, slanci, dimensioni di profonda interiorità in qualcosa che potrebbe essere destinato a finire. Occorre guadagnarsi la possibilità di scegliere consapevolmente e con libertà di vivere l’incompiutezza. Questo significa scegliere la gratuità, decidere di giocarsi per un bene ancora non definitivo e quindi scegliere di amare l’altro senza chiuderlo in un progetto di possesso.
Intanto vengono alla luce i tratti di un compimento:
• il bene di ambedue che cresce, si rafforza, si rivela e porta a compiere scelte e ad attuare cambiamenti.
• non solo ci si vuole bene, ma si è anche felici insieme, la vita acquista sapore e profondità.
• la propria identità cambia, si diventa sempre più se stessi e ci si meraviglia di quali energie e qualità nuove si rivelino a se stessi.
• Dio si rivela con un piano assolutamente originale per la coppia e offre se stesso nel figlio Gesù come centro di un amore indistruttibile e crocifisso.


I percorsi di preparazione al matrimonio

È il tempo dei corsi di preparazione immediata al matrimonio, che spesso vede i fidanzati già convivere, con tutte le problematiche di una riscoperta del mondo della fede e della novità del matrimonio cristiano. Non sono certo sufficienti, ma sono necessari, perché in essi giunge a conclusione, per chi è stato seguito, tutta la preparazione.
Molti giovani invece che ritornano alla comunità cristiana dopo anni di abbandono della pratica cristiana compiono un percorso minimo di risveglio della vita di fede entro il quale sono aiutati in coppia ad approfondire gli elementi fondamentali del sacramento del matrimonio e il significato della celebrazione. Spesso si prende coscienza più diretta e profonda dl senso della decisione di sposarsi.
Ci si confronta con gli altri, si sperimenta un senso nuovo della vita della comunità cristiana. È occasione di corresponsabilità, di comunione, di collaborazione per tutta la comunità cristiana che li prepara, li propone e li svolge con un massimo di coinvolgimento dei laici e soprattutto delle famiglie, delle coppie di sposi cristiani, che possono serenamente comunicare le loro esperienze di fatica, ma anche di grande dono di Dio.

6. I primi anni di matrimonio meritano una particolare cura della comunità cristiana sia per continuare sicuramente in forme differenziate quel cammino di preparazione che ha risvegliato la vita di fede, sia per aiutarsi assieme ad affrontare le inevitabili difficoltà della vita a due. È il tempo di una grande fragilità e di una certa solitudine a due nell’affrontare le normali difficoltà della vita. È l’avvio di un lungo tempo della riscoperta della continua novità dell’amore nella gioia della fedeltà, nella vita di famiglia, nella tenuta dei sentimenti e degli impegni, della vita quotidiana. I tempi di incontro diventano certo più difficili, ma se vengono preparati buoni animatori si possono fare belle esperienze, soprattutto se vi si impegnano associazioni ecclesiali, come l’Azione Cattolica.


La famiglia soggetto nella vita della chiesa e del mondo

Basata sulla salda roccia del sacramento del matrimonio la famiglia diventa l’esperienza fondamentale di vita umana, personale, sociale, ecclesiale e parrocchiale. È soggetto che per volontà di Dio, proprio in virtù del sacramento del matrimonio concorre a costruire la comunità cristiana come del resto il presbitero, costituito soggetto della comunità cristiana dal sacramento dell’Ordine. Con evidenti responsabilità differenti da vivere in comunione con tutti i ministeri.
Dalla bibbia abbiamo insegnamenti molto espliciti al riguardo.
Dice C. Ostinelli: “Il Cantico dei cantici ha stretto un nesso profondo tra il mistero nuziale umano e quello divino più ampio in cui esso è iscritto, affermando da una parte che la forza dell’amore umano di coppia trae origine dall’amore di Dio che si è manifestato proprio come amore nuziale; e dall’altra che, in forza del mistero della creazione, la coppia è l’immagine concreta, scelta da Dio stesso per rendere visibile nel mondo il suo amore nuziale.
Già quando volle creare l’umanità, Dio la pensò come la sua sposa, come unica partner del suo amore. Perché potesse comprendere e sperimentare questa vocazione sponsale, la creò in una forma nuziale: plasmando non un uomo solo, ma una coppia. Ogni singola coppia, che risponde alla chiamata del Signore a diventare “una sola carne” con Lui e in Lui, illumina e dà volto concreto al mistero della umanità-sposa e della Chiesa-sposa; certo si tratta di un volto non “esaustivo”, ma comunque reale e quotidiano. Senza nozze e famiglia umana la realtà della Chiesa sarebbe inesprimibile e inqualificabile.
C’è, dunque, un rapporto ontologico, costitutivo tra la Chiesa e la coppia/famiglia umana, rapporto che deve prendere volto nel feriale, nel mondo e nella società. La coppia e la famiglia, allora, non possono essere considerate nella pastorale solo “oggetto di cura”, ma devono sempre più diventare “soggetto attivo della pastorale”, perché dalla loro presenza e testimonianza dipende il volto della Chiesa-sposa! Questo ci dice che tra la parrocchia e le famiglie si deve stabilire non un rapporto funzionale-organizzativo, ma una stretta relazione di vita: nessuna delle due può prescindere dall’altra. Le relazioni pastorali devono dunque passare attraverso le coppie/famiglie della comunità, come in un crocevia obbligato.
Vivendo e testimoniando nella propria casa e dentro la comunità l’amore sponsale e fecondo di Dio, la coppia/famiglia edifica la Chiesa-sposa e veicola l’immagine del destino ultimo della Chiesa-umanità.
Essa, vivendo e operando dentro la Chiesa-sposa, le dà concretezza relazionale: per prima cosa aiuta tutta la comunità ad essere una realtà personale e dialogale, dove la relazione umana ha il primato su tutto; inoltre, l’aiuta, a vivere l’amore nella concretezza della realtà, nello spessore del vissuto ordinario. Infine l’aiuta anche a dare un volto sponsale e familiare, un volto umano alla socialità, alla politica, alla storia, alla natura; ben diverso da quello strategico e più diffuso del potere e del dominio. La parrocchia ha molto da imparare dalla vita di casa e di famiglia; e la famiglia trova nella parrocchia la sua sorgente continua di vita e anche l’ambito normale del suo espandersi vitale.” Nell’esperienza delle prime comunità cristiane la famiglia ospitava altre famiglie ed era quindi del tutto naturale che la vita comunitaria ruotasse attorno ai ritmi familiari e le famiglie ne fossero il perno. In seguito purtroppo prenderà avvio uno stile di chiesa che non solo prescinde dalla “casa-famiglia” come luogo di formazione cristiana, ma rischia di prescindere persino dalla “famiglia” come soggetto ecclesiale. Oggi spesso per noi la famiglia appare piuttosto come l’ambito dal quale “pescare” volta per volta i diversi soggetti della pastorale parrocchiale: i bambini da battezzare, i fanciulli da catechizzare, i giovani da sposare e – almeno i migliori – da impiegare come catechisti e collaboratori, gli uomini a cui chiedere i vari servizi più adatti ai maschi e le donne quelli più adatti alle femmine, e malati e gli anziani da assistere, i morti da seppellire. Non è tutto sbagliato quello che si fa, perché occorre pure una attenzione particolare a tutte le fasce d’età e alle diverse condizioni, ma si corre il rischio di “vivisezionare” la famiglia, trattandola da “insieme di battezzati” e in questo modo ignorare le potenzialità del sacramento del matrimonio e della testimonianza della famiglia in quanto tale.
Questa emarginazione della famiglia dalla parrocchia ha comportato un corrispondente accantonamento dello stile familiare, per fare spazio all’organizzazione. In realtà, più la famiglia diventa soggetto della vita parrocchiale, più la parrocchia è aiutata a diventare come una famiglia.
La valorizzazione della famiglia come soggetto è ancora più necessaria oggi perché siamo di fronte al fatto che molte persone hanno vissuto esperienze negative di famiglia: o per l’inadeguatezza della loro famiglia d’origine o per il fallimento della famiglia che essi stessi avevano costituito. Ma proprio per queste persone “ferite”, che sono sempre più numerose, il volto accogliente della comunità può essere costituito specialmente dalle famiglie.
Dire che la comunità cristiana è soggetto significa almeno che:

1. La corresponsabilità che si deve stabilire in ogni comunità cristiana deve coinvolgere la famiglia e non i singoli suoi componenti, considerati sempre come isolati in se stessi e presi singolarmente.
Si tratta della coppia e dei figli, dei nonni e dei nipoti, della stessa parentela stretta che si presenta come unità di vita, di fede, con responsabilità educative e formative, di annuncio e di responsabilità sociale.

2. I genitori devono essere aiutati a prendersi le loro responsabilità formative riguardo alla vita di fede nei confronti dei figli e in questo aiutati dalla comunità cristiana, che non lesina corsi di formazione esperienziali, coinvolgimento nella vita parrocchiale o interparrocchiale, sostegno e corresponsabilità. Diventa così il luogo privilegiato in cui si impara a pregare ogni giorno il Signore della vita, si venera nella tenerezza di un rapporto intimo e delicato la Vergine Maria, si imparano i primi atteggiamenti di amore verso Dio.

3. L ’iniziazione cristiana che porta alla celebrazione del battesimo, cresima e Eucaristia, deve poter sperimentare la risorsa famiglia nel suo lungo cammino dai primissimi anni in cui il bambino apprende in casa l’amore a Dio Creatore, la sorprendente certezza di essere amato da Lui e la storia di salvezza che lo Spirito realizza nella vita di Gesù.

4. La cura dei poveri è stimolata nella vita di ogni cristiano dalla Caritas, che non può non coinvolgere nuclei familiari, tanto più che oggi la carità più vera è quella di offrire famiglie sane a tanti ragazzi e giovani abbandonati e stirati da genitori mancanti, a persone sole, ad ammalati senza cure, a povertà quasi invincibili per il degrado umano che hanno scavato. Se la Caritas, che ha come vocazione di far crescere il volto d’amore della comunità parrocchiale e diocesana, potesse fare conto su famiglie aperte e generose, come già in tante chiese avviene, avremmo più speranza di vivere pace e giustizia.

5. La cura degli adolescenti e dei giovani non può più essere affidata solo a giovani volonterosi o al solo presbitero: la famiglia anche qui è il perno di una nuova convergenza educativa. La nostra famiglia laziale così ben coesa e legata ai figli, non li può abbandonare alla strada per tutto il loro tempo libero. È soggetto di progetti formativi, di sana educazione all’impegno, di formazione cristiana. La famiglia stessa aiutata dalla comunità cristiana deve farsi carico anche della bontà di tutti i percorsi di divertimento dei ragazzi e dei giovani, della eticità degli spazi ludici, pub, discoteche, sale giochi…

6. La famiglia come tale è invitata a partecipare alla esperienza scolastica e in essa a promuovere una sana laicità che non solo rispetta la domanda religiosa dei figli, ma li aiuta a dare risposte libere, ragionate, studiate e attente alla dimensione religiosa della vita.

7. La famiglia è soggetto di attenzione ai malati, creando una rete di condivisione e di aiuto vicendevole verso le famiglie che devono portarsi il peso di familiari non autosufficienti, spesso assistiti solo sporadicamente, dimenticati o abbandonati dalle strutture di assistenza.

8. La famiglia è soggetto nella celebrazione eucaristica domenicale, con i propri figli, con i nonni. La domenica prima di essere una festa a tavola dove tutta la famiglia si trova a condividere la gioia di un pasto, è festa in parrocchia ad ascoltare la Parola, ad accogliere il Corpo e il Sangue di Cristo, a vivere momenti di condivisione della fede, di formazione dei figli, di collaborazione con altre famiglie.

9. La famiglia è invitata periodicamente a vivere con tutte le altre famiglie della parrocchia momenti di formazione particolare o feste parrocchiali dove si celebra assieme e assieme si consuma il pasto e si passa tempo per conoscersi, esprimersi con gioia il dono della fede, scambiarsi soddisfazioni e preoccupazioni, conquiste e difficoltà, desiderio di vita e tensioni verso il bene.

10. La famiglia è il luogo dove ogni figlio viene aiutato a rispondere alla sua vocazione, a capire che cosa Dio gli chiede di essere, a percepire la voce di Dio che lo chiama all’amore, vissuto sempre con grande generosità sia nel matrimonio che nella verginità consacrata, nel presbiterato o in forme di dono totale di sé nella vita di contemplazione.

11. La famiglia è soggetto pubblico. È soggetto di doveri, ma anche di diritti inalienabili che vanno rispettati e promossi in tutti i campi: nell’accesso alla cultura di base, alla assistenza, al sostegno economico, alla libertà di educazione dei figli, a leggi che favoriscono la vita e che tengono conto della cura dei figli, soprattutto nelle famiglie numerose, al rispetto stesso dello statuto di una famiglia secondo natura.

12. In momenti di crisi economica molte famiglie sono tentate di disperazione, di sfiducia. La comunità cristiana deve fare di tutto per esprimere solidarietà, favorire iniziative di appoggio e di aiuto, coinvolgendo le istituzione a fare il proprio dovere, offrendo condivisione di spazi abitativi, tempi per la cura dei bambini, superando l’isolamento in cui le nostre famiglie si sono collocate per un senso sbagliato di autosufficienza.


Le famiglie in difficoltà

Non ci possiamo negare che la famiglia in questi tempi è stata caricata di tante responsabilità e spesso poco sostenuta nel portarne il peso. Essa stessa nella coppia conosce crisi laceranti e esiti ancor più problematici e delicati. In essa si scatenano tensioni affettive, difficoltà economiche, problemi complessi di rispetto alla vita nascente, di accompagnamento alla morte, di educazione e accompagnamento dei figli, di cura della salute, di devianze e grosse fragilità.
Abbiamo un buon gruppo di adulti che si interessano quotidianamente di queste realtà e che in questi anni ha dato vita a un ufficio per la pastorale familiare, al servizio delle parrocchie. Lo stato stesso mette a disposizione strutture di appoggio. La diocesi ritiene giunto il momento di costituire un consultorio familiare di ispirazione cristiana che si affianca a quello statale per aiutare le famiglie a superare le difficoltà, a mettere in comune soluzioni, a creare nuova mentalità cristiana su tutte le scelte, spesso drammatiche, che la famiglia deve fare.
Le situazioni delicate di famiglie divise, separate, ricostruite in altre con divorzi, devono poter sperimentare sempre la bontà di Dio. La consapevolezza di essere sempre figli di Dio, amati da Gesù, appartenenti alla chiesa deve poter essere vissuta in ogni comunità cristiana entro percorsi appositi di ascolto della Parola, di preghiera e di esercizio della solidarietà nella carità.


Indicazioni concrete.

Per far diventare esperienza quotidiana quanto esposto è necessario che vengano valorizzate e aiutate a vivere in comunione tutte le risorse della comunità, dai piccoli ai grandi, dai presbiteri ai laici, dai singoli a tutte le associazioni, dall’Azione Cattolica alle aggregazioni professionali, dalle parrocchie agli uffici pastorali diocesani, a tutte le vocazioni e ministeri che Dio ha regalato alla sua Chiesa.
In particolare verranno interessati a cammini formativi per creare comunione, conversione e competenza:

1. Tutto il popolo di Dio che celebrerà il convegno pastorale nei modi consueti sulle tematiche di fondo del programma pastorale e i cui contenuti verranno ripresi nelle singole parrocchie.

2. Tutti i collaboratori della parrocchia a vario titolo collegati agli uffici pastorali per mettere ciascuno in condizioni di donare alla comunità la ricchezza della propria vita di fede e per apprendere a lavorare assieme e a lavorare bene.

3. I presbiteri, che seguiranno corsi di aggiornamento non solo sulla teologia del matrimonio, ma anche sulla preparazione immediata, la celebrazione e i vari aspetti giuridici, così da giungere anche a una omogenea prassi preparatoria e celebrativa del matrimonio in tutte le parrocchie.

4. La celebrazione del matrimonio dovrà perdere il fasto di una festa mondana, dove l’Eucaristia, la preghiera, la tensione spirituale sono solo fatti secondari rispetto alla messa in scena, per vivere il matrimonio come vero sacramento della fede cristiana, dare vita a una vera partecipazione della comunità, avendo il coraggio di sfrondare eccessi che non danno esempio di sobrietà e di condivisione. Che molte coppie non si sposino in chiesa e convivano per anni perché mancano i soldi per una celebrazione sfarzosa è inaccettabile per un cristiano, ma è anche responsabilità della vanità e della costosa e insostenibile superficialità con cui tante volte si celebra il matrimonio.

5. La preparazione remota al matrimonio deve poter iniziare in ogni parrocchia o gruppi di parrocchie. A tale scopo si avviano corsi di formazione specifici per animatori, creando collaborazioni anche con la scuola e con le forze vive del territorio.

6. L’ufficio della pastorale familiare continua il suo sforzo nel qualificare, coordinare, programmare, portare a conoscenza i corsi di preparazione che senza fretta, ma anche senza troppa lentezza devono diventare più consistenti e qualificarsi nel metodo e nei contenuti.

7. Le associazioni curino in modo particolare la celebrazione del sacramento del matrimonio degli associati, così da farle diventare celebrazioni esemplari, per la sobrietà, per la preparazione, per la fede esplicitata nella celebrazione, per il coinvolgimento della associazione e della comunità.

8. Nell’era delle immagini ogni famiglia ricostruisca un album di famiglia entro un dialogo tra genitori e figli tra nonni, figli e nipoti, per aiutare ad apprezzare il passato, vivere bene il presente e preparare il futuro.

9. Contestualmente all’attuazione di tutto quanto viene proposto, come conclusione operativa, si dà vita a un gruppo di laici, presbiteri, giovani e adulti che avranno il compito di dare omogeneità alle celebrazioni del matrimonio per tutta la diocesi, seguendo le indicazioni del codice di diritto canonico e le indicazioni delle chiese che sono in Italia.

8 settembre 2010, Natività Beata Vergine Maria

lunedì 8 dicembre 2014

Un appuntamento che ci fa immacolati nell'Immacolata

Commento al vangelo della Solennità dell'8 dicembre, Maria concepita senza peccato

Takamatsu,       Don Antonello Iapicca |
Un appuntamento fissato prima che il mondo fosse. Quel giorno a Nazaret non fu tutto per caso. La Vergine Maria era stata concepita senza peccato, Immacolata Concezione, perché tutto di Lei fosse per il Signore. Da sempre, e da prima che il sempre fosse tempo. Non un secondo della sua vita fu separato dal Figlio che il suo seno avrebbe ospitato.

Ma lei, verosimilmente, non ne sapeva nulla. Era una giovanissima ragazza, di lei conosciamo davvero poco, qualche apocrifo e qualche rivelazione patrimonio di alcuni santi. Nulla prima di quel giorno durante "il sesto mese" della gravidanza di Elisabetta, quando appare Gabriele sulle soglie d'una casa di Galilea ad "una ragazza di nome Maria".
Una storia che nessuna mente è capace di abbracciare, Dio stesso che è senza inizio né fine, si fa carne in quel momento, agganciandosi a un miracolo che riassumeva tutta la storia della salvezza. Non era l'anno zero, era il "sesto mese" della storia sterile di ogni uomo. Così opera Dio, immergendosi nelle acque che lo battezzano nella carne debole dell'umanità.
Nessun preavviso, perché era un segreto serbato nel cuore dell'Altissimo. Un appuntamento preso da quel giorno nell'Eden, quando il cuore di Dio ardente di compassione che prende sul serio l'uomo, dovette lasciare che le conseguenze del peccato giungessero alle sue creature "molto belle". Ma non senza la promessa della salvezza, che avrebbe offerto in un giorno e un'ora vergati in rosso sul suo taccuino. Il giorno e l'ora di un annuncio, quando sarebbe giunta la "pienezza dei tempi".
Essa è arrivata, nel luogo più impensato, a una fanciulla che nessuno avrebbe immaginato. Niente fuochi d'artificio, nessuno spot pubblicitario. No, non c'erano neanche i grandi networks a dare la diretta dell'evento. Neppure un twit, Maria non perdeva tempo con lo smartphone.
Siccome non è scritto nulla è facile immaginare cosa stesse pensando e facendo: le normali cose di una figlia di Israele, preghiera e lavori domestici, senza alcuna pretesa. Obbedienza, perché questa imparavano le ragazze delle famiglie pie.
Obbedienza per seguire le orme delle donne forti di Israele, donne di fede capaci di resistere alle leggi inique

venerdì 5 dicembre 2014

Il bacio rituale. Tra culto, culture e tradizioni

Celebrazione della Messa

Pubblichiamo l'editoriale dell'ultimo numero di Rivista Liturgica

Manlio Sodi *
Er bacio è er più ber fiore
che nasce ner giardino de l’amore
(Trilussa)


Celebrazione della MessaPuò destare sorpresa un’intera trattazione sul segno-gesto-simbolo del bacio nel culto cristiano, come traspare dalle pagine del presente fascicolo. Per la verità crediamo che i lettori siano ormai abituati in questi anni a trovarsi di fronte alla trattazione di temi mai apparsi in precedenza. Quando infatti si scorrono i titoli che Rivista Liturgica ha affrontato dopo il Concilio Vaticano II (si vedano i contenuti della II e III serie, oggi disponibili con gli Indici in www.rivistaliturgica.it) si rimane positivamente perplessi circa la varietà tematica e, in particolare, circa la metodologia con cui i singoli argomenti sono stati oggetto di dibattito redazionale e di approfondimento.

È prassi costante della Rivista Liturgica trattare un tema dopo averne affrontato con oggettività e competenza i diversi aspetti a livello di progettualità, prima di affidare alle competenze dei singoli autori il “tema” da svolgere. In una simile dialettica – non sempre semplice da gestire nella molteplicità delle diverse posizioni e opinioni – nascono però prospettive che permettono di evidenziare aspetti e di scoprire elementi che o vengono trattati esplicitamente negli studi o nelle note, o vengono per lo meno recuperati nella logica dell’Editoriale. In questa linea il lettore, da anni, nota che la firma degli Editoriali è quella condivisa da tutto il gruppo di Redazione perché espressione di esso.

1. Dalla prassi liturgica al significato del gesto

Il dato di fatto è esperienza comune: in qualunque espressione liturgica il bacio è presente, sia pur espresso con forme variegate e in momenti diversi. Appartiene a quel linguaggio non verbale che è pur tipico della liturgia e della devozione; un gesto che si compie in contesti che vanno dall’ingresso nella chiesa al saluto a

mercoledì 3 dicembre 2014

«Per la prima volta in 1.500 anni non possiamo festeggiare i nostri santi»

E il vescovo di Mosul scoppia a piangere Video

novembre 11, 2014 Leone Grotti

Mar Nicodemus Dawod Sharaf ha dichiarato in una intervista: «Di una cosa sola siamo felici: non abbiamo abbandonato Cristo e la nostra fede. I jihadisti non sanno che le persecuzioni ci rafforzano»


vescovo-mosul-iraq-siro-ortodosso-sharaf1«Per la prima volta in 1.500 non abbiamo potuto festeggiare la ricorrenza di san Shmuni nella nostra chiesa di Qaraqosh». Non riesce a trattenere le lacrime il vescovo siro-ortodosso di Mosul (Iraq), Mar Nicodemus Dawod Sharaf, mentre spiega in un’intervista che «oggi, 15 ottobre, è una grande festa per la nostra diocesi perché a Qaraqosh da 1.500 anni san Shmuni appare miracolosamente sul muro della chiesa con i suoi figli».
«SONO SENZA DIO». Dopo essere scoppiato a piangere, il vescovo si riprende e continua: «Ci hanno invaso i tatari, i mongoli, gli hulagu ma mai abbiamo smesso di festeggiare san Shmuni. Quest’anno, per la prima volta, siamo costretti a pregare fuori dalle chiese sia a Mosul che nei villaggi vicini». Ricordando la cacciata dei cristiani dalle loro case da parte dei jihadisti dello Stato islamico, continua: «Non c’è più dignità e onore nell’umanità. Davvero questa gente è senza Dio. Ma anche tutti quelli che si appellano ai diritti umani non fanno che mentire: hanno visto cosa accade alla nostra povera popolazione [rifugiata in Kurdistan]. Hanno visto in che stato miserabile viviamo. Abbiamo chiesto loro: aiutateci prima che arrivi l’inverno e cada la pioggia. E non hanno fatto niente per noi».
«SIAMO FELICI DI UNA COSA». Tutti noi, continua Mar Sharaf, «ci chiediamo: perché? Cosa abbiamo fatto di male? Perché tutto questo sta accadendo a noi? Di una cosa sola siamo felici: nonostante tutto quello che ci sta accadendo e tutto quello che ci accadrà ancora in futuro, noi non abbiamo abbandonato il cristianesimo, non stiamo abbandonando Cristo e la nostra fede. E siamo orgogliosi di essere figli di martiri, siamo orgogliosi di sapere che tutto quello che ci sta accadendo, ci sta accadendo perché siamo cristiani. Per noi questo è un onore. Pensano che queste persecuzioni ci faranno abbandonare la nostra fede, ma non sanno che ci rendono ancora più attaccati ad essa». 


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martedì 2 dicembre 2014

Scola su matrimonio, sinodo e gender. «Non possiamo non prendere posizione pubblica e proporre leggi»

dicembre 2, 2014      Redazione
                               

L’arcivescovo di Milano a tutto campo: «Come facciamo a dire a dei giovani che il matrimonio è indissolubile, se sanno che ci sarà sempre una via d’uscita?»

Vaticano, sinodo  sulla famiglia«Al Sinodo ho fatto una proposta che va nella direzione, indicata più volte anche dal Papa, di restare fedeli alla dottrina, ma di rendere più vicine al cuore della gente e più rapide le verifiche di nullità del matrimonio». Così si esprime oggi il cardinale di Milano, arcivescovo Angelo Scola, in un’intervista al Corriere della Sera tornando a parlare del Sinodo straordinario sulla famiglia, dove «c’è stato un confronto serrato, ma sempre teso alla comunione».
DIVORZIATI RISPOSATI. Incalzato sul tema della comunione ai divorziati risposati, risponde: «Ne ho discusso intensamente, (…) ma non riesco a vedere le ragioni adeguate di una posizione che da una parte afferma l’indissolubilità del matrimonio come fuori discussione, ma dall’altra sembra negarla nei fatti, quasi operando una separazione tra dottrina, pastorale e disciplina. Questo modo di sostenere l’indissolubilità la riduce ad una sorta di idea platonica, che sta nell’empireo e non entra nel concreto della vita. E pone un grave problema educativo: come facciamo a dire a dei giovani che si sposano oggi, per i quali il “per sempre” è già molto difficile, che il matrimonio è indissolubile, se sanno che comunque ci sarà sempre una via d’uscita? È una questione poco sollevata, e la cosa mi stupisce molto».
ordinazione-sacerdoti-milano-scola-2«TESTIMONIARE LA BELLEZZA». Ricordando che «la posizione del magistero a me è sembrata, nelle relazioni dei “circoli minori”,

lunedì 1 dicembre 2014

I cristiani dimenticati del Vietnam

di Anna Bono                      01-12-2014
I Montagnard e la poliziaAbitano sugli altipiani centrali del Vietnam. Per questo li chiamano Montagnards, uomini delle montagne, e anche, sprezzantemente, “moi”, selvaggi. Sono i Degar, un gruppo di etnie minoritarie, da molti secoli confinate nelle inospitali regioni montuose del paese. Le difficoltà derivanti dalle condizioni ambientali avverse tuttavia sono poca cosa al confronto di quel che devono patire per colpa del loro governo. Durante la guerra (1955-1975) tra il Vietnam del Nord, comunista, e il Vietnam del Sud i Montagnards, così come i Hmong che vivono più a nord e in Laos, si erano schierati con i Francesi prima e con gli Stati Uniti poi, sperando così di poter costituire una nazione autonoma. Già bastava perché, dopo l’unificazione dei due Vietnam nel 1975 e l’imposizione del regime comunista, subissero ritorsioni e una dura repressione.
Ma, quel che è peggio agli occhi del governo vietnamita, sia i Montagnards che i Hmong sono cristiani. In Vietnam le chiese sono viste con sospetto, le autorità considerano il cristianesimo una influenza straniera e i cristiani agenti dell’Occidente. Nel 2013 è stata varata una legge che impone a tutte le chiese di registrarsi, con una procedura che però rende molto difficile farlo il che ostacola, fino a renderle talvolta impossibili, le attività dei sacerdoti e in generale dei religiosi. Inoltre vengono esercitate pressioni sulla popolazione affinché abbandoni il cristianesimo. Perciò nell’elenco degli stati che più perseguitano i cristiani, pubblicato ogni anno dall’associazione internazionale Open Doors, il Vietnam compare da tempo tra quelli in cui la persecuzione è definita grave: occupava il 21° posto nella classifica del 2013 e in quella del 2014, a conferma di un peggioramento della situazione, figura 18°, tra l’Etiopia e il Qatar.
Sono migliaia i Montagnards e i Hmong che hanno scelto la fuga in Cambogia e Thailandia nel corso degli anni, pur