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venerdì 14 giugno 2019



αποφθεγμα Apoftegma

Quale è dunque la giustizia di Cristo? 
E’ anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, 
dove non è l’uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri. 
Il fatto che l’“espiazione” avvenga nel “sangue” di Gesù 
significa che non sono i sacrifici dell’uomo 
a liberarlo dal peso delle colpe, 
ma il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo
fino a far passare in sé “la maledizione” che spetta all’uomo, 
per trasmettergli in cambio la “benedizione” che spetta a Dio. 
Ma ciò solleva subito un’obiezione: 
quale giustizia vi è là dove il giusto muore per il colpevole 
e il colpevole riceve in cambio la benedizione che spetta al giusto? 
Ciascuno non viene così a ricevere il contrario del “suo”? 
In realtà, qui si dischiude la giustizia divina, 
profondamente diversa da quella umana. 
Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, 
un prezzo davvero esorbitante. 
Di fronte alla giustizia della Croce l’uomo si può ribellare, 
perché essa mette in evidenza che l’uomo non è un essere autarchico, 
ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso. 
Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: 
uscire dall’illusione dell’autosufficienza 
per scoprire e accettare la propria indigenza 
- indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia.
Si capisce allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: 
occorre umiltà per accettare 
di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, 
per darmi gratuitamente il “suo”.  
Grazie all’azione di Cristo, 
noi possiamo entrare nella giustizia “più grande”, 
che è quella dell’amore, 
la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, 
perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare.

Benedetto XVI



"GIUSTIFICATI" DALLA MISERICORDIA RENDIAMO GIUSTIZIA AGLI UOMINI CON LA STESSA MISERICORDIA


Molti intendono la vita come una scalata al Cielo: la "giustizia di scribi e farisei" aveva i limiti della propria carne, perché fondata su opere che avevano perduto il sapore della gratuità, lettera morta, senza Spirito; vivevano di regole stabilite da uomini per rendersi degni di DioPer questo non hanno potuto accogliere Gesù, il Dio fatto uomo per rendere l'uomo degno di Lui. Dio, infatti, ha cercato l’uomo, abbassandosi sino alla carne più corrotta, per farne un riflesso della sua Gloria. La Giustizia di Dio è rendere giusto l’ingiusto, per pura grazia. Per questo, nelle parole di Gesù sembra affiorare l’assurdo: un pensiero che sfiora appena la mente, ed è come uccidere un uomo. Un paradosso per significare il veleno che scorre nel cuore di tuttise non siamo capaci di "pensare bene" come illudersi di poter "compiere il bene" per raggiungere il Cielo? Il solo pensare di poter essere buoni, di migliorare con le proprie sole forze è follia. Peggio, è un'eresia, il pelagianesimo: essa nasce dalle dottrine del monaco irlandese Pelagio, contro le quali si è battuto sant'Agostino e condannate dal Concilio di Efeso nel 451. La dottrina eretica pelagiana affermava che il peccato originale non avrebbe realmente contaminato la natura umana; per questo, l'uomo avrebbe la capacità di scegliere da sé il bene e la forza di non peccare, senza l'aiuto della grazia. L'allora Cardinale Ratzinger ammoniva circa il pericolo del "pelagianesimo dei pii": "Essi non vogliono avere nessun perdono e in genere nessun vero dono di Dio. Essi vogliono essere in ordine: non perdono ma giusta ricompensa. Vorrebbero non speranza ma sicurezza. Con un duro rigorismo di esercizi religiosi, con preghiere e azioni, essi vogliono procurarsi un diritto alla beatitudine. Manca loro l'umiltà essenziale per ogni amore, l'umiltà di ricevere doni a di là del nostro agire e meritare. Così questo pelagianesimo è un'apostasia dall'amore e dalla speranza, ma in profondità anche dalla fede"La verità è che siamo poveri peccatori, e, ammoniva Isaia, anche i nostri atti di giustizia sono come panni immondi: "occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo” (Benedetto XVI). Siamo mendicanti d’amore, ciechi sul ciglio di una vita confusa. Basta dare un’occhiata al nostro cuore sovrapponendolo al Vangelo di oggi per credere. Messe, preghiere, parole, consigli, sguardi umili, ma il cuore? Che ne è stato di quel vicino di casa, della suocera, di quel collega? Uccisi nel cuore, sepolti e dimenticati. E non solo questo. Il Signore ci parla di "qualcuno che ha qualcosa contro di noi", non necessariamente perché noi si abbia fatto qualcosa di male. No, "se qualcuno ha qualcosa contro di te": parole chiarissime, che mostrano, in filigrana, il cuore di Cristo. Noi tutti ce l'avevamo con Lui, e lo abbiamo inchiodato a una Croce. E non ci aveva fatto nulla, anzi, ci aveva semplicemente amati. Ma Lui ha "lasciato l'offerta all'altare del Tempio", e si è fatto offerta Lui stesso, il suo corpo come il nuovo Tempio, la sua Croce come il nuovo altare. Lui si è ricordato di tutti noi, che avevamo qualcosa contro di Lui, per quella malattia, per quel dolore, per quel fallimento, ed è venuto a cercarci per riconciliarci con Lui. Ma come è possibile? Noi, peccatori e per questo debitori, nel cuore di Cristo diveniamo suoi creditori! Ladri, ma i suoi occhi ci vedono come dei derubati. Ingannatori, ma la sua misericordia ci considera ingannati. Ce l'avevamo, e ce l'abbiamo  ancora, ingiustamente, contro di Lui, e Lui che fa? Non contesta, non si difende, non discute: ci cerca, come ha cercato Pietro sulle rive del Mare di Galilea, come ha cercato, da Adamo in poi, ogni uomo, per riconciliarlo con sé, per disinnescare il rancore, e dischiudere il cuore alla pace. E' questo il senso più profondo di tutto il Mistero Pasquale del Signore, il paradosso che il mondo non può conoscere, l'autentica disfatta del demonio, qualcosa di inaudito, che neanche la sua sapienza malvagia poteva prevedere: Gesù ha accettato l'ingiustizia dell'accusa che ogni uomo gli ha fatto per giustificare tutti, senza esclusioneIn Lui è apparsa la Giustizia di Dio, che supera la casuistica farisaica, le regolette da rispettare con cui difendersi e sentirsi a posto. La Giustizia di Dio è offrirsi al nemico, a chi non ci sopporta, a chi ci calunnia, a chi vuol vederci morti. Al lavoro, in famiglia, a scuola, ovunque. E' una Giustizia che supera la carne e la legge degli uomini, è il cuore di Dio che offre se stesso per amore, per cancellare il male, per perdonare e riconciliare, per ricreare e spegnere l'odio. E' Dio che supera la religione naturale fatta di prescrizioni, doveri, paura e schiavitù, la religiosità che beatifica la natura - la giustizia umana - credendola divina, che è il "panteismo" subdolo e arrogante che cortocircuita con il pelagianesimo. Un po' di acqua santa sui propri criteri, sulla propria giustizia, un'offerta al tempio per certificare la bontà delle proprie convinzioni e delle proprie azioni. A messa a battersi il petto, a leggere, a fare e fare, e poi il silenzio indifferente a casa, così l'altro capisce il suo errore... A messa, e poi il collega disprezzato e cancellato. Volontariato ad aiutare anziani e handicappati, e poi il rancore "giustificatissimo" per il fratello o il cugino che s'è rubato cento euro dell'eredità di quel parente. Elemosine, e contemporaneamente una causa con quel condomino che si trascina da una vita. Filantropia e indignazione, tutto questo con il cristianesimo non c'entra nulla. Le parole di Gesù, quelle che disegnano la sua Croce, sono follia pura agli occhi e alle menti carnali. Come inginocchiarsi dinanzi a chi ci tradisce, ci calunnia, ci "cita in giudizio"? Come chiedere perdono per quel che non si è commesso? Dove si va a finire? Infatti, non è sapienza mondana, e non c'entra nulla con le leggi di uno Stato. E' lo Spirito della famiglia di Dio, la vita dei figli di Dio, dei cristiani.






E Cristo si è fatto peccato, come un agnello muto di fronte ai suoi tosatori. Il leone che si è fatto agnello per caricarsi di ogni delitto, innocente si è offerto al patibolo. Solo chi gli appartiene, chi ha sperimentato la misericordia e la liberazione dal giogo del peccato, può comprendere queste parole del Signore, e desidera vivere in esso. Anzi, è un bisogno del cuore, come dell'aria e del cibo, perché ha sperimentato, nella propria vita, una giustizia celeste, un amore che nessuno può offrire. E ha sperimentato anche che questo amore, questa giustizia, hanno il potere di giustificare, di sanare, di ricreare, di deporre, laddove vi era odio, rancore, maldicenza, menzogna, quello stesso amore che tutto copre, tutto crede, tutto sopporta, tutto perdona. La carità di Cristo, l'agape che abbraccia, dalla Croce, ogni uomo. Abbiamo sperimentato questa giustizia nella nostra vita? Non si tratta di impegnarsi ad essere buoni, è, semplicemente, lasciarci riconciliare con Dio nella Giustizia crocifissa di Cristo Gesù. La sua Giustizia, quella che brilla sulla Croce, è l’unica salvezza, l’unica via di accesso al Regno dei Cieli. E se siamo giustificati nella sua misericordia andremo naturalmente anche noi a cercare i tanti che abbiamo cancellato pensandoli "pazzi", dimenticato perché giudicati "stupidi", ferito nella nostra "ira", per riconciliarci con loro offrendo la nostra vita. Questa è la Giustizia di Dio, il perdono, sempre, senza condizioni. Il Cielo finalmente messo d'accordo con la terra, dove il Signore ci conduce giustificandoci nel "giudizio" del "sinedrio" per i nostri pensieri, e strappandoci dal "fuoco dello Sheol" che meritiamo per le nostre parole insulse e malvagie. Lasciamo dunque le nostre ipocrite offerte con le quali crediamo di resettare il cuore e, riconciliati nella giustizia misericordiosa di Dio, ci ricorderemo anche dei tanti che ce l'hanno con noi, e, in Cristo che si è offerto completamente a noi, potremo donarci anche noi quale offerta gradita a Dio, in ginocchio dinanzi a tutti quelli che, non conoscendo l'amore di Dio, azzannano la nostra vita. In noi, tutti potranno riconoscere la giustizia di Dio, e vedere spalancarsi il Cielo di una vita nuova, riconciliata, pacificata. Resistere nelle proprie posizioni, chiudersi alla misericordia di Dio sarebbe imperdonabile, la condanna ad un carcere durissimo, a dover "pagare sino all'ultimo spicciolo". E non lo stiamo vivendo forse oggi? Sempre ansiosi, sempre in debito di tempo e di sguardi; sempre di corsa e angosciati per pagare agli altri quello che non potremo mai pagare e risarcire. Come poter risarcire il male della nostra indifferenza, della gelosia, della violenza e dell’ipocrisia? Come pagare se non abbiamo neanche il “primo” spicciolo? Abbandonandosi alla misericordia di Dio, lasciandoci invadere dal suo amore perché, attraverso di noi, giunga ad ogni nostro prossimo. “Cristo ha pagato per noi il debito all’Eterno Padre” (Preconio Pasquale), e solo in Lui potremo offrire noi stessi perché ogni spicciolo d’amore sottratto ai fratelli possa essere risarcito e moltiplicato dal suo amore. Altro che sforzi e strategie, opere e sacrifici della carne, buoni solo a peggiorare ancor più le cose, ad alimentare veleni e rancori. Siamo, invece, chiamati ad accogliere oggi il suo amore che ci giustifica, e, spinti dal fuoco della misericordia, potremo correre a metterci d'accordo, a lasciarci crocifiggere da coloro ai quali, il demonio, ha rubato la speranza. Hanno diritto all'amore che abbiamo sperimentato. E non è cosa di un giorno. E' un cammino, un andare per via, cadendo e rialzandoci, abbandonando ogni pretesa pelagiana e panteista, in un'esperienza dell'amore di Dio che, in un cammino serio di conversione ella Chiesa, approfondendosi, genera amore e misericordia. 

lunedì 3 giugno 2019

PENTECOSTE
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All’inizio di questa settimana che ci prepara alla Pentecoste culmine della Pasqua, Gesù ci inchioda alla Verità: “Adesso credete?”. No cari fratelli, non crediamo, perché siamo ancora profondamente "scandalizzati" dalla Croce sulla quale Gesù ha compiuto lo Shemà rivelandosi come un Messia completamente diverso da quello atteso da Israele. Siamo "scandalizzati" della “santità di Dio” che non condanna il mondo ma "vince" il suo male per salvarlo; del suo essere “separato” dal nostro orgoglio sino a farsi il servo di tutti. Per questo come gli Apostoli, abbiamo "lasciato solo" il Signore. "E' arrivata l'ora" del Calvario e siamo scappati: la malattia di nostro figlio, il lato sconosciuto e oscuro del carattere del nostro coniuge, il licenziamento, il tradimento dell'amico, la nostra debolezza che ci fa cadere sempre negli stessi peccati. E il male nel mondo, la sofferenza degli innocenti, le guerre, i terremoti, i disastri, le ingiustizie, il cancro. Sì, la Croce ci ha "dispersi ognuno per conto proprio”, a ribellarci lontani da essa. Come "il mondo" abbiamo bisogno di essere salvati, che cioè sia "vinta" in noi la radice del male che ci "scandalizza" e "disperde" nella solitudine. Ma proprio l'abisso della nostra solitudine ha incontrato la solitudine di Cristo, e in essa, la sua intimità con il Padre. Lui non era solo! Proprio sulla Croce era inchiodato alla volontà del Padre; nell'amore che compiva lo Shemà gli era più intimo che mai e ci ha accolti nella loro intimità. Ti senti solo e sconfitto? Ascolta questo Vangelo e convertiti! Apri il tuo cuore a Cristo perché vi scenda per "vincere" il demonio che ti sta ingannando. La sua "vittoria sul mondo", infatti, è Lo Shemà compiuto, la santità di Dio incarnata nella tua "dispersione". Così, la Galilea dei Gentili, immagine di questo "mondo" disperso e rancoroso nel quale sei chiamato a vivere, non sarà più il luogo dove sperare un Messia giustiziere, ma quello dove tu possa ritornare ad essere "santo" a immagine e somiglianza di Dio: "Io ho vinto il mondo! significa forse che Cristo è contro il mondo? No, piuttosto il contrario: questo mondo, che scaccia Dio dai cuori, viene restituito da Cristo a Dio e all’uomo come spazio dell’alleanza originaria, che deve essere anche l’alleanza definitiva quando Dio sarà tutto in tutti". (Giovanni Paolo II). Non esiste un cristianesimo elitario che disprezza il mondo e i peccatori! Come Pietro e gli Apostoli dobbiamo scoprire che non siamo migliori né diversi dai figli del "regno dell'impertinenza". Non del capoufficio, non del vicino di casa, neanche di chi ruba e uccide. Non ti scandalizzare per favore, perché il Signore ti “dice queste cose perché tu possa avere pace in Lui” che ti conosce e ti ama così come sei. Accetta dunque di avere bisogno, come tutti, che, attraverso la Chiesa, Cristo ti "restituisca" il mondo come un luogo dove poter amare e donarti. La prova che Dio ti ama è proprio che "avrai tribolazioni nel mondo", tu che hai sperimentato di non essere capace di accettare la più piccola sofferenza. In esse, infatti, una volta salvato e rigenerato dalla Parola di Dio e dai sacramenti, potrai vivere pienamente nella “santità” di Dio perché crocifisso con Cristo si compirà in te lo Shemà; nell’amore a Dio con tutto te stesso,il Signore ti fa vittorioso sul male “separandoti” dal mondo per potergli annunciare la salvezza. Non si scappa: l'amore autentico è soprattutto solitudine, perché ci fa partecipi della solitudine di Cristo: "nella donazione di sé sulla croce, Gesù depone, per così dire, tutto il peccato del mondo nell'amore di Dio e lo scioglie in esso" (Benedetto XVI). Fratelli, è necessaria "la tribolazione", l'essere "schiacciati, pestati", secondo il significato del termine greco. Anche oggi, infatti, il male e il peccato saranno deposti nel tino della nostra storia, dove con Cristo saremo schiacciati dall'amore di Dio: “Ma ben fecondo è questo essere spremuti nel torchio. Finché è sulla vite, l'uva non subisce pressioni: appare intera, ma niente da essa scaturisce. La si mette nel torchio, la si calpesta e schiaccia; sembra subire un danno, invece questo danno la rende feconda, mentre al contrario, se le si volesse risparmiare ogni danno rimarrebbe sterile” (S. Agostino). Il trofeo della vittoria di Cristo, infatti, è proprio la solitudine che potremo assumere per il mondo che non può soffrire per amare: "Allora Balaam pronunziò il suo poema e disse: ecco un popolo che dimora solo e tra le nazioni non si annovera. Possa io morire della morte dei giusti e sia la mia fine come la loro. Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele!" (cfr. Nm. 23-24). Un popolo che dimora solo, e proprio per questo testimone e vessillo di salvezza. Israele prima, e il Messia che ha compiuto questa profezia, e la Chiesa poi, sino a ciascuno di noi: soli con il Solo, per strappare il mondo alla sua solitudine. Soli nel rifiuto del figlio, per salvarlo. Soli nella gelosia della moglie, per amarla. Soli ovunque, nell'intimità piena con Gesù, e in Lui con il Padre, per mostrare a tutti la "bellezza" della vita divina nella debole "tenda" della carne dei figli della Chiesa. Perché ogni uomo possa desiderare la stessa "fine dei giustificati", ovvero il compimento della vita in Cristo che risplende nei cristiani, frutto della sua "vittoria" sulla morte e il peccato.
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PIGIATI NEL TORCHIO CON CRISTO


Nelle parole di Gesù del Vangelo di oggi si ode l'eco dello Shemà: "Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze". Un solo Dio, e un Popolo scelto ed eletto per manifestarlo al “mondo”. La santità di Dio, infatti, il suo essere totalmente altro, "separato" (significato della parola "santo") si sarebbe manifestata nella santità del suo Popolo: "Siate santi, perché io sono santo (Lv 11,45). Ma, oggi come allora, è difficile essere santi, anzi impossibile; come fare allora per essere fedeli a questa missione in un "mondo" occupato e dominato dai pagani? "Un gruppo di farisei proporrà una soluzione radicale: se si crede nel regno di Dio occorre opporsi fortemente al «regno dell'impertinenza». E la resistenza si organizzerà proprio in Galilea" (F. Manns), dove Dio, non a caso, si era fatto carne, e nella quale erano stati scelti gli Apostoli. Essa era diventata ormai “la Galilea degli zelanti della legge… L'insurrezione in Galilea, organizzata dagli zeloti dopo l'anno 50, si radica in una profonda tradizione religiosa: Dio è il re d'Israele e il padrone della storia. Il dono della terra è il segno dell'alleanza. Arrogarsi la proprietà della terra come fanno i romani significa dar prova di un orgoglio smisurato, dell'appartenenza al regno dell'impertinenza. Essendosi i romani imposti con la forza, occorre fare tutto il possibile per liberare la terra. Alla violenza bisogna rispondere con la violenza. La sete di libertà che animava i rivoltosi scaturiva dal più stretto monoteismo. Era lo zelo della legge a spingerli ad agire" (F. Manns). Occorre tenere presente l’ambiente nel quale erano cresciuti gli Apostoli, e non dimenticare che, nonostante i tre anni passati insieme al Maestro, per loro “il suo parlare era rimasto oscuro”. Per questo le parole di Gesù nel Cenacolo toccano profondamente i loro cuori in attesa del Messia che “avrebbe ristabilito il Regno di Israele”. Si illudono di capire le sue parole: “ecco, adesso parli chiaramente e non fai più uso di similitudini”. Sono convinti di “conoscere” Gesù: “Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t'interroghi". E “credono” che sia Lui “il Santo uscito da Dio” per liberare il Popolo dalla dittatura dei romani. Come noi, che pensiamo di aver capito il Signore e di credere in Lui.
Ebbene oggi, all’inizio di questa settimana che ci prepara alla Pentecoste culmine della Pasqua, Gesù ci inchioda alla Verità: “Adesso credete?”. No cari fratelli, non crediamo, perché siamo ancora profondamente "scandalizzati" dalla Croce sulla quale Gesù ha compiuto lo Shemà rivelandosi come un Messia completamente diverso da quello atteso da Israele. Siamo "scandalizzati" della “santità di Dio” che non condanna il mondo ma "vince" il suo male per salvarlo; del suo essere “separato” dal nostro orgoglio sino a farsi il servo di tutti. Per questo come gli Apostoli, abbiamo "lasciato solo" il Signore. "E' arrivata l'ora" del Calvario e siamo scappati: la malattia di nostro figlio, il lato sconosciuto e oscuro del carattere del nostro coniuge, il licenziamento, il tradimento dell'amico, la nostra debolezza che ci fa cadere sempre negli stessi peccati. E il male nel mondo, la sofferenza degli innocenti, le guerre, i terremoti, i disastri, le ingiustizie, il cancro. Sì, la Croce ci ha "dispersi ognuno per conto proprio”, a ribellarci lontani da essa. Come "il mondo" abbiamo bisogno di essere salvati, che cioè sia "vinta" in noi la radice del male che ci "scandalizza" e "disperde" nella solitudine. Ma proprio l'abisso della nostra solitudine ha incontrato la solitudine di Cristo, e in essa, la sua intimità con il Padre. Lui non era solo! Proprio sulla Croce era inchiodato alla volontà del Padre; nell'amore che compiva lo Shemà gli era più intimo che mai e ci ha accolti nella loro intimità. Ti senti solo e sconfitto? Ascolta questo Vangelo e convertiti! Apri il tuo cuore a Cristo perché vi scenda per "vincere" il demonio che ti sta ingannando. La sua "vittoria sul mondo", infatti, è Lo Shemà compiuto, la santità di Dio incarnata nella tua "dispersione". Così, la Galilea dei Gentili, immagine di questo "mondo" disperso e rancoroso nel quale sei chiamato a vivere, non sarà più il luogo dove sperare un Messia giustiziere, ma quello dove tu possa ritornare ad essere "santo" a immagine e somiglianza di Dio: "Io ho vinto il mondo! significa forse che Cristo è contro il mondo? No, piuttosto il contrario: questo mondo, che scaccia Dio dai cuori, viene restituito da Cristo a Dio e all’uomo come spazio dell’alleanza originaria, che deve essere anche l’alleanza definitiva quando Dio sarà tutto in tutti". (Giovanni Paolo II). Non esiste un cristianesimo elitario che disprezza il mondo e i peccatori! Come Pietro e gli Apostoli dobbiamo scoprire che non siamo migliori né diversi dai figli del "regno dell'impertinenza". Non del capoufficio, non del vicino di casa, neanche di chi ruba e uccide. Non ti scandalizzare per favore, perché il Signore ti “dice queste cose perché tu possa avere pace in Lui” che ti conosce e ti ama così come sei. Accetta dunque di avere bisogno, come tutti, che, attraverso la Chiesa, Cristo ti "restituisca" il mondo come un luogo dove poter amare e donarti.
Lo sai? La prova che Dio ti ama è proprio che "avrai tribolazioni nel mondo", tu che hai sperimentato di non essere capace di accettare la più piccola sofferenza. In esse, infatti, una volta salvato e rigenerato dalla Parola di Dio e dai sacramenti, potrai vivere pienamente nella “santità” di Dio perché crocifisso con Cristo si compirà in te lo Shemà; nell’amore a Dio con tutto te stesso, il Signore ti fa vittorioso sul male “separandoti” dal mondo per potergli annunciare la salvezza. Non si scappa: l'amore autentico è soprattutto solitudine, perché ci fa partecipi della solitudine di Cristo: "nella donazione di sé sulla croce, Gesù depone, per così dire, tutto il peccato del mondo nell'amore di Dio e lo scioglie in esso" (Benedetto XVI). Fratelli, è necessaria "la tribolazione", l'essere "schiacciati, pestati", secondo il significato del termine greco. Anche oggi, infatti, il male e il peccato saranno deposti nel tino della nostra storia, dove con Cristo saremo schiacciati dall'amore di Dio: “Ma ben fecondo è questo essere spremuti nel torchio. Finché è sulla vite, l'uva non subisce pressioni: appare intera, ma niente da essa scaturisce. La si mette nel torchio, la si calpesta e schiaccia; sembra subire un danno, invece questo danno la rende feconda, mentre al contrario, se le si volesse risparmiare ogni danno rimarrebbe sterile” (S. Agostino). Il trofeo della vittoria di Cristo, infatti, è proprio la solitudine che potremo assumere per il mondo che non può soffrire per amare: "Allora Balaam pronunziò il suo poema e disse: ecco un popolo che dimora solo e tra le nazioni non si annovera. Possa io morire della morte dei giusti e sia la mia fine come la loro. Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele!" (cfr. Nm. 23-24). Un popolo che dimora solo, e proprio per questo testimone e vessillo di salvezza. Israele prima, e il Messia che ha compiuto questa profezia, e la Chiesa poi, sino a ciascuno di noi: soli con il Solo, per strappare il mondo alla sua solitudine. Soli nel rifiuto del figlio, per salvarlo. Soli nella gelosia della moglie, per amarla. Soli ovunque, nell'intimità piena con Gesù, e in Lui con il Padre, per mostrare a tutti la "bellezza" della vita divina nella debole "tenda" della carne dei figli della Chiesa. Perché ogni uomo possa desiderare la stessa "fine dei giustificati", ovvero il compimento della vita in Cristo che risplende nei cristiani, frutto della sua "vittoria" sulla morte e il peccato.