Pagine

lunedì 15 luglio 2013

La Chiesa e i laici, un rapporto ancora tutto da scrivere. A colloquio con Enrico Ottaviani.

Oggi intervistiamo il diacono permanente Enrico Ottaviani, 52 anni, informatico, sposato con Annamaria, padre di Fabrizio, Francesca e Roberta, nato e vissuto per i primi anni a Roma, ma cresciuto a Palestrina, territorio prevalente nel quale opera.

D. -Quale servizio presti all'interno della Diocesi Prenestina?

R. -Sono un diacono permanente dalla fine del 2011, cui il vescovo ha dato l'incarico di referente dei progetti informatici della diocesi. Attualmente ne sto curando l'informatizzazione a partire dalla Caritas diocesana, ambito di lavoro privilegiato per un diacono permanente poiché è ordinato per il servizio. Infatti, insieme a me ci sono altri due miei 'colleghi', che preferisco chiamare fratelli, Pierluigi e Claudio. Il primo si occupa di microcredito e prestito della speranza, mentre il secondo del volontariato giovanile.
Quando non sono impegnato in progetti diocesani mi dedicoalla parrocchia in cui sono cresciuto la Sacra Famiglia. Qui coadiuvo i sacerdoti negli impegni pastorali e liturgici, nella catechesi degli adulti e dei bambini e nella carità, che si esprime anche portando l'Eucaristia ai malati, visitandoli e parlando loro, confortandoli nelle sofferenze. Anche qui ho un fratello diacono permanente, Giovanni, col quale condivido il lavoro in parrocchia in pieno spirito di servizio.

D. -Quali sono gli obiettivi che ti poni portando avanti il tuo operato?

Il primo, credo, sia quello di rispondere in modo adeguato al mandato che il Vescovo diocesano Mons. Sigalini mi ha affidato, impegnandomi nei limiti di tempo e di risorse a disposizione affinché tutte le componenti della diocesi siano effettivamente operative e collegate, come un corpo unico ben compaginato, come disse San Paolo agli Efesini (Ef 4,15-16) "agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. 16Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità.".
In secondo luogo, approfondire la conoscenza della Fede e del Magistero, poiché ho scoperto, negli anni di studio, che la Chiesa possiede un'immensa ricchezza di inestimabile valore, sia a livello umano che spirituale, data dallo studio della Scrittura e dalla macerazione di ogni sua singola parola che diventa alimento dell'anima.
In ultimo, ma non meno importante, anzi come si direbbe oggi, il 'core business' di un diacono permanente, è il rimboccarsi le maniche, o come fece Cristo nella lavanda dei piedi, cingendosi la veste, scendere in campo e servire il popolo di Dio, nei modi e nei tempi dettati da Nostro Signore, nella preghiera e nell'azione. In quest'ultimo anno ho avuto un paio di esperienze, cercando di trasmettere le cose della Fede ad adulti e ragazzi, che sono state rivelatrici di come la grazia di Dio lavora nelle anime e di come il compito del catechista sia solamente quello di aiutare la persona a capire cosa ha dentro e farlo sbocciare. Si sono rivelate delle esperienze sul piano umano e spirituale veramente formanti. Come spesso accade in queste cose, vai per dare ed ottieni!

D. -Quali sono le implicazioni o ricadute, positive e negative, di questo tuo impegno?

R. -Beh, come probabilmente si capisce dalle mie parole, il più è positivo: sentirsi vivo ed utile alla comunità, un mattone, magari non portante, ma utile. Qui entrerebbe anche il discorso della responsabilità del credente battezzato, ma ancor più della persona che ha preso il sacramento dell'ordine: sento la responsabilità del ministero che ho, e, ancor prima, del battesimo che ho ricevuto, e non posso stare con le mani in mano, dovrò rendere conto dell'impiego del mio tempo (risorsa limitata e preziosa).
Tra le note negative metterei il rischio di trascurare gli impegni familiari. Alle volte per non dire no ad unimpegno parrocchiale dico no ad impegni familiari: non mi sembra giusto. C'è il rischio di farsi prendere la mano e mancare di carità verso impegni presi ancor prima del diaconato: il matrimonio e la cura della prole, anche se i miei ragazzi sono abbastanza cresciuti.Cerco, quindi, di recuperare del tempo da dedicare alla famiglia, ma provando anche a spiegar loro l'importanza di alcune attività che svolgo, specie quella di catechista. Ho notato che, grazie a Dio, anche i miei ragazzi si sono impegnati di più nella vita della comunità parrocchiale. Credo sia la testimonianza lo strumento principale di educazione di un genitore.

D. -Cosa ti spinge a proseguire nei tuoi impegni?

R. -Un po' come dicevo prima: la responsabilità che sento verso la comunità, la carità, l'approfondimento della Fede, la voglia di essere utile, sentirmi uno strumento dell'amore di Dio, naturalmente tutto nei limiti della natura umana. Mettere le mie facoltà, che non mi sono dato da solo, a disposizione del prossimo. Perché gratuitamente ho ricevuto e gratuitamente voglio dare.

D. -Quale giudizio dai al tuo operato?
R. -Spero che il giudizio che darà Qualcuno al mio operato sia positivo ed, in caso contrario, prego che mi faccia capire se è così. Non sono perfetto, sono un essere umano come tanti e come tale soggetto all'errore, ma credo che l'impostazione più importante nelle nostre azioni sia farle con amore. Poi se sono cose di Dio, come lo sono tutte le cose che facciamo, se le facciamo per Dio e non per noi, bisogna farle con competenza (che implica la fatica per acquisirla) e con impegno. Il mio operato quindi è un divenire nel tempo, è un perfezionarsi, adattarsi alle situazioni delle singole persone, un cambiare in base alle esigenze del momento, mantenendo salda la verità.

D. -Un breve pensiero sulle parole del Santo Padre.

R. -Indubbiamente le condivido: non possiamo restare chiusi nelle sacrestie, dobbiamo pervadere la società con i valori del rispetto, della vita e dell'amore del prossimo. Come dice il papa possiamo farci male, ma almeno ci abbiamo provato. Peggio sarebbe non fare neanche un tentativo perché abbiamo paura: ma se siamo in Cristo e Cristo è con noi di cosa possiamo aver paura?
E poi condivido fino in fondo le parole di papa Francesco sulla chiacchiera... si chiacchiera troppo e non si agisce, si chiacchiera troppo e si calunnia. Il nostro modello deve essere Cristo: chiacchierava troppo? No, pregava ed agiva, insegnava e curava! Tutti verbi all'imperfetto che dobbiamo, noi comunità cattolica, rendere al presente, attraverso l'impegno di ciascuno.
Roberta Iacono

Articolo disponibile a questo indirizzo

Nessun commento:

Posta un commento