L’introduzione (n. 1-7) della LF illustra le motivazioni poste alla
base del documento: innanzitutto, recuperare il carattere di luce proprio della
fede, capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo, di aiutarlo a
distinguere il bene dal male, in particolare in un’epoca, come quella moderna,
in cui il credere si oppone al cercare e la fede è vista come un’illusione, un
salto nel vuoto che impedisce la libertà dell’uomo. In secondo luogo, la LF –
proprio nell’Anno della fede, a 50 anni dal Concilio Vaticano II, un “Concilio
sulla fede” – vuole rinvigorire la percezione dell’ampiezza degli orizzonti che
la fede apre per confessarla in unità e integrità. La fede, infatti, non è un
presupposto scontato, ma un dono di Dio che va nutrito e rafforzato. “Chi
crede, vede”, scrive il Papa, perché la luce della fede viene da Dio ed è
capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo: procede dal passato, dalla
memoria della vita di Gesù, ma viene anche dal futuro perché ci schiude grandi
orizzonti.
Il primo capitolo (n. 8-22): Abbiamo creduto all’amore (1 Gv 4, 16).
Facendo riferimento alla figura biblica di Abramo, in questo capitolo la fede
viene spiegata come “ascolto” della Parola di Dio, “chiamata” ad uscire dal
proprio io isolato per aprirsi ad una vita nuova e “promessa” del futuro, che rende
possibile la continuità del nostro cammino nel tempo,
legandosi così strettamente alla speranza. La fede è connotata anche dalla “paternità”, perché il Dio che ci chiama non è un Dio estraneo, ma è Dio Padre, la sorgente di bontà che è all’origine di tutto e che sostiene tutto. Nella storia di Israele, all’opposto della fede c’è l’idolatria, che disperde l’uomo nella molteplicità dei suoi desideri e lo “disintegra nei mille istanti della sua storia”, negandogli di attendere il tempo della promessa. Al contrario, la fede è affidamento all’amore misericordioso di Dio, che sempre accoglie e perdona, che raddrizza “le storture della nostra storia”; è disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio, “è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi a Lui per vedere il luminoso cammino dell’incontro fra Dio e gli uomini, la storia della salvezza” (n.14). E qui sta il “paradosso” della fede: il continuo volgersi al Signore rende stabile l’uomo, allontanandolo dagli idoli.
legandosi così strettamente alla speranza. La fede è connotata anche dalla “paternità”, perché il Dio che ci chiama non è un Dio estraneo, ma è Dio Padre, la sorgente di bontà che è all’origine di tutto e che sostiene tutto. Nella storia di Israele, all’opposto della fede c’è l’idolatria, che disperde l’uomo nella molteplicità dei suoi desideri e lo “disintegra nei mille istanti della sua storia”, negandogli di attendere il tempo della promessa. Al contrario, la fede è affidamento all’amore misericordioso di Dio, che sempre accoglie e perdona, che raddrizza “le storture della nostra storia”; è disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio, “è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi a Lui per vedere il luminoso cammino dell’incontro fra Dio e gli uomini, la storia della salvezza” (n.14). E qui sta il “paradosso” della fede: il continuo volgersi al Signore rende stabile l’uomo, allontanandolo dagli idoli.
La LF si sofferma, poi, sulla figura di Gesù, mediatore che ci apre ad una
verità più grande di noi, manifestazione di quell’amore di Dio che è il
fondamento della fede: “nella contemplazione della morte di Gesù, infatti, la
fede si rafforza”, perché Egli vi rivela il suo amore incrollabile per l’uomo.
In quanto risorto, inoltre, Cristo è “testimone affidabile”, “degno di fede”,
attraverso il quale Dio opera veramente nella storia e ne determina il destino
finale. Ma c’è “un aspetto decisivo” della fede in Gesù: “la partecipazione al
suo modo di vedere”. La fede, infatti, non solo guarda a Gesù, ma guarda anche
dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi. Usando un’analogia, il Papa
spiega che come nella vita quotidiana ci affidiamo a “persone che conoscono le
cose meglio di noi” – l’architetto, il farmacista, l’avvocato – così per la
fede necessitiamo di qualcuno che sia affidabile ed esperto “nelle cose di Dio”
e Gesù è “colui che ci spiega Dio”. Per questo, crediamo a Gesù quando
accettiamo la sua Parola, e crediamo in Gesù quando Lo accogliamo nella nostra
vita e ci affidiamo a Lui.
La sua incarnazione, infatti, fa sì che la fede non ci separi dalla realtà,
ma ci aiuti a coglierne il significato più profondo. Grazie alla fede, l’uomo
si salva, perché si apre a un Amore che lo precede e lo trasforma dall’interno.
E questa è l’azione propria dello Spirito Santo: “Il cristiano può avere gli
occhi di Gesù, i suoi sentimenti, la sua disposizione filiale, perché viene
reso partecipe del suo Amore, che è lo Spirito” (n. 21). Fuori dalla presenza
dello Spirito, è impossibile confessare il Signore. Perciò “l’esistenza
credente diventa esistenza ecclesiale”, perché la fede si confessa all’interno
del corpo della Chiesa, come “comunione concreta dei credenti”. I cristiani
sono “uno” senza perdere la loro individualità e nel servizio agli altri ognuno
guadagna il proprio essere. Perciò “la fede non è un fatto privato, una
concezione individualistica, un’opinione soggettiva”, ma nasce dall’ascolto ed
è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio.
Il secondo capitolo (n. 23-36): Se non crederete, non comprenderete
(Is 7,9). Il Papa dimostra lo stretto legame tra fede e verità, la verità
affidabile di Dio, la sua presenza fedele nella storia. “La fede senza verità
non salva – scrive il Papa – Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri
desideri di felicità”. Ed oggi, data “la crisi di verità in cui viviamo”, è più
che mai necessario richiamare questo legame, perché la cultura contemporanea
tende ad accettare solo la verità della tecnologia, ciò che l’uomo riesce a
costruire e misurare con la scienza e che è “vero perché funziona”, oppure le
verità del singolo valide solo per l’individuo e non a servizio del bene
comune. Oggi si guarda con sospetto alla “verità grande, la verità che spiega
l’insieme della vita personale e sociale”, perché la si associa erroneamente
alle verità pretese dai totalitarismi del XX secolo. Ciò comporta però il
“grande oblio del mondo contemporaneo” che - a vantaggio del relativismo e
temendo il fanatismo - dimentica la domanda sulla verità, sull’origine di
tutto, la domanda su Dio.
La LF sottolinea, poi, il legame tra fede e amore, inteso non come “un
sentimento che va e viene”, ma come il grande amore di Dio che ci trasforma
interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà. Se, quindi, la fede è
legata alla verità e all’amore, allora “amore e verità non si possono
separare”, perché solo l’amore vero supera la prova del tempo e diventa fonte
di conoscenza. E poiché la conoscenza della fede nasce dall’amore fedele di
Dio, “verità e fedeltà vanno insieme”. La verità che ci dischiude la fede è una
verità incentrata sull’incontro con Cristo incarnato, il quale, venendo tra
noi, ci ha toccato e donato la sua grazia, trasformando il nostro cuore. A
questo punto, il Papa apre un’ampia riflessione sul “dialogo tra fede e
ragione”, sulla verità nel mondo di oggi, in cui essa viene spesso ridotta ad
“autenticità soggettiva”, perché la verità comune fa paura, viene identificata
con l’imposizione intransigente dei totalitarismi. Invece, se la verità è
quella dell’amore di Dio, allora non si impone con la violenza, non schiaccia
il singolo. Per questo, la fede non è intransigente, il credente non è
arrogante.
Al contrario, la verità rende umili e porta alla convivenza ed al rispetto
dell’altro. Ne deriva che la fede porta al dialogo in tutti i campi: in quello
della scienza, perché risveglia il senso critico e allarga gli orizzonti della
ragione, invitando a guardare con meraviglia il Creato; nel confronto
interreligioso, in cui il cristianesimo offre il proprio contributo; nel
dialogo con i non credenti che non cessano di cercare, i quali “cercano di
agire come se Dio esistesse”, perché “Dio è luminoso e può essere trovato anche
da coloro che lo cercano con cuore sincero”. “Chi si mette in cammino per
praticare il bene – sottolinea il Papa – si avvicina già a Dio”. Infine, la LF
parla della teologia ed afferma che essa è impossibile senza la fede, poiché
Dio non ne è un semplice “oggetto”, ma è Soggetto che si fa conoscere. La
teologia è partecipazione alla conoscenza che Dio ha di se stesso; ne consegue
che essa deve porsi al servizio della fede dei cristiani e che il Magistero
ecclesiale non è un limite alla libertà teologica, bensì un suo elemento
costitutivo perché esso assicura il contatto con la fonte originaria, con la
Parola di Cristo.
Il terzo capitolo (n. 37- 49): Vi trasmetto quello che ho ricevuto
(1 Cor 15,3). Tutto il capitolo è incentrato sull’importanza
dell’evangelizzazione: chi si è aperto all’amore di Dio, non può tenere questo
dono per sé, scrive il Papa. La luce di Gesù brilla sul volto dei cristiani e
così si diffonde, si trasmette nella forma del contatto, come una fiamma che si
accende dall’altra, e passa di generazione in generazione, attraverso la catena
ininterrotta dei testimoni della fede. Ciò comporta il legame tra fede e
memoria perché l’amore di Dio mantiene uniti tutti i tempi e ci rende
contemporanei a Gesù. Inoltre, diventa “impossibile credere da soli”, perché la
fede non è “un’opzione individuale”, ma apre l’io al “noi” ed avviene sempre
“all’interno della comunione della Chiesa”. Per questo, “chi crede non è mai
solo”: perché scopre che gli spazi del suo ‘io’ si allargano e generano nuove
relazioni che arricchiscono la vita.
C’è, però, “un mezzo speciale” con cui la fede può trasmettersi: sono i
Sacramenti, in cui si comunica “una memoria incarnata”. Il Papa cita
innanzitutto il Battesimo – sia dei bambini sia degli adulti, nella forma del
catecumenato - che ci ricorda che la fede non è opera dell’individuo isolato,
un atto che si può compiere da soli, bensì deve essere ricevuta, in comunione
ecclesiale. “Nessuno battezza se stesso”, spiega la LF. Inoltre, poiché il
bambino battezzando non può confessare la fede da solo, ma deve essere
sostenuto dai genitori e dai padrini, ne deriva “l’importanza della sinergia
tra la Chiesa e la famiglia nella trasmissione della fede”. In secondo luogo,
l’Enciclica cita l’Eucaristia, “nutrimento prezioso della fede”, “atto di
memoria, attualizzazione del mistero” e che “conduce dal mondo visibile verso
l’invisibile”, insegnandoci a vedere la profondità del reale.
Il Papa ricorda poi la confessione della fede, il Credo, in cui il credente
non solo confessa la fede, ma si vede coinvolto nella verità che confessa; la
preghiera, il Padre Nostro, con cui il cristiano incomincia a vedere con gli
occhi di Cristo; il Decalogo, inteso non come “un insieme di precetti
negativi”, ma come “insieme di indicazioni concrete” per entrare in dialogo con
Dio, “lasciandosi abbracciare dalla sua misericordia”, “cammino della
gratitudine” verso la pienezza della comunione con Dio. Infine, il Papa
sottolinea che la fede è una perché uno è “il Dio conosciuto e confessato”,
perché si rivolge all’unico Signore, ci dona “l’unità di visione”, ed “è
condivisa da tutta la Chiesa, che è un solo corpo e un solo Spirito”. Dato,
dunque, che la fede è una sola, allora deve essere confessata in tutta la sua
purezza e integrità: “l’unità della fede è l’unità della Chiesa”; togliere
qualcosa alla fede è togliere qualcosa alla verità della comunione. Inoltre,
poiché l’unità della fede è quella di un organismo vivente, essa può assimilare
in sé tutto ciò che trova, dimostrando di essere universale, cattolica, capace
di illuminare e portare alla sua migliore espressione tutto il cosmo e tutta la
storia. Tale unità è garantita dalla successione apostolica.
Il quarto capitolo (n. 50-60): Dio prepara per loro una città (Eb
11,16). Questo capitolo spiega il legame tra la fede e il bene comune, che
porta alla formazione di un luogo in cui l’uomo può abitare insieme agli altri.
La fede, che nasce dall’amore di Dio, rende saldi i vincoli fra gli uomini e si
pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace. Ecco
perché essa non allontana dal mondo e non è estranea all’impegno concreto
dell’uomo contemporaneo. Anzi: senza l’amore affidabile di Dio, l’unità tra gli
uomini sarebbe fondata solo sull’utilità, sull’interesse o sulla paura. La
fede, invece, coglie il fondamento ultimo dei rapporti umani, il loro destino
definitivo in Dio, e li pone a servizio del bene comune. La fede “è un bene per
tutti, un bene comune”; non serve a costruire unicamente l’aldilà, ma aiuta a
edificare le nostre società, così che camminino verso un futuro di speranza.
L’Enciclica si sofferma, poi, sugli ambiti illuminati dalla fede:
innanzitutto, la famiglia fondata sul matrimonio, inteso come unione stabile
tra uomo e donna. Essa nasce dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà
della differenza sessuale e, fondata sull’amore in Cristo, promette “un amore
che sia per sempre” e riconosce l’amore creatore che porta a generare figli.
Poi, i giovani: qui il Papa cita le Giornate Mondiali della Gioventù, in cui i
giovani mostrano “la gioia della fede” e l’impegno a viverla in modo saldo e
generoso. “I giovani hanno il desiderio di una vita grande – scrive il
Pontefice –. L’incontro con Cristo dona una speranza solida che non delude. La
fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita”.
E ancora, in tutti i rapporti sociali: rendendoci figli di Dio, infatti, la
fede dona un nuovo significato alla fraternità universale tra gli uomini, che
non è mera uguaglianza, bensì esperienza della paternità di Dio, comprensione
della dignità unica della singola persona. Un ulteriore ambito è quello della
natura: la fede ci aiuta a rispettarla, a “trovare modelli di sviluppo che non
si basino solo sull’utilità o sul profitto, ma che considerino il creato come
un dono”; ci insegna ad individuare forme giuste di governo, in cui l’autorità
viene da Dio ed è a servizio del bene comune; ci offre la possibilità del
perdono che porta a superare i conflitti.
“Quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del
vivere vengano meno”, scrive il Papa, e se togliamo la fede in Dio dalle nostre
città, perderemo la fiducia tra noi e saremo uniti solo dalla paura. Per questo
che non dobbiamo vergognarci di confessare pubblicamente Dio, in quanto la fede
illumina il vivere sociale. Altro ambito illuminato dalla fede è quello della
sofferenza e della morte: il cristiano sa che la sofferenza non può essere
eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare affidamento alle mani di Dio
che mai ci abbandona e così essere “tappa di crescita della fede”. All’uomo che
soffre Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua presenza
che accompagna, che apre un varco di luce nelle tenebre. In questo senso, la
fede è congiunta alla speranza. E qui il Papa lancia un appello: “Non
facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni
e proposte immediate che ci bloccano nel cammino”.
Conclusione (n. 58-60): Beata colei che ha creduto (Lc 1,45). Alla fine della LF, il
Papa invita a guardare a Maria, “icona perfetta” della fede, perché, in quanto
Madre di Gesù, ha concepito “fede e gioia”. A Lei innalza la sua preghiera il
Pontefice affinché aiuti la fede dell’uomo, ci ricordi che chi crede non è mai
solo e ci insegni a guardare con gli occhi di Gesù.
Grazie Giancarlo, a presto
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