Riflessione su alcuni
quadri del vangelo in cui ci viene presentata Maria
di mons. Domenico Sigalini
L’annunciazione
Non c’è
assurdità che non possa essere vissuta con naturalezza, dice un deportato di
Auschwitz, tanto è pervasivo il male nella nostra esistenza. Ci siamo talmente
abituati che per sperare nella felicità dobbiamo ritenere che il male è
naturale. Siamo abituati alle ingiustizie, al sopruso, al terrorismo e alla
guerra. Nella filigrana di ogni nostro comportamento tesse la trama l’ombra del
male. Nessuno si può chiamare fuori, anche dentro di te nascono doppi pensieri
di cui ti vergogni, istinti, propensioni, sentimenti che assomigliano più alla
vendetta che al ristabilimento della giustizia. Mi ha sempre, fatto meraviglia leggere
nella Bibbia le infinite invocazioni a Dio perché ci liberi dal male, non ci
induca in tentazione ci salvi. Ma da che cosa? ci si dice spesso nella nostra
ingenuità. La nostra vita non riesce a trovarsi da sola una strada del
politicamente corretto? Non siamo forse in grado di vivere un galateo
condiviso, se non in tutto il mondo almeno in qualche nostra piccola comunità
gruccia?
Non è
possibile. Il male è più forte di noi ed esercita un implacabile contagio, fin
dalle nostre origini. “E fece quel che è male agli occhi del Signore, imitando
i suoi Padri”. La catena è appesa agli inizi della storia dell’umanità. È
storia di sforzi titanici di bontà, ma di continue sconfitte e prevaricazioni.
Ma nel buio
più fitto si apre uno squarcio di luce.
Passano sei
mesi dagli eventi che hanno visto il vecchio Zaccaria restare incantato nel
tempio:
la gente dà lode a Dio e comincia a non sentirsi più abbandonata. Dio
ci sta visitando, si sta ricordando di noi. Sono finiti gli anni del pesante
silenzio di Dio. Certo la sua Parola è sempre stata tra noi. Ogni sabato in
sinagoga la andiamo ad ascoltare, il contesto però è di decadenza, ci sembra di
essere tornati ai tempi prima di Samuele. Dio non si faceva sentire da troppo.
Ma questo fatto del vecchio Zaccaria è proprio una novità. E il nuovo continua
ed esplode. Stavolta è Maria, una giovanissima ragazza ebrea che viene chiamata
in causa. Quel che è capitato a sua cugina Elisabetta è troppo bello! È troppo
sorprendente! Che sia venuto il tempo del messia? Che finalmente Dio da par suo
faccia risplendere qualcosa a Gerusalemme? Là Zaccaria ha avuto una visione e
là Dio ci darà ancora segni. Invece no! Non è a Gerusalemme che Dio pensa, ma a
questo insignificante gruppo di case, a questo villaggio sconosciuto della Galilea.
Stiamo lentamente arrivando a capire lo stile di Dio: la debolezza dell’uomo è
la sua forza.
Qui c’è Maria,
all’apparenza una ragazza buonissima e bravissima, tutta tesa a progettare il
suo futuro tanto che già pensa di accasarsi con Giuseppe, ma in verità Maria è
un sogno di Dio, anzi il sogno di Dio. Pensata da sempre, pura da sempre, ombra
di peccato non ha, non sta incatenata nella fila del contagio del male. Dio
l’ha nella sua mente da sempre, ma l’ha pensata libera: ha la bellezza di un
diamante, ma è viva; ha lo splendore di un capolavoro, ma non è una statua, è
una persona. E Dio di fronte alla libertà della persona umana ha un debole: non
la tocca, non la toglie, non la riduce, ma la esalta sempre. Questo grande
rispetto della libertà dell’uomo gli costerà la passione e la morte di Gesù,
gli costa ogni giorno il cumulo di sofferenze degli uomini, gli odi, le guerre,
i terrorismi, le ritorsioni, il male nella sua oscurità.
Ebbene Dio
manda un angelo a Maria: và e chiedile la libertà massima di diventare Madre di
Gesù: Sono Dio, ma voglio aver bisogno di una Madre. E’ una ragazzina ebrea
della Palestina, piena di gioia e tesa al futuro, l’immagine di una speranza
dura come il diamante, che non può essere scalfito da niente. Questa ragazzina
si sente dire: “Tu non sei come tutti gli uomini e donne di questa storia, tu
non sei toccata dall’implacabile contagio del peccato, tu non appartieni a
questa catena del male che ammorba l’umanità. Tu sei piena di grazia, il
Signore è con te”.
Non era un’isola, ma un principio; non era
soprattutto un’eccezione, ma l’inizio di una storia nuova. Era ed è la madre di
Gesù; l’impensabile, assurdo, per il nostro balbettare, contenitore della
pienezza di Dio.
È il segno che
la nostra storia di male non è definitiva. Anzi è iniziato un altro invincibile
contagio quello del bene.
E Maria la
libertà la gioca tutta. La fede che Dio ci dona non ci chiede di mandare
all’ammasso la nostra vita. Dio ci chiede sempre atti onesti intellettualmente
e sensati umanamente. Maria non risponde, ma si domanda. Anche lei è sconvolta
come Zaccaria, ma non dice ormai. Non chiude la strada, offre la sua per quello
che è perché Dio la abiti. La sua domanda non è un momento di incertezza, ma lo
spazio della decisione della sua libertà. L’eterno disegno di Dio è appeso a un
filo di libertà. L’imperatore Augusto, che calca la scena del mondo nella
stessa epoca, non appendeva a nessun filo il suo impero, ma lo calcolava e lo
imponeva. Visti in seguito anche a distanza di qualche secolo, l’impero romano
e il regno predicato da Gesù di Nazareth non si potevano paragonare tanta era
l’imponenza e la vastità di Roma e la insignificanza dei seguaci di Cristo. Ma
i tempi di Dio sono diversi dai nostri. I regni umani crescono e spariscono;
anche oggi l’esercito più potente del mondo, il terrore più devastante della
terra sono neve, solo neve, al sole del regno di Dio, ma noi non impariamo mai
niente dalla storia!
Ebbene Dio e
Maria si stanno chiedendo e promettendo la mano come due fidanzati, se non suonasse
irriverente il paragone. E’ interessante ascoltare ciò che dice nella sua
sfacciata concretezza S. Bernardo davanti a questo spazio di libertà. “…O
vergine dà presto la tua risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo.. perché
tardi? Perché temi?.. Te ne supplica in pianto vergine pia Adamo, te ne
supplicano i patriarchi… tutto il mondo è in attesa.. dalla tua bocca dipende
la consolazione dei miseri, la liberazione dei condannati…Ecco colui al quale è
volto il desiderio di tutte le genti batte fuori alla porta.. Levati, corri,
apri.
Eccomi, dice, sono la serva del
Signore, avvenga di me quello che tu hai detto. E’ una esplosione di gioia nei
cieli. Là si cominciano a preparare gli angeli per il canto della notte di
Natale. La vita anche per Maria sarà in salita. La libertà così giocata non
l’ha collocata nell’area del privilegio, ma della fede. Per Maria è la sua fede
in Dio la prima grandezza, per noi è l’essere diventata Madre.
L’ultimo versetto del racconto
della annunciazione è: e l’angelo si allontanò da lei. L’angelo se ne va
proprio quando ne avrebbe bisogno
·
per confermare a lei stessa la verità di
quell’incontro, indeducibile, inimmaginabile, dolce, irruento. per spiegare ad
Anna, a Gioacchino cosa le stava accadendo.
·
Per dire a Giuseppe, sposo profondamente amato,
sposo che l’amava teneramente, che quel Figlio che le sbocciava in grembo non
era il frutto di un tradimento ma il frutto della più alta fedeltà che un uomo
potesse vivere e immaginare.
·
Ne avrebbe bisogno per tenerle alta la testa di
fronte agli sguardi curiosi (maligni?) delle vicine di casa che l’avrebbero
vista ingrossarsi, che non avrebbero potuto trattenersi dal commentare
mormorando e sorridendo.
·
Per difenderla da una legge che la chiamava a
rispondere della propria verginità e della propria fedeltà di fronte a Dio e di
fronte agli uomini, pena una pioggia di sassi che l’avrebbe inchiodata a terra,
lei e il suo Figlio.
Maria
resta sola, come capita alla nostra umanità e alla nostra fede. E’ la
solitudine non disperata, ma difficile di ogni credente e lo sarà poi di ogni
cristiano. E’ quella solitudine nel profondo della nostra coscienza in cui
nessuno può entrare e che nessuno può violare: soli con il nostro Dio, soli a
dire il nostro sì, a godere di questa compagnia intima e non disponibile a
baratti, a incursioni esterne: grande forza e grande solitudine. Maria resta
sola con la certezza che quelle parole generavano in lei qualcosa di più di un
buon pensiero. Generavano il lei il corpo, il sangue, l’anima di colui che
tutta la storia stava attendendo.
Il Magnificat
L’incontro di
Maria ed Elisabetta, le due gestanti che portano in grembo la nuova storia
dell’umanità, offre al mondo un’altra sorpresa: è un canto, un inno, una
sinfonia, una esplosione di lode e gioia. Lo conosciamo tutti come il
Magnificat. Da allora ogni giorno nella Chiesa tutti lo cantano sul far della
sera: nella pace dei monasteri, nella penombra dei conventi, nelle chiese più
antiche dei nostri borghi o più nuove delle periferie delle nostre città;
dovunque c’è un prete, magari già assonnato e stanco per il lavoro e la
dispersione della giornata o una famiglia che fa della lode della Chiesa il suo
ritmo, a sera si recita il Magnificat. Nell’affidare a Dio la storia quotidiana
il cristiano non può fare a meno di lasciarsi inondare dai sentimenti di Maria
di fronte alla bontà di Dio. Quando Dio interviene nella vita di una persona
non si può non esplodere di gioia. Lo è stato per tanti personaggi dell’antico
popolo di Israele, lo è stato per il lebbroso che è tornato a ringraziare Gesù
per aver avuto non solo la guarigione della lebbra, non solo una pelle e una
carne fresca e le mani al posto dei moncherini, ma la salvezza e la nuova
innocenza del cuore; lo è stato per il popolo dopo il passaggio del mar Rosso attraverso
il cantico di Miriam la sorella di Mosè e non poteva non esplodere nel cuore di
Maria.
Ma la cosa che
sorprende è che la gioia di Maria non è una dolce ingenuità, magari distaccata
dalla storia di ogni giorno, aerea come tanti pensano sia la preghiera, ma è un
giudizio netto sulla intera storia dell’uomo. Ha spiegato potenza, ha disperso
superbi, ha rovesciato potenti, ha innalzato umili, ha ricolmato affamati, ha
rimandato ricchi, ha soccorso Israele. Sono i sette verbi, non proprio innocui
di una visione di mondo, di uno sguardo lucido sulla storia. L’avessimo noi
oggi questa capacità di guardare i fatti della nostra vicenda contemporanea con
gli occhi di Maria! Oggi che ci si appanna la vista perché vediamo solo
superbi, potenti e ricchi vivere sfacciatamente sulla pelle degli affamati e
umili, popoli inginocchiati nella fame e umiliati nella loro dignità, non solo
ad opera di nemici, ma anche dagli odi degli stessi amici! Quel bimbo che Maria
si porta in seno ha già cominciato a riaccendere speranze. Maria aveva sognato
un mondo nuovo donato da Dio ai poveri della terra. Il popolo cui apparteneva
glielo ricordava ogni giorno in sinagoga: o cieli piovete dall’alto, o nubi
mandateci il santo…forgeranno le loro spade in vomeri le loro lance in falci…non
si eserciteranno più nell’arte della guerra.. il Signore Dio è in mezzo a te e
ti rinnoverà con il suo amore…
Ebbene, canta
Maria, quel Santo, quel Signore è qui. Questo niente che io sono, lo porta e lo
consegna alla storia. Non deliravano i nostri profeti, non cantavano ai
prigionieri per ingannarli, non ci siamo tenuti in cuore dei sogni come pietose
terapie contro la depressione, non abbiamo finto di guardare al cielo perché
incapaci di stare su questa terra, le nostre speranze non sono l’oppio dei
popoli! Non siamo stati ingenui perché ci siamo affidati a Dio e non al nasdaq
o al mibtel o alle armi intelligenti. Dio è salvatore! L’onnipotente fa grandi
cose. Il Santo è di parola, non dimentica, se ama , ama per sempre. Non c’è
ostinazione o cattiveria umana che fa tornare indietro Dio dalla sua
misericordia.
Negli occhi
velati di pianto per la morte ingiusta e violenta procurata dagli assassini di
ogni colore si può sprigionare una luce e la bocca può esprimere un canto.
A te una spada trafiggerà l’anima (Lc 2, 33-35)
A te una spada
trafiggerà l’anima. E’ l’ultima frase della saggezza di un uomo anziano, ma
capace di aspettare e resistere a tutte le difficoltà e le delusioni della
vita, una fiaccola che ha sempre tenuto acceso la speranza.
Ci sono ancora
dei vecchi saggi che non stanno tutti i giorni a lamentarsi, a piangere su
questo mondo moderno che va sempre peggio, che prendono spunto da ogni fatto di
cronaca nera per dire che siamo alla fine. Lui, invece, il vecchio Simeone va
ogni giorno al tempio e aspetta giorno dopo giorno che si avverino i suoi
sogni, i sogni del suo popolo, le attese delle generazioni che lo hanno
preceduto e della sua. E il bambino appare nel tempio: è Gesù portato da Maria
e Giuseppe. Dirà soddisfatto: ora
Signore mi puoi chiamare a te. Ho presidiato il tempio in attesa del salvatore,
i miei occhi stanchi lo hanno visto, il mio cuore è pieno di gioia, lascialo
scoppiare perché la mia vita ha raggiunto il massimo cui aspirava. Ho nel cuore
una soddisfazione impensabile. Non ho atteso invano, non ho speso inutilmente i
miei giorni a tener accesa questa fiaccola che ora è luce purissima che invade
il mondo. Il nostro popolo può uscire dalle tenebre in cui si è cacciato come
sempre, quando si allontana da te. Certo chi ti segue avrà una vita in salita,
dovrà sempre confidare solo in te e tu ci metti sempre alla prova, perché vuoi
vagliare il nostro cuore, ma ora l’attesa è finita. Lascio ai giovani di
continuare a tenere accesa la luce, perché loro vivano di speranza.
I giovani
imposteranno la vita sulla speranza, se ci sono adulti e anziani che la addita
a loro, che rimangono sempre sulla breccia, che non si piegano alla moda dei
tempi, ma sanno tenere lo sguardo vigile sui valori, anche se sembra che più
nessuno li segua. Loro devono indicare alle giovani generazioni in questa terra
spaesata che il cielo non è vuoto.
La sua
attenzione si fissa su questa giovane mamma, su questa ragazzina cresciuta in
fretta con la sua maternità, che porta il bambino e dice ancora una frase che
può raggelare, ma che Maria s’aspetta:una spada ti trafiggerà l’anima.
Tutti
ricordiamo di aver visto in qualche chiesa o in qualche processione una madonna
vestita di nero, con un fazzoletto bianco tra le mani e con una spada
conficcata nel cuore. Una scena di dolore, una sofferenza portata con dignità,
un pianto amaro in un viso non disperato. E’ l’addolorata, è la madre di Gesù
che sola rimane accanto alla croce a sentire nel suo corpo tutti i colpi di
disprezzo che infliggono a suo figlio fino all’ultimo colpo di lancia che
attesta la morte avvenuta. Quella lancia aveva già squarciato il suo cuore, era
già stata conficcata nel cuore della madre.
E’ l’immagine
di tutte le madri che hanno a cuore i propri figli, la consapevolezza elevata a
simbolo di una cura, di un legame
indissolubile tra la vicenda della propria vita e quella dei figli. Le donne
soffrono nel dare alla luce i propri figli e da quel dolore nasce un patto di
acciaio che diventa attesa, difesa, attaccamento, protezione, speranza, apprensione,
compagnia. Quello che passa in quel cuore non è di tutti. Quante volte le mamme
sono insorte contro le violenze delle guerre, dei soprusi, delle violazioni
della vita, delle sparizioni di tante vite. Se la strategia dei popoli
lasciasse di più alle madri il potere di decidere le sorti del mondo non
saremmo così crudeli e guerrafondai. L’amore di una madre è speranza di vita
come lo è stato quello incrollabile di Maria per il figlio Gesù.
Così si sarà ricordata delle
parole pronunciate dai profeti, parole come queste: “Maltrattato, si lasciò
umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello” (Is
53, 7). Ora tutto questo diventa realtà. Nel suo cuore avrà sempre custodito la
parola che l’angelo le aveva detto quando tutto cominciò: “Non temere, Maria” (Lc
1, 30). I discepoli sono fuggiti, ella non fugge. Ella sta lì, con il coraggio
della madre, con la fedeltà della madre, con la bontà della madre, e con la sua
fede, che resiste nell’oscurità: “E beata colei che ha creduto” (Lc 1, 45).
“Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc
18, 8). Sì, in questo momento egli lo sa: troverà la fede. Questa, in
quell’ora, è la sua grande consolazione.
Santa Maria, Madre del
Signore, sei rimasta fedele quando i discepoli sono fuggiti. Come hai creduto
quando l’angelo ti annunciò ciò che era incredibile - che saresti divenuta
madre dell’Altissimo - così hai creduto nell’ora della sua più grande
umiliazione. È così che, nell’ora della croce, nell’ora della notte più buia del
mondo, sei diventata Madre dei credenti, Madre della Chiesa. Ti preghiamo:
insegnaci a credere e aiutaci affinché la fede diventi coraggio di servire e
gesto di un amore che soccorre e sa condividere la sofferenza.
Ogni fatto della vita dell’uomo è
più grande della materialità con cui si avvera, apre significati più grandi e
impensati, ti fa abitare mondi più profondi e ancor più veri di quello che
percepisci con gli occhi, con i sensi, con la pelle. Pensiamo ai gesti d’amore,
di affetto, di amicizia, di relazione tra persone. Un bacio, un abbraccio, una
carezza, un sorriso non sono riducibili alla meccanica fisica con cui devono
essere compiuti. Nessuno pensa che una carezza sia solo uno sfregamento di una
mano su una guancia o un abbraccio sia solo la tenaglia di due braccia per un
corpo. C’è una intenzionalità che essi esprimono, c’è un cuore da cui sono
partiti, una volontà che li ha fatti essere che va interpretata, che va molto
oltre. I gesti tentano di rendere al meglio le volontà e i pensieri, gli
affetti e i desideri di coloro che li pongono, ma non riusciranno mai a
esprimere la profondità del cuore da cui partono. Immaginate quanto è sciocco
l’applicarsi solo alla meccanica del gesto senza curare che cosa essi
esprimono. Di fatto stiamo riducendo l’amore a meccaniche affettive e alla fine
restano solo le meccaniche senza amore. Si decide di far nascere i figli in
provetta, tanto l’amore è inesistente. Prima che l’ingegneria genetica assuma i
significati dell’amore dovremo divenire molto più profondamente umani. Questo
atteggiamento di grande ricerca e rispetto ci deve condurre nell’accogliere
questa parola di Dio.
C’è una famiglia, la nuova
famiglia che Dio ha costituito per vivere il suo piano di immedesimazione nella
vita umana, che segue la vita normale di un popolo. Dio ha sposato un popolo da
sempre, ora sposa una famiglia e con questa famiglia tutte le consuetudini
caratteristiche che la fanno appartenere pienamente a esso. Una famiglia ebrea
aveva nel suo DNA la celebrazione della Pasqua. I bambini ogni anno
partecipavano alla cena pasquale e, curiosi come sono, hanno sempre riempito i
gesti solenni e incomprensibili dei genitori di insistenti perché. Quando i
tuoi figli ti chiederanno che cosa è questa cena, perché mangiamo in piedi,
perché la mamma non ha messo il lievito nella farina… tu risponderai è il
passaggio del Signore che ci viene a liberare come quella notte...
Ebbene Gesù a dodici anni, prima
che scatti il tredicesimo che lo iscriveva al mondo adulto partecipa coi suoi
genitori al pellegrinaggio verso Gerusalemme. Abbiamo in mente che cosa è
successo. Il solito incidente delle gite: si sarà fermato all’autogrill, sarà
con suo padre, chi riesce a star dietro a questi ragazzi di oggi, svegli,
spesso indisciplinati, incapaci di stare un po’ con i propri genitori, sempre a
giocare e a fare scherzi. Tornano a casa sempre sudati e sporchi, quando non
laceri e contusi. Disperazione sul volto dei genitori, ansia, ricerca
spasmodica; chi è l’ultimo che l’ha visto, dove era? Poi il cammino a ritroso,
il ritrovamento, lo stupore. Il ritrovato è sempre più calmo di quanto si
pensi, non immagina il dolore provocato, è concentrato sulla sua avventura E
Gesù sta insegnando ai dottori del tempio. Quattro parole dette tra i denti,
due dette davanti a tutti e una affermazione solenne, troppo solenne di Gesù
chiudono l’incidente. Il ritorno a Nazaret fa balenare la ripresa di una vita
di famiglia normale, che aveva avuto in questo episodio uno squarcio di mistero.
Non compresero.
Maria qui appare la persona che
domina gli avvenimenti, che piega la storia del piccolo gruppo di pellegrini al
suo centro, che non era Gerusalemme, ma Gesù. Potremmo dire una famiglia come
tutti, con i problemi di tutti, con al centro Gesù, il mistero che si rivela.
Ma saremmo poco fedeli alla
Parola ascoltata se ci fermassimo a questa interpretazione; L’intenzione
dell’evangelista Luca non è quella del corrispondente del Corriere della sera
che deve narrare della fuga del solito adolescente, rintracciato alla stazione
tutto dolorante e pentito e contento dell’intervista che lo fa apparire in TV e
che gli risparmia qualche ceffone dai genitori, con un finale bello che può
intenerire i lettori. E’ l’evangelista del racconto dei due discepoli di
Emmaus; anche là non narrava solo la gita fuori porta di due amici, col morale
ai tacchi e con nel cuore la pietra tombale dell’ormai suggellata sulla tomba
del crocifisso, ma parlava del cammino di accoglienza del Risorto che ogni
cristiano avrebbe dovuto fare da quel momento in poi.
Così anche qui. Il numero tre dei
giorni di assenza di Gesù è troppo uguale al numero tre dei giorni del suo
permanere nella tomba; la ricerca appassionata e carica di tensione di Maria è
troppo simile alla ricerca col cuore in gola di Pietro e Giovanni e al pianto
sconsolato di Maria di Magdala. L’angoscia di Maria è l’angoscia delle donne al
sepolcro.
Gesù era rimasto a Gerusalemme.
Sappiamo tutti che un modo di dire così indica che Gesù è deciso a fare di Gerusalemme
il vertice della sua missione. Gesù compie il pellegrinaggio con un anno di
anticipo, anticipa con questo pellegrinaggio il desiderio che lo spingerà a
Gerusalemme per mangiare la sua Pasqua. Il ritrovamento è immagine precisa
della scoperta di lui risorto. Infatti lo trovano seduto, un verbo che, mentre
fotografa una posizione fisica, definisce una funzione che gli spetta dopo la
morte e la risurrezione; si siederà alla destra di Dio. E’ nell’atto di
insegnare come spetta al Signore del cielo e della terra. E’ lui la sapienza,
lui la riposta, lui ancora che spiega le scritture in virtù della sua
consacrazione nella morte e risurrezione. Qui tra i dottori anticipa il suo
stato futuro.
E Maria quando lo vede gli
racconta tutta la sua ansia, la sua ricerca, il suo affanno, il suo non capire,
proprio come i discepoli di Emmaus. E tra le prime parole di Gesù che ci sono
riferite nei vangeli appare la bellissima parola: padre, abbà. E’ venuto al
mondo per questo, per dirci che Dio è Padre.
Il quadro allora si ricompone, lo
smarrimento e il ritrovamento sono figura di una morte e una risurrezione, di
un futuro certo.
Maria non ha capito ancora tutto il futuro di Gesù,
come è difficile per noi entrare nel suo ordine nuovo di idee, di sentimenti,
di slanci e di azioni, ma ci indica la strada da percorrere. Stanno con Gesù, e
custodisce ogni parola come un seme. E’ quel seme che viene gettato
larghissimamente dal seminatore e che trova nel cuore di Maria, come nel cuore
di ogni uomo, la possibilità di svilupparsi. In Maria si è sviluppato al cento
per cento. Ora lei scompare nella vita quotidiana della santa famiglia. Lì il
Signore ha imparato a essere abbracciato e baciato, allattato e amato, a
toccare e parlare, giocare, camminare e lavorare, a condividere i minuti, le
ore, le notti e i giorni, le feste, le stagioni, gli anni, le attese, le
fatiche e l’amore dell’uomo. Lì ha ascoltato le parole della Torah, della
legge, le preghiere a Dio, di cui non si poteva pronunciare il nome e che lui
sentiva come papà. A Nazaret Gesù accanto a Maria ha imparato a essere uomo.
L’artefice della sua formazione umana è stata Maria, come ogni donna nella vita
del popolo ebreo.
Noi come Lei ora conserviamo ogni
Parola di Gesù gelosamente non per farcene un possesso, ma per caricarlo della
forza di un dono che dobbiamo e ci impegniamo a portare a tutti.
Maria sotto la croce
e nel Cenacolo (Gv 19, 25-27)
25 Stavano
presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e
Maria di Màgdala. 26 Gesù
allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse
alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio! ”. 27 Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre! ”. E da
quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Il dolore
cercano di nasconderlo tutti, la morte pure, la malattia è una privacy
assoluta. E’ spesso un vero pudore, perché la sofferenza non è da mettere in
piazza, ma spesso è mancanza di coraggio nell’affrontare i nostri mali. Vivere
il dolore in compagnia è già una decisione di non soccombere. I cattolici hanno
da sempre rappresentato davanti a sé il dolore. Ci hanno messo qualche secolo
per poter contemplare il Crocifisso, ma oggi è al centro di ogni chiesa, è
obbligatorio in ogni celebrazione eucaristica e le chiese dedicate alla Madonna
Addolorata sono tante. Perché è importante contemplare in chi ci ha preceduto
la sofferenza sopportata con coraggio e vinta per trovare e invocare forza per
sopportare e vincere le nostre.
Il nostro
sguardo al Calvario è sempre pieno di domande: Dove è che Dio ha spiegato
potenza, disperso superbi, rovesciato potenti, innalzato umili, rimandato
ricchi? Qui sta avvenendo tutto il contrario. E la Madonna del magnificat è lì.
C’era la madre di Gesù come a Cana, come sempre nei momenti cruciali della storia
della salvezza. Ne era passato di tempo, ne avevano macinato di kilometri Gesù
e il suo gruppo. Ora sembra tutto sia finito. Lì sul Calvario ci sono tre
sofferenze, tre cuori che si cercano tra due criminali e qualche militare: sono
l’ultima casa impossibile che è rimasta alla speranza.
Dice la Evangelii Gaudium: “Sulla croce, quando
Cristo soffriva nella sua carne il drammatico incontro tra il peccato del mondo
e la misericordia divina, poté vedere ai suoi piedi la presenza consolante
della Madre e dell’amico. In quel momento cruciale, prima di dichiarare
compiuta l’opera che il Padre gli aveva affidato, Gesù disse a Maria: « Donna,
ecco tuo figlio! ».
Poi disse all’amico amato: « Ecco tua madre! » (Gv 19,26-27). Queste parole
di Gesù sulla soglia della morte non esprimono in primo luogo una
preoccupazione compassionevole verso sua madre, ma sono piuttosto una formula
di rivelazione che manifesta il mistero di una speciale missione salvifica.
Gesù ci lasciava sua madre come madre nostra. Solo dopo aver fatto questo Gesù
ha potuto sentire che « tutto era compiuto » (Gv 19,28). Ai piedi della
croce, nell’ora suprema della nuova creazione, Cristo ci conduce a Maria. Ci
conduce a Lei perché non vuole che camminiamo senza una madre, e il popolo
legge in quell’immagine materna tutti i misteri del Vangelo”.
C’è Gesù che possiede ancora un tesoro prezioso,
non si sente solo, ha ancora qualcosa, qualcuno da donare. Sente la dolcezza e
la tragica dedizione di sua madre. E’ più solo invece Giovanni, nella sua
giovinezza, nel suo slancio, nella sua ingenuità di sognatore: ha bisogno di
una madre per non smettere di sognare vita e salvezza. Figlio ecco tua madre.
Quanto è confortante sentirti dire: qui c’è tua madre.Quando la nostra croce o quella che vediamo sulle spalle degli altri risulta troppo pesante, guarda che qui c’è tua madre
Se la tentazione è forte, qui c’è tua madre
Se la disillusione è dolorosa, qui c’è tua madre
Se la solitudine è insopportabile e l’incomprensione ti disorienta, qui c’è tua madre
Se la scelta del tuo futuro è difficile e lo vedi oscurato, qui c’è tua madre
Se la fame e l’ingiustizia, la paura e la violenza minacciano di spegnerti la speranza, qui c’è tua madre
Se i tuoi occhi non scorgono più la bellezza della vita, qui c’è tua madre
Se la guerra ti toglie anche l’ultima illusione di un mondo nuovo, qui c’è tua madre
Se l’incanto del virtuale ti distrae dalla vita vera e te la deforma, qui c’è tua madre
Se non riesci a deciderti di fare della tua vita un dono a una persona come te, per sempre, senza tentennamenti, contro tutte le tentazioni di ritornare a casa tua, qui c’è tua madre.
Maria è una grande consolazione, è una certezza, è un rifugio sicuro, è un punto di riferimento, è un approdo.
Ma Gesù non ha ancora terminato di offrire pace e
salvezza. Ha un desiderio da esprimere a sua madre: donna ecco tuo figlio. E’
una preghiera a sua madre per Giovanni, per ogni giovane. Lui conosce lo
smarrimento dei giovani e lo affida a sua madre
Quando non riescono ad ascoltare il Signore nel silenzio della preghiera e
ad accoglierlo nella povertà, madre sono tuoi figliQuando non riescono a scoprire il Signore nei poveri e a servirlo, madre sono tuoi figli
Quando non sanno impegnarsi a fondo in famiglia, nello studio, nel lavoro, madre sono tuoi figli
Quando non hanno il coraggio di vendere tutto, darlo ai poveri e seguire radicalmente il Signore, madre sono sempre tuoi figli.
Quando si lasciano smarrire nei meandri della droga, della delinquenza, dello sballo, madre sono tuoi figli
Quando si sposano e tentano di costruirsi un futuro e non
sono capaci di amarsi, madre sono tuoi figli
Quando nella loro vita di giovani sposi non hanno più vino,
non sanno più sorridere, hanno perso la gioia della vita, credono di adattarsi
a vivere a pane e acqua, madre sono tuoi figli.
E’ questo il
testamento di Gesù, è questo che arricchisce la nostra riflessione. Noi siamo
presi in affido da Maria, e la vogliamo custodire perché Gesù ce l’ha donata
proprio nel momento della morte, nell’offerta di sé fino all’ultima goccia di
sangue. E siccome in ogni messa si rinnova quel dono supremo, noi sappiamo che
ai piedi di questo altare ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia c’è Maria che si sente dire da Gesù: sono tuoi
figli e noi siamo confortati perché Gesù ci ripete: qui c’è tua madre.
E
qui anche per Lei si rinnova il prodigio della vittoria di Gesù sul male. Il
demonio, dice San Giovanni Crisostomo, ha perso con le sue stesse armi: la
vergine, il legno e la morte. La vergine, era Eva, perché non si era ancora
unita all'uomo ; il legno, era l'albero ; e la morte, la pena in cui
era incorso Adamo. Ma ecco, in compenso, la vergine, il legno e la morte, quei
simboli della disfatta, diventare i simboli della vittoria. Invece di Eva,
Maria ; invece del legno della conoscenza del bene e del male, il legno
della Croce ; invece della morte di Adamo, la morte di Cristo. Che si è trasformata
in
risurrezione.
“Con lo Spirito Santo, in mezzo
al popolo sta sempre Maria. Lei radunava i discepoli per invocarlo (At
1,14), e così ha reso possibile l’esplosione missionaria che avvenne a
Pentecoste. Lei è la Madre della Chiesa evangelizzatrice e senza di lei non
possiamo comprendere pienamente lo spirito della nuova evangelizzazione” (EG)
II. Maria, la Madre dell’evangelizzazione
Nel
capitolo finale della Evangelii gaudium di papa Francesco c’è un condensato
della presenza di Maria nella vita delle chiesa e nel cammino di nuova
evangelizzazione che si deve prendere. E’ La stella della evangelizzazione che
non si può fare se non in sua compagnia.
284. “Con
lo Spirito Santo, in mezzo al popolo sta sempre Maria. Lei radunava i discepoli
per invocarlo (At 1,14), e così
ha reso possibile l’esplosione missionaria che avvenne a Pentecoste. Lei è la
Madre della Chiesa evangelizzatrice e senza di lei non possiamo comprendere
pienamente lo spirito della nuova evangelizzazione
Il dono di Gesù al suo popolo
285. Sulla
croce, quando Cristo soffriva nella sua carne il drammatico incontro tra il
peccato del mondo e la misericordia divina, poté vedere ai suoi piedi la
presenza consolante della Madre e dell’amico. In quel momento cruciale, prima
di dichiarare compiuta l’opera che il Padre gli aveva affidato, Gesù disse a
Maria: « Donna, ecco tuo figlio! ». Poi disse all’amico amato: « Ecco tua madre! » (Gv 19,26-27). Queste parole di Gesù sulla soglia della morte non
esprimono in primo luogo una preoccupazione compassionevole verso sua madre, ma
sono piuttosto una formula di rivelazione che manifesta il mistero di una
speciale missione salvifica. Gesù ci lasciava sua madre come madre nostra. Solo
dopo aver fatto questo Gesù ha potuto sentire che « tutto
era compiuto » (Gv 19,28). Ai piedi della croce,
nell’ora suprema della nuova creazione, Cristo ci conduce a Maria. Ci conduce a
Lei perché non vuole che camminiamo senza una madre, e il popolo legge in
quell’immagine materna tutti i misteri del Vangelo. Al Signore non piace
che manchi alla sua Chiesa l’icona femminile. Ella, che lo generò con tanta
fede, accompagna pure « il resto della sua discendenza, […] quelli che osservano i
comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù » (Ap
12,17). L’intima connessione tra Maria, la Chiesa e ciascun fedele, in quanto,
in modi diversi, generano Cristo, è stata magnificamente espressa dal Beato
Isacco della Stella: « Nelle Scritture divinamente ispirate, quello che si
intende in generale della Chiesa, vergine e madre, si intende in particolare
della Vergine Maria […] Si può parimenti dire che ciascuna anima fedele è sposa
del Verbo di Dio, madre di Cristo, figlia e sorella, vergine e madre feconda
[…]. Cristo rimase nove mesi nel seno di Maria, rimarrà nel tabernacolo della
fede della Chiesa fino alla consumazione dei secoli; e, nella conoscenza e
nell’amore dell’anima fedele, per i secoli dei secoli ».[212]
286. Maria è colei che sa trasformare una grotta
per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di
tenerezza. Lei è la piccola serva del Padre che trasalisce di gioia nella lode.
È l’amica sempre attenta perché non venga a mancare il vino nella nostra vita. È colei che ha il cuore trafitto dalla
spada, che comprende tutte le pene. Quale madre di tutti, è segno di
speranza per i popoli che soffrono i dolori del parto finché non germogli la
giustizia. È la missionaria che si avvicina a noi per accompagnarci nella vita,
aprendo i cuori alla fede con il suo affetto materno. Come una vera madre,
cammina con noi, combatte con noi, ed effonde incessantemente la vicinanza
dell’amore di Dio. Attraverso le varie devozioni mariane, legate generalmente
ai santuari, condivide le vicende di ogni popolo che ha ricevuto il Vangelo, ed
entra a far parte della sua identità storica. Molti genitori cristiani chiedono
il Battesimo per i loro figli in un santuario mariano, manifestando così
la fede nell’azione materna di Maria che genera nuovi figli per Dio. È lì, nei
santuari, dove si può osservare come Maria riunisce attorno a sé i figli che
con tante fatiche vengono pellegrini per vederla e lasciarsi guardare da Lei.
Lì trovano la forza di Dio per sopportare le sofferenze e le stanchezze della
vita. Come a san Juan Diego, Maria offre loro la carezza della sua consolazione
materna e dice loro: « Non si turbi il tuo cuore […] Non ci sono qui io, che son
tua Madre? ».[213]
La Stella della nuova evangelizzazione
287. Alla Madre del Vangelo vivente chiediamo che
interceda affinché questo invito a una nuova tappa dell’evangelizzazione venga
accolta da tutta la comunità ecclesiale. Ella è la donna di fede, che cammina
nella fede,[214] e « la sua eccezionale peregrinazione
della fede rappresenta un costante punto di riferimento per la Chiesa ».[215] Ella si è lasciata condurre dallo Spirito,
attraverso un itinerario di fede, verso un destino di servizio e fecondità. Noi
oggi fissiamo lo sguardo su di lei, perché ci aiuti ad annunciare a tutti il
messaggio di salvezza, e perché i nuovi discepoli diventino operosi
evangelizzatori.[216] In questo pellegrinaggio di evangelizzazione non
mancano le fasi di aridità, di nascondimento e persino di una certa fatica,
come quella che visse Maria negli anni di Nazaret, mentre Gesù cresceva: « È
questo l’inizio del Vangelo, ossia della buona, lieta novella. Non è difficile,
però, notare in questo inizio una particolare fatica del cuore, unita a una
sorta di « notte
della fede »
– per usare le parole di san Giovanni della Croce – , quasi un « velo »
attraverso il quale bisogna accostarsi all’Invisibile e vivere nell’intimità
col mistero. È infatti in questo modo che Maria, per molti anni, rimase
nell’intimità col mistero del suo Figlio, e avanzava nel suo itinerario di fede ».[217]
288. Vi è uno stile mariano nell’attività
evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni
volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della
tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non
sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli
altri per sentirsi importanti. Guardando a lei scopriamo che colei che lodava
Dio perché « ha
rovesciato i potenti dai troni » e « ha rimandato i ricchi a mani vuote » (Lc 1,52.53) è
la stessa che assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia. È
anche colei che conserva premurosamente « tutte queste cose, meditandole nel
suo cuore »
(Lc 2,19). Maria sa riconoscere le orme dello Spirito di Dio nei grandi
avvenimenti ed anche in quelli che sembrano impercettibili. È contemplativa del
mistero di Dio nel mondo, nella storia e nella vita quotidiana di ciascuno e di
tutti. È la donna orante e lavoratrice a Nazaret, ed è anche nostra Signora
della premura, colei che parte dal suo villaggio per aiutare gli altri « senza
indugio »
(Lc 1,39). Questa dinamica di
giustizia e di tenerezza, di contemplazione e di cammino verso gli altri, è ciò
che fa di lei un modello ecclesiale per l’evangelizzazione. Le chiediamo che con la sua preghiera
materna ci aiuti affinché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per
tutti i popoli e renda possibile la nascita di un mondo nuovo. È il Risorto
che ci dice, con una potenza che ci riempie di immensa fiducia e di fermissima
speranza: « Io
faccio nuove tutte le cose » (Ap 21,5). Con Maria avanziamo fiduciosi verso
questa promessa, e diciamole:
aiutaci a dire il nostro “sì”
nell’urgenza, più imperiosa che mai,di far risuonare la Buona Notizia di Gesù.
Tu, ricolma della presenza di Cristo,
hai portato la gioia a Giovanni il Battista,
facendolo esultare nel seno di sua madre.
Tu, trasalendo di giubilo,
hai cantato le meraviglie del Signore.
Tu, che rimanesti ferma davanti alla Croce
con una fede incrollabile,
e ricevesti la gioiosa consolazione della risurrezione,
hai radunato i discepoli nell’attesa dello Spirito
perché nascesse la Chiesa evangelizzatrice.
Ottienici ora un nuovo ardore di risorti
per portare a tutti il Vangelo della vita
che vince la morte.
Dacci la santa audacia di cercare nuove strade
perché giunga a tutti
il dono della bellezza che non si spegne.
Tu, Vergine dell’ascolto e della contemplazione,
madre dell’amore, sposa delle nozze eterne,
intercedi per la Chiesa, della quale sei l’icona purissima,
perché mai si rinchiuda e mai si fermi
nella sua passione per instaurare il Regno.
Stella della nuova evangelizzazione,
aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,
perché la gioia del Vangelo
giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva
della sua luce.
Madre del Vangelo vivente,
sorgente di gioia per i
piccoli,prega per noi.
Amen. Alleluia.
FRANCISCUS
Dato a Roma, presso San Pietro,
alla chiusura dell’Anno della fede, il 24 novembre, Solennità di N. S. Gesù
Cristo Re dell’Universo, dell’anno 2013, primo del mio Pontificato.
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