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giovedì 19 dicembre 2013

Maria da contemplare e da amare


Riflessione su alcuni quadri del vangelo in cui ci viene presentata Maria
di mons. Domenico Sigalini

L’annunciazione
Non c’è assurdità che non possa essere vissuta con naturalezza, dice un deportato di Auschwitz, tanto è pervasivo il male nella nostra esistenza. Ci siamo talmente abituati che per sperare nella felicità dobbiamo ritenere che il male è naturale. Siamo abituati alle ingiustizie, al sopruso, al terrorismo e alla guerra. Nella filigrana di ogni nostro comportamento tesse la trama l’ombra del male. Nessuno si può chiamare fuori, anche dentro di te nascono doppi pensieri di cui ti vergogni, istinti, propensioni, sentimenti che assomigliano più alla vendetta che al ristabilimento della giustizia. Mi ha sempre, fatto meraviglia leggere nella Bibbia le infinite invocazioni a Dio perché ci liberi dal male, non ci induca in tentazione ci salvi. Ma da che cosa? ci si dice spesso nella nostra ingenuità. La nostra vita non riesce a trovarsi da sola una strada del politicamente corretto? Non siamo forse in grado di vivere un galateo condiviso, se non in tutto il mondo almeno in qualche nostra piccola comunità gruccia?
Non è possibile. Il male è più forte di noi ed esercita un implacabile contagio, fin dalle nostre origini. “E fece quel che è male agli occhi del Signore, imitando i suoi Padri”. La catena è appesa agli inizi della storia dell’umanità. È storia di sforzi titanici di bontà, ma di continue sconfitte e prevaricazioni.
Ma nel buio più fitto si apre uno squarcio di luce.
Passano sei mesi dagli eventi che hanno visto il vecchio Zaccaria restare incantato nel tempio:
la gente dà lode a Dio e comincia a non sentirsi più abbandonata. Dio ci sta visitando, si sta ricordando di noi. Sono finiti gli anni del pesante silenzio di Dio. Certo la sua Parola è sempre stata tra noi. Ogni sabato in sinagoga la andiamo ad ascoltare, il contesto però è di decadenza, ci sembra di essere tornati ai tempi prima di Samuele. Dio non si faceva sentire da troppo. Ma questo fatto del vecchio Zaccaria è proprio una novità. E il nuovo continua ed esplode. Stavolta è Maria, una giovanissima ragazza ebrea che viene chiamata in causa. Quel che è capitato a sua cugina Elisabetta è troppo bello! È troppo sorprendente! Che sia venuto il tempo del messia? Che finalmente Dio da par suo faccia risplendere qualcosa a Gerusalemme? Là Zaccaria ha avuto una visione e là Dio ci darà ancora segni. Invece no! Non è a Gerusalemme che Dio pensa, ma a questo insignificante gruppo di case, a questo villaggio sconosciuto della Galilea. Stiamo lentamente arrivando a capire lo stile di Dio: la debolezza dell’uomo è la sua forza.

Qui c’è Maria, all’apparenza una ragazza buonissima e bravissima, tutta tesa a progettare il suo futuro tanto che già pensa di accasarsi con Giuseppe, ma in verità Maria è un sogno di Dio, anzi il sogno di Dio. Pensata da sempre, pura da sempre, ombra di peccato non ha, non sta incatenata nella fila del contagio del male. Dio l’ha nella sua mente da sempre, ma l’ha pensata libera: ha la bellezza di un diamante, ma è viva; ha lo splendore di un capolavoro, ma non è una statua, è una persona. E Dio di fronte alla libertà della persona umana ha un debole: non la tocca, non la toglie, non la riduce, ma la esalta sempre. Questo grande rispetto della libertà dell’uomo gli costerà la passione e la morte di Gesù, gli costa ogni giorno il cumulo di sofferenze degli uomini, gli odi, le guerre, i terrorismi, le ritorsioni, il male nella sua oscurità.
Ebbene Dio manda un angelo a Maria: và e chiedile la libertà massima di diventare Madre di Gesù: Sono Dio, ma voglio aver bisogno di una Madre. E’ una ragazzina ebrea della Palestina, piena di gioia e tesa al futuro, l’immagine di una speranza dura come il diamante, che non può essere scalfito da niente. Questa ragazzina si sente dire: “Tu non sei come tutti gli uomini e donne di questa storia, tu non sei toccata dall’implacabile contagio del peccato, tu non appartieni a questa catena del male che ammorba l’umanità. Tu sei piena di grazia, il Signore è con te”.
 Non era un’isola, ma un principio; non era soprattutto un’eccezione, ma l’inizio di una storia nuova. Era ed è la madre di Gesù; l’impensabile, assurdo, per il nostro balbettare, contenitore della pienezza di Dio.
È il segno che la nostra storia di male non è definitiva. Anzi è iniziato un altro invincibile contagio quello del bene.
E Maria la libertà la gioca tutta. La fede che Dio ci dona non ci chiede di mandare all’ammasso la nostra vita. Dio ci chiede sempre atti onesti intellettualmente e sensati umanamente. Maria non risponde, ma si domanda. Anche lei è sconvolta come Zaccaria, ma non dice ormai. Non chiude la strada, offre la sua per quello che è perché Dio la abiti. La sua domanda non è un momento di incertezza, ma lo spazio della decisione della sua libertà. L’eterno disegno di Dio è appeso a un filo di libertà. L’imperatore Augusto, che calca la scena del mondo nella stessa epoca, non appendeva a nessun filo il suo impero, ma lo calcolava e lo imponeva. Visti in seguito anche a distanza di qualche secolo, l’impero romano e il regno predicato da Gesù di Nazareth non si potevano paragonare tanta era l’imponenza e la vastità di Roma e la insignificanza dei seguaci di Cristo. Ma i tempi di Dio sono diversi dai nostri. I regni umani crescono e spariscono; anche oggi l’esercito più potente del mondo, il terrore più devastante della terra sono neve, solo neve, al sole del regno di Dio, ma noi non impariamo mai niente dalla storia!
Ebbene Dio e Maria si stanno chiedendo e promettendo la mano come due fidanzati, se non suonasse irriverente il paragone. E’ interessante ascoltare ciò che dice nella sua sfacciata concretezza S. Bernardo davanti a questo spazio di libertà. “…O vergine dà presto la tua risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo.. perché tardi? Perché temi?.. Te ne supplica in pianto vergine pia Adamo, te ne supplicano i patriarchi… tutto il mondo è in attesa.. dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la liberazione dei condannati…Ecco colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti batte fuori alla porta.. Levati, corri, apri.
Eccomi, dice, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che tu hai detto. E’ una esplosione di gioia nei cieli. Là si cominciano a preparare gli angeli per il canto della notte di Natale. La vita anche per Maria sarà in salita. La libertà così giocata non l’ha collocata nell’area del privilegio, ma della fede. Per Maria è la sua fede in Dio la prima grandezza, per noi è l’essere diventata Madre.
L’ultimo versetto del racconto della annunciazione è: e l’angelo si allontanò da lei. L’angelo se ne va proprio quando ne avrebbe bisogno
·         per confermare a lei stessa la verità di quell’incontro, indeducibile, inimmaginabile, dolce, irruento. per spiegare ad Anna, a Gioacchino cosa le stava accadendo.
·         Per dire a Giuseppe, sposo profondamente amato, sposo che l’amava teneramente, che quel Figlio che le sbocciava in grembo non era il frutto di un tradimento ma il frutto della più alta fedeltà che un uomo potesse vivere e immaginare.
·         Ne avrebbe bisogno per tenerle alta la testa di fronte agli sguardi curiosi (maligni?) delle vicine di casa che l’avrebbero vista ingrossarsi, che non avrebbero potuto trattenersi dal commentare mormorando e sorridendo.
·         Per difenderla da una legge che la chiamava a rispondere della propria verginità e della propria fedeltà di fronte a Dio e di fronte agli uomini, pena una pioggia di sassi che l’avrebbe inchiodata a terra, lei e il suo Figlio.

Maria  resta sola, come capita alla nostra umanità e alla nostra fede. E’ la solitudine non disperata, ma difficile di ogni credente e lo sarà poi di ogni cristiano. E’ quella solitudine nel profondo della nostra coscienza in cui nessuno può entrare e che nessuno può violare: soli con il nostro Dio, soli a dire il nostro sì, a godere di questa compagnia intima e non disponibile a baratti, a incursioni esterne: grande forza e grande solitudine. Maria resta sola con la certezza che quelle parole generavano in lei qualcosa di più di un buon pensiero. Generavano il lei il corpo, il sangue, l’anima di colui che tutta la storia stava attendendo.

Il Magnificat

L’incontro di Maria ed Elisabetta, le due gestanti che portano in grembo la nuova storia dell’umanità, offre al mondo un’altra sorpresa: è un canto, un inno, una sinfonia, una esplosione di lode e gioia. Lo conosciamo tutti come il Magnificat. Da allora ogni giorno nella Chiesa tutti lo cantano sul far della sera: nella pace dei monasteri, nella penombra dei conventi, nelle chiese più antiche dei nostri borghi o più nuove delle periferie delle nostre città; dovunque c’è un prete, magari già assonnato e stanco per il lavoro e la dispersione della giornata o una famiglia che fa della lode della Chiesa il suo ritmo, a sera si recita il Magnificat. Nell’affidare a Dio la storia quotidiana il cristiano non può fare a meno di lasciarsi inondare dai sentimenti di Maria di fronte alla bontà di Dio. Quando Dio interviene nella vita di una persona non si può non esplodere di gioia. Lo è stato per tanti personaggi dell’antico popolo di Israele, lo è stato per il lebbroso che è tornato a ringraziare Gesù per aver avuto non solo la guarigione della lebbra, non solo una pelle e una carne fresca e le mani al posto dei moncherini, ma la salvezza e la nuova innocenza del cuore; lo è stato per il popolo dopo il passaggio del mar Rosso attraverso il cantico di Miriam la sorella di Mosè e non poteva non esplodere nel cuore di Maria.
Ma la cosa che sorprende è che la gioia di Maria non è una dolce ingenuità, magari distaccata dalla storia di ogni giorno, aerea come tanti pensano sia la preghiera, ma è un giudizio netto sulla intera storia dell’uomo. Ha spiegato potenza, ha disperso superbi, ha rovesciato potenti, ha innalzato umili, ha ricolmato affamati, ha rimandato ricchi, ha soccorso Israele. Sono i sette verbi, non proprio innocui di una visione di mondo, di uno sguardo lucido sulla storia. L’avessimo noi oggi questa capacità di guardare i fatti della nostra vicenda contemporanea con gli occhi di Maria! Oggi che ci si appanna la vista perché vediamo solo superbi, potenti e ricchi vivere sfacciatamente sulla pelle degli affamati e umili, popoli inginocchiati nella fame e umiliati nella loro dignità, non solo ad opera di nemici, ma anche dagli odi degli stessi amici! Quel bimbo che Maria si porta in seno ha già cominciato a riaccendere speranze. Maria aveva sognato un mondo nuovo donato da Dio ai poveri della terra. Il popolo cui apparteneva glielo ricordava ogni giorno in sinagoga: o cieli piovete dall’alto, o nubi mandateci il santo…forgeranno le loro spade in vomeri le loro lance in falci…non si eserciteranno più nell’arte della guerra.. il Signore Dio è in mezzo a te e ti rinnoverà con il suo amore…
Ebbene, canta Maria, quel Santo, quel Signore è qui. Questo niente che io sono, lo porta e lo consegna alla storia. Non deliravano i nostri profeti, non cantavano ai prigionieri per ingannarli, non ci siamo tenuti in cuore dei sogni come pietose terapie contro la depressione, non abbiamo finto di guardare al cielo perché incapaci di stare su questa terra, le nostre speranze non sono l’oppio dei popoli! Non siamo stati ingenui perché ci siamo affidati a Dio e non al nasdaq o al mibtel o alle armi intelligenti. Dio è salvatore! L’onnipotente fa grandi cose. Il Santo è di parola, non dimentica, se ama , ama per sempre. Non c’è ostinazione o cattiveria umana che fa tornare indietro Dio dalla sua misericordia.
Negli occhi velati di pianto per la morte ingiusta e violenta procurata dagli assassini di ogni colore si può sprigionare una luce e la bocca può esprimere un canto.

A te una spada trafiggerà l’anima (Lc 2, 33-35)
A te una spada trafiggerà l’anima. E’ l’ultima frase della saggezza di un uomo anziano, ma capace di aspettare e resistere a tutte le difficoltà e le delusioni della vita, una fiaccola che ha sempre tenuto acceso la speranza.
Ci sono ancora dei vecchi saggi che non stanno tutti i giorni a lamentarsi, a piangere su questo mondo moderno che va sempre peggio, che prendono spunto da ogni fatto di cronaca nera per dire che siamo alla fine. Lui, invece, il vecchio Simeone va ogni giorno al tempio e aspetta giorno dopo giorno che si avverino i suoi sogni, i sogni del suo popolo, le attese delle generazioni che lo hanno preceduto e della sua. E il bambino appare nel tempio: è Gesù portato da Maria e Giuseppe. Dirà soddisfatto:  ora Signore mi puoi chiamare a te. Ho presidiato il tempio in attesa del salvatore, i miei occhi stanchi lo hanno visto, il mio cuore è pieno di gioia, lascialo scoppiare perché la mia vita ha raggiunto il massimo cui aspirava. Ho nel cuore una soddisfazione impensabile. Non ho atteso invano, non ho speso inutilmente i miei giorni a tener accesa questa fiaccola che ora è luce purissima che invade il mondo. Il nostro popolo può uscire dalle tenebre in cui si è cacciato come sempre, quando si allontana da te. Certo chi ti segue avrà una vita in salita, dovrà sempre confidare solo in te e tu ci metti sempre alla prova, perché vuoi vagliare il nostro cuore, ma ora l’attesa è finita. Lascio ai giovani di continuare a tenere accesa la luce, perché loro vivano di speranza.
I giovani imposteranno la vita sulla speranza, se ci sono adulti e anziani che la addita a loro, che rimangono sempre sulla breccia, che non si piegano alla moda dei tempi, ma sanno tenere lo sguardo vigile sui valori, anche se sembra che più nessuno li segua. Loro devono indicare alle giovani generazioni in questa terra spaesata che il cielo non è vuoto.
La sua attenzione si fissa su questa giovane mamma, su questa ragazzina cresciuta in fretta con la sua maternità, che porta il bambino e dice ancora una frase che può raggelare, ma che Maria s’aspetta:una spada ti trafiggerà l’anima.
Tutti ricordiamo di aver visto in qualche chiesa o in qualche processione una madonna vestita di nero, con un fazzoletto bianco tra le mani e con una spada conficcata nel cuore. Una scena di dolore, una sofferenza portata con dignità, un pianto amaro in un viso non disperato. E’ l’addolorata, è la madre di Gesù che sola rimane accanto alla croce a sentire nel suo corpo tutti i colpi di disprezzo che infliggono a suo figlio fino all’ultimo colpo di lancia che attesta la morte avvenuta. Quella lancia aveva già squarciato il suo cuore, era già stata conficcata nel cuore della madre.
E’ l’immagine di tutte le madri che hanno a cuore i propri figli, la consapevolezza elevata a simbolo di una cura, di un  legame indissolubile tra la vicenda della propria vita e quella dei figli. Le donne soffrono nel dare alla luce i propri figli e da quel dolore nasce un patto di acciaio che diventa attesa, difesa, attaccamento, protezione, speranza, apprensione, compagnia. Quello che passa in quel cuore non è di tutti. Quante volte le mamme sono insorte contro le violenze delle guerre, dei soprusi, delle violazioni della vita, delle sparizioni di tante vite. Se la strategia dei popoli lasciasse di più alle madri il potere di decidere le sorti del mondo non saremmo così crudeli e guerrafondai. L’amore di una madre è speranza di vita come lo è stato quello incrollabile di Maria per il figlio Gesù.
Così si sarà ricordata delle parole pronunciate dai profeti, parole come queste: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello” (Is 53, 7). Ora tutto questo diventa realtà. Nel suo cuore avrà sempre custodito la parola che l’angelo le aveva detto quando tutto cominciò: “Non temere, Maria” (Lc 1, 30). I discepoli sono fuggiti, ella non fugge. Ella sta lì, con il coraggio della madre, con la fedeltà della madre, con la bontà della madre, e con la sua fede, che resiste nell’oscurità: “E beata colei che ha creduto” (Lc 1, 45). “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8). Sì, in questo momento egli lo sa: troverà la fede. Questa, in quell’ora, è la sua grande consolazione.
Santa Maria, Madre del Signore, sei rimasta fedele quando i discepoli sono fuggiti. Come hai creduto quando l’angelo ti annunciò ciò che era incredibile - che saresti divenuta madre dell’Altissimo - così hai creduto nell’ora della sua più grande umiliazione. È così che, nell’ora della croce, nell’ora della notte più buia del mondo, sei diventata Madre dei credenti, Madre della Chiesa. Ti preghiamo: insegnaci a credere e aiutaci affinché la fede diventi coraggio di servire e gesto di un amore che soccorre e sa condividere la sofferenza.

Maria regina della famiglia (Luca 2, 41-52)
Ogni fatto della vita dell’uomo è più grande della materialità con cui si avvera, apre significati più grandi e impensati, ti fa abitare mondi più profondi e ancor più veri di quello che percepisci con gli occhi, con i sensi, con la pelle. Pensiamo ai gesti d’amore, di affetto, di amicizia, di relazione tra persone. Un bacio, un abbraccio, una carezza, un sorriso non sono riducibili alla meccanica fisica con cui devono essere compiuti. Nessuno pensa che una carezza sia solo uno sfregamento di una mano su una guancia o un abbraccio sia solo la tenaglia di due braccia per un corpo. C’è una intenzionalità che essi esprimono, c’è un cuore da cui sono partiti, una volontà che li ha fatti essere che va interpretata, che va molto oltre. I gesti tentano di rendere al meglio le volontà e i pensieri, gli affetti e i desideri di coloro che li pongono, ma non riusciranno mai a esprimere la profondità del cuore da cui partono. Immaginate quanto è sciocco l’applicarsi solo alla meccanica del gesto senza curare che cosa essi esprimono. Di fatto stiamo riducendo l’amore a meccaniche affettive e alla fine restano solo le meccaniche senza amore. Si decide di far nascere i figli in provetta, tanto l’amore è inesistente. Prima che l’ingegneria genetica assuma i significati dell’amore dovremo divenire molto più profondamente umani. Questo atteggiamento di grande ricerca e rispetto ci deve condurre nell’accogliere questa parola di Dio.

C’è una famiglia, la nuova famiglia che Dio ha costituito per vivere il suo piano di immedesimazione nella vita umana, che segue la vita normale di un popolo. Dio ha sposato un popolo da sempre, ora sposa una famiglia e con questa famiglia tutte le consuetudini caratteristiche che la fanno appartenere pienamente a esso. Una famiglia ebrea aveva nel suo DNA la celebrazione della Pasqua. I bambini ogni anno partecipavano alla cena pasquale e, curiosi come sono, hanno sempre riempito i gesti solenni e incomprensibili dei genitori di insistenti perché. Quando i tuoi figli ti chiederanno che cosa è questa cena, perché mangiamo in piedi, perché la mamma non ha messo il lievito nella farina… tu risponderai è il passaggio del Signore che ci viene a liberare come quella notte...

Ebbene Gesù a dodici anni, prima che scatti il tredicesimo che lo iscriveva al mondo adulto partecipa coi suoi genitori al pellegrinaggio verso Gerusalemme. Abbiamo in mente che cosa è successo. Il solito incidente delle gite: si sarà fermato all’autogrill, sarà con suo padre, chi riesce a star dietro a questi ragazzi di oggi, svegli, spesso indisciplinati, incapaci di stare un po’ con i propri genitori, sempre a giocare e a fare scherzi. Tornano a casa sempre sudati e sporchi, quando non laceri e contusi. Disperazione sul volto dei genitori, ansia, ricerca spasmodica; chi è l’ultimo che l’ha visto, dove era? Poi il cammino a ritroso, il ritrovamento, lo stupore. Il ritrovato è sempre più calmo di quanto si pensi, non immagina il dolore provocato, è concentrato sulla sua avventura E Gesù sta insegnando ai dottori del tempio. Quattro parole dette tra i denti, due dette davanti a tutti e una affermazione solenne, troppo solenne di Gesù chiudono l’incidente. Il ritorno a Nazaret fa balenare la ripresa di una vita di famiglia normale, che aveva avuto in questo episodio uno squarcio di mistero. Non compresero.

Maria qui appare la persona che domina gli avvenimenti, che piega la storia del piccolo gruppo di pellegrini al suo centro, che non era Gerusalemme, ma Gesù. Potremmo dire una famiglia come tutti, con i problemi di tutti, con al centro Gesù, il mistero che si rivela.

Ma saremmo poco fedeli alla Parola ascoltata se ci fermassimo a questa interpretazione; L’intenzione dell’evangelista Luca non è quella del corrispondente del Corriere della sera che deve narrare della fuga del solito adolescente, rintracciato alla stazione tutto dolorante e pentito e contento dell’intervista che lo fa apparire in TV e che gli risparmia qualche ceffone dai genitori, con un finale bello che può intenerire i lettori. E’ l’evangelista del racconto dei due discepoli di Emmaus; anche là non narrava solo la gita fuori porta di due amici, col morale ai tacchi e con nel cuore la pietra tombale dell’ormai suggellata sulla tomba del crocifisso, ma parlava del cammino di accoglienza del Risorto che ogni cristiano avrebbe dovuto fare da quel momento in poi.

Così anche qui. Il numero tre dei giorni di assenza di Gesù è troppo uguale al numero tre dei giorni del suo permanere nella tomba; la ricerca appassionata e carica di tensione di Maria è troppo simile alla ricerca col cuore in gola di Pietro e Giovanni e al pianto sconsolato di Maria di Magdala. L’angoscia di Maria è l’angoscia delle donne al sepolcro.
Gesù era rimasto a Gerusalemme. Sappiamo tutti che un modo di dire così indica che Gesù è deciso a fare di Gerusalemme il vertice della sua missione. Gesù compie il pellegrinaggio con un anno di anticipo, anticipa con questo pellegrinaggio il desiderio che lo spingerà a Gerusalemme per mangiare la sua Pasqua. Il ritrovamento è immagine precisa della scoperta di lui risorto. Infatti lo trovano seduto, un verbo che, mentre fotografa una posizione fisica, definisce una funzione che gli spetta dopo la morte e la risurrezione; si siederà alla destra di Dio. E’ nell’atto di insegnare come spetta al Signore del cielo e della terra. E’ lui la sapienza, lui la riposta, lui ancora che spiega le scritture in virtù della sua consacrazione nella morte e risurrezione. Qui tra i dottori anticipa il suo stato futuro.
E Maria quando lo vede gli racconta tutta la sua ansia, la sua ricerca, il suo affanno, il suo non capire, proprio come i discepoli di Emmaus. E tra le prime parole di Gesù che ci sono riferite nei vangeli appare la bellissima parola: padre, abbà. E’ venuto al mondo per questo, per dirci che Dio è Padre.
Il quadro allora si ricompone, lo smarrimento e il ritrovamento sono figura di una morte e una risurrezione, di un futuro certo.
Maria non  ha capito ancora tutto il futuro di Gesù, come è difficile per noi entrare nel suo ordine nuovo di idee, di sentimenti, di slanci e di azioni, ma ci indica la strada da percorrere. Stanno con Gesù, e custodisce ogni parola come un seme. E’ quel seme che viene gettato larghissimamente dal seminatore e che trova nel cuore di Maria, come nel cuore di ogni uomo, la possibilità di svilupparsi. In Maria si è sviluppato al cento per cento. Ora lei scompare nella vita quotidiana della santa famiglia. Lì il Signore ha imparato a essere abbracciato e baciato, allattato e amato, a toccare e parlare, giocare, camminare e lavorare, a condividere i minuti, le ore, le notti e i giorni, le feste, le stagioni, gli anni, le attese, le fatiche e l’amore dell’uomo. Lì ha ascoltato le parole della Torah, della legge, le preghiere a Dio, di cui non si poteva pronunciare il nome e che lui sentiva come papà. A Nazaret Gesù accanto a Maria ha imparato a essere uomo. L’artefice della sua formazione umana è stata Maria, come ogni donna nella vita del popolo ebreo.
Noi come Lei ora conserviamo ogni Parola di Gesù gelosamente non per farcene un possesso, ma per caricarlo della forza di un dono che dobbiamo e ci impegniamo a portare a tutti.

 Maria sotto la croce e nel Cenacolo (Gv 19, 25-27)
 25 Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. 26 Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio! ”. 27 Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre! ”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.


Il dolore cercano di nasconderlo tutti, la morte pure, la malattia è una privacy assoluta. E’ spesso un vero pudore, perché la sofferenza non è da mettere in piazza, ma spesso è mancanza di coraggio nell’affrontare i nostri mali. Vivere il dolore in compagnia è già una decisione di non soccombere. I cattolici hanno da sempre rappresentato davanti a sé il dolore. Ci hanno messo qualche secolo per poter contemplare il Crocifisso, ma oggi è al centro di ogni chiesa, è obbligatorio in ogni celebrazione eucaristica e le chiese dedicate alla Madonna Addolorata sono tante. Perché è importante contemplare in chi ci ha preceduto la sofferenza sopportata con coraggio e vinta per trovare e invocare forza per sopportare e vincere le nostre.

Il nostro sguardo al Calvario è sempre pieno di domande: Dove è che Dio ha spiegato potenza, disperso superbi, rovesciato potenti, innalzato umili, rimandato ricchi? Qui sta avvenendo tutto il contrario. E la Madonna del magnificat è lì. C’era la madre di Gesù come a Cana, come sempre nei momenti cruciali della storia della salvezza. Ne era passato di tempo, ne avevano macinato di kilometri Gesù e il suo gruppo. Ora sembra tutto sia finito. Lì sul Calvario ci sono tre sofferenze, tre cuori che si cercano tra due criminali e qualche militare: sono l’ultima casa impossibile che è rimasta alla speranza.
Dice la Evangelii Gaudium: “Sulla croce, quando Cristo soffriva nella sua carne il drammatico incontro tra il peccato del mondo e la misericordia divina, poté vedere ai suoi piedi la presenza consolante della Madre e dell’amico. In quel momento cruciale, prima di dichiarare compiuta l’opera che il Padre gli aveva affidato, Gesù disse a Maria: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse all’amico amato: «Ecco tua madre!» (Gv 19,26-27). Queste parole di Gesù sulla soglia della morte non esprimono in primo luogo una preoccupazione compassionevole verso sua madre, ma sono piuttosto una formula di rivelazione che manifesta il mistero di una speciale missione salvifica. Gesù ci lasciava sua madre come madre nostra. Solo dopo aver fatto questo Gesù ha potuto sentire che «tutto era compiuto» (Gv 19,28). Ai piedi della croce, nell’ora suprema della nuova creazione, Cristo ci conduce a Maria. Ci conduce a Lei perché non vuole che camminiamo senza una madre, e il popolo legge in quell’immagine materna tutti i misteri del Vangelo”.
C’è Gesù che possiede ancora un tesoro prezioso, non si sente solo, ha ancora qualcosa, qualcuno da donare. Sente la dolcezza e la tragica dedizione di sua madre. E’ più solo invece Giovanni, nella sua giovinezza, nel suo slancio, nella sua ingenuità di sognatore: ha bisogno di una madre per non smettere di sognare vita e salvezza. Figlio ecco tua madre.
Quanto è confortante sentirti dire: qui c’è tua madre.
Quando la nostra croce o quella che vediamo sulle spalle degli altri  risulta troppo pesante, guarda che qui c’è tua madre
Se la tentazione è forte, qui c’è tua madre
Se la disillusione è dolorosa, qui c’è tua madre
Se la solitudine è insopportabile e l’incomprensione ti disorienta, qui c’è tua madre
Se la scelta del tuo futuro è difficile e lo vedi oscurato, qui c’è tua madre
Se la fame e l’ingiustizia, la paura e la violenza minacciano di spegnerti la speranza, qui c’è tua madre
Se i tuoi occhi non scorgono più la bellezza della vita, qui c’è tua madre
Se la guerra ti toglie anche l’ultima illusione di un mondo nuovo, qui c’è tua madre
Se l’incanto del virtuale ti distrae dalla vita vera e te la deforma, qui c’è tua madre
Se non riesci a deciderti di fare della tua vita un dono a una persona come te, per sempre, senza tentennamenti, contro tutte le tentazioni di ritornare a casa tua, qui c’è tua madre.
Maria è una grande consolazione, è una certezza, è un rifugio sicuro, è un punto di riferimento, è un approdo.
Ma Gesù non ha ancora terminato di offrire pace e salvezza. Ha un desiderio da esprimere a sua madre: donna ecco tuo figlio. E’ una preghiera a sua madre per Giovanni, per ogni giovane. Lui conosce lo smarrimento dei giovani e lo affida a sua madre
Quando non riescono ad ascoltare il Signore nel silenzio della preghiera e ad accoglierlo nella povertà, madre sono tuoi figli
Quando non riescono a scoprire il Signore nei poveri e a servirlo, madre sono tuoi figli
Quando non sanno impegnarsi a fondo in famiglia, nello studio, nel lavoro, madre sono tuoi figli
Quando non hanno il coraggio di vendere tutto, darlo ai poveri e seguire radicalmente il Signore, madre sono sempre tuoi figli.
Quando si lasciano smarrire nei meandri della droga, della delinquenza, dello sballo, madre sono tuoi figli
Quando si sposano e tentano di costruirsi un futuro e non sono capaci di amarsi, madre sono tuoi figli
Quando nella loro vita di giovani sposi non hanno più vino, non sanno più sorridere, hanno perso la gioia della vita, credono di adattarsi a vivere a pane e acqua, madre sono tuoi figli.

E’ questo il testamento di Gesù, è questo che arricchisce la nostra riflessione. Noi siamo presi in affido da Maria, e la vogliamo custodire perché Gesù ce l’ha donata proprio nel momento della morte, nell’offerta di sé fino all’ultima goccia di sangue. E siccome in ogni messa si rinnova quel dono supremo, noi sappiamo che ai piedi di questo altare ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia  c’è Maria che si sente dire da Gesù: sono tuoi figli e noi siamo confortati perché Gesù ci ripete: qui c’è tua madre.
        E qui anche per Lei si rinnova il prodigio della vittoria di Gesù sul male. Il demonio, dice San Giovanni Crisostomo, ha perso con le sue stesse armi: la vergine, il legno e la morte. La vergine, era Eva, perché non si era ancora unita all'uomo ; il legno, era l'albero ; e la morte, la pena in cui era incorso Adamo. Ma ecco, in compenso, la vergine, il legno e la morte, quei simboli della disfatta, diventare i simboli della vittoria. Invece di Eva, Maria ; invece del legno della conoscenza del bene e del male, il legno della Croce ; invece della morte di Adamo, la morte di Cristo. Che si è trasformata in risurrezione.             
“Con lo Spirito Santo, in mezzo al popolo sta sempre Maria. Lei radunava i discepoli per invocarlo (At 1,14), e così ha reso possibile l’esplosione missionaria che avvenne a Pentecoste. Lei è la Madre della Chiesa evangelizzatrice e senza di lei non possiamo comprendere pienamente lo spirito della nuova evangelizzazione” (EG)

II. Maria, la Madre dell’evangelizzazione
Nel capitolo finale della Evangelii gaudium di papa Francesco c’è un condensato della presenza di Maria nella vita delle chiesa e nel cammino di nuova evangelizzazione che si deve prendere. E’ La stella della evangelizzazione che non si può fare se non in sua compagnia.
284. “Con lo Spirito Santo, in mezzo al popolo sta sempre Maria. Lei radunava i discepoli per invocarlo (At 1,14), e così ha reso possibile l’esplosione missionaria che avvenne a Pentecoste. Lei è la Madre della Chiesa evangelizzatrice e senza di lei non possiamo comprendere pienamente lo spirito della nuova evangelizzazione
Il dono di Gesù al suo popolo
285. Sulla croce, quando Cristo soffriva nella sua carne il drammatico incontro tra il peccato del mondo e la misericordia divina, poté vedere ai suoi piedi la presenza consolante della Madre e dell’amico. In quel momento cruciale, prima di dichiarare compiuta l’opera che il Padre gli aveva affidato, Gesù disse a Maria: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse all’amico amato: «Ecco tua madre!» (Gv 19,26-27). Queste parole di Gesù sulla soglia della morte non esprimono in primo luogo una preoccupazione compassionevole verso sua madre, ma sono piuttosto una formula di rivelazione che manifesta il mistero di una speciale missione salvifica. Gesù ci lasciava sua madre come madre nostra. Solo dopo aver fatto questo Gesù ha potuto sentire che «tutto era compiuto» (Gv 19,28). Ai piedi della croce, nell’ora suprema della nuova creazione, Cristo ci conduce a Maria. Ci conduce a Lei perché non vuole che camminiamo senza una madre, e il popolo legge in quell’immagine materna tutti i misteri del Vangelo. Al Signore non piace che manchi alla sua Chiesa l’icona femminile. Ella, che lo generò con tanta fede, accompagna pure «il resto della sua discendenza, […] quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù» (Ap 12,17). L’intima connessione tra Maria, la Chiesa e ciascun fedele, in quanto, in modi diversi, generano Cristo, è stata magnificamente espressa dal Beato Isacco della Stella: «Nelle Scritture divinamente ispirate, quello che si intende in generale della Chiesa, vergine e madre, si intende in particolare della Vergine Maria […] Si può parimenti dire che ciascuna anima fedele è sposa del Verbo di Dio, madre di Cristo, figlia e sorella, vergine e madre feconda […]. Cristo rimase nove mesi nel seno di Maria, rimarrà nel tabernacolo della fede della Chiesa fino alla consumazione dei secoli; e, nella conoscenza e nell’amore dell’anima fedele, per i secoli dei secoli».[212]
286. Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza. Lei è la piccola serva del Padre che trasalisce di gioia nella lode. È l’amica sempre attenta perché non venga a mancare il vino nella nostra vita. È colei che ha il cuore trafitto dalla spada, che comprende tutte le pene. Quale madre di tutti, è segno di speranza per i popoli che soffrono i dolori del parto finché non germogli la giustizia. È la missionaria che si avvicina a noi per accompagnarci nella vita, aprendo i cuori alla fede con il suo affetto materno. Come una vera madre, cammina con noi, combatte con noi, ed effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio. Attraverso le varie devozioni mariane, legate generalmente ai santuari, condivide le vicende di ogni popolo che ha ricevuto il Vangelo, ed entra a far parte della sua identità storica. Molti genitori cristiani chiedono il Battesimo per i loro figli in un santuario mariano, manifestando così  la fede nell’azione materna di Maria che genera nuovi figli per Dio. È lì, nei santuari, dove si può osservare come Maria riunisce attorno a sé i figli che con tante fatiche vengono pellegrini per vederla e lasciarsi guardare da Lei. Lì trovano la forza di Dio per sopportare le sofferenze e le stanchezze della vita. Come a san Juan Diego, Maria offre loro la carezza della sua consolazione materna e dice loro: «Non si turbi il tuo cuore […] Non ci sono qui io, che son tua Madre?».[213]
La Stella della nuova evangelizzazione
287. Alla Madre del Vangelo vivente chiediamo che interceda affinché questo invito a una nuova tappa dell’evangelizzazione venga accolta da tutta la comunità ecclesiale. Ella è la donna di fede, che cammina nella fede,[214] e «la sua eccezionale peregrinazione della fede rappresenta un costante punto di riferimento per la Chiesa».[215] Ella si è lasciata condurre dallo Spirito, attraverso un itinerario di fede, verso un destino di servizio e fecondità. Noi oggi fissiamo lo sguardo su di lei, perché ci aiuti ad annunciare a tutti il messaggio di salvezza, e perché i nuovi discepoli diventino operosi evangelizzatori.[216] In questo pellegrinaggio di evangelizzazione non mancano le fasi di aridità, di nascondimento e persino di una certa fatica, come quella che visse Maria negli anni di Nazaret, mentre Gesù cresceva: «È questo l’inizio del Vangelo, ossia della buona, lieta novella. Non è difficile, però, notare in questo inizio una particolare fatica del cuore, unita a una sorta di «notte della fede» – per usare le parole di san Giovanni della Croce – , quasi un «velo» attraverso il quale bisogna accostarsi all’Invisibile e vivere nell’intimità col mistero. È infatti in questo modo che Maria, per molti anni, rimase nell’intimità col mistero del suo Figlio, e avanzava nel suo itinerario di fede».[217]
288. Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti. Guardando a lei scopriamo che colei che lodava Dio perché «ha rovesciato i potenti dai troni» e «ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,52.53) è la stessa che assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia. È anche colei che conserva premurosamente «tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Maria sa riconoscere le orme dello Spirito di Dio nei grandi avvenimenti ed anche in quelli che sembrano impercettibili. È contemplativa del mistero di Dio nel mondo, nella storia e nella vita quotidiana di ciascuno e di tutti. È la donna orante e lavoratrice a Nazaret, ed è anche nostra Signora della premura, colei che parte dal suo villaggio per aiutare gli altri «senza indugio» (Lc 1,39). Questa dinamica di giustizia e di tenerezza, di contemplazione e di cammino verso gli altri, è ciò che fa di lei un modello ecclesiale per l’evangelizzazione. Le chiediamo che con la sua preghiera materna ci aiuti affinché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e renda possibile la nascita di un mondo nuovo. È il Risorto che ci dice, con una potenza che ci riempie di immensa fiducia e di fermissima speranza: «Io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Con Maria avanziamo fiduciosi verso questa promessa, e diciamole:

Vergine e Madre Maria,tu che, mossa dallo Spirito,hai accolto il Verbo della vita nella profondità della tua umile fede, totalmente donata all’Eterno,
aiutaci a dire il nostro “sì”
nell’urgenza, più imperiosa che mai,di far risuonare la Buona Notizia di Gesù.

Tu, ricolma della presenza di Cristo,
hai portato la gioia a Giovanni il Battista,
facendolo esultare nel seno di sua madre.
Tu, trasalendo di giubilo,
hai cantato le meraviglie del Signore.
Tu, che rimanesti ferma davanti alla Croce
con una fede incrollabile,
e ricevesti la gioiosa consolazione della risurrezione,
hai radunato i discepoli nell’attesa dello Spirito
perché nascesse la Chiesa evangelizzatrice.

Ottienici ora un nuovo ardore di risorti
per portare a tutti il Vangelo della vita
che vince la morte.
Dacci la santa audacia di cercare nuove strade
perché giunga a tutti
il dono della bellezza che non si spegne.

Tu, Vergine dell’ascolto e della contemplazione,
madre dell’amore, sposa delle nozze eterne,
intercedi per la Chiesa, della quale sei l’icona purissima,
perché mai si rinchiuda e mai si fermi
nella sua passione per instaurare il Regno.

Stella della nuova evangelizzazione,
aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,

perché la gioia del Vangelo giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva della sua luce.
Madre del Vangelo vivente,
sorgente di gioia per i piccoli,prega per noi.
 Amen. Alleluia.

 FRANCISCUS

Dato a Roma, presso San Pietro, alla chiusura dell’Anno della fede, il 24 novembre, Solennità di N. S. Gesù Cristo Re dell’Universo, dell’anno 2013, primo del mio Pontificato.
 

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