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mercoledì 26 settembre 2018

Incontro Ecumenico con i Giovani nella Kaarli Lutheran Church a Tallinn

incontro ecumenico TallinAlle ore 11.40 locali (10.40 ora di Roma) ha avuto luogo l’Incontro Ecumenico con i giovani nella Kaarli Lutheran Church a Tallinn.
Al Suo arrivo, il Santo Padre è stato accolto dall’Arcivescovo luterano e dal Pastore della Chiesa. Nell’atrio un gruppo di bambini di diverse scuole cristiane ha offerto dei fiori al Papa mentre veniva eseguito un canto. Quindi Papa Francesco è entrato in processione insieme all’Arcivescovo luterano, Urmas Viilma, al Pastore della Chiesa di San Carlo e all’Amministratore Apostolico di Tallinn, S.E. Mons. Philippe Jourdan.
Dopo le parole di benvenuto di due ragazzi, uno cattolico e uno luterano, l’esecuzione di canti, un breve indirizzo di saluto dell’Arcivescovo luterano e alcune brevi testimonianze di un rappresentante luterano, di un ortodosso estone e di un cattolico, il Santo Padre ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine dell’incontro, dopo il canto finale, il breve saluto del Presidente del Consiglio delle Chiese dell’Estonia, l’Arcivescovo Andres Põder e le parole di ringraziamento dell’Amministratore Apostolico di Tallinn, il Papa si è congedato dai 10 leader religiosi presenti, ha salutato i membri del comitato organizzatore e si è trasferito in auto al Convento delle Suore Brigidine a Pirita, dove ha pranzato con i membri del Seguito papale.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha pronunciato nel corso dell’incontro ecumenico con i giovani:
Discorso del Santo Padre
Cari giovani,
grazie per la vostra calorosa accoglienza, per i vostri canti e per le testimonianze di Lisbel, Tauri e Mirko. Sono grato per le gentili e fraterne parole dell’Arcivescovo della Chiesa Evangelica Luterana di Estonia, Urmas Viilma, come pure per la presenza del Presidente del Consiglio delle Chiese dell’Estonia, l’Arcivescovo Andres Põder, del Vescovo Philippe Jourdan, Amministratore Apostolico in Estonia, e degli altri rappresentanti delle diverse confessioni cristiane presenti nel Paese. Sono grato anche della presenza della Signora Presidente della Repubblica.
È sempre bello riunirci, condividere testimonianze di vita, esprimere quello che pensiamo e vogliamo; ed è molto bello stare insieme, noi che crediamo in Gesù Cristo. Questi incontri realizzano il sogno di Gesù nell’Ultima Cena: «Che tutti siano una sola cosa, […] perché il mondo creda» (Gv 17,21). Se ci sforziamo di vederci come pellegrini che fanno il cammino insieme, impareremo ad aprire il cuore con fiducia al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze, guardando solo a ciò che realmente cerchiamo: la pace davanti al volto dell’unico Dio. E siccome la pace è artigianale, aver fiducia negli altri è pure qualcosa di artigianale, ed è fonte di felicità: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). E questa strada, questo cammino non lo facciamo solo con i credenti, ma con tutti. Tutti hanno qualcosa da dirci. A tutti abbiamo qualcosa da dire.
Il grande dipinto che si trova nell’abside di questa chiesa contiene una frase del Vangelo di San Matteo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). Voi, giovani cristiani, potete identificarvi con alcuni elementi di questo brano del Vangelo.
Nelle narrazioni che precedono, Matteo ci dice che Gesù sta accumulando delusioni. Prima si lamenta perché sembra che a quelli a cui si rivolge non vada bene niente (cfr Mt 11,16-19). A voi giovani capita spesso che gli adulti intorno a voi non sanno quello che vogliono o si aspettano da voi; o a volte, quando vi vedono molto felici, diffidano; e se vi vedono angosciati, relativizzano quello che vi succede. Nella consultazione prima del Sinodo, che celebreremo a breve e in cui rifletteremo sui giovani, molti di voi chiedono che qualcuno vi accompagni e vi capisca senza giudicare e sappia ascoltarvi, come pure rispondere ai vostri interrogativi (cfr Sinodo dedicato ai giovani, Instrumentum laboris, 132). Le nostre Chiese cristiane – e oserei dire ogni processo religioso strutturato istituzionalmente – a volte si portano dietro atteggiamenti nei quali è stato più facile per noi parlare, consigliare, proporre dalla nostra esperienza, piuttosto che ascoltare, piuttosto che lasciarsi interrogare e illuminare da ciò che voi vivete. Tante volte le comunità cristiane si chiudono, senza accorgersene, e non ascoltano le vostre inquietudini. Sappiamo che voi volete e vi aspettate «di essere accompagnati non da un giudice inflessibile, né da un genitore timoroso e iperprotettivo che genera dipendenza, ma da qualcuno che non ha timore della propria debolezza e sa far risplendere il tesoro che, come vaso di creta, custodisce al proprio interno (cfr 2 Cor 4,7)» (ibid., 142). Oggi qui voglio dirvi che vogliamo piangere con voi se state piangendo, accompagnare con i nostri applausi e le nostre risate le vostre gioie, aiutarvi a vivere la sequela del Signore. Voi, ragazzi e ragazze, giovani, sappiate questo: quando una comunità cristiana è veramente cristiana non fa proselitismo. Soltanto ascolta, accoglie, accompagna e cammina; ma non impone niente.
Gesù si lamenta anche delle città che ha visitato, compiendo in esse più miracoli e riservando ad esse maggiori gesti di tenerezza e vicinanza, e deplora la loro mancanza di fiuto nel rendersi conto che il cambiamento che era venuto a proporre loro era urgente, non poteva aspettare. Arriva perfino a dire che sono più testarde e accecate di Sodoma (cfr Mt 11,20-24). E quando noi adulti ci chiudiamo a una realtà che è già un fatto, ci dite con franchezza: “Non lo vedete?”. E alcuni più coraggiosi hanno il coraggio di dire: “Non vi accorgete che nessuno vi ascolta più, né vi crede?”. Abbiamo davvero bisogno di convertirci, di scoprire che per essere al vostro fianco dobbiamo rovesciare tante situazioni che sono, in definitiva, quelle che vi allontanano.
Sappiamo – come ci avete detto – che molti giovani non ci chiedono nulla perché non ci ritengono interlocutori significativi per la loro esistenza. È brutto questo, quando una Chiesa, una comunità, si comporta in modo tale che i giovani pensano: “Questi non mi diranno nulla che serva alla mia vita”. Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in pace, perché sentono la presenza della Chiesa come fastidiosa e perfino irritante. E questo è vero. Li indignano gli scandali sessuali ed economici di fronte ai quali non vedono una condanna netta; il non saper interpretare adeguatamente la vita e la sensibilità dei giovani per mancanza di preparazione; o semplicemente il ruolo passivo che assegniamo loro (cfr Sinodo dedicato ai giovani, Instrumentum laboris, 66). Queste sono alcune delle vostre richieste. Vogliamo rispondere a loro, vogliamo, come voi stessi dite, essere una «comunità trasparente, accogliente, onesta, attraente, comunicativa, accessibile, gioiosa e interattiva» (ibid., 67), cioè una comunità senza paura. Le paure ci chiudono. Le paure ci spingono a essere proselitisti. E la fratellanza è un’altra cosa: il cuore aperto e l’abbraccio fraterno.
Prima di arrivare al testo evangelico che sovrasta questo tempio, Gesù inizia elevando una lode al Padre. Lo fa perché si rende conto che coloro che hanno compreso, quelli che capiscono il centro del suo messaggio e della sua persona, sono i piccoli, coloro che hanno l’anima semplice, aperta. E vedendovi così, riuniti, a cantare, mi unisco alla voce di Gesù e resto ammirato, perché voi, nonostante la nostra mancanza di testimonianza, continuate a scoprire Gesù in seno alle nostre comunità. Perché sappiamo che dove c’è Gesù c’è sempre rinnovamento, c’è sempre l’opportunità della conversione, di lasciarsi alle spalle tutto ciò che ci separa da Lui e dai nostri fratelli. Dove c’è Gesù, la vita ha sempre sapore di Spirito Santo. Voi, qui oggi, siete l’attualizzazione di quella meraviglia di Gesù.
Allora sì, diciamo di nuovo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). Ma lo diciamo convinti che, al di là dei nostri limiti, delle nostre divisioni, Gesù continua ad essere il motivo per essere qui. Sappiamo che non c’è sollievo più grande che lasciare che Gesù porti le nostre oppressioni. Sappiamo anche che ci sono molti che ancora non lo conoscono e vivono nella tristezza e nello smarrimento. Una vostra famosa cantante, circa dieci anni fa, diceva in una delle sue canzoni: «L’amore è morto, l’amore se n’è andato, l’amore non vive più qui» (Kerli Kõiv, L’amore è morto). No, per favore! Facciamo sì che l’amore sia vivo, e tutti noi dobbiamo fare questo! E sono tanti quelli che fanno questa esperienza: vedono che finisce l’amore dei loro genitori, che si dissolve l’amore di coppie appena sposate; sperimentano un intimo dolore quando a nessuno importa che debbano emigrare per cercare lavoro o quando li si guarda con sospetto perché sono stranieri. Sembrerebbe che l’amore sia morto, come diceva Kerli Kõiv, ma sappiamo che non è così, e abbiamo una parola da dire, qualcosa da annunciare, con pochi discorsi e molti gesti. Perché voi siete la generazione dell’immagine, la generazione dell’azione al di sopra della speculazione, della teoria.
E così piace a Gesù; perché Lui passò facendo il bene, e quando è morto ha preferito alle parole il gesto forte della croce. Noi siamo uniti dalla fede in Gesù, ed è Lui che attende che lo portiamo a tutti i giovani che hanno perso il senso della loro vita. E il rischio è, anche per noi credenti, di perdere il senso della vita. E questo succede quando noi credenti siamo incoerenti. Accogliamo insieme quella novità che Dio porta nella nostra vita; quella novità che ci spinge a partire sempre di nuovo, per andare là dove si trova l’umanità più ferita. Dove gli uomini, al di là dell’apparenza di superficialità e conformismo, continuano a cercare una risposta alla domanda sul senso della loro vita. Ma non andremo mai da soli: Dio viene con noi; Lui non ha paura, non ha paura delle periferie, anzi, Lui stesso si è fatto periferia (cfr Fil 2,6-8; Gv 1,14). Se abbiamo il coraggio di uscire da noi stessi, dai nostri egoismi, dalle nostre idee chiuse, e andare nelle periferie, là lo troveremo, perché Gesù ci precede nella vita del fratello che soffre ed è scartato. Egli è già là (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 135).
Ragazzi e ragazze, l’amore non è morto, ci chiama e ci invia. Chiede solo di aprire il cuore. Chiediamo la forza apostolica di portare il Vangelo agli altri – ma offrirlo, non imporlo – e di rinunciare a fare della nostra vita cristiana un museo di ricordi. La vita cristiana è vita, è futuro, è speranza! Non è un museo. Lasciamo che lo Spirito Santo ci faccia contemplare la storia nella prospettiva di Gesù risorto, così la Chiesa, così le nostre Chiese saranno in grado di andare avanti accogliendo in sé le sorprese del Signore (cfr ibid., 139), recuperando la propria giovinezza, la gioia e la bellezza della quale parlava Mirko, della sposa che va incontro al Signore. Le sorprese del Signore. Il Signore ci sorprende perché la vita ci sorprende sempre. Andiamo avanti, incontro a queste sorprese. Grazie!

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