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lunedì 31 dicembre 2018



GESU' E' LA PAROLA CHE DA' CARNE A OGNI NOSTRO DESIDERIO DI AMARE OLTRE I LIMITI IMPOSTI DALLA CARNE 

Oggi, ultimo giorno dell'anno, nel quale si è soliti fare un bilancio di ciò che è trascorso e si è vissuto, scopriremo di aver detto tante, troppe parole senza essere stati capaci di dar loro carne e vita. Sì, tante volte non siamo riusciti a compiere quello che il nostro cuore avrebbe voluto... Ma proprio su questa soglia che ci introduce in un anno nuovo, la Chiesa ci proclama di nuovo la Parola che ci ha creato e salvato. Che sapienza, e che misericordia! La Parola predicata è pronta a incarnarsi di nuovo nella nostra debolezza. Essa viene a cercare le nostre parole sussurrate, gridate, pregate, a volte macchiate sino a farsi imprecazione. Viene per purificarle, perché Dio non si scandalizza delle parole che gettiamo alla rinfusa nei giorni, seminando nelle relazioni illusioni e frustrazioni, ferite e dolore, gioia e speranza. Sì, Dio viene di nuovo a far bella la nostra vita nell’amore, perché l’Incarnazione esaltata nel Prologo del Vangelo di Giovanni canta la “Sapienza della Croce” piantata nella storia. E’ sulla Croce, infatti, che Gesù doveva portare la nostra carne per salvarla rivelandoci il Padre che sconfessa quello che ci ha generati nella menzogna e nel peccato. Stendendo le braccia per accogliere nel perdono ogni uomo, la Parola spiega chi sia il Padre disegnandone l'immagine con ogni goccia di sangue versata gratuitamente. Per questo sulla Croce è stato un nuovo “principio”, la prima Parola della nuova creazione. Finalmente la “Gloria”, ovvero la presenza amorevole di Dio, si è fatta carne nelle membra doloranti del Signore che portavano il peccato dell'umanità. Su di essa anche per noi può inaugurarsi una vita nuova.

Basta lasciare che Dio inchiodi il nostro uomo vecchio e "il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli", per farci rinascere figli di Dio a sua immagine e somiglianza, “non per volere umano”, ma per la sua elezione gratuita. Infatti, nessuna “carne o sangue” ferita dal peccato può capire e tanto meno accettare la Croce. Dio sa che, senza la Parola fatta carne nella propria vita, nessuno può compiere la Legge consegnataci attraverso Mosè. Per questo nella Chiesa, di nuovo si compie il mistero dell’Incarnazione, gratuitamente, perché nel suo grembo materno siamo da Lui “generati come figli”. La “luce” che ha vinto le tenebre del peccato, infatti, risplende su di noi quando la Parola che la Chiesa ci predica “si fa carne” nei sacramenti e nel Popolo Santo di Dio, “per abitare in mezzo a noi”. Coraggio allora, perché anche quest'anno, con Cristo, "Dio ha dato vita anche a noi, che eravamo morti" molte volte "per i nostri peccati e per l'incirconcisione della nostra carne, perdonandoci tutti i peccati".  Guardiamo oggi ad ogni momento dell'anno che abbiamo vissuto, e scopriremo che Gesù, "avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo". Ecco, quest'anno è stato proprio il corteo del trionfo della Parola fatta carne su ogni peccato compiuto nella nostra carne: Gesù infatti, ha tolto al demonio il potere di ingannarci, distruggerci e gettarci nella disperazione, perché, come accadeva ai nemici che gli imperatori e gli ufficiali romani avevano sconfitto durante i cortei con cui entravano vittoriosi a Roma, fa oggi dinanzi a noi, alla nostra famiglia, alla Chiesa e al mondo, "pubblico spettacolo" di ogni nostro peccato, dei tradimenti, delle menzogne, delle concupiscenze. Stasera, mentre canteremo il Te Deum, potremo davvero benedire, lodare, ringraziare il Signore perché ci ha perdonato infinite volte, facendo di ogni nostro peccato il segno della vittoria del suo amore. L'anno trascorso è stato un mosaico meraviglioso dove ogni pezzo d'amore mancante a causa dei nostri peccati è stato deposto nel momento e nel posto giusto dall'amore che ha vinto il peccato. Una sinfonia meravigliosa composta dalle note di ogni secondo, e oggi è come il suo gran finale, nel quale i diversi temi musicali si riassumono in un crescendo che mette i brividi: Santo, Santo, Santo sei stato con me Signore, sempre! Non manca nulla, perché su tutto è scesa la misericordia rigeneratrice di Dio! In ogni istante si è fatta carne la Parola che ha dato vita ad ogni nostro secondo. Anche se non ce ne siamo accorti...  No, non dobbiamo buttare nulla, anzi! Anche i momenti che vorremmo cancellare sono preziosi, perché proprio essi segnano le vittorie più belle del Signore. Ripensiamo allora a quello che, di quest'anno, vorremmo dimenticare e buttare dalla finestra. E chiediamo a Dio la "luce" per vederli risplendere nella "grazia" e nella "verità" della Parola che proprio allora ci ha ricreati facendosi carne nella nostra debolezza. I momenti dove essa si rivela distruggendo l'ipocrisia sono quelli più preziosi, nei quali finalmente possiamo smettere di illuderci di non avere bisogno di Lui. Proprio quando scopriamo di essere nulla, infatti, “dalla sua pienezza tutti abbiamo ricevuto, stiamo ricevendo e riceveremo grazia su grazia” per entrare nella storia che Dio ha preparato per noi. 

sabato 29 dicembre 2018




COME SIMEONE E ANNA NELLA COMUNITA' VEDIAMO LA PAROLA FARSI CARNE PER SALVARE OGNI FRAMMENTO DELLA NOSTRA VITA E DIVENIRE SEGNO DI CONTRADDIZIONE PERCHE' IL MONDO SI DESTI E CONVERTA
Simeone, l'attesa che ascolta per vedere il Cielo. Simeone, la storia di Israele come la storia di ogni uomo racchiusa in una promessa. Simeone, orecchi e occhi sulla soglia del suo compimento. Simeone, infatti, è la traduzione di "Shime'on", nome ebraico tratto da "sh'ma", che significa ascoltare: "Shemà Israel, Ascolta Israele, il Signore è nostro Dio, il Signore è uno. Amerai il Signore Dio tuo con tutte la mente, con tutto il cuore e con tutte le forze, e il prossimo come te stesso. Fa questo e avrai la vita eterna". Come ogni ebreo, Simeone sapeva che il compimento dello Shemà era la salvezza, ma la carne glielo rendeva impossibile. Per questo "attendeva la consolazione", qualcuno che fosse con-lui per compierlo. Lo Spirito Santo, infatti, gli aveva assicurato "che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore": non sarebbe cioè morto senza aver obbedito allo Shemà, perché prima avrebbe visto il Messia realizzare con esso la sua "salvezza". Così, eccolo andare verso il Tempio a vedere ciò che aveva ascoltato. E la salvezza non poteva essere che quel Bambino accompagnato da Giuseppe e Maria, 'anawim come lui che era "un uomo giusto e pio". Proprio quella Famiglia santa era, ai suoi occhi pieni di Spirito Santo, il "segno" che l'"ora" del Messia era giunta. Niente trombe e fanfare, solo e semplicemente una povera Famiglia che entrava, come "luce", nel Tempio. Ed era giusto così: per salvare ciò che era perduto il Messia doveva essere un "segno di contraddizione", uno scandalo che "rivelasse i pensieri di molti cuori" ingannati dal demonio. Non poteva adeguarsi agli schemi e ai progetti umani. Si doveva fare peccato perché la "spada" della profezia di Ezechiele giungesse sulla sua carne e risparmiasse i peccatori. Eccola infatti sua Madre, il Bambino in braccio accanto alla sua anima immacolata che avrebbe accolto con suo Figlio la "spada" destinata all'umanità. Quel Bambino giunto nel Tempio avrebbe introdotto l'umanità redenta nel Tempio del Cielo con la sua carne crocifissa e risorta a Gerusalemme. Con Lui sarebbero "caduti" nella morte i peccatori per "risuscitare" in una vita nuova. Per questo, "ora", dopo quaranta giorni dalla sua nascita, come dopo i quarant'anni passati dal popolo neonato nel deserto, Simeone "accoglieva tra le braccia" la Pasqua compiuta. Quel Bambino era già la Terra Promessa a Israele come un segno della "salvezza preparata da Dio davanti a tutti i Popoli". E Simeone, abbracciando Gesù, vi entrava dicendo: "Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli". Nel volto di Gesù Simeone aveva visto ciascuno di noi, salvati da quel Bambino. Accogliamolo allora, perché la salvezza si può vedere ascoltando l'annuncio del Vangelo. E' giunto il tempo in cui lo Spirito Santo ci apre gli occhi sul Bambino che Maria, immagine della Chiesa, ci offre nel Tempio che è la comunità cristiana. Abbracciandolo ci sentiremo abbracciati. No, niente sentimentalismi... Dio s'è fatto carne non un cioccolatino! Si è donato a noi sulla Croce per farci sperimentare il perdono dei peccati, la "salvezza" appunto. La possiamo "vedere" lasciando che lo Spirito Santo ci illumini e ci faccia inginocchiare confessando i peccati per accogliere il perdono. E "vedremo" la salvezza farsi carne in noi, liberandoci dalla schiavitù ai vizi e alle menzogne, alle ipocrisie e agli idoli. Sarai sincero, spegnerai il PC e starai con tua moglie e i tuoi figli, donerai te stesso, il tuo tempo e i tuoi soldi. Perché la salvezza si "vede" stringendo quello che il peccato ci impediva di guardare. Accogliendo ciò che ci appare piccolo come un bambino, i fatti che ci umiliano. Vuoi "vedere" la tua vita compiuta al punto di benedire Dio come Simeone nella "pace" di chi non manca di nulla e non desidera altro che il Cielo? Guarda Maria "ora", mentre ti sta consegnando la tua vita nella quale si è fatto carne Dio. E "ascolta" il suo annuncio, perché Cristo è risorto davvero, ha vinto ogni peccato che ti impedisce di amare; aspetta solo che tu l'accolga per compiere in te lo Shemà che ti farà gustare il Paradiso, oggi. 

venerdì 28 dicembre 2018


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CON LA BOCCA DEI BAMBINI INERMI E INDIFESI AFFERMI LA GLORIA DEL TUO AMORE PER UMILIARE LA SUPERBIA CHE CI IMPEDISCE DI ACCOGLIERLO
Come scriveva Peguy, i Santi Innocenti sono stati dei privilegiati: hanno offerto il sangue per Cristo prima ancora di poter parlare: “O meraviglioso dono della grazia! Quali meriti hanno avuto questi bambini per vincere in questo modo? Non parlano ancora e già confessano Cristo! Non sono ancora capaci di affrontare la lotta perché non muovono ancora le membra, e tuttavia già portano trionfanti la palma della vittoria” (Dai «Discorsi» di san Quodvultdeus ). In questo mistero, scandaloso per i più, come la sofferenza che colpisce ogni innocente, si cela la Buona Notizia che illumina la nostra storia, proprio tra le ferite incomprensibili di bambini sterminati al posto di uno solo. Brilla in questi fanciulli una Grazia simile a quella che ha colmato e resa immacolata, ancor prima d’essere concepita, la Vergine Maria. E si svela il mistero dell’elezione di ciascuno di noi, la primogenitura che ci fa appartenere a Cristo ancor prima d’essere nati: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni” (Ger. 1,). Certo, è facile sbattere contro il muro d’irragionevolezza che, a prima vista, circonda questo evento che ha bagnato di sangue i primi vagiti del Signore. Come ci scandalizza ogni avvenimento di sofferenza degli innocenti, cioè di coloro che, letteralmente, "non conoscono", non sanno cioè il perché gli accadano certe cose: i terremoti, i bambini violati e uccisi, le malattie, la guerra. Restiamo senza parole, sbigottiti, dinanzi alla furia di Erode, e ancor più, se pensiamo che tutto quel sangue ha coperto la fuga del Signore. Muti, infanti, etimologicamente senza favella, come i Santi Innocenti, capaci di esprimersi solo con grida e lacrime. E non abbiamo risposte, se non andiamo a cercarle in quel Bimbo messosi miracolosamente in salvo, grazie al martirio di tanti altri. Esule e perseguitato sin dalla nascita, Gesù scende in Egitto che, in ebraico, significa angoscia. Inizia così per Lui il lungo cammino che lo condurrà alla Croce, l’ingiustizia più grande. Occorre oggi, e ogni giorno della nostra vita, fermarsi presso la Croce, come Maria, e imparare a “custodire e meditare nel cuore” ogni avvenimento della nostra vita, perché ciascuno di essi fa parte della vita di Cristo, perché apparteniamo a Lui, sin dall’eternità: “Quando gli eventi ci avvicinano a Cristo, quando soffriamo per Cristo, è sicuramente un privilegio indicibile – qualunque sia la sofferenza, anche se sull'istante, non siamo coscienti di soffrire per lui” (Beato John Henry Newman).
E’ la Croce che illumina la storia, anche quella che ha inghiottito i Santi Innocenti: gli eventi drammatici sono soprattutto una Parola viva di Dio che come una spada discende sino al midollo dell'esistenza. La Chiesa è chiamata a mostrare Cristo per annunciarlo vivo e capace di dare senso ad ogni dolore, anche a quello più assurdo. Al dolore e alla sofferenza degli innocenti. Quel giorno che ha segnato con il sangue dei bambini di Betlemme l’inizio della via crucis di Gesù, è la data annotata in rosso sul taccuino di Dio. Quel giorno, e tutti i giorni che partoriscono dolore innocente, ci svelano il suo cuore, il suo progetto di amore per ogni uomo: per amore Gesù è disceso nell’Egitto e nella tomba di ogni uomo a compatirne angosce e sofferenze per deporvi la speranza che non delude, e liberare tutti insieme con Lui: “Dall’Egitto ho chiamato ogni mio figlio” nel Figlio che ha consegnato se stesso. Laddove la vita s'è fatta detrito sotto le onde di uno tsunami, tra le macerie dell'esistenza, nel dolore sordo degli innocenti è sceso l'amore. E questo amore ha un nome, Cristo, ed un volto, la Chiesa dei suoi fratelli più piccoli, i Santi Innocenti di ogni generazione. Essi sono morti per amore, dando compimento alla propria vita: non importa il tempo trascorso sulla terra, importa il Cielo al quale tutti siamo chiamati! E il Cielo esiste perché Cristo lo ha spalancato dinanzi a ciascun uomo, gratuitamente. Importa il destino per il quale siamo nati, la vita, qualunque essa sia, ci è data per amare, e un secondo speso senza amore è buttato; questi bambini sono una profezia per ciascuno di noi. Non importa il nostro carattere, il modo di parlare, la forma del corpo; non importano neanche i peccati, perché Dio, conoscendo tutto di noi, ci ha scelti, come questi bambini, prima ancora di essere formati nel seno materno. E’ la sua impronta in noi ad essere decisiva, e che essa si riveli in un amore che nulla difende e tutto dona, al di là di come siamo, nel perimetro spesso angusto della nostra debole carne. Tutto è santo in noi, anche i difetti, perché tutto apre il cammino a Cristo, alla salvezza e alla vita eterna. Come i santi innocenti, proprio la sofferenza che ferisce la nostra vita è il segno offerto al mondo che rivela che nella terra di nessuno della solitudine è disceso Cristo: l'Agnello senza macchia era lì quel giorno, innocente tra i suoi fratelli innocenti, la spada non lo ha risparmiato, la violenza lo ha travolto insieme a tutti, la paura non lo ha evitato. Il male che avvelena la vita di tanti giovani, che sfianca le famiglie, che asfissia il lavoro, il male banale che spegne questa generazione si è schiantato sul suo corpo crocifisso. Uno solo ha preso sul serio il male, al punto di morirci dentro. Uno solo lo ha guardato in faccia, lo ha sfidato, se ne è addossato ogni conseguenza, capro espiatorio di ogni veleno. Non vi è sofferenza che Cristo non abbia conosciuto, solitudine che non abbia sperimentato. Il mistero più grande, da quel giorno sul Golgota, ogni dolore è divenuto il dolore della stessa carne di Cristo, dolore divino, e per questo innocente. Quel giorno che solo tu conosci era la tua vita, ma era Calvario. Da quel giorno sul Golgota, ogni dolore è il dolore di Cristo, ogni tomba è il suo sepolcro. In tutti ha deposto, come un seme di vita eterna, il suo corpo benedetto. Quel corpo oggi è la Chiesa, i suoi missionari e i suoi cristiani, i piccoli innocenti perché amati e perdonati da Cristo, che Dio depone nella trama dei giorni, come un seme di speranza, tra le viscere di dolore di ogni uomo: “Voi bambini imitate Gesù. Siete dei bambini Gesù. Senza accorgervene, senza saperlo, senza volerlo” (Charles Péguy)

lunedì 24 dicembre 2018





parmeggiani pasqua2018



Carissimi,

in questo Natale 2018 invito ciascuno a non perdere l’occasione di fermarsi per un momento di silenzio interiore davanti alla rappresentazione della nascita di Gesù, riprodotta in ogni presepe. Guardate a Dio che si è umiliato per amore nostro, che è sceso dal Cielo per essere il Dio con noi, per vivere, morire e risorgere per noi. Per salvarci dal peccato – che ha tanti nomi antichi e nuovi – e dalla morte, ed accompagnarci per sempre, con il Suo grande Amore, nel viaggio della vita.

A ciascuno auguro di saper desiderare questo Amore che non tradisce mai, che dà sicurezza, che mai ci abbandona.

Che ciascuno, anche il più solo, anziano, malato, tradito negli affetti e dalla vita, non si senta abbandonato. Dio lo ama! Lo ama nella sua più profonda intimità affinchè anche ciascuno di noi possa a sua volta amare.

Vi chiedo ancora di guardare alla profonda armonia che Gesù nato a Betlemme di Giudea, nella grotta, sa realizzare nella sua famiglia. Maria e Giuseppe guardano a Lui e guardando a Lui sentono un amore purissimo che li lega, che li accomuna in una missione sconvolgente e rivelata ad entrambi. Che questa purezza dell’amore sia recuperato in tutte le famiglie, in tutti i rapporti tra marito e moglie. Che questo amore che si alimenta dall’accogliere la volontà di Dio, dal guardare insieme all’amore purissimo di Gesù, sia l’amore che si viva in ogni nostro nucleo famigliare. Un amore possibile e bello perché si fonda e si lascia riempire di significato dal grande Amore di Dio che per tutti si è incarnato.

Nella grotta guardate anche alla creazione che circonda la scena della Natività. Ci sono animali ma anche uomini e donne di varie etnie, classi sociali, venuti da vicino o da lontano… Nei nostri presepi, in genere, è riprodotta la natura: i prati, i fiumi, il cielo, le montagne… tutta la creazione che è in festa perché accoglie il suo Creatore che si è fatto uomo e viene a salvarla. Da Gesù impariamo l’amore per tutto ciò che è stato creato: l’uomo, la donna, il cielo, i prati, i fiumi, gli alberi, gli animali… ed impariamo dal presepe a rispettare la creazione: quel dono che Dio ha fatto all’uomo mettendolo al centro di essa perché in essa si muova in armonia. Dal presepe impariamo anche a vedere il mondo con gli occhi di chi viene da lontano e davanti a Dio che si è fatto Bambino per tutti impariamo l’accoglienza indiscriminata, di chi viene dal nord e dal sud del mondo, dall’est come dall’ovest.

Tra le braccia aperte di Gesù, il Dio che irradia amore, troviamo posto anche noi e permettiamo a tutti di trovar posto per vivere da fratelli e sorelle in umanità, amici amati dall’unico Dio che è Amore.

Con questi pensieri auguro a tutti e a ciascuno un Buon Santo Natale!

Con la benedizione del Signore



+ Mauro Parmeggiani

Amministratore Apostolico



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L'AMORE DI DIO FATTO CARNE IN MARIA VIENE ANCHE OGGI A VISITARCI
Il Signore viene a visitarci sempre attraverso una carne concreta, il seno purissimo di Maria, tabernacolo della presenza di Dio. Ambasciatrice dell’amore di Dio, è sempre Lei che ci visita e ci dona il Signore, celato nelle Sue castissime viscere.
Lei è l’immagine più fedele della storia di salvezza che Dio ha preparato per ogni uomo, lo specchio fedele di quel che accade ogni giorno nelle nostre povere vite: Dio incarnato, adagiato nel seno d’una donna, disceso alla nostra vita, per impregnare del suo amore le nostre ore.
In noi è già seminato il miracolo d’una vita celeste, come lo fu Giovanni per Elisabetta. Proprio ora è vivo in noi qualcosa che le nostre forze, le nostre opere, i nostri desideri non hanno avuto il potere di generare. Sterili siamo, come ogni uomo, incapaci di darci vita, e di donarla. Sterili per accogliere la Grazia.
Come Elisabetta intuiamo e cominciamo a sperimentare la novità, ma abbiamo bisogno d’una visita perché il miracolo di Grazia si schiuda in un canto di lode. Viviamo l’amore di Dio dentro di noi, ne sentiamo spesso tutta la portata soprannaturale, proprio come una donna incinta vive ogni cosa in modo particolare, afferrata da una presenza interna, misteriosa che le appartiene e, allo stesso tempo, le sfugge.
Ma, con Elisabetta, abbiamo bisogno di Maria, immagine della Chiesa, e del “saluto” che il nostro cuore attende, l’annuncio della Parola capace di sciogliere in noi quello che, da sempre, la Grazia ha seminato, che muove in noi la Vita in un sussulto di gioia.
Ed è vero che fuori della Chiesa non v’è salvezza, perché in ogni istante della storia che scorre in ogni angolo della terra, risuona la Parola, l’unica che reca la salvezza, Cristo Gesù, nascosto nel seno verginale di Maria, Madre della Chiesa e Madre nostra.
La Chiesa, con la sua voce, abbraccia l’universo in attesa della salvezza. La storia, infatti, è il tabernacolo del Figlio incarnato. Da quel giorno a Nazaret, quando Dio ha deposto il Suo seme nel seno di Maria, nulla è più lo stesso. Tutta la storia, passata, presente e futura è stata inondata d’una Grazia nuova, e tutte le cose sono state rinnovate, e il Signore, l’Emmanuele, ha preso dimora in ogni istante del tempo.
Tutto di noi dunque, miracolosamente, è stato santificato, salvato, redento. La vita non è più una corsa verso la morte, perché Il Cielo s’è dischiuso irrevocabilmente da quell’istante nascosto in una remota città della Galilea.
Ogni esistenza, anche quella che appare più distrutta dal peccato, anche quella che odora di morte, la più sterile, è pronta ormai per essere visitata, salvata e liberata per lasciar posto a un’esultanza di gioia.
Scriveva san Gregorio di Nissa: «L’uomo che, tra gli esseri, non conta nulla, che è polvere, erba, vanità, una volta che è adottato dal Dio dell’universo come figlio, diventa familiare di questo Essere, la cui eccellenza e grandezza nessuno può vedere, ascoltare e comprendere. Con quale parola, pensiero o slancio dello spirito si potrà esaltare la sovrabbondanza di questa grazia? L’uomo sorpassa la sua natura: da mortale diventa immortale, da perituro imperituro, da effimero eterno, da uomo diventa dio» (Sulle beatitudini, Sermone VII).
E’ bastato un annuncio, la parola feconda che, discesa dalle labbra dell’Angelo, ha deposto la Vita divina in Maria dal cui seno è poi rimbalzata divenendo il saluto eterno sulle labbra della Chiesa. I passi veloci della Figlia di Sion sul crinale delle montagne di Giuda sono i passi urgenti degli apostoli di ogni tempo, mossi dallo “zelo”, il termine originale greco tradotto con “in fretta”.
La “cura” con la quale Dio ci ama attraverso l’incedere degli eventi che ci visitano per accoglierci quotidianamente, rivela il suo progetto: “Infatti io so i pensieri che medito per voi», dice il Signore: «pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza” (Ger. 29,11).
“Shalom!” Il saluto “sguainato” da Maria, secondo il senso sotteso al verbo greco salutare, giunge alla cugina come il sorriso di Dio che finalmente si affaccia dal Cielo come una spada pronta ad infilzare la tristezza della sterilità; la cura di Maria per la bellezza della vita sorta nel seno di Elisabetta, come l’attenzione premurosa della Chiesa per ogni vagito della Grazia in ciascuno dei suoi figli, l’amore compassionevole e gratuito capace di destare la gioia nel seno di tutti noi, finalmente amati e fecondati per offrire al mondo il dono ricevuto.
“Pace!” è Il saluto di Maria che accende la speranza e la benedizione dimenticate nella sfiducia per ciò che pensiamo come perso irrimediabilmente; la gioia della risurrezione di tutto quello che in noi era morto, e invece è vivo nel perdono, ed è bello perché “visitato” dalla Bellezza di Cristo, il frutto benedetto del seno di Maria consegnatoci ogni giorno dalla Chiesa.
La storia nostra di oggi, e di ogni giorno, ci arriva al cuore attraverso il saluto di Maria. “La maternità della Chiesa è riflesso dell’amore premuroso di Dio, di cui parla il profeta Isaia: “Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati” (Is 66,13).
Una maternità che parla senza parole, che suscita nei cuori la consolazione, una gioia intima, una gioia che paradossalmente convive con il dolore, con la sofferenza. La Chiesa, come Maria, custodisce dentro di sé i drammi dell’uomo e la consolazione di Dio, li tiene insieme, lungo il pellegrinaggio della storia.
Attraverso i secoli, la Chiesa mostra i segni dell’amore di Dio, che continua ad operare cose grandi nelle persone umili e semplici” (Benedetto XVI, 11 febbraio 2010). E tutto si illumina, anche il passato oscuro che ci ha preparato a questo incontro. Nell’ascoltare la voce di Maria, anche le debolezze, anche i peccati, brillano d’una luce nuova, la stessa del Figlio risorto: “Pace a voi!”.

sabato 22 dicembre 2018


22 Dicembre. Novena di Natale 


SOLO L'UMILIAZIONE, COME LA MANGIATOIA DI BETLEMME, PUO' ACCOGLIERE GESU', L'OPERA PIU' BELLA DI DIO CHE VUOL FARSI CARNE IN NOI
Natale è umiltà. E’ una Donna umile ebbra di gioia. Maria, immacolata sin dalla concezione, priva del veleno che ci distrugge la vita, la superbia che tiene Dio fuori dalla porta. L’inganno che ci fa credere d'essere quel che non siamo, e dilapidare tutte le nostre energie per diventare quello che non saremo mai. Immaginare futuri impossibili, cambi di marcia, le ore cucite sui sogni bambini che rincorrono professioni e mestieri da fare quando si diventerà grandi. Grandi, sempre più grandi, in amore, al lavoro, nello sport, ovunque e sempre. Anche quando non riusciamo, e il volto s'appesantisce di pensieri depressi, nell'acre malessere di chi non riesce a smaltire la sbornia dei sogni infranti, degli ideali spezzati, dei progetti falliti. Per questo Maria e Giuseppe per consegnare Gesù al mondo non hanno trovato se non una misera stalla. Meglio così, a Lui non si addice nessuna delle nostre torri di Babele lanciate in improbabili scalate alla divinità. Lui è la Verità, e cerca il vero. Cerca Maria, lo scrigno della Verità. Dio “ha guardato” alla sua “umiliazione”, la semplice verità di una fanciulla vergine nella carne perché vergine nello spirito, nella mente e nel cuore. Maria, donna vera, la creatura pura che non teme e non ricusa d'esser creatura. Maria, autentica perché semplice nella quotidianità d'una vita sciolta nella volontà del Creatore. Maria, e null'altro, perché questa è la verginità alla quale tutti siamo chiamati. Maria, una fanciulla di Nazaret, e niente di diverso desiderato. In Lei è svelata l’immagine di ciascuno di noi così come dipinto nella mente di Dio, prima d'ogni inalazione mortifera di superbia originale. Le sue viscere materne sono la grotta povera, spoglia, semplice e umile che si addice - l'unica - al Dio che si fa uomo. La sua umiliazione accoglie oggi ogni frammento divino che è in noi: il cuore, la mente, il corpo che ci sono donati per servire e che giacciono schiavi del tiranno che ci ha insegnato l'orgoglio con le parole della menzogna. Maria è l'eletta che ha riassunto in sé ogni creatura perduta, immacolata per i macchiati, umile per i superbi, vera per i falsi. Guardando la sua umiliazione, gli occhi misericordiosi del Padre hanno fissato in Lei il suo primo progetto, un Figlio, una Figlia, e l'abbandono totale tra le braccia dell'amore. Dio ha guardato all'umiliazione di Maria come ha guardato il popolo gemente sotto il giogo del Faraone, come oggi fissa le sofferenze e le angosce di tutti noi scappati dall'ovile della verità. 

Sulla soglia di questo Natale, Maria ci insegna a gridare, ad aspettare, ad accogliere; specchiandoci in Lei scopriamo il vuoto che ci pervade, mentre ci aiuta a non averne paura, ad accettare quello che siamo, a lasciare ogni sogno e ogni desiderio alla volontà di Dio per noi, per schiuderci alla Grazia e allo stupore di fronte alle meraviglie della misericordia di Dio preparate per ciascuno di noi. Coraggio, di certo siamo lontanissimi da Maria, ma non temiamo! Coraggio allora, Maria ci accoglie ancora, nella Chiesa della quale è immagine. In essa possiamo essere illuminati e vedere nei fatti e nelle persone che ci umiliano, anche negli errori e nei peccati l'umiliazione di Maria che, per il peccato originale abbiamo rifiutato. Solo nella comunità cristiana incontriamo lo stesso sguardo di Dio che ha fissato la piccolezza di Maria: Lei l'aveva accolta naturalmente, essendo senza peccato; noi la possiamo accettare solo attraverso la debolezza e i peccati che ce la svelano. Ma sempre insieme a Maria, alla Chiesa nostra Madre, altrimenti l'umiliazione diventerebbe l'occasione per commettere altri peccati. Perché Maria, la nostra concreta comunità cristiana, ci coccola con la misericordia, l'unica lente con cui si può scoprire la verità senza sentirsi falliti e condannati. Anche "in noi", infatti, "Dio ha compiuto, sta compiendo e compirà cose grandi", proprio nella routine della semplice vita di ogni giorno, quella da cui tutti credono di dover fuggire per poter essere felici. Più piccoli ci scopriremo, più grandi contempleremo le meraviglie del suo amore. Anche oggi Maria ci accoglie perché il suo grembo, dove impariamo ad ascoltare la Parola di Dio e non indurire il cuore come fece Lei, è il luogo benedetto dove, nutrendoci dei sacramenti e contemplando l'opera di Dio nelle tante Elisabetta - i fratelli - che Dio ha messo al nostro fianco, si gesta il Magnificat, il canto di lode che professa la fede adulta. La fede infatti, non è cosa di un giorno. Neanche del giorno Natale. L'annuncio dell'angelo che ascoltiamo nella predicazione, come quello che hanno ascoltato i pastori nella notte, mette in cammino, sempre. Va accolto e curato perché cresca nelle liturgie nella preghiera e nell'esperienza reale della comunione soprannaturale con i fratelli. Maria ci accompagna in questo cammino sul quale impariamo a vivere nell'umiltà, accogliendo come Lei l'opera di Dio nella nostra storia: proprio i fatti e le persone che sembrano frustrare progetti e desideri, sono i segni dell'amore geloso del Signore che “disperde i pensieri superbi” annidati nei nostri cuori, quelli che guardano con mormorazione la storia e con diffidenza il fratello. Lui ci fa semplici “svuotando le nostre mani" piene di false ricchezze, che sono anche gli affetti morbosi che ci seccano la vita. E ci fa liberi nella verità, “rovesciandoci dai troni” del potere, dell'arroganza con cui vorremmo condurre la vita e dominare gli altri appropriandocene: al lavoro, a scuola, anche in famiglia dove non siamo capaci di fare mai un passo indietro, i nostri peccati sono lì a testimoniarci che sul trono è seduto Cristo, e non noi. Alla sua Croce, infatti, ci conduce la sapienza della Chiesa; ai suoi piedi ci attende Maria per adottarci di nuovo, ogni giorno; per abbracciarci come abbracciò Elisabetta, e così unirci alla sua lode, il "magnificat" che annuncia l'esistenza e l'amore di Dio in mezzo al mondo che non ha posto per Lui e lo bestemmia, l'esultanza crocifissa dei cristiani offerta a tutti come una tavola di salvezza nel mare in tempesta delle disillusioni e dei peccati

venerdì 21 dicembre 2018

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Arriva il Natale, e viene a fare nuove tutte le cose. Anche ogni nostra relazione. La Visitazione della Vergine Maria ad Elisabetta è una profezia e un annuncio per tutte le coppie di sposi, per i fidanzati, per ogni relazione tra genitori e figli, tra fratelli, parenti, amici, colleghi di lavoro, vicini di casa. Dio si è fatto carne per mezzo di un Annuncio che ha catapultato Maria nello stesso zelo che avrebbe divorato il suo Figlio. Lo zelo per la "sua" casa, per la vita di ogni uomo. Maria corre verso Elisabetta nella fretta di vedere compiute in lei le parole che ha ascoltato, perché ogni annuncio è legato indissolubilmente ai segni che Dio offre come appoggio sicuro per credere. La "beatitudine" di Maria è svelata proprio da Elisabetta, il segno che l'Angelo le aveva annunciato. La fede autentica non è mai un salto nel buio, ma un cammino sulle orme disegnate da Cristo con le opere concrete che indicano la sua vittoria sulla morte. Nel caso di Elisabetta nella sua sterilità. La Parola si fa carne e spinge Colei nel cui seno ciò sta avvenendo a contemplare nella cugina lo stesso potere. La fede cioè non è mai chiusa nell'intimismo, ma si nutre dei segni che Dio ci dona compiendoli in chi ci è accanto. E così, la fede genera stupore, e si fa a sua volta segno offerto alla fede dell'altro. Questo è il fondamento di ogni matrimonio cristiano vissuto nel grembo benedetto della Chiesa. Tutti siamo frutto della fede di Maria e dello zelo della Chiesa che viene a visitarci per contemplare in noi l'opera di Dio e schiudere le nostre labbra alla stessa benedizione di Elisabetta: "Beata tu Maria", beata tu Chiesa, che hai creduto e ora vieni a me a sigillare nella tua fede l'opera che Dio ha iniziato in me. Sì, la fede è fonte e origine della comunione piena di gioia che possiamo contemplare nel brano di oggi. Così un marito è chiamato ad ascoltare ogni giorno la Chiesa che gli annuncia il miracolo della Parola che si fa carne in lui, l'amore di Dio compiuto in Cristo che lo lega indissolubilmente a sua moglie. E in virtù di questo annuncio è spinto verso sua moglie per visitarla, così come ella è, sterile, stanca, nervosa, che non può o non vuole unirsi a lui, per contemplare in lei l'opera di Dio, la stessa opera della Grazia che è stata annunciata e ha cominciato a operare in lui. Ad ascoltarla, ad accettare i suoi sfoghi, a prendere su di sé i suoi peccati, e lasciare che si infrangano sulla roccia dell'amore che si sta facendo carne in lui. Questa è la fede che opera attraverso la carità, vera, virile, cristiana, cioè di chi appartiene davvero a Cristo. E così anche la moglie è spinta nella fretta dell'amore riversato in lei verso suo marito a contemplare ciò che Egli ha iniziato ad operare in lui. Questo è il fondamento del matrimonio, il segreto della sua indissolubilità, il dono che, nella Chiesa, il Signore vuole farci e rinnovarci in questo Natale. E così i genitori verso i figli, e i figli verso i genitori; così si "allenano" due fidanzati, così un sacerdote verso la comunità che gli è affidata, così i fratelli nella Chiesa. Visitarci l'un l'altro per appoggiare la nostra fede nella stessa opera di Dio che ci unisce in Cristo, questo è il nostro pellegrinaggio verso la stalla di Betlemme. Non a caso la prima Domenica dopo Natale è quella della Sacra Famiglia. Una famiglia santa e rinnovata in Cristo, non è questo il regalo più bello che tutti attendiamo? Non dubitate, anche se sembra andare tutto a rotoli, Dio si fa carne per noi, per offrirci l'orma santa della sua carne nella nostra vita. Per farne una danza, come quella di Giovanni nel seno di Elisabetta, come quella di Davide quando ha introdotto a Gerusalemme l'arca nella quale era custodita la Torah. Il matrimonio e ogni relazione come una danza ebbra di gioia - la danza della fede - perché la Parola si fa carne proprio nella debolezza, come Gesù nella stalla di Betlemme.