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mercoledì 17 marzo 2021

 


LA VOCE CHE CI RESUSCITA CHE LA CHIESA CI ANNUNCIA OGNI GIORNO
Come possono i morti ascoltare? Solo se vi è una voce capace di penetrare la pietra di un sepolcro e una parola così potente da raggiungere chi vi giace privo di vita ridestandolo all'esistenza. Il Vangelo di oggi, rivelandoci che esiste questa Parola, ci mostra qualcosa di stupefacente: "Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati". Gesù aveva appena guarito un paralitico, ma in quelli che il Vangelo di Giovanni chiama i "Giudei" e che potremmo definire coloro che nel popolo ebraico hanno rifiutato Gesù, questo evento straordinario aveva suscitato uno stupore indignato; l'inossidabilità delle loro certezze aveva ossidato la speranza, la ruggine dell'autosufficienza aveva indurito il cuore facendo dimenticare la promessa che la sosteneva. Così il miracolo, invece di generare lo stupore meravigliato e pieno di gratitudine aveva innescato il rifiuto, gestato nel legalismo moralista in nome del quale "cominciarono a perseguitare Gesù". Con questo miracolo inizia il processo a Gesù, la verità e l'amore sottoposti a giudizio. E' di scena il dramma che definisce la vita di ogni uomo, di ogni società e di ogni cultura. La via alla salvezza, alla felicità piena che essa dischiude, passa per la porta stretta dello stupore. La può attraversare solo un bambino, un povero, colui che è stato umiliato, "abbassato", dagli eventi della storia: "Tutto quel che c’è di piccolo è tutto quel che c’è di più bello e di più grande. Tutto quel che c’è di nuovo è tutto quel che c’è di più bello e di più grande. Ha una forza, una novità, una freschezza come l'alba. Una giovinezza, uno slancio, un'ingenuità, una nascita che non si trova mai più. C'è in quello che comincia una fonte, una razza che non ritorna. Una partenza, un'infanzia che non si ritrova mai più. Ora la piccola speranza è colei che sempre comincia. Quella nascita, quell'infanzia perpetua" (C. Peguy, Il Portico del mistero di S. Giovanna D'Arco).
Il paralitico guarito è immagine di questo inizio, di questa infanzia capace di stupore; non ha fatto nulla, la sua speranza ha incontrato, per Grazia, Colui che l'ha trasformata in desiderio prima e in compimento poi. E così il paralitico ha cominciato a camminare, la "piccola speranza" ha iniziato a deporre i suoi passi sul selciato di una vita nuova; la guarigione è stata "quella nascita, quell'infanzia perpetua" che definisce il destino di ogni uomo: la vita eterna, il gaudio senza fine. E' questa l'opera più grande capace di genera la meraviglia: i morti possono ascoltare una voce e risorgere! Secondo l'antropologia ebraica la morte non è considerata una separazione del corpo dall'anima: "Un vivente è un'anima (nefesh) vivente, un morto è un'anima (nefesh) morta. La morte non è un annientamento: finché sussiste il corpo, finché restano almeno le ossa, l'anima sussiste, in uno stato di estrema debolezza, come un'ombra nella dimora sotterranea dello Sheol" (R. De Vaux, Le Istituzioni dell'Antico Testamento).
Ma quel giorno, sul bordo della piscina, Gesù ha annunciato l'imprevedibile: "è giunto il momento", il kairos, il tempo favorevole, ed era quello in cui aveva guarito il paralitico che giaceva, come un'ombra, sul bordo della piscina; quell'uomo era lì, tutti lo vedevano, ma per tutti non era che un'ombra, nessuno si era preoccupato di aiutarlo nel momento favorevole per guarire, quando le acque si agitavano. E ora il momento s'era fatto carne in quell'uomo, e voce da udire, e parola da credere. Il momento favorevole era venuto a lui dischiudendogli un momento eterno di salvezza. La Parola di Cristo distrugge le porte della tomba e dona vita alle ombre. Dietro la lapide di una tomba non vi è solamente un corpo destinato alla putrefazione, ma un'anima, un uomo che attende una Parola: "Noi tutti esistiamo perché egli ci ama, perché egli ci ha pensati e ci ha chiamati alla vita. Esistiamo nei pensieri e nell’amore di Dio. La nostra serenità, la nostra speranza, la nostra pace si fondano proprio su questo: in Dio, nel Suo pensiero e nel Suo amore, non sopravvive soltanto un’«ombra» di noi stessi, ma in Lui, nel suo amore creatore, noi siamo custoditi e introdotti con tutta la nostra vita, con tutto il nostro essere nell’eternità. E Dio accoglie nella Sua eternità ciò che ora, nella nostra vita, fatta di sofferenza e amore, di speranza, di gioia e di tristezza, cresce e diviene. Il Cristianesimo non annuncia solo una qualche salvezza dell’anima in un impreciso al di là, nel quale tutto ciò che in questo mondo ci è stato prezioso e caro verrebbe cancellato, ma promette la vita eterna, «la vita del mondo che verrà»: niente di ciò che ci è prezioso e caro andrà in rovina, ma troverà pienezza in Dio." (Benedetto XVI, Omelia nella Solennità dell'Assunzione della Vergine Maria, 15 agosto 2010).

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