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martedì 15 aprile 2014

Domenica delle Palme

La domenica delle Palme segna l'ingresso nella settimana santa. La liturgia del giorno proclama due brani evangelici di Matteo, con effetti fortemente contrastanti. Da una parte si assiste all'ingresso luminoso di Gesù in Gerusalemme e dall'altra al triste racconto della passione. La gioia e il dolore si intrecciano in questo giorno e non si fa in tempo a respirare l'una che subito si affaccia l'altro.
Nella prima scena rimbombano le grida dell'Osanna che accompagnano il maestro al suo ingresso in città. È il momento del trionfo, in cui egli è proclamato re pacifico, motivo per cui si dedica questo giorno alla pace. Si benedicono rami di ulivo e si usa scambiarseli in segno di pace. La folla che Matteo descrive "numerosissima" rende più vivace la scena e niente lascia immaginare ciò che da lì a poco sarebbe avvenuto.
Una domanda corre tra la gente: «Ma chi è costui?». La risposta sta nel titolo del riconoscimento messianico: «È il figlio di David». Ma non era così che la folla lo attendeva, mite e umile, seduto su un asino. Se lo aspettavano alla testa di qualche esercito, per aggiustare tutte le cose. Non meraviglia che il trionfo sarà subito inghiottito dalla delusione.
Il racconto della passione inizia con una scena cruda e realistica: Gesù è oggetto di compravendita tra uno dei "dodici", Giuda, e i sommi sacerdoti che avevano deciso di porre fine a tutto questo frastuono. Sono sufficienti trenta denari per vendere qualcuno che ha detto di amarti e di credere in te. Trenta monete e un bacio bugiardo possono chiudere la storia di un amore infinito.
Arriva il giorno della "cena" che vede gli amici intorno alla stessa tavola, per l'ultima volta. Gesù istituisce l'eucaristia anticipando in un rito il mistero della sua pasqua, della croce e della risurrezione. Il donatore si fa dono e pronuncia le parole più importanti: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, il sangue che non sarà sparso invano perché da esso spunterà la nuova alleanza.
Terminata la cena si entra nel Getsemani. Il Gesù di Matteo è pieno di gloria fin dalla sua nascita, ma qui lo rivela in tutta la sua debolezza. Gesù sente tristezza e angoscia, cerca sostegno ma i suoi amici dormono. Torna alla preghiera, unica risorsa per non spegnere le energie, ma la prova è grande e ritorna dai discepoli dormienti. Questa volta non li rimprovera. È arrivata l'ora di "consegnarsi" alle tenebre.
Tutte le scene della passione sono accompagnate dal verbo "consegnare". Giuda lo consegna ai soldati, il figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori, i sommi sacerdoti lo consegnano a Pilato e Pilato lo consegna alla folla. È il verbo dell'abbandono alla volontà del Padre, il verbo della libertà perché non sono gli altri a obbligarlo ma è lui che si consegna, ed è il verbo dell'amore perché solo chi ama sa arrendersi e si dà gratuitamente, senza opporre resistenza.
Allora gli misero le mani addosso e lo arrestarono. I discepoli lo abbandonano e fuggono. L'hanno seguito sulla via dei miracoli e lungo le strade festose dell'ingresso a Gerusalemme, ma ora che entra nella via della croce scappano. Non si può biasimarli, cosa avremmo fatto noi al loro posto? Forse sarebbe bastato seguirlo a distanza o condividere la sua sorte, ma occorre un grande amore per farlo.
Inizia il processo-farsa, devono decidere se condannarlo ma intanto lo hanno già condannato. Ci sono tutti: gli anziani, i capi del popolo, i sacerdoti e i falsi testimoni. Citano le sue parole travisandole e dandogli un diverso significato. E così la condanna è giustificata. L'ordine delle cose è ormai rovesciato, l'innocente diventa colpevole e il colpevole è dichiarato innocente. Quando dominano le tenebre niente ha più chiarezza. È l'ora del caos.

Giungiamo alla bruciante scena del rinnegamento di Pietro. Ce lo saremmo aspettato da tutti ma da lui no. Pietro così impetuoso e innamorato, così appassionato e forte, lui che era la roccia della fede. E invece eccolo venire ingoiato dalle tenebre. Che tristezza sentirgli dire di non conoscere Gesù, non una, non due ma tre volte. Non lo conosco, non lo conosco, non lo conosco. E subito un gallò cantò. Il giorno stava spuntando nel cielo ma non nel cuore di Pietro che uscito fuori "pianse amaramente". Questo suo pianto ce lo fa amare di nuovo. Che uomo, quest'uomo così simile a noi, forti e deboli al tempo stesso. Le lacrime lavano la sua colpa e con essa i suoi ricordi, mentre l'altro traditore è precipitato in una notte più cupa, e oscilla come un manichino appeso alla corda della disperazione. Le monete del tradimento sono tornate nelle mani dei mandanti e passano di mano in mano, perché nessuno vuole sporcarsi con esse.
Dopo la prima condanna arriva un secondo processo, questa volta non si svolge in una casa di fango e di mattoni ma in un palazzo, il palazzo di Pilato, governatore romano. Che confronto! Il giovane maestro della sperduta città di Nazareth incatenato dalla legge religiosa che viene consegnato all'impero del più forte, quello che aveva conquistato il mondo col rumore delle spade. Il re della pace, mite e umile di cuore, entrato nella città seduto un asino, è ora di fronte alla schiacciante tracotanza del potere assoluto. Piccoli intrighi quelli di Pilato che cerca di salvarlo, forse perché infastidito da tanta debolezza o forse per non darla vinta alle autorità giudaiche verso cui provava un profondo disprezzo.
E Gesù che era stato già venduto ora è barattato. Prendi questo lascia quello, prendetevi lui mi tengo Barabba. Ma nel vento risuona una voce agghiacciante: dacci Barabba e costui crocifiggilo. Crocifiggilo! Com'è distante l'Osanna, come sono lontani i canti e le risate, eppure non sono passati che pochi giorni. Pilato si arrende alla logica del profitto e alla fine lo "consegna" per farlo crocifiggere. Poi si lava le mani, un gesto eclatante ma inutile perché l'acqua non basta a purificarle del sangue di cui si sono macchiate.
Arrivano gli esecutori, quelli della truppa, i soldati, che compiono sempre bene il loro dovere quando si tratta di eseguire una condanna a morte. Sanno solo che si è fatto re e non si fanno domande se sia vero o meno, inscenando una pagliacciata vergognosa. Lo flagellano, gli mettono una corona di spine sul capo, lo insultano, gli sputano addosso, lo scherniscono, lo spogliano. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Dolce figlio dell'uomo, non osiamo nemmeno guardarti per come ti hanno ridotto. Dolci figli degli uomini dispersi per il mondo che subiscono la stessa tortura. Dolce e amabile bellezza, quanto dolore mi dà vederti così sporcata.
Inizia la salita verso il monte, chiamato Golgota. Si sente l'odore della polvere alzata dalla calca del corteo. Lunga e silenziosa processione. Vengono alla mente le cadute, un uomo della lontana Cirene che lo aiuta, gli altri condannati che lo seguono, muti e malinconici, e le donne che piangono, versando lacrime salate; una asciuga quel volto martoriato e la madre che tutto raccoglie, nascosta dal ricordo di giorni diversi. Rumori di martello stanno inchiodando le ali di chi è venuto per insegnare il volo e ad amare la terra, fino a fondersi con essa.
È l'atto finale. Qui si concentra il tempo e non c'è un giorno che possiamo paragonare a questo. Lui non parla più. ormai non resta che la consegna totale. Riprende la parola solo al momento supremo, quando un'altra morte lo afferra, una morte ben più oscura che gli soffoca il cuore: Dio mio perché mi ha abbandonato. È allora che si fa veramente buio su tutta la terra. Padre mio, anche tu mi hai abbandonato. Non resta che consegnare l'ultimo dono: il suo Spirito. Sì, ora tutto è compiuto.
Matteo porta una serie di eventi che hanno un significato simbolico. Con la morte di Gesù si squarcia il velo del tempio per dire che esso ormai non ha più importanza perché la comunione tra Dio e l'umanità è sigillata da questa croce. Si aprono le tombe dei morti per dire che egli è la risurrezione e la vita. E dopo tante fughe e tradimenti giunge finalmente la voce della Chiesa, che riconosce nella fede: Davvero costui era il figlio di Dio!
Mani pietose depongono il corpo morto in una tomba, sigillandola con una pietra pesante, nella certezza che nessuno potrà spezzarla. Eppure qualcosa di caldo sta già bruciando quella pietra. Una fiamma si è accesa e un avvenimento si sta preparando nel cuore della terra, un avvenimento sconvolgente che ci porterà a cantare un grido di vittoria.

Don Giovanni Tangorra

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