αποφθεγμα Apoftegma
Ti supplico,
che la mitezza della tua carità ridia coraggio al mio cuore.
Per grazia, le viscere della tua misericordia
si commuovano in mio favore,
perché purtroppo, numerosi sono i miei demeriti,
nulli i miei meriti.
E donami, o caro Gesù, di amare te solo,
in ogni cosa e al di sopra di tutto,
di attaccarmi a te con fervore,
di sperare in te,
e di non mettere alla mia speranza nessun limite.
Santa Geltrude di Elfta
AMATI GRATUITAMENTE POSSIAMO RIPOSARE NEL CUORE DI GESU' CHE SI SCHIUDE PER NOI NELLA CHIESA
αποφθεγμα Apoftegma
Ti supplico,
che la mitezza della tua carità ridia coraggio al mio cuore.
Per grazia, le viscere della tua misericordia
si commuovano in mio favore,
si commuovano in mio favore,
perché purtroppo, numerosi sono i miei demeriti,
nulli i miei meriti.
nulli i miei meriti.
E donami, o caro Gesù, di amare te solo,
in ogni cosa e al di sopra di tutto,
in ogni cosa e al di sopra di tutto,
di attaccarmi a te con fervore,
di sperare in te,
e di non mettere alla mia speranza nessun limite.
Santa Geltrude di Elfta
Invece le parole di Dio sono preparate per chi non ha parole. E se fossero, oggi, per noi? Se accettassimo di essere davvero "affaticati e oppressi" perché peccatori, ci ritroveremo, finalmente, senza parole. "Infanti", cioè senza favella. Allora sì che questa Solennità ci verrebbe incontro come un unguento a lenire le nostra membra ferite e stanche per tanto "andare e venire" senza frutto. Il "Sacratissimo Cuore di Gesù" si schiuderebbe davanti al nostro "cuore corrottissimo", indurito nell'orgoglio e nell'incredulità, tempestato di aritmie perché incapace di battere per amare. Accetti di avere un cuore da buttare? Accetti di aver un'urgentissimo bisogno di trapianto? Sì? Fantastico! Significa che la storia ti ha fatto scoprire di essere "piccolo" mostrando inutili le tue parole; e "povero", "tapino", secondo l'originale greco del termine "umile". Significa che la Parola di Dio ti ha illuminato e le cure materne della Chiesa ti hanno condotto alla verità, aprendo i tuoi occhi sulla "terra" di cui sei fatto, secca e arida perché hai cacciato da tempo lo Spirito Santo che le dà la vita. Sei nell'humus, stai sfiorando l'umiltà, l'unica via per entrare nel "riposo" e nel "ristoro" autentici. Perché tu, esattamente come sei oggi, "affaticato e oppresso", sei la "terra" dove Cristo è disceso per farvisi seppellire. Per Lui, infatti, non c'è nessuno più importante di te. Tu sei il "tutto" che "il Padre ha dato al Figlio". E oggi viene a prenderselo, perché non c'è gioia più grande in Cielo che per un peccatore che si converte. "Un" peccatore, tu. Ma perché Gesù possa "esultare nello Spirito Santo" per te come il Buon Pastore dinanzi alla sua pecora che s'era perduta, come il "Padre" abbracciando il suo figlio che era morto, è necessario che anche tu "conosca il Padre": è questa infatti la sua gioia, che un "tapino" come te "conosca" suo Padre, perché, come diceva Filippo, "questo ci basta". Ma "nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare", cioè a te. Per esserti accanto oggi e "rivelarti" nel suo volto il tuo Padre, pur essendo Figlio, ha "imparato" l'obbedienza dalle cose che patì. "Mite" come un agnellino condotto al macello, si è "umiliato" per entrare nella tua "umiltà", nella tua realtà più dura e arida. Ascolta allora questa Parola, è Lui che nella Chiesa ti sta parlando dicendoti "vieni a me". Puoi uscire da te stesso, perché nella sua chiamata vi è il potere di compiere quello che dice. Vai a Lui che ti chiama per "insegnarti" il "riposo e il ristoro", immagini della vita celeste preparata per noi che il cuore che "ha imparato da Lui" può pregustare. Il termine "imparare" adottato da Gesù, infatti, rimanda al rapporto tra "Didaskalo" e "discepolo", tra il Maestro e l'allievo. "Imparare", dunque, è la coniugazione di un'intimità che si realizza pienamente solo dove il Signore ci "rivela" il Padre amandoci "sino alla fine", cioè sulla Croce, il "suo giogo" preparato per noi ogni giorno. Su di essa, infatti, "ha preso su di sé" ogni nostro peccato, angoscia e dolore, unendosi così a noi indissolubilmente; e con noi è sceso nella "terra" che ci ha sepolto, e da lì ci ha fatti risuscitare con Lui per portarci al "riposo" e al "ristoro" del Paradiso. Per questo la Croce è l'unico "giogo soave", l'unico "carico leggero", cioè l'unico adatto a noi, perché Gesù Cristo è l'unico che si è adeguato a noi, "facendosi peccato perché i peccati non ci allontanassero da Lui" (Ode VII di Salomone). "Imparare da Lui" significa dunque lasciarsi legare nella sua intimità "prendendo su di noi" la nostra Croce che Gesù ha fatto il "suo giogo". Il "carico" di ogni giorno, proprio quello che la carne rifiuta come l'assurdo più lontano dal "riposo" e dalla gioia, è sulle sue spalle; e oggi viene a chiamarci proprio nell'ostinazione con cui abbiamo sempre rifiutato di portare la Croce per dirci di non aver paura ad entrare con Lui nei fatti e nelle relazioni che ci spaventano. In essi "impareremo" la "mitezza", perché proprio la moglie o il marito, la malattia o qualunque sofferenza, ci "ammansiscono", "domano" il puledro selvaggio che è la nostra carne; "impareremo" da Gesù l'"umiltà" che ci fa riposare nella realtà, anche se dolorosa, e la "mitezza" di fronte ai fatti e alle persone, per accogliere la volontà di Dio senza esigere nulla. Benedetta la nostra storia, benedetta la Croce che Dio vi ha piantato: su di essa si schiude il "cuore" di Cristo per accoglierci nel suo amore e "rivelarci il Padre", l'unico "ristoro" a cui anela la nostra "anima".
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