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giovedì 30 luglio 2020


LA SAPIENZA DEL PROFETA SMASCHERA L'INCREDULITA' NASCOSTA NELLO SCANDALO E NEL RIFIUTO PER OFFRIRCI LA POSSIBILITA' DI CONVERTIRCI E GESU' POSSA OPERARE MIRACOLI IN NOI

Gesù viene oggi a Nazaret, la sua patria. Viene cioè nelle nostre città, nei nostri quartieri, nei luoghi che frequentiamo ogni giorno. Viene perché “colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine”. Ciò significa che anche oggi abbiamo bisogno di nuovo di essere messi da parte, strappati al mondo, alla carne e al demonio che ci seducono per non farci vivere secondo la volontà di Dio che ci ha scelti ed eletti per essere suoi figli. Eppure può succedere come quel giorno a Nazaret, e chissà quante volte è già accaduto… Possiamo cioè “scandalizzarci” del fatto che, “per ridurre all’impotenza il demonio” e farci figli del suo stesso Padre, Gesù “divenga partecipe” oggi della nostra carne e del nostro sangue. E’ difficile infatti imbattersi in un amore così e non inciampare sulla sua gratuità. Nessuno si è fatto mai compatriota dei nostri fallimenti. Nessuno ci ha amato sino a farsi peccato, sino a condividere le conseguenze dei nostri peccati. Non a caso nel parallelo di Luca la scena del rifiuto si svolge in sinagoga, dopo che Gesù aveva annunciato solennemente che proprio in quel giorno si stavano compiendo le profezie che Egli stesso aveva proclamato. Gesù, il loro compatriota, era il Vangelo fatto carne, lì, in quel momento, per loro. E che dicevano le profezie? Annunciavano la libertà! L'uomo nuovo che rinasce dal battesimo. Gesù è "venuto nella sua patria" per spalancare le porte sprangate che la chiudevano nella schiavitù della paura della morte. Gesù è venuto per strappare ai confini terreni e carnali la sua patria, e quindi quella di ogni uomo; per demolire le barriere della morte che limitano e rinserrano ogni rapporto nell'egoismo e nella concupiscenza. Come accade sovente anche a noi, in un primo momento la "gente" di Nazaret si "stupisce" per gli "insegnamenti" di Gesù. Non parlava, infatti, come i loro scribi, e aveva una "sapienza" e un potere di compiere "miracoli" che non avevano mai visto. Ma ai loro occhi era come se quella sua eccezionalità straripasse dalla sua carne, era impossibile che quell'uomo che aveva vissuto con loro tanto tempo potesse contenerla; già, "da dove gli veniva"? Gli veniva dallo stesso Cielo dal quale i cristiani, i nuovi compatrioti, avrebbero ricevuto in dono lo Spirito Santo; gli "veniva" dalla "patria" che è madre di tutte le patrie, dalla Gerusalemme celeste; gli "veniva" dal Padre, dal quale ogni paternità, e quindi ogni patria prende origine. E perché Nazaret fosse accolta nella paternità divina, perché tutte le patrie degli uomini diventassero parte della Patria celeste, Gesù è "venuto" a prendersi il rifiuto dei suoi patrioti. Per renderli figli di Dio e così fratelli oltre la carne, ha lasciato che il peccato lo uccidesse nella carne. Per liberarli e introdurli nella vita nuova "è divenuto partecipe della loro carne e del loro sangue" con cui è entrato nella morte, e con cui ne è uscito vittorioso. Per salvarci ha assunto su di sé le invidie, le gelosie, le meschinerie che ci avvelenano la vita; si è fatto peccato, peccato nella carne, nella famiglia, nei rapporti dove tutti inciampiamo. Ha lasciato che il peccato originale, consumato non a caso da due sposi, lo deponesse nella tomba. Ma è risorto, per fare di ogni peccatore la sua sposa senza macchia né ruga, perché ogni legame bloccato dal peccato e dalla paura, potesse ritrovare la libertà dell'amore autentico, libero e nella verità. 


La sua "venuta" a Nazaret è identica alla sua "venuta" nella nostra vita, per scendere nelle profondità del peccato nel quale ci ha concepito la nostra madre nella carne. A Nazaret va in scena tutta la nostra vita, quella di ogni giorno, fatta di piccole e semplici cose, ma segnata dal peccato originale. Anche noi abbiamo bisogno di un messia che si infili nella quotidianità. Ed è necessario anche lo scandalo di fronte alla normalità del suo amore. Tanto il demonio ci ha fatto credere speciali, praticamente come Dio, che ormai sappiamo immaginarci la salvezza, la felicità, la svolta nella vita "venire" solo attraverso chissà quale effetto speciale. Mai e poi mai Gesù il Messia "verrà" dalla Nazaret che conosciamo bene, dal marito, dalla moglie, dai figli, dai fratelli, dal lavoro di ogni giorno, a casa tra pranzi, cene e pannolini, o in ufficio, snervante, deprimente; mai da un malattia, da un fallimento amoroso, da un licenziamento. No, siamo certi che la salvezza ci verrà da un fatto capace di cambiare radicalmente le nostre esistenze. E invece Gesù "viene" proprio da Nazaret, da quello che non accettiamo e che vorremmo cambiare. "Viene" da Nazaret per tornare a Nazaret; "viene" dalla nostra stessa carne, per "venire" alla nostra carne e deporvi un seme di Cielo. "Viene" da Nazaret ma "viene" anche dal Cielo, per trasformare le nostre Nazaret in meravigliose città celesti. Così è nata la Chiesa, così rinascerà la tua famiglia, simile alla santa Famiglia di Nazaret. Gesù, infatti, non "viene" a cambiarne le mura, le vie, le case, i negozi... Il tuo carattere e quello dell'altro probabilmente non cambierà di una virgola, perché il Messia "viene" a trasformare dal di dentro le relazioni, il cuore dei suoi abitanti. "Viene" a darci un cuore nuovo, capace di amare e accogliere l'altro come il Messia inviato alla nostra vita. Gesù, infatti, doveva redimere l'ordinario, perché lo straordinario non esiste, è figlio della menzogna del demonio: noi non siamo diventati come Dio, per questo Dio si è fatto uomo. Ci scandalizzerà ancora che il Messia entri dalla porta di servizio, ma l'unica verità è che siamo tutti lì, a Nazaret... Lui non si è "scandalizzato" di te, perché tu ti scandalizzi di Lui? Perché non ti accetti, non sopporti le debolezze, la precarietà spirituale... E così ti scandalizzi degli altri, e di Lui, che invece di fare il miracolo di cambiarti si fa come te... E non capiamo che è per farci, poco a poco, come Lui, lasciando intatta la nostra fragilità. Per questo, confessiamolo, è già successo, vero? che "a causa della nostra incredulità, non ha potuto fare molti prodigi"... Lo abbiamo "disprezzato" e rifiutato proprio perché si è presentato come uno di noi: un povero prete, un catechista a cui non daresti due lire; o nella carne di chi ti è accanto. Non abbiamo ascoltato le sue "profezie" perché risuonavano nelle voci che ci siamo illusi di conoscere molto bene. Ma oggi di nuovo Gesù ci annuncia una "profezia", coraggio! Guardati intorno, ti dice, guarda al più piccolo di casa, come Samuele guardò a Davide. Scruta ciò che sembra non avere valore, perché è lì che risplende la vita divina nella carne umiliata di Cristo. Così è nella storia, dove si incarna nei più poveri, negli ultimi, in quelli che il mondo neanche guarda più. Così oggi busserà alla tua porta, come Lazzaro piagato giaceva sull'uscio del ricco epulone. Lo aveva ben compreso San Francesco, che non a caso inviò Frate Rufino a predicare nudo nel Duomo di Assisi, episodio ritratto magistralmente da Liliana Cavani. La misura della fede emergeva dall'accoglienza di quell'uomo inerme, completamente nudo. Era Cristo "venuto" nella Chiesa, era il Servo di Yahwé che tutti erano capaci di venerare nelle immagini scolpite ma che rifiutavano se "veniva" loro a "insegnare" in carne e ossa di povero e ultimo. Purtroppo accade ancora oggi nella Chiesa, quando parroci e fedeli rifiutano i doni dello Spirito Santo, i carismi che Dio dona incartandoli nella carne dei loro fratelli; deboli, fragili, magari laici e non sacerdoti, e per questo disprezzati, perché è ancora vero che "un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua". E in quelle parrocchie Dio non può compiere i "molti prodigi" che avrebbe voluto compiere... E' un mistero, ma è così, profetizzato duemila anni fa da Gesù, che lo aveva vissuto in persona. Ah l'incredulità dei pii... E' puro diserbante sparso nelle comunità... E così nelle nostre case, dove amiamo e accogliamo sin tanto che l'altro non ci si presenta nudo, ferito, piagato dai propri peccati, dalla debolezza, dagli errori. Apri gli occhi del cuore allora, e guarda bene, sei tu quell'uomo ferito, è il tuo matrimonio, la tua storia, ed è Lui che "viene" ancora per salvarti. E' Lu che ti parla, è Cristo vivo in tuo marito, in tua moglie, in tuo figlio. E ti sta "insegnando" a spogliarti dell'uomo vecchio gettandolo nella misericordia di Dio; le relazioni difficili ci stanno "ammaestrando" nell'umiltà, spingendoci a chiedere aiuto alla Chiesa. Abbiamo rifiutato tante volte il Signore, scappando dalla Croce. Ebbene oggi ci è offerta una nuova possibilità: accogliamolo nella carne, anche nei difetti dei fratelli. Lui ha già rotto ogni muro che ci separa da loro. Basta aprire un pochino il cuore e lasciare che Lui compia in noi il "prodigio" della sua "sapienza" crocifissa. Allora ci farà stendere le braccia con Lui per amare, perdonare, e offrirci liberamente, senza esigere, senza usare dell'altro; allora vedremo la nostra Nazaret tingersi di Cielo. 

mercoledì 29 luglio 2020


MARTA E' SANTA PERCHE' CHIAMATA NELLA CHIESA A VIVERE NELLA FEDE DI MARIA

Una bella faccia tosta Marta. Si "fa avanti", e già si muove male... Tutto in lei è un "farsi avanti", mentre tutto in Maria è un farsi indietro, tanto indietro da "sedersi ai piedi di Gesù". E' il contrasto tra l'atteggiamento di chi si fa discepolo e quello di chi si fa maestro. Maria è discepola, Marta si crede maestra. E le accade come a Pietro, che va avanti a Gesù e gli si mette di traverso per farlo inciampare sul cammino verso la Croce. Anche Marta, "presa dai molti servizi", è schiava del pensiero mondano, sempre ispirato dal tentatore, “shatan”. Entrambi non accettano la propria storia, e cercano di tirare Gesù dalla propria parte, a seguire il proprio "pensiero" e dargli compimento. Ma Gesù non è il giudice che esigeva Marta, non è stato "accolto" nella sua casa per farle giustizia, per soddisfare la sua "cupidigia". Lui è lì per molto di più che aggiustare la sua vita. Luca descrive Marta come "una donna che aveva una sorella", nel senso che la sua vita dipendeva da quella relazione; ciò che la definiva era Maria, e, proprio per questo, dev'essere stata molto difficile la loro relazione. Sembra una scaramuccia come le tante che si incendiano anche nelle nostre case. Eppure nasconde un Vangelo, una Buona Notizia così importante da indurre Luca a scrivere l'episodio e a tramandarlo a ogni cristiano. Quanti di noi soffrono perché "hanno una sorella", o un fratello, o un padre, una madre, una moglie, un figlio che, come Maria per Marta, con la loro attitudine contestano la nostra? Tutti, nessuno escluso; anche il parroco soffre perché "ha un vice-parroco", una suora perché "ha una consorella"... Le relazioni sotto lo stesso tetto sono così importanti da assorbire il nostro cuore. Marta e Maria sono il paradigma di ogni famiglia, e da qui ha inizio tutto. Non a caso Gesù dice che "chi non odia suo padre, sua madre, i suoi fratelli, non può essere mio discepolo" come Maria. Marta era "presa" da qualcosa che l'aveva resa insofferente, ansiosa, alienata; e quindi gravida di giudizi, al punto di rivolgersi al Signore con la presunzione e l'orgoglio di essere nel giusto, ed esigere da Lui la giustizia che sembrava esserle dovuta. Un laccio affettivo l'aveva "presa" e la teneva schiava, come noi. "Presa", infatti, traduce il greco "perispao", che significa letteralmente "essere ansioso”, “vivere in una grande tensione", ma anche "essere distratto". La "diaconia" si era trasformata in un idolo nel quale cercava vita e gratificazione, il "servizio" l'aveva afferrata fin entro il suo intimo, inquinando i suoi "pensieri". Era ormai "distratta" dall'Ospite per il quale era indaffarata, allontanata dallo stesso motivo per cui era indaffarataIl cuore del Vangelo di oggi è nascosto qui: aveva invitato Gesù, accidenti, e ora quell'invito le era diventato pesante. Che cosa era successo? Era successo che la presenza di Gesù, il suo essere l'unico di cui davvero c'è bisogno, la parte buona e migliore della vita, aveva scatenato in lei i demoni che l'avevano "presa" al laccio della menzogna originale. Maria, la sua sorella, la carne della sua carne, era in quel momento divenuta lo specchio della parte migliore di lei stessa; in essa le era annunciata la chiamata e l'elezione che significava la visita di Gesù. Senza dire una parola, "seduta ai piedi di Gesù", Maria stava smascherando il suo uomo vecchio, che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Maria era la discepola che anche Marta era chiamata a diventare. Ma, di fronte a questo, "presa" dall'inganno del demonio, ella resisteva: l'uomo vecchio non accettava di essere rinnegato... E per questo giudicava Maria, perché, in fondo, come sempre accade quando giudichiamo un fratello, Marta stava giudicando e disprezzando se stessa; voleva giustizia da Gesù per giustificare la sua superficialità e durezza di cuore, e non soffrire il cammino della conversione. 

Attenzione però, perché un testo rabbinico del tempo affermava: “Questi sono i lavori che deve fare una donna per il marito: cucire, lavare, cucinare, allattare i bambini, pulire la casa e lavorare la lana...”. E Marta rappresenta proprio il ritratto della donna perfetta... Ora però non aveva più davanti lo sposo della carne, si profilava nella sua vita una nuova relazione, al di là della carne. Era davanti a Lei lo Sposo della sua anima, Colui che era venuto sino a casa sua per donarle l'autentica perfezione. Essa, infatti, non mira a un compimento esteriore della Legge, ma all'amore. E l'amore rivelato in Cristo non sa giudicare... Marta, invece, era ancora nella dimensione limitata della carne, e giunge in quel momento a giudicare addirittura Gesù; erano gli attacchi violenti del demonio che la inducevano a pensare male di Lui: "non ti curi" di me? Hai solo occhi per mia sorella? Non vedi che sto qui penando per accoglierti degnamente, come una perfetta donna della Scrittura, mentre mia sorella se ne sta "seduta" a non far niente? A che cosa le era servito il suo "servizio"? A nulla, anzi a qualcosa sì, a peccare. C'è in questo breve passaggio tutta la tensione e il dramma del parto battesimale: in Marta appare l'uomo della carne visitato da Cristo che lo chiama ad uscire da se stesso, a "sedersi" ai suoi piedi, ad accoglierlo come l'unico Sposo (i piedi, nella Scrittura, fanno anche riferimento agli organi sessuali, non vi scandalizzate). Marta è ancora "presa" dal pensiero del mondo, ma Gesù che ha attirato a sé sua sorella Maria, è come una bomba gettata in quel groviglio di passioni, gelosie, invidie e rancori che albergano nel suo cuore. Dal momento che vi è entrato il Signore, la sua casa - quelle mura nelle quali la carne l'ha fatta da padrona - è destinata a divenire una Chiesa, un'assemblea convocata dalla Parola di Dio, la comunità che ha sperimentato la risurrezione di Gesù, la celebra e la vive nell'amore e nell'unità. Ma Marta l'aveva accolto, e questo era l'importante. Su quel moto sincero e retto del suo cuore Gesù stava cominciando in lei l'opera che l'avrebbe trasformata in una discepola. Basta accogliere, non importa come, poi Gesù fa il resto... Anzi, è fondamentale quel passaggio dove si prende coscienza della propria realtà di peccatori. Il Signore, infatti, non sarebbe potuto scendere a Betania per risuscitare Lazzaro, se prima non vi ci si fosse recato come ospite per smascherare il cuore di Marta e chiamarla a conversione. Oggi la celebriamo come santa perché è stata visitata e amata così com'era, centrata su stessa, orgogliosa e superba. La sua santità che ha brillato nella stupenda professione di fede in Gesù e nella sua resurrezione fatta mentre il suo fratello Lazzaro era ancora morto, inizia qui, dallo svelamento della propria povera realtà (Betania significa "casa del povero"), e dalle parole profetiche di Gesù. Anche per Marta sarebbe arrivato il momento di rinnegare se stessa e di seguire il Signore, esattamente come accadde a Pietro. Anche Marta avrebbe smesso di "farsi avanti" per sedersi ad ascoltare la Parola di Gesù, ma doveva scendere i gradini dell'umiltà, e sperimentare che solo l'amore di Cristo sarebbe potuto scendere e amare la sua piccolezza. Così, anche a noi, che viviamo i nostri rapporti esattamente come Marta, è rivolto lo stesso annuncio: Maria, la Chiesa, la tua comunità concreta, ha scelto la "parte buona", non solo la migliore tra altre buone. Cammina con Maria allora, "cammina sedendoti" come un discepolo ad ascoltare l'unica Parola buona per la tua vita. Ascolta la predicazione della Chiesa, abbraccia la Parola come una sposa, stringiti a Cristo in ogni istante della tua vita, lascia che faccia di te carne della sua carne. Ascolta e vedrai crescere in te la fede sino a divenire adulta, e in essa saprai obbedire alla volontà di Dio, amando oltre te stesso. Coraggio Marta, coraggio a te e a me che, come lei, ci "preoccupiamo" delle cose del mondo e "ci agitiamo" per quello che ci sarà tolto! E' preparata per noi la novità di vita che ha reso libera Maria.

lunedì 27 luglio 2020



La fede ci dà già ora qualcosa della realtà attesa, 
e questa realtà presente costituisce per noi 
una «prova» delle cose che ancora non si vedono. 
Essa attira dentro il presente il futuro. 
Il fatto che questo futuro esista, cambia il presente; 
il presente viene toccato dalla realtà futura, 
e così le cose future si riversano in quelle presenti
e le presenti in quelle future.
Il suo regno non è un aldilà immaginario, 
posto in un futuro che non arriva mai; 
il suo regno è presente là dove Egli è amato
e dove il suo amore ci raggiunge.
Benedetto XVI, Spes salvi


CHIAMATI A CONTEMPLARE IN NOI IL COMPIMENTO DELLA PROMESSA CHE CONTIENE, COME IL SEME E IL LIEVITO, IL POTERE DIVINO DI FARCI SUOI FIGLI 


Per illuminare quanto ci accade sulla terra, con le parabole il Signore ci parla del Cielo. Non ci danno però risposte come fa il mondo: esse catturano il passato e il presente, lasciando aperto il futuro in una promessa destinata a compiersi, al netto della libertà di ciascuno. Il seme più piccolo e il lievito recano in sé il potere più grande che, nel tempo, si rivela nei suoi frutti e nella massa che diventerà pane capace di sfamare. Così la promessa di Dio fatta ai Patriarchi, rinnovata al Popolo Santo, il più piccolo tra i popoli della terra, e compiuta nel Nuovo Israele che è la Chiesa: essa non era semplicemente la Terra di Canaan, ma il Cielo, conquistato da Gesù con la sua carne risuscitata dalla morte e offerta ad ogni uomo per mezzo del piccolissimo resto nel quale ci siamo tu ed io, piccoli e deboli, un nulla per il mondo. La promessa cioè, Come il granello di senapa e il lievito profetizzano nelle parabole, anche la promessa rivela il suo compimento, perché essa è Cristo. Egli infatti è il Servo nel quale Dio stesso si è incarnato per farsi il più piccolo della terra, scendere nella terra e nel pugno di farina che è la storia del mondo, unirsi ai più piccoli e insignificanti, e trasformarli in un Popolo robusto nella fede come un albero. Questa promessa, che reca con sé l'elezione, la chiamata e la primogenitura, ci raggiunge attraverso la predicazione della Chiesa; attraverso le parabole del Signore con cui raccoglie e illumina la nostra storia, essa ci chiama ogni giorno a fare memoria, celebrare e accogliere di nuovo il potere divino celato nella promessa perché si rinnovi in noi il suo compimento come una primizia del Cielo da annunciare e testimoniare a ogni uomo. "Avviene con il Regno di Dio come con un granello di senape e con un po' di lievito" (J. Jeremias): avviene cioè con il Regno di Dio come con il Mistero Pasquale di Gesù, e per questo possiamo dire anche che accade con il Regno dei Cieli come quello che è successo e succede in noi quando incontriamo e accogliamo il Signore. E' Lui infatti il Regno dei Cieli che "è dentro di noi", perché nei sacramenti è morto e risorto per e con noi. Parlandoci del Regno dei Cieli Gesù parla, dunque, di se stesso unito a ciascuno di noi, per condividerne la missione scendendo con Lui all'ultimo posto, dove si trova il Regno dei Cieli, l'opposto dei regni della terra. E lì in fondo, scopriremo che nel seme di senapa che è la nostra vita, vi sono scritti i nomi di tutti i pagani che Dio ha legato a noi fin dall'eternità. Con noi sono stati deposti nel seno di nostra madre un'infinità di persone. Nell'acqua del battesimo poi, è stata sigillata la nostra missione: con noi sono profeticamente scesi nel fonte tantissimi peccatori, anche il collega che non sopporti, anche il verduraro, anche il vicino che non ti saluta mai. Hai mai pensato a questo mentre ti guardi allo specchio e magari ti disprezzi? Hai mai pensato a questo quando guardi tua figlia, e la giudichi perché é così diversa da te che ti dà ai nervi, disordinata, sbadata, ancora tanto irresponsabile... Quale madre ha pensato a questo appena ha scoperto d'essere incinta? O le è venuta in mente la missione per la quale aveva appena dato alla luce suo figlio? Quale mamma ha sentito un fremito per la grandezza dell'opera che Dio aveva cominciato nel suo bambino piccolo come un granello di senapa, mentre lo allattava, lo imboccava e lo vedeva crescere come un albero e distendere i suoi rami? Forse ha sognato per lui un futuro di medico, di marito e padre, forse anche di prete, magari ha sperato che diventasse santo... Ma che in quel bozzolo d'uomo ci fossero impressi il destino e la salvezza di innumerevoli giapponesi, o australiani o kenyoti, con ogni loro nome scritto nel nome di suo figlio, e il giorno dell'appuntamento con lui già fissato dall'eternità, credo che poche madri ci abbiano pensato. Che l'identità di quel bambino era ed è di essere lievito che "una donna", proprio lei, la madre, avrebbe dovuto iniziare a "impastare con tre misure di farina perché tutta si fermenti"... E noi, abbiamo mai pensato che siamo "lievito", e che non c'è altra missione che compia la nostra vita, se non quella di essere "impastati" nel mondo dalla Chiesa nostra Madre? C'è un cammino che ci attende anche oggi, ed è quello che ci nasconde nel mondo pur non essendo del mondo. Ogni giorno Cristo ci condurrà uniti a Lui nelle umiliazioni, nell'irrilevanza, nell'anonimato, nei fallimenti, nelle frustrazioni, nella debolezza, nella solitudine, nell'incomprensione, nelle angosce, nelle sofferenze, nelle contraddizioni e nell'aridità, ovvero nella terra che accoglierà il seme destinato a salvare il pezzo di mondo che ti è affidato, e la farina dove sarà impastato il lievito per fermentare il lavoro, la scuola, le relazioni, il mondo intero. La parola tradotta con "annidarsi è un termine tecnico escatologico per indicare l'incorporazione dei pagani nel Popolo di Dio" (J. Jeremias). La missione della Chiesa, la nostra coincide con quella del granello di senapa: non a caso tutte le varietà di senapa appartengono alle "crocifere", che hanno fiori con quattro sepali e quattro petali disposti a croce! Salvati da Cristo e seduti alla destra del Padre con Lui, siamo chiamati a vivere ogni istante su questa terra regnando sulla Croce con Lui, per offrire a tutti gli uomini uno spicchio del Cielo che illumina ogni storia, perché tra le braccia di Cristo distese nelle nostre possano essere accolti nella misericordia.

venerdì 24 luglio 2020

αποφθεγμα Apoftegma

Ma, dirai, a che pro seminare tra le spine, fra i sassi o lungo la strada ?
Se si trattasse di un seme e una terra materiali, non avrebbe nessun senso;
ma poiché si tratta delle anime e della Parola, la cosa è degna di elogi.
A ragione si rimprovererebbe a un coltivatore di agire così;
il sasso non può diventare terra, la strada non può non essere una strada,
né le spine non essere delle spine.
Ma nella sfera spirituale, non è lo stesso:
il sasso può diventare una terra fertile,
la strada non essere più calpestata dai passanti e diventare un campo fecondo,
le spine essere sradicate e permettere al seme di dare frutto liberamente.
Se questo non fosse possibile, il seminatore non avrebbe sparso il seme come ha fatto.

San Giovanni CrisostomoDiscorsi 44 sul vangelo di Matteo, 3-4










L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Matteo 13,18-23. 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli : «Voi dunque intendete la parabola del seminatore. 
Tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 
Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie con gioia, 
ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli ne resta scandalizzato. 
Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto. 
Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende; questi dà frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta». 





NELLA CHIESA IMPARIAMO AD ACCOGLIERE LA PAROLA COMBATTENDO CONTRO IL MONDO, LA CARNE E IL DEMONIO PER DIFENDERE LA SUA OPERA IN NOI

Tra le “molte cose” che Gesù insegnava, il Vangelo ne registra una, trasmessa attraverso una parabola che racconta di un Seminatore che è “uscito a seminare” il seme della Parola. Immaginiamo che si riferisse alla terra che aveva davanti, la Galilea, fatta di pescatori e peccatori, uomini capaci di gesti generosi e coraggiosi come quando ci si infila nel mare per strappargli il cibo per vivere; ma anche testardi e duri di cuore, incapaci di comprendere la Parola. La Galilea, così simile alla terra della nostra vita, attraversata dalle "strade" del pensiero mondano dove corrono veloci le menzogne del demonio per scipparci la Parola ascoltata. Piena di "pietre", dure come i nostri cuori gonfiati dall'ego, che si infiammano al sole dei facili entusiasmi, mentre però occupano con la superbia spazi preziosi di terra sottraendoli alle radici del seme. Aggredita dalle "spine" acuminate come i pensieri che il demonio ci insinua di fronte alla precarietà per farci dubitare di Dio; si conficcano nell'intimo condannandoci all'avarizia e all'avidità con cui ci illudiamo di possedere cose e persone, mentre invece "soffochiamo" il seme che, fruttificando, ci darebbe libertà e pace. Ma proprio nella descrizione che Gesù fa della "terra" su cui è seminata la Parola è celata la chiave che ci apre all'intelligenza di tutte le parabole: a noi, infatti, è "confidato il mistero del regno di Dio", ovvero l'esistenza di un lembo di "terra buona" in mezzo alla "terra infruttuosa". Gesù sta parlando della Chiesa, del suo stare nel mondo come “terra bella” e feconda di "frutti" che hanno il sapore della vita eterna, il destino per il quale ogni uomo è venuto al mondo. Ma quello che Gesù dice della Chiesa vale anche per ciascuno di noi, che siamo chiamati nella Chiesa a "dare frutto" per la salvezza del mondo. Anche in noi il Signore ha visto un pezzo di "terra buona", così piccolo e nascosto che probabilmente nessuno ci ha mai fatto caso; neanche noi, che forse ci sentiamo "abbattuti" perché "incostanti" e fragili dinanzi ai problemi e alle sofferenze, induriti nell'orgoglio e schiavi delle concupiscenze. Ma il Vangelo di oggi ci annuncia che in noi c'è un frammento di Paradiso, e lì Gesù vuol seminare la sua Parola! La natura umana, infatti "non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata « concupiscenza »)". Ma "il Battesimo, donando la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l’uomo verso Dio; le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell’uomo e lo provocano al combattimento spirituale" (Catechismo della Chiesa Cattolica 405). In virtù del battesimo “il sasso può diventare una terra fertile, la strada non essere più calpestata dai passanti e diventare un campo fecondo, le spine essere sradicate e permettere al seme di dare frutto liberamente” (San Giovanni Crisostomo). Ma perché il battesimo fruttifichi abbiamo bisogno di convertirci accompagnati dalla Chiesa, dove imparare a cacciare “satana” sempre pronto a “portare via la parola seminata in noi”. Occorre vincere l’“incostanza” togliendo una ad una le “pietre” dal cuore perché in esso la Parola possa mettere “radici” e resistere senza “abbattersi” “al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola”. E' necessario cambiare mentalità togliendo le “spine” del pensiero mondano, perché la Parola non resti “soffocata” dalle “preoccupazioni del mondo, dall'inganno della ricchezza e da tutte le altre bramosie”. Allora, rinati in Cristo come figli del Regno, offriremo al mondo i suoi stessi frutti, “dove il trenta, dove il sessanta, dove il cento”. 

giovedì 23 luglio 2020


ACCOLTI NEL MISTERO D'AMORE CHE CI FA FIGLI NEI QUALI RISPLENDE IL VOLTO DEL PADRE PER OGNI UOMO
Dio ci ama, ed è l'unico a renderci beati, felici. Perché? Perché lo possiamo "ascoltare" e "vedere" compiute le sue parole. Nella Chiesa, infatti, il cuore e la mente sono illuminati dallo Spirito Santo che Dio effonde nei nostri cuori aprendoli all'ascolto e al discernimento. Le Parabole, immagini dipinte dalla Parola del Signore perché siano svelati i pensieri di molti cuori, ci sono spiegate nell'intimità alla quale ci ha chiamati la sua imperscrutabile volontà. Strappati alla menzogna, siamo oggi, per Grazia, nella cerchia dei suoi amici. E questa è la vita, meravigliosa e beata, che ci è offerta come un anticipo di quello che sarà il Cielo. Anche noi eravamo meritevoli d'ira, come tutti. Eppure la sua misericordia ci ha aperto gli occhi, perché l'opera che Lui compie in noi ogni giorno, sia essa stessa una parabola per il mondo. La Parola che convoca e crea, in ogni luogo e in ogni momento, la sua Chiesa, facendo crescere in essa i suoi eletti, sino alla statura adulta della fede; così, essi diventano i compagni dell'Agnello, crocifissi con Lui per la salvezza d'ogni uomo. E' questa l'unica nostra beatitudine, seguirlo ovunque vada, stretti nella sua intimitàEssere cioè sacramento di salvezza per ogni uomo, una parabola vivente che indica il Mistero del suo amore intrecciato alla nostra vita. "Il termine «mistero» (gr. mystérion , lat. mysterium ) può assumere accezioni assai diverse a seconda del contesto e dell'orizzonte culturale nel quale viene usato. In prima istanza, però, esso appartiene alla fenomenologia della religione perché è un termine legato al discorso sul “divino”. Il vocabolo "mistero" proviene assai probabilmente dal verbo greco myein (chiudere, fermare), al quale risultano ancora collegati, in alcune lingue moderne, termini come «miope» o «muto». Vi si esprime dunque l'idea di chiusura, ma secondariamente anche quella di limite e di confine. Allo stesso campo semantico appartiene l'aggettivo «mistico» (mystikós), che indicherebbe «ciò che appartiene al mistero». Il termine latino "sacramentum" traduce spesso il greco mystérion, ma indica preferibilmente l'aspetto rituale legato al rapporto con il sacro o anche l'impegno giuridico che ne deriva.... L'ebraismo, e successivamente il cristianesimo, parlano di un orizzonte a noi precluso e accessibile a Dio solo, di una sfera divina che trascende quella umana; nelle diverse religioni esistono sacerdoti, riti e sacramenti, come anche una sapienza che non si può acquistare senza ascesi e purificazione. Ma proprio nella tradizione religiosa giudaico-cristiana la nozione di mistero assume un carattere specifico: essa trova il suo principale luogo ermeneutico nel concetto di «Rivelazione». Edificata sui pilastri della creazione e dell'alleanza, si rende disponibile all'umanità una storia di salvezza nella quale il Dio di Israele è soggetto di una rivelazione gratuita del mistero. Egli non solo svela il mistero della sua volontà, ma comunica agli uomini anche il mistero della sua vita personale, vita trinitaria. Ancor più, è Dio in persona a comunicarsi all'uomo nell'incarnazione del Figlio, rivelatore perfetto del Padre, mistero dell'amore del Padre per il mondo, cui seguirà l'effusione ed il dono stabile dello Spirito Santo. Nella logica della rivelazione cristiana, l'uomo non ha più bisogno di congetturare o di carpire ciò che la divinità tiene nascosto, perché è proprio Dio a prendere l'iniziativa e a farsi avantiNella rivelazione biblica il mistero non rappresenta più l'orizzonte del nascondersi di Dio, ma piuttosto l'ambito ricchissimo della sua comunicazione e del suo rivolgersi all'uomo: il mistero cessa di essere qualcosa di sottratto alla conoscenza per divenire qualcosa di offerto" (cfr. Documentazione interdisciplinare di scienza e fede). 


Il "Mistero", la volontà di Dio nascosta persino agli angeli, a poco a poco rivelata lungo il cammino della Storia della Salvezza, è finalmente svelato dal Signore ai più piccoli della terra, ai "pitocchi", secondo la giusta traduzione dell'originale greco. Il Mistero è confidato ai suoi intimi, agli ultimi della terra, ai poveri in Spirito, gli anawin che nulla hanno se non il Signore. “Proprio questi sono i figli, i signori, gli dei: gli schiavi, i prigionieri, i disprezzati, i crocifissi… Questi, unti con l’unguento estratto dal legno della vita, Gesù Cristo, e dalla pianta celeste, sono resi idonei a raggiungere il culmine della perfezione, del Regno e dell’adozione; infatti quelli che sono intimi del Re del Cielo, e ancorati alla fiducia dell’Onnipotente, entrano fin da questo mondo nel suo palazzo… e neppure si meravigliano come di cosa insolita e nuova di essere chiamati a regnare con Cristo, grazie allo Spirito che li colma di fiducia. E in che modo? Perché, mentre ancora vivono sulla terra, sono posseduti da quella soavità e dolcezza, da quella forza che è propria dello Spirito. Poiché già prima hanno potuto conoscere i misteri della Grazia… Noi infatti, pur vivendo ancora sulla terra, abbiamo in Cielo la nostra cittadinanza, vivendo secondo il nostro uomo interiore come se già fossimo nell’eternità” (Da un’antica Omelia del IV secolo). La rivelazione dei misteri del Regno dischiude già ora, qui, nella nostra vita concreta, le porte del Cielo: conoscere i segreti di Dio significa dimorare in essi come in una fortezza inespugnabile, tra le onde avverse della carne e del mondoPer questo le "parabole" si fanno carne negli “intimi” di Gesù, sono decodificate nel segreto delle stanze più remote, le nostre comunità che celebrano la Parola e i sacramenti nella comunione soprannaturale dell'amore di Dio, per essere annunciate dai tetti, sul posto di lavoro, nella scuola, al mercato, ovunque. "Non vi è nulla di nascosto che non sarà rivelato", dice il Signore. Ma lo sarà attraverso la vita concreta e reale dei suoi piccoli, suo corpo benedetto gestato e dato alla luce in ogni generazione. Gli istanti più banali sono allora un riflesso del Cielo, una parabola fatta vita: lavoro, stress e dolore, matrimonio e figli, vecchiaia e malattia, tutto rivela la Vita che vince la morte nella morte dei piccoli di Gesù. Come, nel corso della Storia, è accaduto ai tanti poveri innalzati come Maria sino al trono della Maestà divina. San Francesco, Santa Teresina di Lisieux e tanti altri. Il "Mistero" li ha abbracciati, conquistati, legati a sé, sino a farne i suoi ambasciatori: il "Mistero" della Croce, ovvero l'albero che spalanca il Cielo e giunge sino al cuore di Dio, al pensiero di Cristo. I crocifissi con Lui sono i suoi amici ai quali non nasconde nulla. Anche quando non spiega nulla alla ragione: ma lo rivela nella profondità del cuore, e lo muove a compiere la volontà di Dio che nessuno può accettare, in un atto d'amore che solo l'amore ricevuto può realizzareStretti tra le sue braccia, inchiodati allo stesso legno, nella conoscenza vera e profonda del suo amore, siamo chiamati a vivere amando Cristo, e tanto basta, sazia e rende felici. Perché i piani di pace e di gioia eterne concepiti nel cuore di Dio, i misteri del Regno dei cieli, che sussistono per ogni generazione (cfr. Sal. 33, 11), i suoi piani che non sono i nostri, sono scolpiti in noi per condurci alla Vita vera ed eterna. SI tratta della "esah" di Dio, quella volontà misteriosa alla quale Dio conduce Giobbe, qualcosa che è intraducibile nei nostri lessici occidentali, un progetto d'amore pensato e calibrato nei particolari, e che si incarna in una storia concreta, la nostra. Quella passata, quella presente, quella futura. E' il prodigio del Dio fedele in ogni sua opera, ovvero il "beth essentiae", "un modo semitico per esprimere l'essenza profonda su cui poggia una realtà: l'agire di Dio è radicato stabilmente nel suo amore verso la creatura, e nella sua rettitudine che non conosce deviazioni e inganni" (G. Ravasi). Il mistero del suo amore dunque, preparato ogni giorno per noi nella storia che ci attende, è il "Mistero" svelato sulla Croce, essenza profonda, pilastro dell'Universo. Il mondo non lo conosce: guardate, non ha parole, se non il solito sdegno, la solita indignazione, e farsi di circostanza, e proclami effimeri. E' beato, invece, chiunque abbia in sé la Sapienza della Croce, la chiave che dischiude al mistero di Dio, e quindi al mistero della storia. Solo su di essa è preparata la beatitudine, l'amore infinito di Dio. Che il Signore, anche oggi, ci leghi come Isacco alla Croce preparata per noi, per sperimentare sul monte che Dio provvede; l'agnello immolato che ci ha salvato la vita, Cristo crocifisso e risorto nelle relazioni e le situazioni della nostra vita, svelerà così a ogni persona che ci è accanto, il mistero di pace e di gioia nascosto nella Croce.


Stai con me, e io inizierò a risplendere come tu risplendi,
a risplendere fino ad essere luce per gli altri.
La luce, o Gesù, verrà tutta da te:
nulla sarà merito mio.
Sarai tu a risplendere, attraverso di me, sugli altri.
Fa' che io ti lodi così nel modo che tu più gradisci,
risplendendo sopra tutti coloro
che sono intorno a me.
Dà luce a loro e dà luce a me;
illumina loro insieme a me, attraverso di me.
Insegnami a diffondere la tua lode,la tua verità, la tua volontà.

John Henry Newman


mercoledì 22 luglio 2020



αποφθεγμα Apoftegma

La storia di Maria di Màgdala richiama a tutti una verità fondamentale: 
discepolo di Cristo è chi, nell’esperienza dell’umana debolezza, 
ha avuto l’umiltà di chiedergli aiuto, 
è stato da Lui guarito e si è messo a seguirLo da vicino, 
diventando testimone della potenza del suo amore misericordioso, 
più forte del peccato e della morte

Benedetto XVI


LA VOCE DELL'AMATO RISORTO E VITTORIOSO SUL PECCATO CI RIDONA LA DIGNITA' E LA BELLEZZE PERDUTE
"Maria!". E' bastato ascoltare il suo nome, e tutto è cambiato. L'amore di Gesù, già sperimentato tante volte, in quel momento, il più importante di tutta la sua vita, era tutto per lei, come se, per Lui, fosse l'unica persona al mondo. Si è sentita di nuovo importante, e per questo era risorta con Lui, lei che era scesa nella tomba con Lui. Quella tomba infatti, era il tempio che custodiva la memoria dell'amore autentico che Gesù le aveva fatto conoscere perdonando ogni suo peccato, amandola fin dove nessuno l'aveva amata. Per questo voleva la tomba di Gesù, era anche la sua, il segno rimastole di quell'amore sino alla fine che l'aveva salvata. Non ne voleva un'altra, non apparteneva al suo Amato, non apparteneva a lei. E per questo "piangeva" non un "chi", come le aveva chiesto il Signore. Piuttosto "piangeva" un passato troppo bello e sfuggito via. Come tutti noi alla morte di una persona cara, piangeva soprattutto se stessa, quella parte di lei così legata all'Amato da essere morta con Lui. "Piangeva" il fallimento che ha spezzato sul più bello la sua storia di riscatto e libertà. Ma quelle lacrime segnano per lei l'inizio di un cammino nuovo, non più verso la carne del Signore da "prendere" e possedere, seppure in una tomba; ma verso i suoi fratelli, i discepoli, e, attraverso di loro, verso il mondo, sino a dimenticare se stessa nell'amore nuovo e straripante che spinge a non vivere più per se stessi. Maria si sente chiamare, ed è resurrezione: "Maria!", ed è una creatura nuova. Quel nome dava finalmente un nome a Colui che stava parlando con lei. L'amore sprigionato da quella parola le ha dischiuso gli occhi del cuore e della carne: no, non era il "guardiano del giardino", ma Gesù. Era dunque risorto, era vivo, il sepolcro non è riuscito a trattenere la forza dirompente del suo amore. Era tutto vero quello che aveva sperimentato, e ora era diventato eterno. Sì, non finisce l'amore, non si spegne la misericordia; l'opera di Dio non conosce epilogo, zampilla sino alla vita eterna. Il suo nome era stato pronunciato proprio lì, dinanzi al luogo dove aveva creduto di dover spegnere la sua vita sotto una pioggia di lacrime. Nessuno le aveva portato via il Signore! Solo, non era più come prima. Quel "giardino" era immagine di quello che tutti abbiamo perduto a causa del peccato; e Maria era la nostra vita sperduta lontano dall'identità originaria. Senza Cristo, come ogni uomo che si è separato da Dio. Quel "Maria!" era la nuova creazione che la destava a una vita ancor più bella. "Sia la luce, e la luce fu"... "Maria!", e "Maria fu!"... Quella voce veniva da oltre la pietra, da molto più in là del sepolcro; veniva dal Cielo; per questo il suo nome spandeva una fragranza nuova, che sapeva di libertà. Cristo risorto le consegnava la sua vittoria, la attirava nel suo passaggio al Padre, le spalancava il "giardino" perduto. Ecco la notizia che investe e trasforma Maria. In quel nome pronunciato vibra l'amore nuovo, più forte della morte. L'amore che è uscito vittorioso da quella tomba, spostando la pietra sulla quale avrebbe voluto piangere la disfatta. Cristo è risorto! Non è lì dentro, non è lo stesso di prima, ha varcato la soglia della morte, del peccato, della carne. E' Lui, è il Signore, ma viene dal Cielo, vivo della vita celeste, una vita che Maria non aveva ancora conosciuto. E' la risurrezione che appare oggi anche davanti a noi, come agli occhi di Maria quel mattino di Pasqua. E' qualcosa di totalmente nuovo, che dobbiamo imparare a conoscere. Si schiude per noi il cammino della Maddalena. Quante volte ci hanno annunziato la resurrezione del Signore, e non abbiamo compreso... Ma abbiamo iniziato a credere e il Signore s'è fatto nostro compagno. Ci ha parlato, ci ha infiammato il cuore, come ai discepoli di Emmaus, ma eravamo ancora piegati sulla nostra carne, sulla storia che ci pesava, le ferite, il male, il dolore. E quel senso di vuoto che neanche l'amore di nostra madre, del marito, dei figli ha mai potuto colmare. Quel vuoto duro e immobile come la pietra del sepolcro, sulla quale ci siamo abituati a piangere. Non abbiamo compreso, ci mancava l'esperienza decisiva. Chi non ha mai sentito il suo nome pronunciato dal Gesù risorto come Maria non può essere cristiano. Quante volte abbiamo tentato di riprenderci il Signore e rimetterlo nella tomba della nostra abitudine al fallimento; quante volte abbiamo pianto lacrime acide di cinismo. Forse anche oggi, di fronte alla tomba nella quale è chiuso il nostro matrimonio, o quella relazione; o forse di fronte all'incapacità di governare le nostre pulsioni, gli eccessi depressivi del carattere, le parole che ci sfuggono dalle labbra e combinano macelli. Sicuramente anche oggi stiamo piangendo di fronte all'ennesimo peccato, sempre lo stesso, che ci umilia e ci frustra, rubandoci la speranza. Ma oggi la sua chiamata, il nostro nome pronunciato dalle sue labbra in modo così unico, ci apre gli occhi e il cuore ad una possibilità impensabile. Solo il suo amore per te e per me così come siamo può metterci in cammino, come Maria. Sì, perché le mancava ancora un passo, decisivo. Doveva imparare a conoscere Cristo non più secondo la carne, ma secondo la nuova dimensione celeste nella quale era venuta a cercarla. Doveva camminare ascoltando la sua voce chiamarla per nome per attirarla al di là dell'affetto umano. Doveva vivere con Cristo la Pasqua. Lo avrebbe voluto "trattenere", come noi. Vivo sì, ma per la nostra vita, per sistemare i nostri cuori, le nostre menti: "Un'ultima soglia deve essere varcata, la più importante di tutte: quella che permetterà a Maria di elevarsi dall'attaccamento al sensibile al livello della fede. Di non volgersi più verso il passato ma verso l'avvenire.... Ma bisogna che Gesù stesso le comunichi il messaggio pasquale: "Io salgo verso il Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro" (De La Potterie). Il luogo dove siamo chiamati con Maria Maddalena è dunque il Cielo, dove arrivare con un cammino che ci conduca dalla carne allo Spirito; e in esso imparare a "non trattenere" il Signore, per vivere ogni rapporto nella totale libertà che è frutto della novità di vita dettata dalla Spirito Santo. Oggi il Signore ci chiama a vivere dimentichi del passato e protesi verso il futuro; le cose vecchie ormai passate, non ritorniamo a rimescolare la stanca minestra dei dubbi, delle debolezze, dei fallimenti. Chi ha conosciuto l'amore di Cristo non potrà più vivere senza il suo amore. Chi ha sperimentato la sua resurrezione sarà naturalmente rimbalzato verso i "fratelli di Gesù". Ecco la vita che Dio aveva preparato per Maria e per ciascuno di noi: andare, senza posa, a ogni fratello di Gesù perduto nel mondo, per annunciare l'unica notizia capace di cambiare l'esistenza: Cristo è risorto, è salito al Padre suo e Padre di ogni uomo! Esiste il Cielo, nessuno è orfano. Non ci sono più tombe dove versare lacrime, ma spazi infiniti dove correre ad annunciare il vangelo. Tu ed io saremo, come la Maddalena, gambe e mani, sguardi e voce prestate a Cristo risorto: non importano i peccati commessi, da oggi, la nostra vita riscattata e libera, perduta per amore oltre la morte, camminerà nella Chiesa per dare ovunque al Signore una voce umana per chiamare con il suo amore il nome di ogni suo fratello. 

martedì 21 luglio 2020


αποφθεγμα Apoftegma

Per richiamare l’uomo ad essere a lui simile, 
assegnandolo così come imitatore di Dio, 
innalzandolo fino al regno del Padre 
e concedendogli di vedere Dio e di cogliere il Padre, 
lui, il Verbo di Dio che ha abitato nell’uomo 
e si è fatto Figlio dell’uomo, 
per abituare l’uomo ad impossessarsi di Dio 
e abituare Dio ad abitare nell’uomo
secondo il beneplacito del Padre.

S. Ireneo

UNITI ALLA SUA OBBEDIENZA SIAMO FRATELLI E MADRI DI GESU' IN QUESTA GENERAZIONE


I figli hanno in comune la carne e il sangue. Per questo Dio si è incarnato, per farci figli del suo Padre. Figli nel Figlio, carne della sua carne nel suo corpo che ha compiuto la Volontà di Dio. Essa è stata la ragione di vita del Figlio di Dio, il "luogo" dove il Figlio di Maria ha manifestato la sua misteriosa figliolanza divina. Figlio di Dio dunque, perché crocifisso. Accoglierlo dice Giovanni, è diventare figli di Dio, partecipando della sua stessa natura: "Dio vuole fare di te un Dio, non però per natura come è colui che ha generato, ma per suo dono e per adozione. Come infatti egli, assumendo la natura umana, si è fatto partecipe della tua mortalità, così, per elevazione, ti rende partecipe della sua immortalità" (S. Agostino). Diceva Benedetto XVI: "Non la mia volontà ma la tua. In questa trasformazione del "no" in "sì", in questo inserimento della volontà creaturale nella volontà del Padre, Gesù trasforma l'umanità e ci redime. E ci invita a entrare in questo suo movimento: uscire dal nostro "no" ed entrare nel "sì" del Figlio" (Benedetto XVI, Catechesi del 20 aprile 2011). Entrare nel sì del Figlio, nel fiume di Grazia che compie in noi la volontà del Padre, costituisce il cammino che ci fa figli: "nell'obbedienza del Figlio siamo presenti tutti noi, veniamo tutti tirati dentro la condizione di figli" (Benedetto XVI, Ibid.). I Getsemani che ci attendono oggi e ogni giorno sono i "luoghi" dove "siamo", in Cristo, figli di Dio. La nostra vita è dunque un pellegrinaggio ai luoghi santi del compimento dei desideri del Padre. Essi sono la nostra felicità, la nostra gioia, la nostra pace come ripeteva Giovanni XXIII. Le persone e i fatti delle nostre storie, semplici e quotidiane, sono gli appuntamenti che attendono la nostra obbedienza al destino eterno che ci ha preparato nostro Padre. 





Ci aiuta il Catechismo della Chiesa Cattolica: "E' in Cristo e mediante la sua volontà umana che la Volontà del Padre è stata compiuta perfettamente e una volta per tutte... Gesù, “pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì”; a maggior ragione, noi, creature e peccatori, diventati in lui figli di adozione. Noi chiediamo al Padre nostro di unire la nostra volontà a quella del Figlio suo per compiere la sua Volontà, il suo Disegno di salvezza per la vita del mondo. Noi siamo radicalmente incapaci di ciò, ma, uniti a Gesù e con la potenza del suo Santo Spirito, possiamo consegnare a lui la nostra volontà e decidere di scegliere ciò che sempre ha scelto il Figlio suo: fare ciò che piace al Padre. Aderendo a Cristo, possiamo diventare un solo Spirito con lui e così compiere la sua Volontà; in tal modo essa sarà fatta perfettamente in terra come in cielo [Origene, De oratione, 26]" (Cfr. CCC nn. 2824. 2825). Possiamo dunque dire che siamo fratelli di Cristo - figli dello stesso Padre - perché abbiamo, in Lui, nella sua carne unita alla nostra attraverso la comunità cristiana, il "potere" di fare la volontà di Dio. Abbiamo in comune con Lui nostro fratello la volontà di Dio, il pensiero di Dio, il suo cuore, e le sue stesse viscere di misericordia nelle quali siamo rigenerati e cresciamo nella fede. Per questo, compiendo la volontà di Dio, siamo anche "madre" di Gesù, perché ogni giorno lo partoriamo continuamente per il mondo, attraverso la nostra stessa vita, in ogni evento e relazione. Siamo deboli, poveri, piccoli. Ma nulla ci impedisce di abbandonarci completamente al suo amore, accogliendo, nell'ascolto, la sua Parola di vita che ci fa figli. Non temiamo dunque, perché è nella nostra debolezza che Dio agisce con potenza: "Quando l’intero essere dell’uomo si è, per così dire, mescolato all’amore di Dio, allora lo splendore della sua anima si riflette anche nell’aspetto esteriore" (Giovanni Climaco, Scala Paradisi, XX