GESU' E' IL PROFETA CHE FA DI OGNI "OGGI" IL COMPIMENTO DELL'AMORE DI DIO
In ebraico la parola fede, emunah, non ha il significato che siamo soliti conferirgli: essa rimanda a un sostegno, a qualcosa di fermo su cui poter appoggiarsi: "in Cristo abbiamo come un'àncora della nostra fede" (Eb. 6,19). In quella sinagoga Gesù inaugura la sua missione, laddove era stato “allevato” nello studio della Torah, e aveva appreso, Lui l'Autore della Legge, la fede del suo Popolo. Gesù torna alle origini, alle fonti della sua storia, che è la storia di Dio con il suo Popolo, perché "il punto di partenza (del cristianesimo) è l'esperienza della fede come realtà” (Card. Ratzinger).
L’annuncio del Vangelo, infatti, svela il mistero dell’appartenenza a Dio di ogni uomo. Ogni realtà nella quale viene proclamata la Buona Notizia diviene come Nazaret, la città del Figlio di Dio, perché essa illumina il passato e il presente con il bagliore della vittoria di Cristo, e cambia il corso della storia dischiudendo un futuro di salvezza. Chiunque ascolti la predicazione si sente familiare e amico di Gesù, protagonista della storia di salvezza con cui Dio ha condotto il suo popolo.
La storia di un innamoramento fattosi amore travolgente, sigillato in un'alleanza eterna; ma anche storia di tradimenti, cadute, e perdono e misericordia. Una storia di “schiavitù, oppressione, povertà e cecità”, quella di un resto umiliato, con gli "occhi fissi" su una promessa, nell’attesa ardente del suo compimento. Il “Sabato” per Israele è tutto questo, il compimento delle nozze promesse.
Ma, per guardare alla realtà senza pregiudizi e lasciarsi salvare dalla predicazione, occorrono occhi umili e semplici, “occhi fissi su Gesù”. In ebraico il valore numerico delle lettere che formano la parola emunah (fede), corrisponde al valore numerico della parola bambini. Occhi di bambini dunque, sempre in attesa, che, nella tradizione ebraica, si schiudono solo nello Shabbat.
"Secondo il suo solito" Gesù si reca alla sinagoga, ma quel giorno è diverso dal solito. Come da sempre Egli è stato con noi, in ogni istante, "secondo il suo solito"; ma vi è un momento che è diverso, quando tutto acquista il sapore della novità. E' diverso l'istante nel quale risuona l'annuncio del Vangelo, e quel giorno, forse grigio di stanca routine, o zuppo di dolore e lacrime, è trasformato nel Sabato delle nozze, giorno di festa e felicità, per ogni uomo di qualsiasi parte del mondo. Per questo San Paolo dirà "guai a me se non evangelizzassi": sapeva infatti che la stoltezza della predicazione è lo strumento che Dio ha scelto per donare la fede, l'àncora che mette in salvo la vita.
Ecco Gesù, oggi, ora: ci ha raggiunti nella nostra storia, che è anche la sua, e lo possiamo fissare per raccogliere anche solo una goccia della rugiada d’amore che sgorga dal suo cuore. Ecco il sabato compiuto, il riposo agognato, quel volto di ebreo che stilla dolcezza e attira irresistibilmente ogni sguardo.
Eccolo consegnare un oggi eterno di misericordia, in quell'istante di duemila anni fa come in ogni istante di ogni vita, terra dissodata dalle vicende della storia di ciascuno, divenuta oggi fertile perché visitata da Lui, zolle fresche dove deporre la Parola già compiuta.
Ecco la “libertà, la salvezza, la guarigione”, la gioia che solo la sua presenza nella nostra vita può generare, perché “quando il Signore predica, il cielo si apre, la fame è tolta, le anime dei fedeli si inebriano del nettare celeste” (San Bruno di Segni). Tutta la storia di Israele si fissa in quell'istante, e la nostra in questo giorno, e trova senso e compimento, e benedizione stupita.
Ecco la sua voce, quelle parole che chi ce le ha mai dette così?, e l'invito ad alzarci e ad andare con Lui, perché l'inverno della morte e del peccato è passato, è già ora incipiente la primavera della Pasqua, della vita rinata per non morire più. E' Lui che aspettavamo, da sempre, il "più bello tra i figli di Adamo".
Per vedere Dio e sopravvivere occorre un cuore puro. Da esso, come da una fonte intima, deve scaturire un'acqua pura capace di irrigare i sensi, la ragione e gli affetti per riconoscere le sembianze di Dio nelle persone e negli eventi. Per i concittadini di Gesù si trattava dunque di una questione di cuore, qualcosa che muove la ragione e la sospinge verso un abbraccio che accolga, riconosca, ami davvero. Avevano vissuto con Gesù, ma in fondo per loro era rimasto indifferente; anni passati a contatto con Lui ma non lo avevano amato, e per questo non avevano potuto cogliere il suo mistero, che anzi li aveva scandalizzati generando in loro ira e violenza.
Gesù, nel suo mistero, si rivela profeta e profezia, ed è rifiutato. I "figli dello stesso padre" - la parola patria, in greco come in latino e in italiano deriva da padre - non lo possono afferrare e possedere attraverso la carne e il pensiero, perché Egli passa e sfugge ad ogni dominio; l'occhio del loro cuore è impuro, paralizzato sulla soglia del mistero. Accoglierlo significherebbe riconoscere la propria debolezza, il bisogno di purificazione e perdono, umiliarsi e inchinarsi di fronte a qualcosa di più grande, sconosciuto, che nel rivelarsi illumina e sazia. Riconoscerlo nel suo mistero significherebbe riconoscersi peccatori.
E' questo il mistero celato in Gesù di Nazaret, il Messia sofferente, il Servo di Yahwè umiliato, disprezzato, rifiuto degli uomini, l'agnello che si è caricato di ogni iniquità. Anche noi all'apparire del mistero che avvolge chi ci è vicino, temiamo e ci difendiamo chiudendoci a riccio, rifiutando ciò che sfugge ai nostri criteri collaudati.
Amare il mistero celato nell'altro infatti è la condizione perché egli entri a far parte di noi stessi, ci stupisca e coinvolga nel prodigio di cui è profezia. L'amore per il mistero è la condizione per la castità, dei sentimenti come della carne, porta dischiusa alla purezza del cuore capace di vedere trasfigurata la realtà. Si può vivere anni accanto ad una persona, alla moglie, al marito, ai figli, e non aver amato neanche per un giorno il mistero che li avvolge.
Siamo indisponibili ad accogliere quanto potrebbe sconvolgere le nostre esistenze, preferiamo presidiare il poco che abbiamo tra le mani, esaltandolo a criterio e verità assoluti. Ci illudiamo di conoscere, mentre ci sforziamo di possedere nella speranza di non perdere quanto vorremmo che ci saziasse.
Paradossalmente, un cuore puro è un cuore che riconosce d'essere malato, sentina di vizi e fonte di peccato. E lì, nella realtà, riconoscere in Gesù il fratello, il compatriota che ha condiviso la nostra patria di morte. Per il nostro cuore "vedovo e lebbroso" è preparato quest'oggi nel quale Gesù ci annuncia di nuovo la Buona Notizia, la profezia che viene a compiere il Profeta nella sua Patria.
E' uno scandalo che si rinnova ogni giorno, quello del Cielo chiuso sui religiosi, sui bravi e a posto, forse sui preti e le suore, ma aperto sui pagani, sui lontani, sui peccatori. Abbiamo occhi per vedere che la fede sta muovendo nostro figlio, nostra moglie, quella persona che abbiamo da sempre disprezzato? Abbiamo lo sguardo limpido per riconoscere l'opera di Dio che risuscita e perdona chi abbiamo giudicato e considerato ormai irrecuperabile? Gesù "passa" tra le nostre invidie e le nostre gelosie, sul ciglio del monte dove lo abbiamo spinto per ucciderlo.
Gesù "fa Pasqua" e inaugura un cammino in mezzo ai pregiudizi della carne, quelli che infestano le nostre famiglie, i nostri luoghi di lavoro, studio e svago. E ci indica un "più in là" dove seguirlo, oltre Nazaret, al di là di quello che la carne non può accettare perché malata e terrorizzata dalla morte. Gesù "passa" e ci indica il Cielo.
Vedere il Messia, il Salvatore, l'amore di Dio nell'altro significa dunque incamminarsi con Lui sul sentiero della Croce, sulla quale consegnargli i nostri peccati, scoprendo in essa la Patria d'amore dove, amati, impariamo ad amare: ah, mio marito è la Patria, l'anticipo di Cielo, il Regno dove "passare" con Cristo al di là della carne, della concupiscenza e dell'egoismo? Sì, il marito, la moglie, il figlio e il collega, Nazaret e molto più di Nazaret: in loro si inaugura l'anno eterno di misericordia, il "condono tombale" di ogni debito, la creazione nuova dove vivere in libertà e amore.
"Il vedere si realizza nella sequela, che significa vivere nel luogo dove Gesù dimora. Questo luogo è la sua passione, qui soltanto è presente la sua gloria. Che cos’è accaduto? L’idea del “vedere” ha assunto una dinamica insospettata. Si vede prendendo parte alla passione di Gesù. Acquista così tutto il suo alto significato la profezia: "Guarderanno a colui che hanno trafitto". Vedere Gesù, vedendo in lui allo stesso tempo il Padre, è un atto dell’intera esistenza" (Joseph Ratzinger).
Lo abbiamo trafitto, anche oggi; ma ci è data la possibilità di vedere nelle sue ferite la Vita che Egli ci ha offerto ancor prima che gliela strappassimo; oggi possiamo guardare lo Sposo che viene nella sua Patria e accoglierlo perché la trasformi in un giardino di delizie, colmo di frutti maturi, l'amore che vince morte e peccato.