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venerdì 28 agosto 2020

 


Le "dieci vergini" erano delle damigelle di onore allo sposo che, secondo la tradizione ebraica, dovevano accompagnare alla casa della sposa e da qui alla sala del banchetto. Loro compito era tenere accese le lampade nel momento in cui lo Sposo tornava dalle spesso lunghe trattative pre-matrimoniali, e per questo avevano anche un "piccolo vaso" che conteneva l'olio di riserva. Esse rappresentano i chiamati ad essere cristiani ai quali è stata donata la primogenitura: i cristiani sono chiamati a fare da corona allo Sposo quando tornerà, a sedere sui troni accanto a Lui e a giudicare le Nazioni. Essi sono promessi a un unico sposo, per essere presentati quali vergini caste a Cristo (cfr. 2 Cor. 11,2). E San Paolo sta parlando del battesimo. La chiamata che abbiamo accolto nelle diverse circostanze, ha inaugurato un cammino attraverso la storia reale e concreta di ciascuno per giungere alla maturità della fede. Creati a sua immagine dobbiamo crescere in esso perché, al giungere dello Sposo, al termine del nostro cammino di fede come poi alla fine del mondo, Egli possa "riconoscerci" quali suoi fratelli, chiamarci, destarci e farci nascere alla vita che non muore. Per questo, le nozze eterne si preparano durante tutta la vita. Un fidanzamento, un matrimonio, il ministero presbiterale, la consacrazione religiosa, la maternità e la paternità, anche un'amicizia, non sono cose di un momento, non sono avventure e passioni, roba da grandi quanto effimeri entusiasmi. Tutto si costruisce passo dopo passo, attraverso la fedeltà nelle piccole cose: "afferro le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in modo straordinario" (Card. Van Thuan). La saggezza è questa fedeltà paziente e semplice; la stoltezza è la superficialità che disprezza il sacrificio quotidiano aspettando il grande slancio, le emozioni forti. La "sapienza" è l'umiltà fondata nella verità. La "stoltezza" è la superbia radicata nella menzogna. La vita è molto seria, e quella eterna ce la giochiamo qui, come ogni uomo; per questo il cristianesimo è quanto di più serio vi sia. I "piccoli vasi" indicano le orme che precedono i nostri passi: essi sono immagine delle piccole occasioni che Dio ci offre nella nostra storia; è in esse che occorre essere fedeli, pronti, colmi di olio. Per questo la vera saggezza è procurarsi l'olio dello Spirito Santo nella Chiesa, rinnovare ad ogni evento della vita l'Alleanza che ci fa primogeniti. Ci si può addormentare, siamo deboli, ma è proprio nella debolezza che si manifesta la potenza di Dio. Anche Adamo si è addormentato, e fu vita tratta dalla sua stessa carne. Anche Abramo fu preso da un torpore, e fu l'Alleanza incorruttibile. Anche i discepoli cedettero agli occhi appesantiti, e fu il compimento definitivo della Volontà di Dio. In comune tutti hanno la propria debolezza e il potere di Dio: è Lui che fa tutto, perché Dio dona il pane ai suoi amici nel sonno: mentre dormiamo pulsa la vita autentica, ed è il mistero a cui siamo chiamati, la vita nella morte. La primogenitura è, essenzialmente, vivere senza timore nel sonno della morte che ogni giorno prende le nostre vite, tenendo desto il cuore colmo di Spirito Santo. E ciò accade se camminiamo nella Chiesa, se alimentiamo i piccoli vasi con l'ascolto della Parola di Dio, con i sacramenti, con la frequenza alle liturgie; nel seno della Chiesa, infatti, impariamo a nutrire l'uomo nuovo che vi è gestato: e ogni gravidanza inizia con un "ritardo"... Per questo il ritardo del Signore è fecondo, perché in esso si cela il suo mistero di Pasqua, di vita che distrugge la morte. Gli stessi verbi utilizzati da Matteo rimandano a questo significato: le vergini si "destano" come il Signore si "desta" dalla morte! Il ritardo è l'occasione per crescere nell'amore, per prepararsi all'incontro con lo Sposo, per assomigliare a Lui in tutto. Così ogni ritardo nella nostra vita, quello della moglie nello stirare la camicia e del marito nel comprendere le esigenze della sposa, quello dei figli nell'obbedire e dei genitori nell'ascoltare i figli, quello del corpo che non ce la fa a guarire, quello del datore di lavoro nel promuoverci o nel darci le ferie o lo stipendio; tutto ciò che ritarda il compimento dei nostri desideri e delle nostre speranze costituisce l'occasione per vivere come primogeniti che hanno i nomi iscritti nei cieli, pronti al sacrificio, a crocifiggere la propria carne con le sue passioni, e a vivere la vita nuova secondo lo Spirito. Essere "vigilanti" è, secondo il grande esegeta H. Schlier, essere sobrii, che "significa vedere e prendere le cose così come esse sono». Prenderle anche quando richiedono un sacrificio, che è l'unico polo capace di attrarre l'attesa e tenerla desta orientandola verso la bellezza.

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