GESU' E' IL PROFETA CHE FA DI OGNI "OGGI" IL COMPIMENTO DELL'AMORE DI DIO
La fede non è un salto nel buio: «Che cosa è infatti il cristianesimo? È forse una dottrina che si può ripetere in una scuola di religione? È forse un seguito di leggi morali? È forse un certo complesso di riti? Tutto questo è secondario, viene dopo. Il cristianesimo è un fatto, un avvenimento» (Don Luigi Giussani). La fede, nel cristianesimo, è l’esperienza fondante che continua a ripetersi nell'arco di una vita, come quella offerta da Gesù nella sinagoga di Cafarnao.
In ebraico la parola fede, emunah, non ha il significato che siamo soliti conferirgli: essa rimanda a un sostegno, a qualcosa di fermo su cui poter appoggiarsi: "in Cristo abbiamo come un'àncora della nostra fede" (Eb. 6,19). In quella sinagoga Gesù inaugura la sua missione, laddove era stato “allevato” nello studio della Torah, e aveva appreso, Lui l'Autore della Legge, la fede del suo Popolo. Gesù torna alle origini, alle fonti della sua storia, che è la storia di Dio con il suo Popolo, perché "il punto di partenza (del cristianesimo) è l'esperienza della fede come realtà” (Card. Ratzinger).
In ebraico la parola fede, emunah, non ha il significato che siamo soliti conferirgli: essa rimanda a un sostegno, a qualcosa di fermo su cui poter appoggiarsi: "in Cristo abbiamo come un'àncora della nostra fede" (Eb. 6,19). In quella sinagoga Gesù inaugura la sua missione, laddove era stato “allevato” nello studio della Torah, e aveva appreso, Lui l'Autore della Legge, la fede del suo Popolo. Gesù torna alle origini, alle fonti della sua storia, che è la storia di Dio con il suo Popolo, perché "il punto di partenza (del cristianesimo) è l'esperienza della fede come realtà” (Card. Ratzinger).
Gesù inizia dunque dalla sua stessa realtà, dall'avvenimento che lo ha introdotto nel mondo. Gesù incarna Dio nella carne di ogni uomo: e lo fa a partire dai suoi parenti, dai suoi amici; dalle strade, le botteghe, le piazze dove è cresciuto, dai luoghi e dalle persone che gli sono più familiari, come una profezia per tutte le Nazaret della storia, anche le nostre.
L’annuncio del Vangelo, infatti, svela il mistero dell’appartenenza a Dio di ogni uomo. Ogni realtà nella quale viene proclamata la Buona Notizia diviene come Nazaret, la città del Figlio di Dio, perché essa illumina il passato e il presente con il bagliore della vittoria di Cristo, e cambia il corso della storia dischiudendo un futuro di salvezza. Chiunque ascolti la predicazione si sente familiare e amico di Gesù, protagonista della storia di salvezza con cui Dio ha condotto il suo popolo.
La storia di un innamoramento fattosi amore travolgente, sigillato in un'alleanza eterna; ma anche storia di tradimenti, cadute, e perdono e misericordia. Una storia di “schiavitù, oppressione, povertà e cecità”, quella di un resto umiliato, con gli "occhi fissi" su una promessa, nell’attesa ardente del suo compimento. Il “Sabato” per Israele è tutto questo, il compimento delle nozze promesse.
Ma, per guardare alla realtà senza pregiudizi e lasciarsi salvare dalla predicazione, occorrono occhi umili e semplici, “occhi fissi su Gesù”. In ebraico il valore numerico delle lettere che formano la parola emunah (fede), corrisponde al valore numerico della parola bambini. Occhi di bambini dunque, sempre in attesa, che, nella tradizione ebraica, si schiudono solo nello Shabbat.
L’annuncio del Vangelo, infatti, svela il mistero dell’appartenenza a Dio di ogni uomo. Ogni realtà nella quale viene proclamata la Buona Notizia diviene come Nazaret, la città del Figlio di Dio, perché essa illumina il passato e il presente con il bagliore della vittoria di Cristo, e cambia il corso della storia dischiudendo un futuro di salvezza. Chiunque ascolti la predicazione si sente familiare e amico di Gesù, protagonista della storia di salvezza con cui Dio ha condotto il suo popolo.
La storia di un innamoramento fattosi amore travolgente, sigillato in un'alleanza eterna; ma anche storia di tradimenti, cadute, e perdono e misericordia. Una storia di “schiavitù, oppressione, povertà e cecità”, quella di un resto umiliato, con gli "occhi fissi" su una promessa, nell’attesa ardente del suo compimento. Il “Sabato” per Israele è tutto questo, il compimento delle nozze promesse.
Ma, per guardare alla realtà senza pregiudizi e lasciarsi salvare dalla predicazione, occorrono occhi umili e semplici, “occhi fissi su Gesù”. In ebraico il valore numerico delle lettere che formano la parola emunah (fede), corrisponde al valore numerico della parola bambini. Occhi di bambini dunque, sempre in attesa, che, nella tradizione ebraica, si schiudono solo nello Shabbat.
In ebraico shabbat è femminile, e in tutta la simbologia il sabato è paragonato alla sposa. Il canto per eccellenza con cui si accoglie questa festa è Lehà doddì = Vieni mio caro, dalle prime due parole del ritornello che viene ripetuto dopo ogni strofa. Israele viene presentato come uno sposo invitato ad incontrare la sua sposa: “Vieni mio caro incontro alla sposa, accogliamo shabbat”. Nel sabato risuonano le parole del Cantico dei Cantici, e in quel sabato a Nazaret era finalmente giunto lo Sposo.
"Secondo il suo solito" Gesù si reca alla sinagoga, ma quel giorno è diverso dal solito. Come da sempre Egli è stato con noi, in ogni istante, "secondo il suo solito"; ma vi è un momento che è diverso, quando tutto acquista il sapore della novità. E' diverso l'istante nel quale risuona l'annuncio del Vangelo, e quel giorno, forse grigio di stanca routine, o zuppo di dolore e lacrime, è trasformato nel Sabato delle nozze, giorno di festa e felicità, per ogni uomo di qualsiasi parte del mondo. Per questo San Paolo dirà "guai a me se non evangelizzassi": sapeva infatti che la stoltezza della predicazione è lo strumento che Dio ha scelto per donare la fede, l'àncora che mette in salvo la vita.
"Secondo il suo solito" Gesù si reca alla sinagoga, ma quel giorno è diverso dal solito. Come da sempre Egli è stato con noi, in ogni istante, "secondo il suo solito"; ma vi è un momento che è diverso, quando tutto acquista il sapore della novità. E' diverso l'istante nel quale risuona l'annuncio del Vangelo, e quel giorno, forse grigio di stanca routine, o zuppo di dolore e lacrime, è trasformato nel Sabato delle nozze, giorno di festa e felicità, per ogni uomo di qualsiasi parte del mondo. Per questo San Paolo dirà "guai a me se non evangelizzassi": sapeva infatti che la stoltezza della predicazione è lo strumento che Dio ha scelto per donare la fede, l'àncora che mette in salvo la vita.
Ecco dunque lo sposo dietro la grata, eccolo raccogliere il rotolo del Libro, dove è scritta la sua storia e la volontà del Padre. Ecco il corpo preparato per rivelare l'Eterno, l'amore promesso, tante volte donato, e ora vivo davanti ai suoi compatrioti; come oggi è dinanzi a ciascuno di noi Gesù, incarnato nella sua Parola, nei sacramenti, nell’amore e nell’unità, la comunione più forte della morte che fa della Chiesa il suo corpo nella storia.
Ecco Gesù, oggi, ora: ci ha raggiunti nella nostra storia, che è anche la sua, e lo possiamo fissare per raccogliere anche solo una goccia della rugiada d’amore che sgorga dal suo cuore. Ecco il sabato compiuto, il riposo agognato, quel volto di ebreo che stilla dolcezza e attira irresistibilmente ogni sguardo.
Eccolo consegnare un oggi eterno di misericordia, in quell'istante di duemila anni fa come in ogni istante di ogni vita, terra dissodata dalle vicende della storia di ciascuno, divenuta oggi fertile perché visitata da Lui, zolle fresche dove deporre la Parola già compiuta.
Ecco la “libertà, la salvezza, la guarigione”, la gioia che solo la sua presenza nella nostra vita può generare, perché “quando il Signore predica, il cielo si apre, la fame è tolta, le anime dei fedeli si inebriano del nettare celeste” (San Bruno di Segni). Tutta la storia di Israele si fissa in quell'istante, e la nostra in questo giorno, e trova senso e compimento, e benedizione stupita.
Ecco la sua voce, quelle parole che chi ce le ha mai dette così?, e l'invito ad alzarci e ad andare con Lui, perché l'inverno della morte e del peccato è passato, è già ora incipiente la primavera della Pasqua, della vita rinata per non morire più. E' Lui che aspettavamo, da sempre, il "più bello tra i figli di Adamo".
Ecco Gesù, oggi, ora: ci ha raggiunti nella nostra storia, che è anche la sua, e lo possiamo fissare per raccogliere anche solo una goccia della rugiada d’amore che sgorga dal suo cuore. Ecco il sabato compiuto, il riposo agognato, quel volto di ebreo che stilla dolcezza e attira irresistibilmente ogni sguardo.
Eccolo consegnare un oggi eterno di misericordia, in quell'istante di duemila anni fa come in ogni istante di ogni vita, terra dissodata dalle vicende della storia di ciascuno, divenuta oggi fertile perché visitata da Lui, zolle fresche dove deporre la Parola già compiuta.
Ecco la “libertà, la salvezza, la guarigione”, la gioia che solo la sua presenza nella nostra vita può generare, perché “quando il Signore predica, il cielo si apre, la fame è tolta, le anime dei fedeli si inebriano del nettare celeste” (San Bruno di Segni). Tutta la storia di Israele si fissa in quell'istante, e la nostra in questo giorno, e trova senso e compimento, e benedizione stupita.
Ecco la sua voce, quelle parole che chi ce le ha mai dette così?, e l'invito ad alzarci e ad andare con Lui, perché l'inverno della morte e del peccato è passato, è già ora incipiente la primavera della Pasqua, della vita rinata per non morire più. E' Lui che aspettavamo, da sempre, il "più bello tra i figli di Adamo".
E' Lui il Profeta che oggi spalanca le sue braccia e dilata il suo cuore per sposarci, per attirarci nel suo amore infinito, per dare luce e splendore, sapore e allegria alle nostre esistenze, crocifisse e dolenti che siano. Gesù è il Profeta che illumina "il solito" della nostra vita, la Nazaret dove abitiamo, con la luce del Vangelo, che è la sua stessa presenza nella nostra quotidianità: "L’elemento essenziale del profeta non è quello di predire i futuri avvenimenti; il profeta è colui che dice la verità perché è in contatto con Dio e cioè si tratta della verità valida per oggi che naturalmente illumina anche il futuro" (Joseph Ratzinger).
Ma in quel sabato nella sinagoga di Nazaret, era esplosa una bomba: Gesù, il figlio di Giuseppe il carpentiere, l'aveva lanciata nel mezzo dell'assemblea di cui aveva fatto parte tante volte; quel ragazzo che tutti conoscevano aveva appena annunciato che la profezia ascoltata si era compiuta proprio in Lui, proprio in quell'oggi. E che reazione all'ascolto di una cosa simile! E che mistero l'operare di Dio, lasciare trent'anni il suo Figlio inviato per salvare l'umanità nel semplice e umile nascondimento di Nazaret, a vivere una vita normalissima, mescolata a quella dei suoi compatrioti.
I Vangeli registrano un solo segno all'alba della dell'incarnazione, anch'esso segreto e serbato nel cuore della Vergine Maria. E sospetti, giudizi e dolore per quella giovane Madre. Poi più nulla, giorni uguali a quelli di ogni altro abitante di Nazaret, sino a quel sabato quando dalla bocca di Gesù è esplosa la bomba di una notizia sconvolgente. Dio, infatti, ha voluto avvolgere di mistero l'identità del Figlio per svelare il mistero del cuore dell'uomo. La carne ed il sangue, da soli, non possono vedere Dio e non morire: "Troppo grande è la forza di verità e di luce! Se l'uomo tocca questa corrente assoluta, non sopravvive" (Benedetto XVI).
Per vedere Dio e sopravvivere occorre un cuore puro. Da esso, come da una fonte intima, deve scaturire un'acqua pura capace di irrigare i sensi, la ragione e gli affetti per riconoscere le sembianze di Dio nelle persone e negli eventi. Per i concittadini di Gesù si trattava dunque di una questione di cuore, qualcosa che muove la ragione e la sospinge verso un abbraccio che accolga, riconosca, ami davvero. Avevano vissuto con Gesù, ma in fondo per loro era rimasto indifferente; anni passati a contatto con Lui ma non lo avevano amato, e per questo non avevano potuto cogliere il suo mistero, che anzi li aveva scandalizzati generando in loro ira e violenza.
Gesù, nel suo mistero, si rivela profeta e profezia, ed è rifiutato. I "figli dello stesso padre" - la parola patria, in greco come in latino e in italiano deriva da padre - non lo possono afferrare e possedere attraverso la carne e il pensiero, perché Egli passa e sfugge ad ogni dominio; l'occhio del loro cuore è impuro, paralizzato sulla soglia del mistero. Accoglierlo significherebbe riconoscere la propria debolezza, il bisogno di purificazione e perdono, umiliarsi e inchinarsi di fronte a qualcosa di più grande, sconosciuto, che nel rivelarsi illumina e sazia. Riconoscerlo nel suo mistero significherebbe riconoscersi peccatori.
Per vedere Dio e sopravvivere occorre un cuore puro. Da esso, come da una fonte intima, deve scaturire un'acqua pura capace di irrigare i sensi, la ragione e gli affetti per riconoscere le sembianze di Dio nelle persone e negli eventi. Per i concittadini di Gesù si trattava dunque di una questione di cuore, qualcosa che muove la ragione e la sospinge verso un abbraccio che accolga, riconosca, ami davvero. Avevano vissuto con Gesù, ma in fondo per loro era rimasto indifferente; anni passati a contatto con Lui ma non lo avevano amato, e per questo non avevano potuto cogliere il suo mistero, che anzi li aveva scandalizzati generando in loro ira e violenza.
Gesù, nel suo mistero, si rivela profeta e profezia, ed è rifiutato. I "figli dello stesso padre" - la parola patria, in greco come in latino e in italiano deriva da padre - non lo possono afferrare e possedere attraverso la carne e il pensiero, perché Egli passa e sfugge ad ogni dominio; l'occhio del loro cuore è impuro, paralizzato sulla soglia del mistero. Accoglierlo significherebbe riconoscere la propria debolezza, il bisogno di purificazione e perdono, umiliarsi e inchinarsi di fronte a qualcosa di più grande, sconosciuto, che nel rivelarsi illumina e sazia. Riconoscerlo nel suo mistero significherebbe riconoscersi peccatori.
Non è dunque la familiarità sociale o di sangue che determina la conoscenza. La vedova di Zarepta e Naaman il Siro erano pagani, eppure hanno visto Dio, perché l'indigenza e il bisogno ne avevano purificato il cuore. Può vedere Dio solo l'occhio purificato dal crogiuolo della sofferenza. La vera Patria di Gesù non è la Nazaret geografica e i "suoi" non sono quelli che vi sono nati: la Patria di Gesù è la Croce e i suoi compatrioti sono i peccatori. Per loro si è fatto peccato, con loro ha condiviso il destino di morte per trasformarlo in destino di perdono e di vita.
E' questo il mistero celato in Gesù di Nazaret, il Messia sofferente, il Servo di Yahwè umiliato, disprezzato, rifiuto degli uomini, l'agnello che si è caricato di ogni iniquità. Anche noi all'apparire del mistero che avvolge chi ci è vicino, temiamo e ci difendiamo chiudendoci a riccio, rifiutando ciò che sfugge ai nostri criteri collaudati.
Amare il mistero celato nell'altro infatti è la condizione perché egli entri a far parte di noi stessi, ci stupisca e coinvolga nel prodigio di cui è profezia. L'amore per il mistero è la condizione per la castità, dei sentimenti come della carne, porta dischiusa alla purezza del cuore capace di vedere trasfigurata la realtà. Si può vivere anni accanto ad una persona, alla moglie, al marito, ai figli, e non aver amato neanche per un giorno il mistero che li avvolge.
Siamo indisponibili ad accogliere quanto potrebbe sconvolgere le nostre esistenze, preferiamo presidiare il poco che abbiamo tra le mani, esaltandolo a criterio e verità assoluti. Ci illudiamo di conoscere, mentre ci sforziamo di possedere nella speranza di non perdere quanto vorremmo che ci saziasse.
E' questo il mistero celato in Gesù di Nazaret, il Messia sofferente, il Servo di Yahwè umiliato, disprezzato, rifiuto degli uomini, l'agnello che si è caricato di ogni iniquità. Anche noi all'apparire del mistero che avvolge chi ci è vicino, temiamo e ci difendiamo chiudendoci a riccio, rifiutando ciò che sfugge ai nostri criteri collaudati.
Amare il mistero celato nell'altro infatti è la condizione perché egli entri a far parte di noi stessi, ci stupisca e coinvolga nel prodigio di cui è profezia. L'amore per il mistero è la condizione per la castità, dei sentimenti come della carne, porta dischiusa alla purezza del cuore capace di vedere trasfigurata la realtà. Si può vivere anni accanto ad una persona, alla moglie, al marito, ai figli, e non aver amato neanche per un giorno il mistero che li avvolge.
Siamo indisponibili ad accogliere quanto potrebbe sconvolgere le nostre esistenze, preferiamo presidiare il poco che abbiamo tra le mani, esaltandolo a criterio e verità assoluti. Ci illudiamo di conoscere, mentre ci sforziamo di possedere nella speranza di non perdere quanto vorremmo che ci saziasse.
E così ci ritroviamo a spingere l'altro sul "ciglio del monte per buttarlo nel precipizio", nell'estremo tentativo di far tacere quel mistero che bussa, tenace, alla porta del nostro cuore. L'esito di ogni possesso infatti, è l'omicidio dell'altro: moglie, marito, chiunque interpelli il nostro cuore, ci svela indigenti e inadeguati, peccatori. Il mistero racchiuso nel prossimo è una chiamata all'amore, e ne siamo sprovvisti. Abbiamo bisogno di un cuore contrito e umiliato, un cuore puro capace di vedere Dio nell'amore incarnato in suo Figlio.
Paradossalmente, un cuore puro è un cuore che riconosce d'essere malato, sentina di vizi e fonte di peccato. E lì, nella realtà, riconoscere in Gesù il fratello, il compatriota che ha condiviso la nostra patria di morte. Per il nostro cuore "vedovo e lebbroso" è preparato quest'oggi nel quale Gesù ci annuncia di nuovo la Buona Notizia, la profezia che viene a compiere il Profeta nella sua Patria.
E' uno scandalo che si rinnova ogni giorno, quello del Cielo chiuso sui religiosi, sui bravi e a posto, forse sui preti e le suore, ma aperto sui pagani, sui lontani, sui peccatori. Abbiamo occhi per vedere che la fede sta muovendo nostro figlio, nostra moglie, quella persona che abbiamo da sempre disprezzato? Abbiamo lo sguardo limpido per riconoscere l'opera di Dio che risuscita e perdona chi abbiamo giudicato e considerato ormai irrecuperabile? Gesù "passa" tra le nostre invidie e le nostre gelosie, sul ciglio del monte dove lo abbiamo spinto per ucciderlo.
Gesù "fa Pasqua" e inaugura un cammino in mezzo ai pregiudizi della carne, quelli che infestano le nostre famiglie, i nostri luoghi di lavoro, studio e svago. E ci indica un "più in là" dove seguirlo, oltre Nazaret, al di là di quello che la carne non può accettare perché malata e terrorizzata dalla morte. Gesù "passa" e ci indica il Cielo.
Paradossalmente, un cuore puro è un cuore che riconosce d'essere malato, sentina di vizi e fonte di peccato. E lì, nella realtà, riconoscere in Gesù il fratello, il compatriota che ha condiviso la nostra patria di morte. Per il nostro cuore "vedovo e lebbroso" è preparato quest'oggi nel quale Gesù ci annuncia di nuovo la Buona Notizia, la profezia che viene a compiere il Profeta nella sua Patria.
E' uno scandalo che si rinnova ogni giorno, quello del Cielo chiuso sui religiosi, sui bravi e a posto, forse sui preti e le suore, ma aperto sui pagani, sui lontani, sui peccatori. Abbiamo occhi per vedere che la fede sta muovendo nostro figlio, nostra moglie, quella persona che abbiamo da sempre disprezzato? Abbiamo lo sguardo limpido per riconoscere l'opera di Dio che risuscita e perdona chi abbiamo giudicato e considerato ormai irrecuperabile? Gesù "passa" tra le nostre invidie e le nostre gelosie, sul ciglio del monte dove lo abbiamo spinto per ucciderlo.
Gesù "fa Pasqua" e inaugura un cammino in mezzo ai pregiudizi della carne, quelli che infestano le nostre famiglie, i nostri luoghi di lavoro, studio e svago. E ci indica un "più in là" dove seguirlo, oltre Nazaret, al di là di quello che la carne non può accettare perché malata e terrorizzata dalla morte. Gesù "passa" e ci indica il Cielo.
In ogni persona che si affaccia all'uscio del nostro cuore e bussa alla nostra carne dolente, è nascosto il mistero di Cristo mendicante i nostri peccati; Egli desidera l'unico linguaggio d'amore di cui siamo capaci, quello di chi, vedovo e impuro, può solo inginocchiarsi e consegnargli la propria infermità, per ricevere la sua misericordia rigenerante. Gesù mendica e dona nello stesso momento.
Vedere il Messia, il Salvatore, l'amore di Dio nell'altro significa dunque incamminarsi con Lui sul sentiero della Croce, sulla quale consegnargli i nostri peccati, scoprendo in essa la Patria d'amore dove, amati, impariamo ad amare: ah, mio marito è la Patria, l'anticipo di Cielo, il Regno dove "passare" con Cristo al di là della carne, della concupiscenza e dell'egoismo? Sì, il marito, la moglie, il figlio e il collega, Nazaret e molto più di Nazaret: in loro si inaugura l'anno eterno di misericordia, il "condono tombale" di ogni debito, la creazione nuova dove vivere in libertà e amore.
"Il vedere si realizza nella sequela, che significa vivere nel luogo dove Gesù dimora. Questo luogo è la sua passione, qui soltanto è presente la sua gloria. Che cos’è accaduto? L’idea del “vedere” ha assunto una dinamica insospettata. Si vede prendendo parte alla passione di Gesù. Acquista così tutto il suo alto significato la profezia: "Guarderanno a colui che hanno trafitto". Vedere Gesù, vedendo in lui allo stesso tempo il Padre, è un atto dell’intera esistenza" (Joseph Ratzinger).
Lo abbiamo trafitto, anche oggi; ma ci è data la possibilità di vedere nelle sue ferite la Vita che Egli ci ha offerto ancor prima che gliela strappassimo; oggi possiamo guardare lo Sposo che viene nella sua Patria e accoglierlo perché la trasformi in un giardino di delizie, colmo di frutti maturi, l'amore che vince morte e peccato.
Vedere il Messia, il Salvatore, l'amore di Dio nell'altro significa dunque incamminarsi con Lui sul sentiero della Croce, sulla quale consegnargli i nostri peccati, scoprendo in essa la Patria d'amore dove, amati, impariamo ad amare: ah, mio marito è la Patria, l'anticipo di Cielo, il Regno dove "passare" con Cristo al di là della carne, della concupiscenza e dell'egoismo? Sì, il marito, la moglie, il figlio e il collega, Nazaret e molto più di Nazaret: in loro si inaugura l'anno eterno di misericordia, il "condono tombale" di ogni debito, la creazione nuova dove vivere in libertà e amore.
"Il vedere si realizza nella sequela, che significa vivere nel luogo dove Gesù dimora. Questo luogo è la sua passione, qui soltanto è presente la sua gloria. Che cos’è accaduto? L’idea del “vedere” ha assunto una dinamica insospettata. Si vede prendendo parte alla passione di Gesù. Acquista così tutto il suo alto significato la profezia: "Guarderanno a colui che hanno trafitto". Vedere Gesù, vedendo in lui allo stesso tempo il Padre, è un atto dell’intera esistenza" (Joseph Ratzinger).
Lo abbiamo trafitto, anche oggi; ma ci è data la possibilità di vedere nelle sue ferite la Vita che Egli ci ha offerto ancor prima che gliela strappassimo; oggi possiamo guardare lo Sposo che viene nella sua Patria e accoglierlo perché la trasformi in un giardino di delizie, colmo di frutti maturi, l'amore che vince morte e peccato.
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