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martedì 13 ottobre 2020



 L'AMORE AUTENTICO SI SPORCA IMMERGENDOSI NEL CUORE DELLA SPOSA PER PURIFICARLO E RENDERLO LIBERO DI DONARSI

"In principio" era la purezza. Creato a «immagine e somiglianza» di Dio, l'uomo era destinato a una vita pura, nella comunione e nell'intimità con Lui. Mangiando dell'albero però, ha fatto esperienza della morte, la madre di ogni impurità, che lo ha strappato al Paradiso. Il cuore, l' "interno", si è contaminato di una menzogna "malvagia" che lo ha orientato a "rapinare" quello che, invece, gli era stato gratuitamente. Credendo all'inganno del demonio, Adamo ed Eva hanno messo piede nel territorio della morte che non avevano conosciuto, dove regna il principe della menzogna. In comunione docile e obbediente al Creatore avrebbero partecipato del suo discernimento, restando però ben lontano dalla "fatica" di dover decidere lui che cosa sia bene e che cosa male. Non a caso all'origine del termine "malvagità" vi è anche l'idea di una "fatica dolorosa del male". Fateci caso, il male è sempre faticoso: avere un'amante per esempio, soddisfa i sensi ma che fatica! Mentire sempre, trovare i soldi per soddisfare i bisogni dell'altra, oltre a quelli della famiglia. E quella fatica dolorosa di stare con un piede in due staffe, attenti a non essere scoperti, sino a precipitare in una schizofrenia che deflagrando rade al suolo matrimonio e relazione adulterina. E lascia nudi, come i progenitori. Hanno conosciuto la vergogna e la concupiscenza, e "tutto" è divenuto impuro: l’amore tra gli sposi, gli affetti, le amicizie, il lavoro. Tutto è ferito dalla "dolorosa fatica" del male... Ma Dio non ha abbandonato la sua creatura; l'ha cercata, ha rivestito la sua nudità di foglie che profetizzano la misericordia che si manifesterà in Cristo; le vesti battesimali con cui sarà ricoperta, per sempre, la vergogna del peccato. Per questo ha scelto un Popolo, facendolo sua proprietà, Israele, «diverso da tutte le Nazioni», come una primizia della purezza perduta e ritrovata. Con esso ha intessuto una lunga storia di purificazione.
In principio l'uomo era separato dal male, e, paradossalmente, proprio il divieto di appropriarsi del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male lo proteggeva da qualunque contaminazione. Mangiarne avrebbe significato morire, separarsi da Dio, entrare nell'impurità. Tutto ciò che è impuro infatti è di ostacolo al culto e impedisce la relazione con Dio. E' il culto di Caino, segnato dalla morte dell'invidia e della gelosia, sgradito a Dio e quindi incapace di salvarlo dal peccato: Caino infatti ucciderà Abele. Mangiando dell'albero, l'uomo ha varcato la siepe originaria che Dio aveva eretto a protezione della sua felicità, l'Albero piantato nel mezzo del giardino, sperimentando così la nudità della morte. Il cuore s'era irrimediabilmente ammalato, si era insinuato in esso uno Yetzer Harà, un impulso malvagio al quale nessuno può sfuggire. Unica salvezza quella offerta da Dio: "Io ho creato l'impulso malvagio, ma ho creato anche la Torah come suo rimedio". Dio ha fatto l'esterno e l'interno, la Torah per salvare e il cuore libero per accoglierla, e per rifiutarla.
Per questo nel cuore del santuario vi era la Torah, le tavole dell'Alleanza consegnate a Mosè custodite nell'Arca che divenne, una volta costruito il tempio, il Santo dei Santi, il separato dei separati. Ma Israele tradì e di nuovo scomparì dalla Terra quel frammento di Paradiso: fu il tempo dell'Esilio. Ma proprio sulle rive dei fiumi di Babilonia Dio purificò il suo Popolo. Israele aveva sperimentato le conseguenze dell'idolatria e dell'adulterio: "Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione, ora siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati. Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia. Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito, perché non c'è confusione per coloro che confidano in te. Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto" (Dan. 3,37-41).
Nell'esilio, privato di tutto, Israele aveva imparato a mettere in gioco cuore e spirito; nella fornace ardente della Babilonia pagana, Dio lo aveva condotto a fare del proprio intimo la primizia e il luogo dove presentarla per trovare misericordia. La vita stessa diveniva il santuario, il frammento di Paradiso che Israele doveva testimoniare al mondo. Di ritorno da Babilonia, sotto Esdra "lo scrivano", la riscoperta della Torah ormai dimenticata e quasi sconosciuta, aveva dato origine alla halakah orale, la "tradizione dei Padri", considerata la "siepe della Torah" (Misnah Abot, 1,1b...); essa era una spiegazione e una sorta di codice di prevenzione volto a impedire la trasgressione della Torah biblica. I farisei accolgono la Tradizione orale e ne fanno il cuore della loro religiosità per divenire quel Paradiso incontaminato eletto da Dio. Per essere ammessi tra i farisei bisognava accettare di osservare in modo speciale i precetti della purificazione, particolarmente quelli del rituale del lavaggio delle mani e ai pasti, e una dettagliatissima osservanza del Decalogo. Questi doveri costituivano la siepe e il loro adempimento rendeva e custodiva puri, santi, separati. La "siepe" era così divenuta l'essenza della separazione e dello stesso essere farisei.
Per questo, la purezza assillava i farisei. Essere puri significava appartenere a Dio: Siate santi perchè io sono santo! Santo significa separato, per cui, in senso strettamente letterale, si potrebbe dire: siate separati perchè io sono separato. I farisei, separati secondo il significato originale del termine ebraico perushim, volevano vivere in pienezza l'elezione di Israele. Siate farisei come io sono fariseo, e non tradurremmo male. Il totalmente Altro, Adonai, l'Impronunciabile, eleggendo Israele lo ha attratto nella sua santità, separandolo così dal resto del mondo. I farisei si preoccupavano di "formare sulla terra una provincia di Dio, sulla quale fosse dato aspettare l'ampio Regno finale di Dio stesso" (C. Thoma). Essi estendevano così quanto i saggi di Israele dicevano per spiegare il precetto di costruire un santuario: "Essi mi faranno un santuario affinchè io possa abitare fra di loro" (Es. 25,8). "Il mondo intero era intriso di male a causa del peccato di Adamo. Quando scelse Israele, Dio gli disse di costruire un santuario in cui questo male non sarebbe dovuto penetrare. Il santuario doveva essere come un giardino dell'Eden in miniatura, dedicato totalmente al servizio di Dio, e ne sarebbe stata esclusa qualsiasi cosa appartenuta allo stato decadente dell'uomo" (A. Kaplan, Le acque dell'Eden).
Le parole di Gesù hanno l'ardire di toccare questa siepe. Esse fanno appello alla radice della storia stessa dei farisei. Sono parole d'amore che chiamano a conversione, a ritornare alla propria esperienza. Esterno ed interno, l'al di quà e l'al di là della siepe è opera di Dio! Il male è opera del demonio. Non sono le forze dell'uomo che difendono la purezza. Per Gesù la stoltezza consiste proprio nel dimenticare l'esperienza del peccato e la dura verità di un cuore ormai capace del male. "Chi confida nel proprio cuore è uno stolto" (Pr. 28,26). Per questo la purezza che stringe nell'intimità con Dio è un cuore contrito e uno spirito umiliato che supplica misericordia. La purezza della Vergine Maria, l'umiliazione che Dio ha guardato con benevolenza facendone il grembo dove dar carne al suo Figlio, il Tempio santo che accoglie il Santo dei Santi. L'esilio aveva insegnato essenzialmente questo, preparando il cuore ad accogliere, nello stupore, l'opera di Dio impossibile agli uomini. La primogenitura compiuta in Gesù è un dono gratuito che viene dal Cielo. "Colui che evita il male in virtù di un precetto del Signore non è libero. All'opposto, chi evita il male perché è male, costui è libero. E' qui che opera lo Spirito Santo che perfeziona interiormente il nostro spirito comunicandogli un nuovo dinamismo, e così è per amore che egli non commette il male, e dunque è libero, non nel senso che egli non sia sottomesso alla legge divina, ma in quanto il suo dinamismo interiore lo porta a fare ciò che la legge divina prescrive" (San Tommaso).
Gesù oggi ci invita a riconoscerci peccatori, bisognosi del suo amore che rigenera e purifica quanto ferito e reso impuro dal demonio. Allora la siepe diverrà uno strumento di libertà, un aiuto a non cadere in tentazione; mostrando il cammino della vita ci spingerà a confidare in Lui, a seguirlo con tutto il cuore. Il Signore ci chiama ad essere autentici farisei, separati dal peccato, santi della sua santità, immersi completamente nel battesimo della sua misericordia. E' questa la vera purificazione che coinvolge tutta la nostra vita trasformandola in un'elemosina, misericordia pura offerta ogni giorno a Dio e ad ogni uomo, il dinamismo nuovo dell'amore. La siepe che Dio ha eretto è infatti in mezzo al Paradiso: è nel cuore che Dio pianta l'albero di vita, la Croce che purifica e ci fa uno con Lui per dare frutti di vita eterna al mondo. Crocifissi con Lui che purifica interno ed esterno, cuore e membra, si compie in noi la primogenitura nella quale siamo stati chiamati: essere il Cielo, la sposa di Cristo, pura e senza macchia, che dona se stessa per amore, nella libertà e nella gratuità.Preoccupati di formare sulla terra una provincia incontaminata di Dio, ma dimentichi di «Colui che ha fatto l’esterno e l’interno», i farisei però vivevano assillati dalla purezza; per essa erano pronti a tutto, anche a «rapinarla» con l'ipocrisia violenta della loro maniacale osservanza. «Stolti», come ciascuno di noi che ci illudiamo di poter rapinare il perdono e l'amore, esattamente come i progenitori hanno pensato di poter fare proprio il potere di decidere che cosa sia bene e cosa male. Per questo, come i farisei di ogni tempo, immagine anche dei falsi profeti che hanno ingannato le generazioni, puntiamo le pistole della nostra presunta diversità, degli sforzi, dei sacrifici. «Invitiamo a pranzo» il Signore - messe e preghiere - ma è solo ipocrisia; il cuore esige altro da Lui, sicurezze e miracoli che purifichino questa bettola di vita. Siamo in esilio, per quanto si lucidi l'esterno, il cuore resta infetto... Vi è un solo cammino per ritrovare la purezza, quello percorso dal Signore Gesù, che non ha ritenuto il suo essere Dio una dignità da rapinare con avidità, ma un dono da offrire sulla Croce svuotandosi completamente.
E' proprio la Croce che ci purifica, il patibolo riservato agli impuri come noi e alle «cose interne» e immonde del nostro cuore. E' su di essa, quella che oggi ci accoglierà nella storia, che la "fatica dolorosa del male" si trasforma in crogiuolo che purifica, esattamente come annunciato da Dio ai progenitori. Proprio la fatica e il dolore avrebbero aperto un canale alla misericordia, perché potesse giungere a purificare l'interno, il profondo più recesso dei nostri cuori. La purificazione è sempre uno svelamento della menzogna; se essa non fuoriesce dal cuore come il pus da una ferita, non vi sarà posto per la Verità, che è l'origine della purezza. Uno sguardo puro è uno sguardo immerso nella Verità, su se stessi, sull'altro e su Dio. Lo sguardo perduto dinanzi all'albero della vita e ridonato dalle braccia di Cristo crocifisso che, come rami distesi verso di noi, sono pronte a consegnarci le vesti della Verità, il frutto puro del cuore di Dio. Rivestiti di essa saremo davvero simili a Lui, per "pura" Grazia.
Per questo solo crocifissi nella storia potremo sperimentare la purezza che non abbiamo ancora conosciuto. Non una purezza immediatamente morale, perché essa deve essere il frutto di un rinnovamento del cuore, altrimenti resta un "esterno" lucidato, tipico dei farisei ipocriti. Si tratta invece della Croce che ci stringe in un rapporto difficile con il marito; o quella di un carattere così nevrotico da farci fare brutte figure ovunque e sempre. La Croce di ogni giorno che denuda le nostre ipocrisie e ci riveste della misericordia. Solo chi è crocifisso potrà aprire i suoi forzieri e "dare in elemosina" "tutto quello che ha", secondo il senso originale dell'espressione tradotta con "quello che c'è dentro". Dare tutto in elemosina significa, in effetti, entrare "dentro" noi stessi, dove la concupiscenza ha deposto la sua ancora, l'avarizia insaziabile radice di tutti i mali. E, con la forza della Croce che ci unisce a Cristo, svuotare portafogli e conti in banca. Anche se si tratta solo di venti euro con cui comprare qualcosa per mangiare.
Stai guardando con occhio impuro la storia? O tua moglie, giudicandola senza misericordia? O stai pensando male di tuo figlio e proprio non riesci a perdonarlo, e così la relazione è tutta sporcata? Dai in elemosina quello che hai, senza paura. Prendi ora il portafoglio e dai tutto quello che hai all'extracomunitario che ti sta pulendo i vetri, o al povero che incontrerai all'angolo. Non servono chissà quali sacrifici, ancor meno le parole. Queste verranno dopo, perché sgorgheranno da un cuore finalmente purificato dall'amore a mammona, ovvero al demonio. E così "tutto sarà puro" ai nostri occhi, perché per chi è stato purificato "dentro" vede in tutto e in tutti l'amore di Dio. Avrà misericordia, non esigerà nulla, si donerà senza riserve, perché ha sperimentato che la vera "abluzione" è immergersi nelle acque del battesimo; nella misericordia che ci viene incontro sulla Croce gloriosa di Cristo, sulla quale restare con Lui istante dopo istante.

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