LA FEBBRE NELLA QUALE CI INCONTRA IL SIGNORE
A letto con la febbre si ha bisogno di tutto e nulla si può fare. La spossatezza toglie anche la voglia di leggere, di guardare la televisione, di parlare. La suocera di Pietro è immagine di quella febbre dello spirito che spesso ci assale e ci paralizza, impedendoci di servire, di amare.
E' la febbre di questo tempo in preda a depressioni, anoressie e bulimie. E' la febbre dell'alcool, della droga, di tutti quei giacigli nei quali ci rifugiamo per sfuggire alle incombenze serie della vita, quelle che ci chiamano a donare la vita.
La febbre è sintomo di una malattia più profonda, un'infezione che corrode il cuore. Per quanto si cerchi di riposare, le fughe si risolvono sempre in fallimenti, e la febbre aumenta. Ma c'è la Chiesa, che, come una madre premurosa si preoccupa di noi, e "ne parla con il suo Signore".
E' questa la prima missione della Chiesa: pregare, implorare, affidare. Come diceva Santa Caterina da Siena, spesso accade che sia molto più fecondo parlare a Dio degli uomini che non di Dio agli uomini. Ed è una parola anche per i genitori, per i catechisti, per i presbiteri. E' il criterio che appare nel Vangelo, dove Gesù è solo, nella notte, in preghiera.
E' questo il grembo da cui nasce ogni missione. Parlare al Padre del proprio figlio in difficoltà, della moglie in crisi, del marito depresso, di chiunque abbiamo a cuore ed è in preda alla febbre, di ogni relazione, del lavoro, del matrimonio, del fidanzamento, dell'amicizia.
Senza questa preghiera, senza questo parlare a Dio, la Chiesa e ciascuno di noi sbaglierà tempi e parole, rinchiuderà ogni opera nell'angusto confine della carne e dei suoi criteri, e sarà fallimento. Si tratta di inginocchiarsi e aprire il cuore al Signore, far nomi e cognomi, e implorare l'aiuto, secondo la sua volontà.
La Chiesa – identificata in Giacomo e Giovanni - accompagna Cristo al capezzale della suocera di Pietro, e lascia che Lui compia la volontà del Padre. Non si tratta solo di guarire dalla febbre, un'aspirina e via, come non basta cucire una toppa su un vestito vecchio. Gesù infonde il vino nuovo della vita, la sua vittoria sulla malizia che alberga nel cuore, il peccato di cui la febbre è solo un sintomo. Gesù sa guardare oltre le apparenze, e la sua diagnosi non fallisce.
La suocera di Pietro è afflitta da un morbo maligno di morte, "giace a letto", e il verbo greco è lo stesso che definisce il giacere nella tomba. Per questo Gesù prende per mano la donna e "la solleva", la risuscita, ancora secondo l’originale greco. E il frutto sarà il servizio, la diaconia, l'amore gratuito, l'offerta della propria vita: “Con la sua mano prese la mano di lei. O beata amicizia, o dolcissimo bacio! La fece alzare dopo averla presa per mano: la mano di lui guarì la mano di lei. La prese per mano come medico, sentì le sue vene, costatò la violenza della febbre, egli che è medico e medicina. Gesù tocca, e la febbre fugge. Tocchi anche le nostre mani, per rendere pure le nostre opera” (S. Girolamo).
Il miracolo che ci presenta il Vangelo, molto più di una semplice guarigione, consiste in un cambio di natura: Gesù che si accosta a ciascuno di noi, perché non viviamo più per noi stessi: “le guarigioni sono segni: guidano verso il messaggio di Cristo, ci guidano verso Dio e ci fanno capire che la vera e più profonda malattia dell’uomo è l’assenza di Dio, della fonte di verità e di amore. E solo la riconciliazione con Dio può donarci la vera guarigione, la vera vita, perché una vita senza amore e senza verità non sarebbe vita” (Benedetto XVI).
Una vita spesa per "servire", innanzitutto accogliendo Cristo e la sua Chiesa. E' sorprendente: il primo servizio è accogliere l'amore, perché per amare occorre lasciarsi amare. Altro che moralismi e sentimentalismi, scelte e decisioni. All'origine della missione della Chiesa vi è l'esperienza della suocera di Pietro, ovvero l'essere stati guariti gratuitamente, senza neanche aver chiesto nulla.
Solo allora si potrà accogliere questo amore infinito fatto carne in persone concrete, nella comunità. E solo dopo, come un frutto maturo, ci si potrà mettere a servizio di Cristo e della Chiesa laddove serve. Proprio per annunciare a tutti la riconciliazione con il Padre, Gesù non si ferma laddove opera i miracoli e gli esorcismi, nel luogo dove tutti vengono a cercarlo, al contrario di ciò che cerchiamo e desideriamo: essere acclamati, amati, apprezzati per quanto facciamo per gli altri.
Madre, padre, marito, moglie, fidanzato, amico, spesso ci spendiamo sino all'inverosimile per loro, ma è solo per appropriarci dell'altro, per carpirne la gratitudine, stringendo al loro collo un laccio con soave perversione.
Gesù invece sfugge alla carne, non cerca la gloria dagli uomini, si spende perché ogni uomo, anche il più grande peccatore, possa essere glorificato davanti al Padre, perdonato e ricreato nel suo amore. La Chiesa non è un’agenzia che dispensa guarigioni, un negozio con orari di apertura e chiusura. Inviata da Gesù, ne segue le “tracce” che si inoltrano nel “buio” del mondo per attirare ogni uomo “sul far del mattino”, nell’alba della sua risurrezione.
La Chiesa vive unita con Lui sola a solo con il Padre, nell’intercessione instancabile con cui offre se stessa per riconciliare in Cristo ogni peccatore. Gesù, infatti, è uscito-venuto dal Padre per compiere una missione, e la sua vita non gli appartiene; essa è una porta aperta come quella della casa di Pietro, immagine della Chiesa.
Tutta la città può entrare attraverso di Lui, perché è l'unico pastore che conosce sino in fondo le sue pecore. Nella notte della morte che si stende sulla vita degli uomini Gesù è lì, ad annunciare in ogni “villaggio” l'amore di Dio, più forte del peccato e della morte.
Gesù schiude anche oggi la porta della vita, della misericordia e dell'amore; attraverso di essa possiamo anche noi entrare di nuovo nell'intimità di Dio, essergli familiari, figli, per vivere e camminare nel servizio del Vangelo, che è l'amore gratuito per il quale siamo stati creati.
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