Racconti di un pellegrino russo
Sesto racconto
Una volta - era il 24 marzo - sentii il desiderio di ricevere la Comunione per il giorno dopo, festa dell'Annunciazione. Domandai se la chiesa fosse lontana; mi risposero: trenta verste. Così camminai tutto il giorno e tutta la notte per arrivare puntuale al Mattutino. Il tempo era orrendo, un po' nevicava, un po' pioveva, il vento soffiava forte e faceva molto freddo. A un certo punto bisognava attraversare un torrente: nel bel mezzo il ghiaccio si ruppe sotto i miei piedi e io piombai in acqua fino alla cintola. Tutto inzuppato, arrivai in tempo per il Mattutino. Poi assistetti alla Messa durante la quale ricevetti la comunione. Al termine chiesi al guardiano di lasciarmi trascorrere la giornata nella guardiola della chiesa. Passai tutto quel giorno in una gioia indicibile, con il cuore inondato di dolcezza. Verso sera ero coricato su una panca di legno in quella stanzetta non riscaldata, quando sentii improvvisamente un dolore molto acuto alle gambe e allora mi ricordai che le avevo bagnate. Non ci pensai più, ma al mattino, quando feci per alzarmi, mi accorsi che non le potevo più muovere. Erano gonfie e inerti, come morte. Il guardiano mi tirò a forza giù dalla panca, e io rimasi due giorni seduto immobile per terra. Il terzo giorno il guardiano cominciò a spingermi fuori della guardiola: «Se muori qui - diceva,- avrò un bel daffare per causa tua». A gran fatica strisciai sulle mani e giacqui sui gradini della chiesa. Rimasi così per altri due giorni. La gente mi passava accanto senza prestare la minima attenzione né a me né alle mie suppliche. Finalmente un contadino mi si avvicinò, sedette accanto a me e cominciò a chiacchierare. Fra le altre cose mi domandò: «Che cosa mi dai se ti guarisco? Anche a me è accaduta la stessa cosa e conosco il rimedio». «Non ho nulla da darti», risposi. «E nella bisaccia, che hai?». «Un po' di pane secco e dei libri». «Se riuscissi a guarirti, lavoreresti per me almeno per un'estate?». «Non posso lavorare: come vedi, ho un solo braccio sano; l'altro è quasi del tutto paralizzato». «Allora, che cosa sai fare?». «Niente, salvo leggere e scrivere». «Ah, sai scrivere! Allora potrai insegnare a scrivere a mio figlio. Sa leggere un po', ma voglio che impari anche a scrivere. I maestri però chiedono troppo: venti rubli per insegnargli a leggere e scrivere». Accettai, e il contadino, aiutato dal guardiano, mi trasportò nel suo podere e mi sistemò in una vecchia capanna adibita ai bagni a vapore, dietro la casa. Poi cominciò a curarmi. Fece così: raccolse nei campi, nei cortili e fra i rifiuti un carico di ossa in disfacimento di bestiame, di uccelli e di altro genere: le lavò, le frantumò con un sasso riducendole quasi in polvere e le mise in una gran pentola di coccio; coprì la pentola con un coperchio forato, la capovolse e la infilò in un vaso vuoto che aveva interrato nel suolo; poi spalmò sulla pentola superiore uno spesso strato di creta, vi radunò intorno un gran mucchio di legna, vi diede fuoco e lo lasciò ardere per un giorno intero. Attizzando il fuoco diceva: «Ne verrà fuori un bel pastone». Il giorno dopo dissotterrò il grosso vaso nel quale era colato, attraverso il foro del coperchio della pentola, un liquido denso, rossastro, oleoso e dall'acre odore di carne cruda. Le ossa rimaste nella pentola, da nere e putride erano diventate bianche, pulite e trasparenti come la madreperla. Con quel liquido io dovevo frizionarmi le gambe cinque volte al giorno. Ebbene, già al secondo giorno sentivo di poter muovere le dita dei piedi, il terzo giorno potevo piegare e stendere le gambe, il quinto mi reggevo in piedi e camminavo per il cortile con il bastone. In breve, nel giro di una settimana le mie gambe avevano ripreso il vigore di prima. Così, una volta guarito, cominciai a dare lezioni al ragazzo. Scrissi la Preghiera di Gesù perché si esercitasse a trascriverla, mostrandogli come tracciare graziosamente le parole. Il ragazzo era intelligente e cominciò presto a scrivere abbastanza bene. Quando il fattore se ne accorse, gli domandò: «Chi ti insegna?». Il ragazzo rispose: «Un pellegrino con un braccio secco che vive da noi nel vecchio bagno». Incuriosito, il fattore - un polacco - venne a vedermi e mi trovò immerso nella lettura della Filocalia. Mi domandò: «Che cosa leggi?». Gli mostrai il libro. «Ah! la Filocalia », disse. «Ho visto questo libro dal nostro parroco, quando abitavo a Vilna. E' un gran libro, ma non è per noi, poveri profani». «Bene, vi leggerò qualcosa di più semplice, e cioè come molte persone di buona volontà hanno imparato l'orazione ininterrotta». Gli piacque tanto quella lettura che mi disse: «Dammi codesto libro, lo leggerò a mia moglie e a quelli di casa mia». Glielo imprestai e piacque molto a coloro che ne ascoltarono la lettura. Da quel giorno ogni tanto mi mandavano a chiamare. Mi recavo da loro con la Filocalia: leggevo ed essi ascoltavano bevendo il tè. Una volta mi trattennero a pranzo. La moglie del fattore, una dolce vecchietta, sedeva a tavola con noi e mangiava pesce fritto. Per disgrazia, inghiottì una lisca. Non riuscimmo in alcun modo a estrargliela, ed ella sentiva un tal dolore in gola che dopo due ore dovette coricarsi. Mandarono a chiamare il medico a circa trenta verste di là e, poiché era già sera, me ne andai molto rattristato. Durante la notte, nel mio sonno leggero, udii la voce del mio starets. Non Io vedevo ma la sua voce mi diceva: «Il tuo padrone ti ha guarito e tu non fai niente per la moglie del fattore? Dio ci ha ordinato di soccorrere il nostro prossimo». «L'aiuterei con gioia, ma in che modo? Non conosco alcun rimedio». « Fa' ciò che ti dico: fin da bambina quella donna ha sempre provato disgusto per l'olio; basta l'odore a provocarle la nausea. Perciò dalle un cucchiaio d'olio: vomiterà e si libererà della spina; inoltre l'olio lenirà il dolore alla gola e la farà guarire». «E come potrò farglielo bere, se le ripugna tanto? Si rifiuterà di prenderlo». «Prega il fattore di tenerle la testa e versaglielo in bocca di forza». Mi svegliai, andai dal fattore e gli narrai ogni cosa nei minimi particolari. Mi disse: «Che può farle ormai il tuo olio? Mia moglie arde di febbre e delira, e il suo collo è già tutto gonfio». «Ti prego, proviamo ugualmente; se l'olio non servirà a niente, non potrà neppure farle male». Egli versò l'olio in un bicchierino e glielo facemmo inghiottire. La donna ebbe subito violenti conati di vomito e la lisca uscì con un po' di sangue. Cominciò a star meglio e si addormentò profondamente. Il mattino dopo tornai a visitarla e la trovai tranquillamente seduta a bere il tè. Lei e suo marito erano stupefatti di questa guarigione improvvisa e soprattutto di ciò che avevo sognato su quella ripugnanza invincibile per l'olio: era un particolare che salvo loro, nessuno conosceva. Per tutto il circondario si diffuse rapidamente la voce che ero un veggente, un taumaturgo e un mago, così una notte me ne andai di nascosto. Ripresi il mio solitario cammino con le forze rinnovate, mentre la Preghiera mi confortava sempre più. Capitava a volte che per tre giorni non incontrassi un solo luogo abitato e avevo la sensazione di essere l'unico uomo sulla terra. Questo senso di solitudine era per me un conforto e la delizia del pregare era molto più intensa di quando mi trovavo fra gli uomini.
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