LO SPIRITO DI VERITA' CI TESTIMONIA L'AMORE DI CRISTO PER NOI RENDENDOCENE TESTIMONI
Vi è una religiosità che non può accettare l'annuncio del Vangelo. Una forma di intendere e vivere la religione che non ha mai conosciuto Dio e il suo Figlio Gesù Cristo. E uccide il Signore, e crede così di rendere culto a Dio. E' fin troppo facile pensare all'Islam e all'Induismo nelle loro versioni più violente. Ma Gesù non parla di questi. Gesù parla di sinagoghe, e quindi di rabbini, e quindi dei suoi fratelli. Non era prevista, in quel momento, alcuna fondazione di una nuova religione. Si tratta di qualcosa di molto serio, angosciante, scandalizzante.
San Paolo scrive nel capitolo 8 della Lettera ai Romani che "chi non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene". Esiste dunque un solo Spirito, ed è quello del Padre e del Figlio, e solo colui che lo ha ricevuto appartiene a Cristo, ed in Lui, al Padre. Non conta essere circonciso ed appartenere al Popolo eletto. Lo ha ripetuto anche Gesù, e lo avevano annunciato molte volte i profeti. Non basta essere battezzato. Appartenere a qualcuno implica la sua conoscenza, che, secondo la Scrittura, significa una rapporto esistenziale profondo; il “conoscere” nella Bibbia è il verbo che descrive l’amore sponsale: una conoscenza che coinvolge l'intero essere. Lo Spirito Santo Consolatore inviato da Cristo dischiude la soglia di questa conoscenza e rivela così la Verità: uno Spirito, una Verità. Conoscere la Verità è essere ricolmi dello Spirito Santo Consolatore, permanere nell'intimità divina. E' questa la Verità fondamentale, un'esperienza esistenziale, una conoscenza da cui sgorgano, naturalmente, una visione delle cose, un discernimento e un agire conseguenti.
Chi non ha lo Spirito di Cristo non lo conosce e quindi non conosce neanche il Padre. Anche se profondamente religioso, anche se teologo o impegnato come nessun altro nel sociale. Anche se anima le messe parrocchiali e fa catechismo ai bambini. Anche se scrive cose ragionevoli sui giornali, le più ragionevoli. Anche se è onesto, e paga le tasse, e rispetta il codice della strada. Anche se è fedele a sua moglie e dialoga con i suoi figli. Conoscere il Padre ed il Figlio implica qualcosa di diverso e di più: aver ricevuto dall'alto lo Spirito Consolatore e vivere nella Verità, la più assurda, quella sulla quale tutti inciampano e si scandalizzano. La Croce Gloriosa del Signore. La sua cruda realtà. La Verità è l'amore rivelato in Cristo crocifisso. Chi dimora in Lui, chi lo conosce, chi ha il suo Spirito, vive crocifisso, sempre.
Solo chi è stato con Cristo sin dal principio, solo chi lo ha conosciuto nel suo intimo - il principio che fonda la sua natura - può riconoscere la Verità della Croce; solo chi è stato ferito dalla spada dello Spirito, dalla Parola di Dio penetrata in lui sino "al punto di divisione dell'anima e dello spirito, nelle giunture e nelle midolla", solo chi ha accolto, per pura Grazia, l'annuncio del Vangelo e da esso si è lasciato giudicare e amare, solo chi ha sigillata la Verità nel proprio spirito può vivere crocifisso. Si tratta infatti di una sapienza che il mondo non può conoscere, è scandalo per i religiosi e stoltezza per gli atei e pagani. La sapienza della Croce è il dono dello Spirito Consolatore che testimonia allo spirito di chi appartiene a Cristo, la sua adozione a figlio, l'amore di Dio che si rivela sulla Croce, come un diamante incastonato nella roccia.
La croce è l'amore al nemico, la Parola che Gesù ha annunciato nel Discorso della montagna: essa invita a non resistere al male, a lasciarsi defraudare sul lavoro, a non opporsi all'ingiustizia, a non difendere il proprio onore, a non rifiutare il disprezzo, ad occupare l'ultimo posto. La Croce è la vita di Cristo, e chi gli appartiene vive con Lui crocifisso, come un morto in questo mondo, e la sua vita è nascosta con il Signore in Dio. Chi è di Cristo conosce intimamente la Verità della Croce, il segreto di un'intimità che ogni istante vince la morte, che fa vivere ogni situazione, anche le più terribili, dolorose e fallimentari, come un passo al Cielo. Chi appartiene a Cristo ripete nel suo intimo l'Abbà, Papà pieno di confidenza sgorgato all'apice dell'angoscia del Getsemani.
Ciascuno di noi è stato scelto per appartenere a Cristo e vivere la sua vita, che non è più quella della carne: "Lo Spirito Santo, che è Dio insieme col Padre e col Figlio, ci libera dal peccato e dalla morte, e da terreni che siamo, cioè fatti di polvere e terra, ci rende spirituali, ci permette di partecipare alla gloria, divina, di essere figli ed eredi di Dio Padre, di renderci conformi all'immagine del Figlio suo, suoi fratelli e coeredi. Invece della terra ci dà generosamente il cielo e il paradiso" (Didimo di Alessandria,Trattato «Sulla Trinità»). Lo Spirito Santo, che ha spinto Gesù nel deserto, è Colui che ha condotto la sua natura umana a compiere la volontà del Padre, custodendo in essa l'intimità con Lui; è in questa volontà paterna che risiede la Verità, ed essa prevedeva la Croce. Si tratta dunque di una conoscenza reale, esistenziale che si realizza sull'aspro terreno del Giardino degli Ulivi, il crinale decisivo, la soglia fondamentale che Gesù ha attraversato con la sua carne, introducendola nell'obbedienza alla volontà di Dio, diversa e in antitesi a quella umana, pienezza dell'intimità di amore con suo Padre. Conoscere il Padre e conoscere Cristo è dunque ricevere e accogliere lo stesso Spirito che ha guidato Gesù nel Getsemani, l'abbandono totale alla volontà di Dio in ogni circostanza, per salire e non scendere dalla Croce che essa ha preparato per noi.
"“Non la mia volontà, ma la tua sia realizzata”. Che cos'è questa mia volontà, che cos'è questa tuavolontà, di cui parla il Signore? La mia volontà è “che non dovrebbe morire”, che gli sia risparmiato questo calice della sofferenza: è la volontà umana, della natura umana, e Cristo sente, con tutta la consapevolezza del suo essere, la vita, l'abisso della morte, il terrore del nulla, questa minaccia della sofferenza. E Lui più di noi, che abbiamo questa naturale avversione contro la morte, questa paura naturale della morte, ancora più di noi, sente l'abisso del male... E possiamo capire come Gesù, con la sua anima umana, sia terrorizzato davanti a questa realtà, che percepisce in tutta la sua crudeltà: la mia volontà sarebbe non bere il calice, ma la mia volontà è subordinata alla tua volontà, alla volontà di Dio, alla volontà del Padre, che è anche la vera volontà del Figlio. E così Gesù trasforma, in questa preghiera, l’avversione naturale, l’avversione contro il calice, contro la sua missione di morire per noi;trasforma questa sua volontà naturale in volontà di Dio, in un “sì” alla volontà di Dio. L'uomo di per sé è tentato di opporsi alla volontà di Dio, di avere l’intenzione di seguire la propria volontà, di sentirsi libero solo se è autonomo; oppone la propria autonomia contro l’eteronomia di seguire la volontà di Dio. Questo è tutto il dramma dell'umanità. Ma in verità questa autonomia è sbagliata e questo entrare nella volontà di Dio non è un’opposizione a sé, non è una schiavitù che violenta la mia volontà, ma è entrare nella verità e nell'amore, nel bene. E Gesù tira la nostra volontà, che si oppone alla volontà di Dio, che cerca l'autonomia, tira questa nostra volontà in alto, verso la volontà di Dio. Questo è il dramma della nostra redenzione, che Gesù tira in alto la nostra volontà, tutta la nostra avversione contro la volontà di Dio e la nostra avversione contro la morte e il peccato, e la unisce con la volontà del Padre: “Non la mia volontà ma la tua”. In questa trasformazione del “no” in “sì”, in questo inserimento della volontà creaturale nella volontà del Padre, Egli trasforma l'umanità e ci redime. E ci invita a entrare in questo suo movimento: uscire dal nostro “no” ed entrare nel “sì” del Figlio. La mia volontà c'è, ma decisiva è la volontà del Padre, perché questa è la verità e l'amore" (Benedetto XVI, Catechesi di mercoledì 20 aprile 2011).
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