Avvenire.it
Marco Tarquinio 17 luglio 2014
Una «N» per marchiare, per umiliare, per discriminare, per derubare legalmente. La impongono – in carattere arabo, lo stesso che affianca il titolo che apre questa pagina – i fondamentalisti musulmani sunniti dell’Isis a Mosul, in Iraq. «N» come «nasara», seguace del Nazareno, cioè cristiano. «N» come marchio di vergogna. Ma vergogna solo e soltanto per coloro che lo usano, che si proclamano credenti in Dio e si dimostrano feroci portatori e servi di odio, sopraffazione e violenza.
Quella «N» la portiamo anche noi, con disarmato e dolente orgoglio, con consapevole partecipazione alla sorte delle donne e degli uomini cristiani di Mosul e di ogni altro perseguitato a ragione della propria fede. Questo è il giorno giusto per dirlo, e – speriamo – non da soli. Perché quella «N» la portiamo nell’anima, nel cuore, sulla pelle, e non come una cicatrice amara o una bandiera di guerra, ma come l’inizio di una parola di fraternità e di libertà.
Vogliamo che si sappia – e sogniamo che tutto il mondo trovi la passione e il coraggio necessari per gridarlo – che quella «N» è stata tracciata anche sulla soglia delle nostre case, sull’uscio delle scuole che frequentano i nostri figli, davanti alle nostre chiese e ai luoghi di culto di chi crede diversamente da noi eppure ci è fratello, sui muri di tutti i civili edifici di città che sogniamo libere, sicure e accoglienti per ogni cittadino, per ogni ospite, per ogni profugo.
Vogliamo tutto questo. E vorremmo anche riuscire a dire che quella «N» non è soltanto una ferita profonda.
È un’eco dura e potente della Croce di Cristo in una terra vicina e lontana, come ormai tutte le terre del mondo, come le tante, troppe terre che per i cristiani continuano a essere, ma mai prima così intensamente, terre di quotidiano martirio. Quella «N» è la conferma di una promessa impressionante e difficile, di una speranza che sfida le logiche e le paure degli uomini e delle donne di ogni tempo. È una frazione esigente e splendente di ciò che Gesù annuncia a chi l’incontra e si lascia toccare e cambiare dalla verità dell’incontro: «Beati voi – sta scritto nel Vangelo di Luca (6,22) – quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo».
Quella «N» incisa per infamare e per depredare, per umiliare e per esiliare può allora aiutare tutti – ma proprio tutti – ad aprire gli occhi, a ritrovare la voce, ad agire senza esitazioni, per umanità contro la prevaricazione e la persecuzione degli inermi. Quella «N» vuole essere e, infatti, sembra un sigillo di dominio e di morte, ma può essere convertita nel principio di una frase antica e nuova: nessuno aggredisca il fratello, nessuno su di lui commetta ingiustizia.
Vogliamo che si sappia – e sogniamo che tutto il mondo trovi la passione e il coraggio necessari per gridarlo – che quella «N» è stata tracciata anche sulla soglia delle nostre case, sull’uscio delle scuole che frequentano i nostri figli, davanti alle nostre chiese e ai luoghi di culto di chi crede diversamente da noi eppure ci è fratello, sui muri di tutti i civili edifici di città che sogniamo libere, sicure e accoglienti per ogni cittadino, per ogni ospite, per ogni profugo.
Vogliamo tutto questo. E vorremmo anche riuscire a dire che quella «N» non è soltanto una ferita profonda.
È un’eco dura e potente della Croce di Cristo in una terra vicina e lontana, come ormai tutte le terre del mondo, come le tante, troppe terre che per i cristiani continuano a essere, ma mai prima così intensamente, terre di quotidiano martirio. Quella «N» è la conferma di una promessa impressionante e difficile, di una speranza che sfida le logiche e le paure degli uomini e delle donne di ogni tempo. È una frazione esigente e splendente di ciò che Gesù annuncia a chi l’incontra e si lascia toccare e cambiare dalla verità dell’incontro: «Beati voi – sta scritto nel Vangelo di Luca (6,22) – quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo».
Quella «N» incisa per infamare e per depredare, per umiliare e per esiliare può allora aiutare tutti – ma proprio tutti – ad aprire gli occhi, a ritrovare la voce, ad agire senza esitazioni, per umanità contro la prevaricazione e la persecuzione degli inermi. Quella «N» vuole essere e, infatti, sembra un sigillo di dominio e di morte, ma può essere convertita nel principio di una frase antica e nuova: nessuno aggredisca il fratello, nessuno su di lui commetta ingiustizia.
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