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martedì 13 gennaio 2015

La strage a Parigi al grido di ''Allah è grande'' dimostra l'inconsistenza della distinzione tra Islam fondamentalista e Islam moderato


Scopo ultimo di tutti i musulmani è la conquista del mondo e l'imposizione della legge del Corano

di Luigi Amicone

«Dove ci condurrà questa terza guerra mondiale che, come ha detto Francesco, "è già cominciata"? In qualsiasi momento e per qualsiasi "incidente" ci condurrà a una catastrofe». La considerazione era contenuta nell'editoriale con cui ieri mattina salutavamo su questo sito il vecchio anno e ci auguravamo il miracolo di una ripresa di libertà in un mondo fatto di opposte ma complementari spinte fanatiche e totalitarie: l'odio dell'altro da una parte e l'odio di sé dall'altra; il nichilismo islamista di là e l'irrazionalismo buonista di qua; lo Stato islamico in Oriente, lo Stato laicista in Occidente.

ALLAH È GRANDE
Ed ecco che nella stessa mattinata di ieri il "qualsiasi momento" e "qualsiasi incidente" si è materializzato nell'orrenda strage dei giornalisti di Charlie Hebdo al grido di "Allah è grande". La rivista era da tempo nel mirino del terrorismo perché si è permessa di fare sistematica satira sull'islam e sul suo Profeta. Naturalmente così come dissacrava l'islam, Charlie Hebdo dissacrava tutte le altre religioni, cristianesimo ed ebraismo in testa (e d'altronde attaccare i cristiani, la Chiesa, i simboli giudeo-cristiani è oggi lo sport preferito in ogni posto del mondo). Ma solo l'islamismo ha dichiarato guerra ai dissacratori, alla satira, alla vita, al mondo. Solo gli islamisti associano «Allah è grande» all'«amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita».
E noi che adesso guardiamo con sgomento e paura alla capitale di certi nostri week-end, cosa vediamo in quella strada dei Lumi gonfia di orrore e di sangue? Vediamo, purtroppo, ancora poco. Abituati a essere forti e sprezzanti con i deboli e deboli e timorosi con i forti, i nostri cari leader ed élite europee ci hanno abituati a una dieta di idee che prevede sempre e comunque da una parte il disprezzo delle nostre tradizioni, ragione e libertà rimpiazzate dall'idolatria di un accomodante pacifismo e di uno sciocco relativismo, dall'altra il "rispetto" delle culture "altre", anche laddove esse manifestano tutto il loro rifiuto di integrazione e replicano con disprezzo a quanti li richiamano all'osservanza dell'ordine e della democrazia che li ospita.
Feroci con i nostri popoli (accusati puntualmente di razzismo e fascismo se mostrano disagio sociale e protesta politica per le prepotenze altrui), l'ordine che circola ad ogni livello delle società europee è mantenere la calma, il basso profilo, la comprensione - in nome di una equivoca "tolleranza" e "multiculturalità" - nei confronti di tutti quei soggetti e comunità che praticano nel cuore dell'Europa la sharia o il disprezzo degli infedeli; l'asservimento delle donne o l'ignoranza dei bambini. O tutte queste cose insieme. Ora, per l'ennesima volta, la realtà testarda ci è venuta a trovare. Tremende sono le immagini dell'eccidio parigino. Ma forse ancor più tremendo sarà il tentativo rimozione di chi, puntualmente, chiamerà in causa le "colpe dell'Occidente".

BENEDETTO XVI E IL DISCORSO A RATISBONA
Ma insomma, siamo stufi di chiudere gli occhi, come ci sono stati chiusi da quando Benedetto XVI
pronunciò quel discorso a Ratisbona che provocò la sollevazione generale e l'indignazione unanime di cancellerie internazionali musulmane e cancellerie occidentali laiciste (francese compresa).
Ricordate? A un certo punto Benedetto XVI citò il dialogo tra un imperatore bizantino e un saggio musulmano, esponente di quella religione che di lì a poco avrebbe preso Bisanzio ed estirpato con la forza secoli di presenza cristiana. Chiedeva l'imperatore al saggio musulmano: «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava». Si gridò allora allo scandalo. E si proseguì con i soliti distinguo tra "islam moderato" e "islam radicale".
Un distinguo tanto reale, ovvio, evidente, che ci ha fatto perdere di vista la realtà. Quella realtà che, paradossalmente, nei giorni scorsi ha avuto l'ardire di richiamarci e affermare proprio un autorevole leader islamico. E per di più parlando al cospetto dei più importanti dignitari religiosi del mondo islamico. La notizia era di un appeal straordinario. Eppure, a parte Avvenire, solo un vecchio giornalista ed ex ambasciatore (Sergio Romano) l'ha segnalata (sebbene nei limiti della rubrica delle lettere del Corriere della Sera). E infatti, dove si è mai visto - anche dalle nostre parti - il coraggio di entrare nella più importante università del mondo musulmano, la cairota Al Azhar, e contrastare apertamente addirittura la dottrina e le leadership della grande umma musulmana?
Ha detto ai supremi capi teologici dell'islam il generale Al Sisi: «È possibile che la nostra dottrina debba fare di tutta la umma una sorgente di ansietà, pericolo, uccisioni e distruzioni per il resto del mondo? È possibile che 1,6 miliardi di persone vogliano, per poter esse stesse vivere, uccidere il resto degli abitanti del mondo?». Altro che l'imperatore cristiano citato da Benedetto XVI! Vi immaginate cosa succederebbe se anche solo uno di noi, l'ultimo di noi, pronunciasse simili frasi in Europa o in America? Finirebbe linciato sui giornali e condannato nei tribunali per "incitamento all'odio e all'islamofobia".

RICOMINCIAMO A DIRE LE COSE COME STANNO
Dunque? Dunque impariamo dal generale Al Sisi e dai milioni di musulmani che non odiano il resto del mondo, a pronunciare parole di realtà. E liberiamoci, una buona volta, dal giogo di pacifismo e relativismo con cui ogni giorno rigettiamo i musulmani tra le braccia delle loro dottrine e leader fanatici.
Non inizieremo ad affrontare mai il "momento" e l'"incidente" di una catastrofe sempre più incipiente, se non ricominciamo a dire le cose come stanno. Se non ricominciamo a dire che c'è un bene e che esiste una verità sull'uomo. Realtà. Il bene e il male. Verità. Tutte cose che impariamo dall'esperienza della vita, dai fatti e dall'esercizio della ragione sottomessa ai fatti. Non dalle utopie buoniste. Cose che non impariamo né dalla sharia dello Stato islamico, né dalla sharia dello Stato laicista. Essendo anzi entrambi alleati nella distruzione del mondo. Poiché il mondo non è fondato sulle teorie, siano esse religiose o scientifiche. Il mondo è fondato su quelle poche grandi realtà umane che sono la libertà di coscienza, la dignità della persona, l'alleanza e la differenza tra uomo donna, l'apertura alla vita, al suo significato, al suo destino buono di fede e speranza nel mondo, come ha scritto l'ebrea agnostica Hannah Arendt, «che trova forse la sua più gloriosa e efficace espressione nelle poche parole con cui il vangelo annunciò la "lieta novella": "Un bambino è nato fra noi"».
E impariamo da Benedetto XVI, omelia pronunciata a Monaco il 10 settembre 2006, due giorni prima della lectio magistralis all'univeristà di Ratisbona: «Le popolazioni dell'Africa e dell'Asia ammirano, sì, le prestazioni tecniche dell'Occidente e la nostra scienza, ma si spaventano di fronte ad un tipo di ragione che esclude totalmente Dio dalla visione dell'uomo, ritenendo questa la forma più sublime della ragione, da insegnare anche alle loro culture. La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità a supremo criterio per i futuri successi della ricerca. Cari amici, questo cinismo non è il tipo di tolleranza e di apertura culturale che i popoli aspettano e che tutti noi desideriamo! La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il timor di Dio, il rispetto di ciò che per l'altro è cosa sacra. Ma questo rispetto per ciò che gli altri ritengono sacro presuppone che noi stessi impariamo nuovamente il timor di Dio».

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