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venerdì 27 novembre 2015

Quella barbarie che li unisce alla nostra “laicitè”

di Tommaso Scandroglio                                             27-11-2015
Manifestazioni a Parigi dopo gli attacchi dei terroristi islamiciI terroristi islamisti, uccidendo tutti quei giovani al Bataclan, hanno colpito al cuore i valori della nazione francese, valori di libertà, uguaglianza e fratellanza. Questo slogan è diventato ormai un mantra che tutti dovrebbero ripetere. Scarabocchiamo al riguardo un paio di riflessioni. A parte che – e il giudizio qui espresso non vuole minimamente mancare di rispetto per le vittime - rintracciare quella triade valoriale in un concerto di una band che si chiama Eagles of death metal e che – misterioso ed inquietante presagio - stava cantando al momento dell’attacco Kiss the devil (Bacia il diavolo) ci pare impresa ardua e suggerisce invece l’esistenza di un deriva giovanile verso l’abisso mortifero del nichilismo e della dissoluzione valoriale, ecco a parte questo ci viene da ricordare che il motto “Liberté, Égalité, Fraternité” fu coniato in piena Rivoluzione francese, momento storico che non brilla certamente per irenismo.
Quei valori repubblicani che gli integralisti islamici vestiti di nero odio vogliono annientare furono concepiti e rivendicati dai giacobini che nulla hanno da invidiare agli uomini dell’Isis in quanto a strategia del terrore e abilità nel provocare eccidi. La matrice è la medesima e i padri fondatori dell’odierna Francia avevano lo stesso Dna dei terroristi che
hanno sparso sangue l’altro giorno a Parigi. In entrambi casi infatti l’impianto ideologico – con i dovuti e intuibili distinguo – è pressoché lo stesso. Si faccia attenzione: non vogliamo qui sostenere che lo Stato francese è la fotocopia dello Stato dell’Isis e che i principi a cui si ispira la société civile transalpina siano i medesimi dei seguaci del califfo Abu Bakr al-Baghdadi, ma che la genesi di quella che diverrà per antonomasia la Republique trova alcuni addentellati con la struttura di pensiero e di azione del terrorismo islamista.
Ad esempio, in entrambi i casi non c’è riconoscimento del nemico, che non ha alcuna dignità. Ecco perché i terroristi appaiono spietati e freddi: tu nemico sei nulla, solo una cosa. E, ingranando la retromarcia del tempo, era escluso per i rivoluzionari francesi mettersi a dialogare con nobili, borghesi, preti e contadini che non si piegavano al credo illuminista. L’imperativo era solo sopprimerli. Così avviene con l’Isis, che di certo non mira ad aprire tavoli di trattative.  In secondo luogo l’uso strumentale e pianificato della violenza indiscriminata e del terrore: strumenti per asservire e controllare intere popolazioni. Un particolare: curiosamente i tagliatori di teste li troviamo sia nelle fila dei rivoluzionari francesi sia nei terroristi islamici, pratica efferata e caratterizzata da una fortissima carica emozionale volta anche ad atterrire lo spettatore. Inoltre violenza e terrore assumono dimensioni assolute per gli utopisti rivoluzionari e per quelli islamici.
L’assolutezza del terrore si declina in due modalità nei fanatismi sia laicisti sia di matrice religiosa. Assolutezza nella violenza utilizzata che non deve conoscere gradualità, ma deve essere espressa al massimo dell’intensità. Il nemico va solo annientato. Al tempo di Robespierre questo significava una ecatombe che in una manciata di anni arrivò al numero di due milioni e mezzo di morti e forse più. L’assolutezza poi riguarda le categorie di persone da includere nell’insieme “nemico”: praticamente tutti coloro che non si riconoscono nel pensiero di chi sparge terrore. Tra i giacobini non si andava tanto per il sottile nel cercare di distinguere l’innocente o il colpevole. Se ad esempio eri uomo di chiesa eri già un candidato perfetto per la ghigliottina. Così la sparatoria nel teatro Bataclan o le esplosioni fuori dallo stadio hanno ucciso non bersagli prestabiliti, ma semplicemente persone di cultura occidentale. Il nemico è chiunque.
Altra caratteristica che mette in rapporto di cuginanza gli accoliti di Marat e Danton con quelli di Abu Nabil al-Anbari e di al-Baghdadi è quella della definitività. La Rivoluzione francese doveva essere l’ultimo passo verso la libertà sociale e individuale. Ugualmente lo Stato Islamico è lo stato per eccellenza e dunque è un imperativo morale e non solo religioso spingere per la sua espansione. Indietro non si torna. Infine, c’è l’idea di morte. L’esito di certe ideologie nate nel secolo dei lumi e maturate nel corso della rivoluzione comunista ha portato all’instaurarsi – per usare un’espressione più volte adottata da Giovanni Paolo II – di una cultura di morte. Il pensiero liberal – figlio della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino fabriqué en France, ha ucciso la famiglia con il divorzio, la convivenza, la contraccezione e il gender, la vita nascente con l’aborto, la fecondazione artificiale e la sperimentazione sugli embrioni, la vita terminale con l’eutanasia, la signoria dell’uomo sul creato con l’ambientalismo e l’animalismo, e la presenza di Dio nella società con il laicismo.
Per assurdo che possa sembrare, le azioni dei terroristi volte a disseminare morte e distruzione avvengono all’interno di un contesto culturale già di suo mortifero, già di suo strutturalmente votato alla dissoluzione. Una consonanza sull’esito ferale di certi portati ideologici sia di matrice occidentale che islamista – seppur denotati da dinamiche e scopi differenti – che fa riflettere. E dunque affermare che il terrorismo islamico attenta ai valori repubblicani appare paradossale se pensiamo ai padri fondatori della Republique, fatti della stessa pasta di quegli uomini in nero che il 13 novembre hanno siglato il massacro nella capitale francese.

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