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lunedì 30 novembre 2015

Il Natale oscurato segno della nostra disgregazione

di Tommaso Scandroglio                                          29-11-2015
L'ingresso denell’istituto Garofani di Rozzano (Milano) dove il preside ha proibito i canti di NataleSe passate dall’aeroporto di Fiumicino alcuni negozi hanno addobbato le vetrine e gli interni con sagome di abeti in cui campeggia la scritta “Season Greetings” che letteralmente significa “Auguri di stagione”. Questi auguri “stagionati” vogliono sostituire gli auguri natalizi. Già Babbo Natale aveva avuto gran parte nello sfrattare dall’immaginario collettivo, soprattutto infantile, il Bambin Gesù. Ora si sono messi pure catene commerciali ed enti pubblici in giro per il mondo a svuotare ancor più dall’interno il significato cristiano del Natale, sostituendolo con un Natale laico, che è un vero e proprio ossimoro, o con una Festa d’Inverno dal sapore tanto celtico.
Questa tendenza a candeggiare nella tinozza laicista il Santo Natale non ha risparmiato le scuole di ogni ordine e grado. Già da anni molte scuole hanno abolito i presepi e Maria, Giuseppe e Gesù sono persone non più gradite nelle aule scolari, immigrati clandestini con il foglio di via. La ventata cristianofobica ha avuto un suo picco in quel di Rozzano (Milano), in particolare nell’istituto Garofani. Marco Parma, dirigente scolastico dello stesso, ha deciso di annullare l’usuale festa di Natale che si teneva ogni anno (faranno eccezione le classi delle medie) e di sostituirla con festicciole private nelle
classi in stile catacombale e con una pagana Festa d’Inverno che si svolgerà a gennaio. Banditi per tutti, poi, i canti a sfondo religioso e via dalle aule gli ultimi due crocefissi sopravvissuti non alla furia iconoclasta dei miliziani dell’Isis bensì al Consiglio di istituto. La nostra piccola Palmira l’abbiamo avuta in provincia di Milano.
Partiamo da un’evidenza (che tale non è più): si fa festa perché nasce Gesù. Proibire di intonare canti religiosi è come proibire a una festa di compleanno di cantare “Tanti auguri a te” perché potrebbe dare fastidio a quei bambini che non hanno compiuto gli anni in quel giorno. Eppure è questa la motivazione addotta dal preside: «per evitare che qualcuno potesse sentirsi escluso» si è deciso di censurare la fede cattolica in quella scuola. Mettersi a cantare Tu scendi dalle stelle «non sarebbe stato il massimo», spiega Parma, «perché questa è una scuola multietnica». Così gli esclusi e i discriminati finiscono per essere la maggioranza, cioè i bambini cattolici. Il dirigente scolastico aggiunge: «Non è un passo indietro di fronte all’islam rispettare la sensibilità delle persone che appartengono ad altre culture ad altri credo religiosi, mi pare un passo in avanti rispetto all’integrazione e rispetto reciproco».
Un paio di riflessioni su questo frusto argomento del rispetto della libertà religiosa e dell’integrazione. Primo: se vieti canti e simboli natalizi-religiosi violi la libertà di espressione dei credenti. Trattasi di atto di violenza culturale. Secondo: il rispetto della libertà non è vietare i simboli e le espressioni della fede cattolica, ma astenersi dall’imporli. Il cattolico poi sa che la sua è l’unica vera religione: quindi ogni manifestazione del proprio credo è manifestazione di verità e l’eventuale fastidio da parte di terzi (tutto da provare perché spesso presunto) è come il fastidio nel prendere una medicina amara, ma che fa bene. Il laicismo pretende una neutralità svizzera in tema di espressione religiosa: pari dignità a tutte le fedi o, che è lo stesso, zero dignità a qualsiasi fede. Questo è erroneo perché nella prospettiva di Dio – e non degli uomini che hanno la vista corta – c’è una sola religione autentica, quella cattolica. Dio è cattolico, non protestante, né ebreo, né musulmano (per gli incerti si rimanda al documento Dominus Iesus della Congregazione della Dottrina per la Fede).
Nella prospettiva cattolica le altre credenze si tollerano e si rispetta il libero arbitrio delle persone non cattoliche dal momento che la libertà è condizione ineludibile e necessaria perché si aderisca volontariamente al credo cattolico. Cristo chiede di essere conosciuto e amato, ma amare è un atto di libertà. Il più eccelso atto di libertà. Se poi portiamo a logica conclusione l’asserto che rispetto delle differenze significa cancellazione della propria identità, perché queste ultime potrebbero risultare urticanti per chi non è cristiano, gli effetti sono dirompenti. Infatti, la fede permea tutto il nostro vivere: anche l’ateo dice “grazie” a qualcuno come forma di cortesia, ignaro che quella espressione significa «che il Signore ti riempia di grazie». E il suo interlocutore gli risponde: «prego», che significa «prego per te». La cristianità è dappertutto: nome di vie e piazze dedicate ai santi; i nostri stessi nomi di battesimo sono nomi di santi; ci rechiamo in ospedali e università, istituzioni inventate della Chiesa; il medesimo concetto di persona è un precipitato di un approfondimento teologico sulla Trinità. Per non infastidire atei e diversamente credenti dovremmo far tabula rasa di tutto questo? E poi perché non allargare il discorso ad altre fedi, come quelle calcistiche? A Tizio dovrebbe essere vietato andare in giro con la maglia della (gloriosa) Juve per non indispettire gli interisti o i milanisti.
Terzo: integrazione significa che è l’ospite che si deve adeguare al contesto e alle regole dell’ospitante non viceversa. Se ai bambini musulmani Astro del Ciel provoca la pellagra possono ovviamente astenersi dal presenziare. Se io vado alla Mecca non mi è lecito chiedere di radere al suolo il Masjid al-Haram, cioè la più grande moschea al mondo perché ne sono infastidito. A margine, tanto per capire il senso del principio di reciprocità e di rispetto delle altre religioni così come inteso in Arabia Saudita: l’accesso alla Mecca è interdetto ai non musulmani. Se sbianchiettiamo la nostra identità non c’è integrazione perché questa prevede come presupposto logico che un’identità possa convivere pacificamente con un’altra, bensì annullamento. Non integrazione, ma disintegrazione di una fede, di una cultura, di un popolo, di una nazione. Se noi andassimo a cancellare i nostri dati anagrafici in Comune ciò significherebbe che per lo Stato noi siamo morti, siamo dei cadaveri. Quindi è erroneo ciò che dice il preside: «meno si sottolineano le differenze e più si sottolineano le convergenze meglio è». Sono le differenze che mi fanno essere me stesso, altrimenti sarei uguale in tutto e per tutto a te. Il dialogo avviene tra due persone, non tra una persona e un fantasma.
Infine, il preside in merito ai recenti fatti di Parigi così chiosa: «Se avessimo organizzato un concerto a base di canti religiosi dopo quello che è accaduto qualcuno avrebbe potuto interpretarlo come una provocazione forse anche pericolosa». Gli risponde Nostro Signore: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna» (Mt 10, 28). I terroristi e, in modo non violento, una buonissima parte del mondo islamico vogliono uccidere la nostra fede, vogliono sradicare dai nostri cuori e dalle nostre menti le verità rivelate. Vogliono togliere il crocifisso per metterci la mezzaluna. Il preside di Rozzano ha già fatto per loro metà del lavoro. La cosa triste, infatti, sta nel fatto che noi ci pieghiamo a questo piano. Islam, infatti, significa sottomissione (altra musica quando Gesù ci dice «Non vi chiamo più servi […] ma vi ho chiamato amici», GV 15, 15).
Non opponiamo resistenza, ma scegliamo noi stessi l’eutanasia di fede. Anticipiamo il nemico nei suoi progetti e diamo alle fiamme la cittadella cattolica con le nostre stesse mani. Il dramma sta tutto qui: il cattolico medio - e figurarsi sul piano culturale l’italiano medio - è un imbelle. Di fronte a gente spietata che follemente si suicida per una credenza erronea, noi non siamo capaci - non diciamo di dare la vita per Cristo, di dar prova di fedeltà a Lui usque sanguinem - ma almeno di dare un’aula dove si insegnano canti cattolici. In nome di Allah ci bersagliano a colpi di kalashnikov e noi porgiamo loro le terga a braghe calate. La pavidità di affermazioni come «non offendiamo, siamo prudenti, veniamoci incontro, scegliamo ciò che ci unisce e non ciò che ci divide» è il sintomo più veritiero che la nostra fede è già morta. Ci prostituiamo con il pretesto della tolleranza, ma siamo noi che non tolleriamo più il nome di Cristo.

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