Dio, nell’incarnazione del Verbo,
nell’incarnazione del suo Figlio,
ha sperimentato il tempo dell’uomo,
della sua crescita, del suo farsi nella storia.
Quel Bambino è il segno della pazienza di Dio,
che per primo è paziente, costante,
fedele al suo amore verso di noi;
Lui è il vero “agricoltore” della storia, che sa attendere.
Benedetto XVI
COME UNA VIGNA PIANTATA, DIFESA, CURATA DA DIO E RINNOVATA IN CRISTO, LA VITA CI E' DATA IN EREDITA' PER ESSERE DONATA
Un altro lunedì apre una nuova settimana importantissima. Certo è dura, come ogni lunedì, e vorremmo che la domenica si estendesse ad ogni giorno della settimana, perché forse c'è, in fondo al cuore, il desiderio di essere già nel Cielo assaggiato nel riposo. Ma questo è il tempo di vivere sino in fondo, sulla terra, la missione che ci è affidata. Il demonio, infatti, non riposa, e continua a sedurre gli uomini come forse mai nella storia. Come Chesterton aveva visto profeticamente, i pagani sono tornati, "mettendo a posto ogni cosa con parole morte, mentre "l’Uomo è trasformato in uno sciocco che non sa chi è il suo signore". Si riconoscono "dalla rovina e dal buio che portano; da masse di uomini devoti al Nulla, diventati schiavi senza un padrone, da un cieco e remissivo mondo idiota; dalla vittoria dell’ignavia e della superstizione, dalla presenza di peccatori che negano l’esistenza del peccato; da questa rovina silenziosa, dalla vita considerata una pozza di fango, dall’onta scesa su Dio e sull’uomo, dalla morte e dalla vita rese un nulla". Fratelli, "gli antichi barbari sono tornati" e hanno bisogno dei cristiani nei quali "la pietra" continui ad "essere scartata" perché "divenga testata d'angolo" della loro vita che sta crollando miseramente. Questa settimana le persone che sono accanto a noi, i "barbari" che si stanno prendendo le scuole dei nostri figli, i giornali, la televisione, il cinema, lo sport e, soprattutto, le menti e i cuori dei giovani, avranno bisogno di vedere quello che "ha fatto e sta facendo il Signore" nella nostra vita perché sia "mirabile" anche "ai loro occhi". Non siamo diversi da loro, anzi. Ed è proprio questa la buona notizia che il mondo sta spettando, l’unica credibile che, accolta, può salvare i barbari. Vanno bene le manifestazioni pubbliche e tutte le iniziative con cui tentiamo di arginare lo tsunami ideologico che si sta avventando. Ma sappiamo bene che “i figli delle tenebre sono più scaltri dei figli della luce”, e per salvare questa generazione non vi è altro modo che offrirgli la “luce” della testimonianza, come accadde al tempo dei primi “barbari”. Scriveva San Paolo: “Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle potenze dell'aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Nel numero di quei ribelli, del resto, siamo vissuti anche tutti noi, un tempo, con i desideri della nostra carne, seguendo le voglie della carne e i desideri cattivi; ed eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù” (Ef 2). In queste parole è sintetizzata l'esperienza bimillenaria della Chiesa, e anche oggi è fondamentale che in essa sia offerta a tutti una seria iniziazione cristiana che li accompagni a scoprire e fondare la propria vita sulla "pietra angolare", della quale se ne può rintracciare la fisionomia anche nella parabola del Vangelo. Come Israele, un popolo diverso da ogni altro, scelto per "consegnare i frutti" di un amore che lo ha scelto, salvato, condotto e custodito, nonostante le innumerevoli infedeltà, anche noi siamo stati scelti e "piantati nella vigna", immagine della Chiesa. E anche noi, duri a convertirci come Israele, davanti all’albero che ci chiamava all’obbedienza, abbiamo creduto di poterci appropriare dell’eredità che invece Dio aveva preparato per noi come un dono. Siamo stati nella Chiesa come Israele nella vigna: il demonio ci ha ingannati presentandoci la falsa immagine di un Dio geloso e siamo così diventati ospiti, stranieri, e nemici in casa nostra. Abbiamo creduto che la famiglia nella quale siamo nati, e poi la scuola, il quartiere, e i fatti che abbiamo vissuto avessero dentro il veleno di un Dio ingiusto che non ci amava; e allora, per prenderci l’affetto e la giustizia che ritenevamo ci spettassero, ci siamo appropriati dei doni che Dio ci aveva fatto perché, accolti, potessero divenire il frutto colmo d'amore da consegnargli "a suo tempo". Così si spiega il parossismo della violenza che appare nel Vangelo, lo stesso che affligge tante relazioni, in famiglia, tra gli amici, in ogni ambito della società. Violenza che cresce sino ad uccidere Cristo, l'erede che viene a consegnare i frutti di una vita riscattata, riconciliata e per questo santa.
Prima di entrare in questa settimana, possiamo chiederci senza ipocrisia che cosa abbiamo fatto dei tanti profeti, delle tante parole, dei segni inviati alla nostra vita, e scopriremo che, proprio come accade oggi nel mondo, li abbiamo “afferrati, bastonati, coperti di insulti e mandati a mani vuote”, e spesso li “abbiamo uccisi” nei nostri cuori per non sentire la verità che ci chiamava a conversione. E, come Israele, tante volte non abbiamo compreso e riconosciuto l'estremo atto d'amore del Padre; non abbiamo accolto il Figlio offertoci come ultima chance, purissima misericordia di un Padre che non si rassegna nel vedere i suoi figli dilapidare la primogenitura. E' vero, siamo stati infedeli, abbiamo ucciso il Figlio che Dio ha mandato a noi “afferrandolo e gettandolo morto fuori della vigna”, ovvero dalla nostra vita, perché chiusi ostinatamente nei nostri giudizi, nel rancore, nell’orgogliosa difesa della nostra giustizia. Lo abbiamo ucciso rifiutando il perdono, ma se siamo qui oggi ad ascoltare questa parola significa che abbiamo sperimentato la ricchezza della misericordia di Dio, più ostinato nell’amore della nostra ostinazione nella superbia! Lo abbiamo “visto come una meraviglia ai nostri occhi”: Dio ha risuscitato suo Figlio in noi e con noi! Per questo, “ora, in Cristo Gesù, non siamo più stranieri né ospiti” nella Chiesa, “ma siamo concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come “pietra angolare” lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2). Sì fratelli, nella Chiesa stiamo sperimentando ogni giorno che Dio sta “sterminando quei vignaioli” che sono immagine del nostro uomo vecchio e sta "consegnando" le grazie della “vigna” all’uomo nuovo che sta creando in noi a poco a poco in Cristo. Noi, che “eravamo pagani per nascita, senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo”, noi “che un tempo eravamo i lontani siamo diventati i vicini grazie al sangue di Cristo”. Lo annuncia la nostra vita salvata dall’idolatria, la nostra famiglia e i nostri figli nati in obbedienza alla volontà del Dio della vita. Lo dicono soprattutto le nostre cadute tra le braccia di Cristo, i nostri peccati affogati nelle acque della misericordia della Chiesa. Lo dice la nostra gioia piena che scaturisce dal sentirci amati così come siamo, perché Cristo risorto è “con noi ogni giorno” e stiamo sperimentando il suo “potere” su ogni demonio che attenta alla nostra vita, che ci perdona e ci rialza sempre. Coraggio allora, fratelli, entriamo in questa settimana per “ammaestrare” con l’annuncio e la testimonianza, “tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, immergendo cioè ogni “nuovo barbaro” che incontreremo, nell’amore che ha salvato noi. Solo così potremo “insegnare loro ad osservare” tutte le parole di vita che Gesù ci ha annunciato e sta compiendo in noi.
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