Siamo tutti in pericolo di vivere
come se Dio non esistesse,
ma Dio ha mille modi,
per ognuno ha il suo di farsi presente nella nostra anima,
di mostrare che ci conosce e ci ama
e vuol farci attenti a quei segni coi quali Dio ci tocca.
Benedetto XVI
Ahi le tasse... Chi di noi non si scontra con il problema delle tasse? Certo, molte di esse sono davvero ingiuste, ne parla con chiarezza la Dottrina sociale della Chiesa. Ma nella domanda che sorge dalla bocca di alcuni "farisei ed erodiani" si sente il sapore rancido dell'ipocrisia, mentre la trappola posta a Gesù è la stessa che il mondo e il demonio ci mette sempre davanti... Le tasse, infatti, sono un'infallibile liquido di contrasto iniettato nel nostro intimo. Non c'entra nulla l'onestà. C'entra la reazione che abbiamo di fronte all'obbligo di pagare una qualsiasi tassa, una multa o la quota condominiale. In fondo le sentiamo tutte come un'ingiustizia, e sale l'ira e la mormorazione, e perdiamo la pace. E sapete perché? Perché il mondo pone "ipocritamente" l'economia al centro dello sviluppo di una società, di una nazione e dell'individuo, facendo del sistema di tassazione la madre di tutte le felicità o infelicità, e nella questione del loro pagamento l'indice con cui giudicare moralmente le persone. Attenzione fratelli, perché nella valanga di notizie economiche che aprono i telegiornali e nell'indignazione feroce verso gli evasori fiscali, si nasconde la stessa "ipocrisia" che c'è in noi. Ehi, ehi, che dici? Ti metti a far politica? Vuoi dire che non pagare le tasse non è un peccato grave? No, sto solo dicendo che quando si parla e discute di "tasse", nove volte su dieci c'è "l'ipocrisia" che denuncia Gesù. "Ipocrita", infatti, è colui che vive una doppiezza di fondo, e fa di tutto per apparire per quello che non è. La domanda di quei "farisei" ed "erodiani" è "ipocrita" perché falsifica la realtà del loro cuore. Innanzitutto perché è posta "per coglierlo in fallo nel discorso". E poi perché, parafrasando la risposta di Gesù, scopriamo che essi "avevano dato a Cesare quello che è di Dio e a Dio quello che è di Cesare". E' questo quello che scopre e rivela Gesù. Proprio usando come trappola la questione delle tasse che bruciava sul vivo ogni ebreo che si sentiva vessato ingiustamente dai romani, rivelano che il loro cuore era avvelenato. Esattamente come accade a noi quando, sollecitati dalle notizie economiche, o quando discutiamo delle spese in famiglia e alla riunione condominiale, ci sentiamo oltremodo coinvolti. Mettila come vuoi, ma il denaro è al centro di tutto anche in noi. Il rapporto che abbiamo con esso, infatti, è l'immagine più fedele di quello che abbiamo con Dio nostro Padre. Se il primo è malato, cioè idolatrico, è perché ne abbiamo uno pessimo con Lui. Il denaro ci rappresenta il potere, la solidità, la forza, il prestigio, l'autorità. Esso significa autonomia, certezze, libertà, affetto e, spesso, amore. Non illudiamoci, il denaro è ben ancorato nei nostri cuori, e "l'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali". Per questo esso rivela la nostra ipocrisia: ci professiamo cristiani e figli di Dio, mentre parliamo e ci comportiamo da orfani, trasmettendo ai nostri figli e ai lontani dalla Chiesa una fede avariata che si è inchinata a mammona, tipica di chi adora il vitello d'oro. Portiamo in noi inscritta l'immagine celeste del Padre e viviamo come se Egli non esistesse e non provvedesse alla nostra vita. Questa è la grande "ipocrisia" madre di tutte le altre più o meno meschine con cui cerchiamo di tappezzare la nostra esistenza. Madre soprattutto di quella con cui ci avviciniamo a Cristo per "tentarlo", fingendo cioè di pregare perché ci spieghi cosa fare di fronte alle ingiustizie, mentre, nel cuore attaccato al denaro, abbiamo già deciso cosa sia "lecito" fare.
Ma anche oggi Gesù ci annuncia una buona notizia. Proprio perché è "veritiero, non si cura di nessuno" e "non guarda in faccia" alla nostra ipocrisia, ci "insegna la via di Dio secondo verità". E la prima verità è che il “tentatore”, il demonio ha usurpato il posto di nostro Padre. Per questo Gesù, “conoscendo la nostra ipocrisia”, ci chiede oggi di "mostrargli" la "moneta" che prendiamo a pretesto per "tentarlo" e "coglierlo in fallo"; ci dice cioè di "fargli vedere" la nostra vita di oggi e ci chiede: "di chi è l'immagine che vi è impressa, e l'iscrizione?", che è come dire: "a chi appartieni, a chi obbedisci, quali criteri stai servendo?". Fratelli, accettiamolo, seguiamo Cesare perché ci siamo "consegnati" al mondo, alla carne e al demonio. Esattamente come è avvenuto durante il processo a Gesù, quando è stato "consegnato" a Pilato che, nel nome di Cesare, ha approvato la condanna a morte decisa dal Sinedrio. Pensate a che contraddizione e schizofrenia ci ha spinto il demonio: ci siamo alleati con il mondo e il suo Cesare che ci tengono schiavi pur di condannare il "Giusto" che ci annunciava l'unica e autentica libertà; abbiamo scelto che ci fosse graziato il Barabba giustiziere e assassino che è in noi per giustiziare in Gesù l'unica forma "lecita" di usare del denaro, per rifiutare cioè la sola via per realizzare nella verità dell'amore la nostra vita. E Gesù, la moneta autentica che recava l'immagine perfetta del Padre, ha lasciato che l'infamia delle nostre accuse false contro Dio lo “consegnasse” a Cesare e alla Croce; ha lasciato cioè che, nel suo corpo, l'immagine di Dio scritta in ogni uomo perdesse ogni sembianza d'uomo e figlio di Dio, sino a diventare come uno davanti al quale ci si copre la faccia. Ma proprio lì, nel momento in cui sperimentava l'abbandono del Padre, la cui immagine era completamente scomparsa, il suo sangue stava lavando definitivamente l'immagine falsa del mondo e di satana che in ciascuno di noi si era sovrapposta a quella originaria. Il suo sangue ha lavato il fango e il peccato e ha ridato lucentezza a quello che in noi sembrava perduto, ricreandoci come figli somiglianti all'immagine del Padre. Coraggio fratelli, lasciamo che anche oggi il sangue di Cristo giunga a noi attraverso la Chiesa e lavi l’ipocrisia e ci faccia vivere come figli di Dio. Perdonati e risuscitati con Lui possiamo oggi dare a Dio quello che gli appartiene, ovvero tutta la nostra vita. Ogni istante, ogni pensiero, parola, gesto. I beni che ci affida per amare, i doni e i carismi con cui compiere la missione unica alla quale il Padre ci chiama. Anche le sofferenze, i fallimenti, le umiliazioni, le ingiustizie, le malattie, tutto quello che abbiamo ritenuto "illecito" e preso a pretesto per ribellarci contro Dio. Tutto purificato perché ogni istante della nostra esistenza divenga, nell'amore, un segno della bellezza nella quale ogni uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, "la bellezza che salverà il mondo". Altro che denaro, tasse, altro che chiacchiere e talk-shows inconcludenti, la vera e unica notizia è che non siamo più orfani ma figli di un Dio che ci dà la vita in abbondanza nella quale possiamo donarci a Lui e ai fratelli.
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