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sabato 30 novembre 2019

INCONTRO A GESU' VERO DIO E VERO UOMO CHE VIENE A FARCI FIGLI DI DIO E PER QUESTO VERI UOMINI  
Sono tante le "reti" con le quali ogni giorno cerchiamo di guadagnarci da vivere. Le gettiamo sperando di pescare un branco di amici, di quelli che ci potrebbero saziare d'affetto, stima e comprensione. Ma troppo spesso ne restiamo impigliati. La rete, non si chiama così quel pozzo senza fondo che, attraverso lo schermo di un computer, ci afferra nell'illusione d'essere in contatto col mondo intero e di farci un mondo di amici che ci seguano? Internet, la rete, una piroetta virtuale che sfiora la realtà senza viverla, anche se dicono che ci fanno le rivoluzioni. Social networks, chat, video e notizie, sono le maglie di una rete che rapisce il cuore, sottrae il tempo, evapora i profili, scolora le relazioni in una menzogna travestita di vuota pienezza. Giovani e meno giovani come pesci indifesi, pescati e sottratti all'acqua autentica della volontà divina. Sempre connessi, è il mantra ripetuto ovunque, perché la rete ci insegue con il wifi che si insinua nei computer di casa, nei portatili, nei tablet e negli smartphone, sempre più piccoli, sempre più veloci, sempre con noi. Sempre connessi per dimenticare d'essere disconnessi dal vero, dal bello e dal buono, l'essenziale che ci fa vivi, felici e realizzati. Sempre connessi eppure profondamente soli, con il cuore che naviga lontano da Cristo, scappando dalla Croce, l'unico Link autentico che connette alla vita piena che non si corrompe, come tralci staccati dalla vite. Viviamo, soprattutto i più giovani, definiti ormai come i "nativi digitali", nell'illusione che basti un click per parlare, relazionarsi, amare; un secondo e i desideri sembrano realizzarsi, e tutto il mondo, cose e persone, giungono a portata di mano; immagini e parole prese nella rete, spesso con la violenza della curiosità e della concupiscenza, senza renderci conto d'essere stati "pescati" noi per primi per consumare sempre di più, sempre peggio, accendendo nella carne una compulsione insaziabile che confonde la realtà con il sogno, ed esige da essa l'impossibile. Tutto in un click, dimenticando la fatica e il sudore dell'amore autentico, il sacrificio del donarsi, i chiodi che trafiggono il link eterno, l'amore che non può essere che crocifisso. Il mondo di internet  è, come il mare di Galilea con le sue barche e le sue reti, la metafora della nostra vita affondata nella spirale che ci irretisce mentre ci sforziamo di irretire, come quando buttiamo ore ed energie a sporcare occhi, cuore e mente davanti a un tablet, uno smartphone o un PC. Non a caso i siti in assoluto più visitati sono quelli pornografici... 

Ma, nel fondo di tutto questo "gettare reti e riassettarle", si cela un unico desiderio, il grido strozzato in gola al termine di giornate avare di pesce e di gioia. Non può nulla neanche nostro "padre"; come quello di Giacomo e Giovanni, è sempre lì, accanto a noi, a ricordarci la nostra storia, il passato che, spesso, è un peso che ci distrugge. Ma Gesù "cammina" anche oggi sulle rive del "mare" nel quale cerchiamo vita e felicità: sul corridoio di casa, in ascensore mentre giungiamo in ufficio, sulla metropolitana e in ambulatorio, al supermercato e in classe. Gesù passa e la sua voce mette a tacere ogni altra voce, il suo sguardo fulmina lo schermo del computer, e il suo amore ci attira irresistibilmente a seguirlo, strappandoci dalle maglie della rete. Come accadde ad Andrea, spinto da quelle parole che erano calamite, a "lasciare barca, reti e padre" per "seguire" senza indugio il Signore. Lasciare e seguire, perché è Lui che il cuore di ogni uomo desidera ardentemente, magari cercandolo maldestramente su Google; solo nelle sue parole, infatti, c'è una forza così dirompente da cambiare la vita nello spazio di un istante. Proprio ora, che stiamo rincorrendo sogni e utopie, piaceri virtuali che vorremmo esigere da chi ci è accanto. Passa Gesù a sgonfiare la menzogna che sovrappone illusione alla realtà e ci fa vivere sempre lontano dalla storia, dai pensieri e criteri del coniuge, dalla debolezza dei figli, dai peccati dei colleghi. Da noi stessi. Gesù passa e ci chiama e la sua voce percuote e perfora la pietra del nostro cuore, impegnato in giudizi e mormorazioni, incapace di aprirsi alla verità che ci attende nella realtà. Gesù "vede" Andrea, Giacomo, Simone, Giovanni, tu ed io, e li riconosce: sono i suoi "fratelli", "chiamati" ad essere "pescatori di uomini" come Lui, che avrebbe gettato  la propria vita come una "rete" nel mare della morte. L'incontro con il Signore e la sua sequela, infatti, portano a compimento la vita di ciascuno. Andrea e gli altri "erano pescatori" e per questo "gettavano le reti in mare"; chiamandoli a seguirlo, Gesù li ha riportati alla vocazione originaria, trasfigurando ogni aspetto della loro esistenza: hanno continuato ad essere pescatori ma nella libertà di chi, pescando, "getta" non più una rete per saziare i propri appetiti, seguendo sogni e chimere servendosi degli altri, ma la sua stessa vita per la salvezza degli "uomini". Il Signore "chiama" anche noi oggi per trasfigurarci, e volgere all'amore la nostra vita; non dovremo lasciare d'essere quello che siamo, solo accogliere la Parola di Gesù che trasforma quello che siamo in un dono per chiunque. Avvocati, operai, medici e infermieri, professori e studenti, casalinghe e pensionati, mamme e papà, tutti siamo chiamati a vivere quello che facciamo perché siamo amati, istante dopo istante. Chiamati a a seguirlo per imparare ad amare in tutto; a offrire tutto quello che abbiamo messo al servizio della carne, nell'amore che cerca la felicità dell'altro, "lasciando" le reti sulla barca, come un computer abbandonato e disconnesso.

     30 NOVEMBRE  SANT'ANDREA APOSTOLO
αποφθεγμα Apoftegma

Salve, o Croce, inaugurata per mezzo del corpo di Cristo 
e divenuta adorna delle sue membra, 
come fossero perle preziose. 
Prima che il Signore salisse su di te, 
tu incutevi un timore terreno. 
Ora invece, dotata di un amore celeste, 
sei ricevuta come un dono. 
I credenti sanno, a tuo riguardo, quanta gioia tu possiedi, 
quanti regali tu tieni preparati. 
Sicuro dunque e pieno di gioia io vengo a te, 
perché anche tu mi riceva esultante 
come discepolo di colui che fu sospeso a te 
O Croce beata, che ricevesti la maestà 
e la bellezza delle membra del Signore! 
Prendimi e portami lontano dagli uomini 
e rendimi al mio Maestro, affinché per mezzo tuo 
mi riceva chi per te mi ha redento. 
Salve, o Croce; sì, salve davvero!

Passione di Sant'Andrea


 Colui che è stato preso dai pescatori di Gesù 
ed è risalito dal mare, 
muore sì anche lui ma muore al mondo, 
muore al peccato 
e dopo esser morto al mondo e al peccato 
è vivificato dalla Parola di Dio e riceve un’altra vita. 
Sei risalito dal mare cadendo nelle reti dei discepoli di Gesù; 
uscendo cambi d’anima
non sei più un pesce che vive nei flutti salmastri del mare, 
ma subito la tua anima si trasforma 
e si trasfigura e diventa qualcosa di meglio 
e di più divino di ciò che era prima. 
Quando dunque tu sarai risalito dal mare 
e sarai stato preso dentro le reti dei discepoli di Gesù, 
trasfòrmati allontanandoti dal mare, dimenticalo...

Origene



Ma si vede che, stando là ore e ore ad ascoltare quell’uomo, 
vedendolo, guardandolo parlare – chi è che parlava così? 
Chi aveva mai parlato così? Chi aveva detto quelle cose? 
Mai sentite! Mai visto uno così! 
–, lentamente dentro il loro animo si faceva strada l’espressione: 
«Se non credo a quest’uomo non credo più a nessuno, 
neanche ai miei occhi».
Ma era stato così ovvio nella eccezionalità dell’annuncio, 
che loro hanno portato via quella affermazione
come se fosse una cosa semplice 
– era una cosa semplice! –, 
come se fosse una cosa facile da capire. 

Mons. Luigi Giussani

venerdì 29 novembre 2019





αποφθεγμα Apoftegma
    
Consideravo con stupore gli effetti 
che si sentono quando si è avvicinati da quel fuoco; 
fuoco di vero amore di Dio che par venire dall'alto. 
Benché tanto lo desideri, lo cerchi e mi consumi per averlo, 
sento di non poterne conseguire neppure una scintilla, 
a meno che non si degni di darmela Dio stesso. 
Ma quando viene, il vecchio uomo ne va tutto consunto con i suoi difetti, 
le sue miserie e le sue tiepidezze. 
Al pari della fenice, che, 
rinasce dalle sue ceneri dopo che il fuoco l’ha bruciata, 
così si trasforma l’anima per uscirne con nuovi desideri 
e con più grande coraggio: 
non sembra più quella di prima, 
ma comincia con nuova purezza a battere il cammino di Dio.

S.Teresa d’Avila, Vita cap. 39,22-23
L'INVERNO CHE SEMBRA CHIUDERE LA PORTA ALLA SPERANZA E' INVECE IL SENO FECONDO DOVE E' DEPOSTO E GESTATO L'AMORE CHE NON MUORE
Carissimi, è inverno e fa freddo. Personalmente non mi piace per nulla, ho sempre odiato il freddo e mal sopportato questa stagione. Oggi, alla luce di questo brano del Vangelo, per la prima volta, ho capito perché. Ieri ho ricevuto una notizia che non è piaciuta al mio uomo vecchio che ancora cerca nella carne e negli affetti il tepore del caminetto accanto al quale raggomitolarsi, stretto in una coperta e disteso su un comodo divano. Ecco, la notizia che sparigliava i miei piani, mi ha spinto fuori dalla stanzetta calda e comoda, in mezzo al freddo che senti quando il demonio riesce a farti credere di essere solo. Già, il demonio, il principe delle parole inutili, il maestro dei sofismi, il padre delle menzogne che intrappolano cuore e mente nella tristezza generata dal non capire che cosa accade. Quando si spegne la luce della fede, infatti, arrivano gli tsunami delle parole che tentano di spiegare, di piegare la storia e le persone ai desideri frustrati del proprio uomo vecchio. Ecco perché non mi è mai piaciuto l'inverno: perché è segnato dal freddo che ingoia i pensieri, i criteri, i desideri e le parole dell'uomo vecchio. Perché seppellisce sotto terra e neve le passioni ingannatrici dell'uomo della carne. Perché frantuma il seme, ovvero il progetto di vita che Dio ha disegnato per me, e per questo mi sembra che tutto sia inospitale e inavvicinabile. L'inverno è segno del rifiuto, e sembra contestare la vita, l'allegria e il riposo, i frutti e la sazietà che invece dipingono l'estate con i loro colori accesi. Insomma, non mi piace l'inverno perché non mi garba morire, e infilarmi nel vento e nella pioggia, nel grigio acuminato di giornate come questa che mi ha accolto proprio oggi. Non mi piace perdere la vita, perché il demonio è lesto e astuto per ingannarmi facendomi credere che tutto è destinato a passare e perdersi per sempre, fagocitato dal freddo della tomba. E per questo devo difendermi dai rigori dell'inverno, non lasciare cioè che la mia vita passi per scendere nella morte. Il freddo mi inchioda alla paura e all'incapacità di fare qualsiasi cosa, come l'inganno del demonio mi incatena all'impossibilità di amare e donarmi. Invece Dio, attraverso la Chiesa, come il contadino con i suoi semi, depone la fede proprio quando e dove non ci aspetteremmo e vorremmo, perché la nostra vita possa crescere nella precarietà come un albero radicato nella certezza del suo amore. In ogni istante infatti, è nascosto il Mistero Pasquale del Signore, il suo passaggio dalla morte alla vita. Per questo la Pasqua è proprio il cammino di un seme che, dal sepolcro della terra, si fa strada attraverso l'oscurità per spuntare, vivo e forte, alla luce, e lanciarsi giorno dopo giorno verso il Cielo. "Il cielo e la terra passeranno, ma le Parole del Signore non passeranno" proprio perché sono le uniche capaci di passare attraverso la morte e resistere intatte, autentiche nel loro compiersi, una dopo l'altra. Mentre tutte le altre parole segnano il passo rivelandosi effimere e transitorie, la sua Parola d'amore, capace di ri-crearci nella misericordia, è l'unica eterna perché attraversa la morte senza esserne assorbita. Così, nella nostra vita ogni cosa è destinata a passare per lasciar posto alla Parola fatta carne, al potere della predicazione, a Cristo vivo nell'annuncio del Vangelo. Il passare di tutto riverbera infatti il passaggio pasquale del Signore nella storia: questa è l'unica verità che non passerà mai, perché è il segno che Lui ci ama così come siamo, sempre. Per questo, le sofferenze, i problemi, le angosce, il fallire dei progetti, sono i germogli che spuntano sui rami della nostra croce, preannunciano l'estate, non la morte! Nelle parole del Signore si ode l'eco del Cantico dei Cantici; dure e crude, sono parole d'amore. E' lo Sposo che incede, e vuole destare la sposa, accendere in lei il desiderio di Lui, e schiudere i suoi occhi in un discernimento capace di intercettare i segni del suo avvento imminente. 









 
Una voce, il mio Diletto!
Eccolo, viene 
saltando per i monti, 
balzando per le colline. 
Somiglia il mio diletto a un capriolo 
o ad un cerbiatto. 
Eccolo, egli sta 
dietro il nostro muro; 
guarda dalla finestra, 
spia attraverso le inferriate. 
Perché, ecco, l'inverno è passato
è cessata la pioggia, se n'è andata; 
i fiori sono apparsi nei campi, 
il tempo del canto è tornato 
e la voce della tortora ancora si fa sentire 
nella nostra campagna. 
Il fico ha messo fuori i primi frutti 
e le viti fiorite spandono fragranza. 
Alzati, amica mia, 
mia bella, e vieni! 
Gli eventi descritti dal Signore nei brani precedenti ci aiutano a riconoscere in essi i germogli che preannunciano la dolcezza dell'incontro con Lui, il premio sperato e atteso. Questo significa avere discernimento e vivere nell'attesa del compimento, perché il passato semina nel presente la profezia dell'avvenire, non la malinconia per quello che è passato e perduto. La vita perduta per amore è il segno profetico che illumina il presente e lo orienta verso la pienezza di vita che solo il dono dell'amore è capace di generare. Così una sposa e madre che, unita a Cristo, passa il suo tempo stirando camice per le quali nessuno le dirà mai grazie, o pulendo tazze del gabinetto che tutti useranno senza accorgersi della loro brillantezza, ama perdendo pezzi di se stessa che ritrova ogni giorno moltiplicati in gioia, pace e pienezza di senso che la accompagnano nei giorni e la spingono a donarsi ancora, e di più. Altro che frustrazione, chi ama e si consegna al proprio marito e ai frutti di questa amore sottomesso che sono i figli, non ha bisogno di cercare gratificazione fuori di casa. La storia non genera in lei rimpianti, ma gioia, pienezza e desiderio di donarsi ancora, e di più. Così un marito che esce ogni giorno per un lavoro routinario dove il capo non ha altro da fare che umiliarlo. Mentre perde la sua vita per amore di sua moglie e dei suoi figli, la ritrova proprio nelle ore spese per loro, perché l'amore dà senso e gratificazione a quel suo stare lì, a prendere insulti e senza la minima gratificazione. Tutti questi sono i germogli della vita nuova che ha cominciato a scorrere ben prima del loro apparire. Per questo abbiamo bisogno dell'inverno, per distenderci e imparare a dissolverci sotto terra, perché chi non muore nella terra resta solo. Ma chi invece, nella Chiesa, si lascia allevare come Gesù durante trenta anni a Nazaret, paesino di pochissime anime lontanissimo da Gerusalemme, darà frutto a suo tempo, come Lui e in Lui. Da Nazaret non poteva venire nulla di buono dicevano gli intelligenti e i religiosi del tempo, come anche oggi la cultura ci dice che, nel 2015, da una casalinga seppellita a casa non può uscire altro che frustrazione, Così come non può uscire nulla di buono dalla nostra storia, dall'inverno di solitudine e sofferenza che ha accolto il seme della vita nuova deposto in noi dalla Chiesa. E invece proprio l'inverno di Nazaret, ripeto, trenta anni, è stato il grembo benedetto che ha gestato il Gesù l'Uomo capace di offrire se stesso alla morte più dura e dolorosa. Come la tua Nazaret ha sino ad oggi gestato l'uomo o la donna capace di offrire la propria vita all'altro, anche a l nemico. Senza inverno non c'è primavera di primizie e neanche l'estate dei frutti! In questo Avvento, entriamo con Cristo nell'inverno preparato per noi, per essere, in Lui, i germogli di speranza che annunciano al mondo la sua vittoria sul sepolcro di peccato e morte. Se chi ti è accanto vedrà spuntare i germogli di una vita che la sua cultura e i suoi criteri ritegno impossibile, potrà iniziare a sperare che davvero esista l'estate, che anche la sua vita potrà dare frutti, proprio entrando nell'inverno preparato per lui. Ogni evento è un germoglio che ci ricorda l'elezione che ci ha presi dal mondo, perché il fico è anche immagine di Israele: "guardai ai vostri padri come ai primi frutti di un fico” (Os 9,10). La storia concreta, le persone che ci sono date, tutto di noi e in noi segna la primo-genitura, il senso stesso della nostra vita, che è essere i primi frutti dell'umanità. Dietro a tutto si cela lo Sposo, innamorato e appassionato, che ci chiama ad alzarci; ci guarda con tenerezza, e ci annuncia oggi che è passato l'inverno, che la morte è vinta, che possiamo entrare negli eventi dai quali siamo sempre scappati terrorizzati. Bruciato il passato di morte nel fuoco del suo amore, possiamo correre verso l'estate che ci attende, liberi, e attirare con noi questa generazione.

martedì 26 novembre 2019

Giacobbe e Rachele al pozzo



αποφθεγμα Apoftegma

Si abbeveravano le greggi,
cioè da lì si attingeva lo Spirito Santo.
E la pietra era grande, era la gioia della Presa d'acqua.
E chi non conosce la gioia della Presa d'acqua 
non conosce la gioia dello Spirito Santo.
Si rimetteva la pietra fino alla festa successiva.
E quando non la si rimetterà più
sarà la festa di Sukkot dei tempi messianici.


Midrash Tanaim 9


LA GELOSIA DELLO SPOSO AFFOGA NARCISO NELLE ACQUE DEL BATTESIMO PER FARLO RINASCERE CON LUI NELL'AMORE CHE LO RENDE LIBERO E SAPIENTE
Mancano pochi giorni all'Avvento, e oggi la Chiesa ci prepara a questo tempo così importante mettendoci davanti la figura di Narciso. Era un giovane molto bello, del quale si innamorò perdutamente Eco, una ragazza splendida ma troppo loquace. Gli dei vollero punire questo suo difetto e la resero muta. Era capace di ripetere solo le ultime parole che le rivolgevano. Narciso non resistette a questo difetto della sua innamorata. Non la ritenne degna di lui e si chiuse nel suo egoismo, decidendo che non le avrebbe mai rivolto le parole "ti amo". Per questo Eco morì di crepacuore. Gli dei, quando si accorsero del dramma, condannarono Narciso a chiudersi sempre più in se stesso, e a innamorarsi della sua immagine. Al punto che, vedendola specchiata in un laghetto, volendola abbracciare rimase annegato nel fondo dello specchio d'acqua. Narciso è immagine di tutti quelli che non sanno che farsene dell'Avvento perché non aspettano niente e nessuno. Narciso in fondo non vive neanche per se stesso, ma per la sua immagine. E' un drogato che si ciba del suo ego mascherato e poi idolatrato. Esattamente come accade a noi quando il demonio riesce a spiaccicarci sullo specchio d'acqua che riflette la nostra immagine, inducendoci a pensare esclusivamente a noi stessi, ai pregi o ai difetti, e dimentichiamo Dio, che ci ha creati belli e perdonati mille volte per annunciare la bellezza del suo amore. Ci siamo innamorati del tempio dimenticando il suo illustre Ospite, perché, ingannati dal demonio abbiamo creduto fosse opere delle nostre mani. E così anneghiamo nell'immagine falsa di noi, come il Tempio rovinato su stesso. Per questo non sappiamo più dire a nessuno "ti amo": invece di abbeverarci alla fonte dell'amore che è Dio, ci specchiamo nel nostro nulla sino a morirci affogati tra depressioni e crisi esistenziali. Non può dire "ti amo" a nessuno chi non sa dirgli prima "Dio ti ama". Così un marito o una moglie, un genitore, un fidanzato, un amico. Una cattedrale (leggi anche parrocchie e seminari) costruita in tanti anni, può essere distrutta da un terremoto, o divenire un museo o auditorium per concerti, come ve ne sono tante, segno profetico e drammatico del narcisismo di cui soffrono in tanti nella Chiesa contemporanea. Il tanto specchiarsi ha trasformato la bellezza degli edifici che esprimeva il contenuto di fede e che aiutava a entrare in comunione con Dio, in merce da esporre in vetrina, immagini stampate su tazze nelle quali turisti sbadati prenderanno il caffè una volta tornati a casa dalla vacanza. Ecco, questo sguardo profetico e celeste sulla storia, che sa vedere e interpretare alla luce della fede ciò che sta accadendo nel mondo, nella Chiesa, nelle nostre famiglie e nella nostra vita, è il discernimento che distingue i cristiani. Discernere è "separare" per distinguere e comprendere ogni persona, fatto o cosa in relazione all'altra; se non si distingue non si può legare, se non si scopre la diversità non può emergere l'amore. Capite allora come Narciso sia proprio colui che, incapace di amare perché incapace di distinguere l'altro dalla sua immagine che vede riflessa in tutto (è il sintomo dell'esigenza parossistica di autoaffermazione che portiamo dentro tutti, specie in questa generazione, e che emerge prepotente nell'uso egolatrico dei social networks). Non a caso, infatti, il modo con cui Dio ha creato l'universo è stato proprio il discernere, separando cioè ogni elemento perché, nella loro distinzione, uscissero dal dal caos. Il discernimento dunque ci fa partecipi dell'opera creatrice di Dio; per questo, l'amore, che nasce dal discernimento, dal riconoscere cioè la diversità dell'altro che lo separa e distingue da me per potermi donare gettandomi in lui, è pura creatività. L'amore non è mai routine, ma è storia nuova ogni giorno, perché sorge dal pensiero di Dio per farsi carne e vita attraverso la mia carne offerta per accogliere e perdonare. 
Questo è il senso più profondo dell'Avvento fratelli: Narciso non aspetta perché non ama, mentre un figlio di Dio ha gli occhi del cuore aperti e capaci di discernere in ogni evento e relazione l'occasione per accogliere l'opera creatrice di Dio che fa nuove tutte le cose. Per questo il Signore ci chiama oggi a discernere i segni dei tempi con “attenzione” per “non lasciarci ingannare” dal pensiero del mondo che, infiltrandosi spesso anche nella Chiesa, pretende di parlare “nel suo nome”; esso legge il “tempo” che viviamo come “prossimo” a chissà quali “rivoluzioni” morali e “guerre” culturali, destinate ad inaugurare un mondo nuovo di pace e tolleranza. “Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo”, ammoniva l’allora Card. Ratzinger. Per questo non siamo “terrorizzati” davanti alla storia e ai terroristi, e non ci lasciamo “prendere dal panico” per “seguire” la menzogna dei falsi profeti. Sappiamo, per esperienza, di vivere nel “prima” dove Dio parla e agisce con i “segni” della Croce che, come un aratro, dissoda il terreno della storia perché vi sia seminata la salvezza. Per questo “è necessario che accadano” gli sconvolgimenti nella vita degli uomini: i “terremoti, le carestie e le pestilenze” sono certo i frutti del peccato, ma Dio non vi si oppone proprio perché ci ama e vuole svegliarci. Così i problemi in famiglia, al lavoro, a scuola; così la crisi del figlio e della fidanzata, così la malattia e il licenziamento. Il male “deve” emergere “di luogo in luogo”, come il pus da una ferita, perché possa incontrare ancora e sempre il Medico che lo assuma trasformandolo in misericordia. Nelle “sollevazioni di popoli e regni” gli uni contro gli altri, appare la divisione seminata dal demonio, il peccato che ha reso nemici Adamo ed Eva, e poi, come un fiume in piena, tutti i loro figli da Caino e Abele per ogni generazione, sino a “distruggere” il vero Tempio, il corpo benedetto del Signore. Vi è una fine che non è il fine che aspetta ogni cosa, ed è la fine che dischiude la vita celeste. Non siamo nati per una "fine", ma per il "compimento" della nostra vita nell'amore. Per questo quando tutto crolla nella nostra vita significa che essa sta per "compiersi". Il rumore sordo delle “pietre” che cadono le une sopra le altre, annuncia infatti il mistero Pasquale di Gesù che “distrugge” ogni “spelonca di ladri”, esteriormente “bella” e degna di “ammirazione”, ma “piena di rapina e iniquità” al suo interno. Quelle pietre ci ricordano la pietra grande deposta sul pozzo di Sichem, che impediva a Rachele di far abbeverare il suo gregge, pesante come quella che serrava il sepolcro del Signore. Un midrash ci racconta che "una rugiada di risurrezione discese dai cieli su Giacobbe rendendolo coraggioso e forte. Grazie a questa potenza, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo, e le acque salirono dalle profondità, traboccarono e inondarono. I pastori stavano in piedi, stupefatti, perché non era più necessario il secchio per attingere". Con la stessa potenza il Signore è risorto dal sepolcro facendone rotolare via la pietra. Dietro ad ogni “fatto terrificante” e ai “segni grandi dal cielo” che sconvolgono la storia e la nostra vita, vi è il Signore "forte e coraggioso" che sta rovesciando di nuovo la pietra che ci tiene prigionieri nella tomba, per aprire un varco affinché la sua vittoria sulla morte giunga sino a noi come acqua che "trabocca" di vita. E’ Lui che, a tutti noi assetati d’amore e verità, attraverso la forza dei fatti che per il mondo significano solo distruzione, rivela il potere del suo amore che dischiude, come fece Giacobbe innamorato di Rachele, il pozzo dove “dissetarci con gioia dell’acqua viva dello Spirito Santo che zampilla sino alla vita eterna”.