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domenica 31 maggio 2020



Dal trattato «Contro le eresie» di sant’Ireneo, vescovo

(Lib. 3, 17, 1-3; SC 34, 302-306)
 
La missione dello Spirito Santo
 
   Il Signore, concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli uomini in Dio, diceva loro: «Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28, 19).
   È questo lo Spirito che, per mezzo dei profeti, il Signore promise di effondere negli ultimi tempi sui suoi servi e sulle sue serve, perché ricevessero il dono della profezia. Perciò esso discese anche sul Figlio di Dio, divenuto figlio dell’uomo, abituandosi con lui a dimorare nel genere umano, a riposare tra gli uomini e ad abitare nelle creature di Dio, operando in essi la volontà del Padre e rinnovandoli dall’uomo vecchio alla novità di Cristo.
   Luca narra che questo Spirito, dopo l’Ascensione del Signore, venne sui discepoli nella Pentecoste con la volontà e il potere di introdurre tutte le nazioni alla vita e alla rivelazione del Nuovo Testamento. Sarebbero così diventate un mirabile coro per intonare l’inno di lode a Dio in perfetto accordo, perché lo Spirito Santo avrebbe annullato le distanze, eliminato le stonature e trasformato il consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio.
   Perciò il Signore promise di mandare lui stesso il Paràclito per renderci graditi a Dio. Infatti come la farina non si amalgama in un’unica massa pastosa, né diventa un unico pane senza l’acqua, così neppure noi, moltitudine disunita, potevamo diventare un’unica Chiesa in Cristo Gesù senza l’«Acqua» che scende dal cielo. E come la terra arida se non riceve l’acqua non può dare frutti, così anche noi, semplice e nudo legno secco, non avremmo mai portato frutto di vita senza la «Pioggia» mandata liberamente dall’alto.
   Il lavacro battesimale con l’azione dello Spirito Santo ci ha unificati tutti nell’anima e nel corpo in quell’unità che preserva dalla morte.
   Lo Spirito di Dio discese sopra il Signore come Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di scienza e di pietà, Spirito del timore di Dio (cfr. Is 11, 2).
   Il Signore poi a sua volta diede questo Spirito alla Chiesa, mandando dal cielo il Paràclito su tutta la terra, da dove, come disse egli stesso, il diavolo fu cacciato come folgore cadente (cfr. Lc 10, 18). Perciò è necessaria a noi la rugiada di Dio, perché non abbiamo a bruciare e a diventare infruttuosi e, là dove troviamo l’accusatore, possiamo avere anche l’avvocato.
   Il Signore affida allo Spirito Santo quell’uomo incappato nei ladri, cioè noi. Sente pietà di noi e ci fascia le ferite, e dà i due denari con l’immagine del re. Così imprimendo nel nostro spirito, per opera dello Spirito Santo, l’immagine e l’iscrizione del Padre e del Figlio, fa fruttificare in noi i talenti affidatici perché li restituiamo poi moltiplicati al Signore.

sabato 30 maggio 2020


COLMI DELLO SPIRITO SANTO NELLA COMUNITA' CRISTIANA PER ESSERE PRIMIZIE DEL CIELO IN QUESTA GENERAZIONE DISORIENTATA

Alcuni giorni fa una bambina di undici anni mi ha chiesto: “Come hanno fatto gli apostoli a toccare il Signore se era uno Spirito capace di passare attraverso le porte?”. Ecco, la Solennità di Pentecoste risponde a questa domanda, che, semplice solo in apparenza, vibra nell’aria la questione fondamentale per la vita di ogni uomo: Gesù è davvero risorto?

Tutto, infatti, dipende dall’avere o meno una risposta al dramma della vita: c’è vita oltre la morte? Come fare ad oltrepassare queste porte “sprangate” dove mi ha rinchiuso la paura della morte? E’ così l’esperienza di tutti noi, come di quella bambina che il dolore ha già visitato ferendo la sua famiglia: “come si può toccare a vita eterna se non si vede, se è qualcosa che non cade sotto i nostri sensi?”.

E’ possibile sperimentare qui ed ora che Cristo è risorto? Sì, è possibile, perché tutto il Mistero di Gesù conduce alla “sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei”. Oggi.

E’ qui e ora che “viene Gesù” per “fermarsi in mezzo a noi”. Qui, in questo nostro luogo sprangato per la paura; ora, in questa “sera” del giorno di Pasqua, “il primo dopo il sabato”, origine del giorno che non vedrà mai tramonto.
La resurrezione di Gesù, infatti, ha abbracciato l’universo e ciascun uomo di ogni generazione: da quell’alba di vittoria ogni “sera” appartiene alla luce dello “splendore del Re che ha vinto le tenebre”. 

Ciò significa che la nostra vita, come quella di ogni uomo – anche di chi vive ancora nascosto nella selva e non ha mai sentito parlare di Gesù – è stata raggiunta e accolta dalla vittoria di Cristo: per quante “sere” si avvicendino nella nostra storia, nessuna più è destinata a sciogliersi nel buio della solitudine e della morte.

E’ un fatto, è oggettivo, è la Verità. Ma tu ed io lo crediamo vero oggi? Oppure, come la bambina, non sappiamo ancora come ciò sia possibile? Forse, guardando alle relazioni in famiglia, al lavoro o tra amici, non abbiamo ancora sperimentato che si può vivere nella carne una vita capace di oltrepassare le “porte chiuse”…

Pentecoste, infatti, è il dono che si fa perdono. E’ lo Spirito Santo che si impadronisce della vita di un uomo e di una comunità e la spinge oltre la morte, a oltrepassare le porte sprangate che la chiudono nell’egoismo. 

E’ lo Spirito Santo che fa di te e di me una creatura nuova, che, semplicemente, può perdonare. La novità del cristianesimo si rivela nella misericordia che frantuma le mura issate dal peccato. Un cristiano non è più onesto, più gentile, più dolce degli altri uomini. O forse lo è anche, ma non sono queste le caratteristiche che lo definiscono e lo rendono unico. 

Il cristiano è un testimone che “annunzia nelle lingue” di ogni uomo “le grandi opere di Dio”. Non le proprie opere, la propria religiosità, i propri sforzi… Ma opere soprannaturali compiute dallo Spirito Santo in lui.

E quale è l’opera di Dio, sua e sua soltanto? Il perdono dei peccati! Questa è stata l’opera annunciata e compiuta da Gesù, quella che l’ha condotto alla Croce. E’ vero, infatti, che solo Dio può perdonare i peccati. Se Gesù ha perdonato, significa che era Dio. 

Se la Chiesa perdona i peccati, se tu ed io perdoniamo i peccati significa che Dio è vivo in noi e che ci ha trasmesso il suo stesso potere. E’ questo il dono dello Spirito Santo, che fa di noi figli di Dio, colmi della natura divina. Non so se stiamo capendo che cosa significhi essere cristiani: siamo chiamati a ricevere giorno dopo giorno lo Spirito di Dio, che ricrea in noi l’immagine e la somiglianza con il Padre, che risplende concretamente nel perdono.

E’ il perdono che assicura la “Pace” del cuore, perché passa attraverso le porte sbarrate dall’orgoglio e dai suoi figli, i sette peccati capitali. E’ nel perdono che si possono toccare le piaghe di Cristo risorto! E’ l’esperienza di essere perdonati in ciò che nessuno ha mai accettato; l’esperienza di poter perdonare quello che, sino a ieri, era stato imperdonabile. 

E’ il perdono la carne rinnovata dallo Spirito di Cristo risuscitato: parole e gesti che risuscitano un rapporto logorato e morto. Ah, è questa dunque la Pasqua, con il suo compimento nella Pentecoste: tu ed io come gli Undici Apostoli uniti a Maria, la comunità dei figli perdonati e inviati “come Gesù” a perdonare ogni uomo.

E “come” Gesù è stato inviato? Nello Spirito Santo che lo ha gettato nel deserto di ogni vita a combattere con il demonio per sconfiggerlo caricando su di sé i peccati di tutti gli uomini. Non a caso l’evangelista Giovanni indica nello spirare di Gesù sulla Croce un anticipo della Pentecoste che farà coincidere nel Vangelo di questa domenica. 

Proprio distendendo le braccia per dilatare ogni sua fibra nell’amore sino alla fine, Gesù ha consegnato il suo Spirito. Per questo oggi rinasce una nuova famiglia, la Chiesa, sposata da Cristo nel dono di se stesso. Oggi tu ed io celebreremo le nozze con lo Sposo al quale siamo stati promessi da sempre. Come in un santo amplesso che unisce Cielo e terra, la Torah sarà scritta con il suo fuoco nei nostri cuori, per sigillare con ciascuno di noi la Nuova ed eterna Alleanza: ci sposiamo con il Signore, capite?

Niente di sentimentale però: chiunque accoglie lo Spirito Santo è perdonato da ogni peccato e, contemporaneamente, colmato dello stesso potere che lo getta a sua volta nel mondo alla ricerca dei peccatori ai quali far giungere il perdono. Chi si unisce a Cristo, infatti, forma un solo Spirito! 

Allora, figli della Pentecoste e sposati con Cristo, potremo consumare il nostro matrimonio sul letto fecondo della Croce: qui distenderemo le nostre braccia per accogliere nel perdono nostra moglie e nostro marito, il figlio e la nuora, la figlia e il genero, suocere e suoceri, amici, colleghi, fidanzati e, soprattutto, i nemici.

Da oggi, ogni giorno ci sarà dato per accogliere “la sera” delle debolezze e dei peccati, dell’idolatria e dell’incredulità, dell’egoismo e della divisione, e lasciarvi risplendere la luce del perdono che fa della storia un frammento dell’eternità. Ogni giorno sarà, allora, parte del Giubileo che ogni cinquant’anni condonava tutti i debiti. Le nostre case saranno case del Giubileo, dove chiunque possa incontrare misericordia ed essere rigenerati per camminare in una vita nuova. 

Anche oggi è pronto a scendere sulle nostre comunità lo Spirito Santo. Esso rinnoverà i prodigi di “Shavuot”, la Pentecoste ebraica celebrata dagli Apostoli mentre scendeva su di essi lo Spirito Santo. Nel Midrash – il commento rabbinico della Scrittura – troviamo scritto: “Quando Dio consegnò la Torah sul Sinai, manifestò indicibili meraviglie a Israele con la sua voce. Che cosa è successo? Dio ha parlato e la sua voce è risuonata in tutti gli angoli del mondo: Tutto il popolo osservava il gran fragore e i lampi (Es 20,18). Notate che non dice il lampo ma i lampi; per questo R. Johanan disse che la voce di Dio, nel pronunciarsi, si divise e manifestò in settanta voci, settanta lingue, perché tutte le nazioni potessero capire” (Exodo Rabbah 5,9).

Il nostro Sinai è il luogo dove oggi celebreremo la Pentecoste. Esso è il Cenacolo che segna l’intersecarsi del tempo e della storia che stiamo vivendo: oggi, dunque, laddove siamo e così come siamo, lo Spirito Santo scenderà su di noi, perché attraverso di noi risuoni nel mondo la “sua” voce. Nelle nostre parole e nei nostri gesti risplenderanno “i lampi” del suo amore e del suo perdono declinati nelle lingue di chi ci è accanto, perché tutti possano conoscere Lui. 

Nessuno deve cambiare, non tuo marito, non tua moglie, non i tuoi figli; non le persone alle quali siamo mandati. Non è per questo che siamo inviati: il cambio morale è frutto dello Spirito Santo. Piuttosto tutti hanno diritto di “ascoltare” la “voce di Dio” in noi; tutti aspettano il suo perdono, è la loro eredità e nessuno può rubargliela, perché Gesù ha redatto testamento per loro con il suo sangue. Così, dalla Pentecoste che ci rinnova irrorandoci con lo Spirito Santo, il perdono che genera la comunione arriva a ogni uomo disperso dall’orgoglio che a Babele ha confuso le lingue. A casa, al lavoro, a scuola, ovunque giunga un cristiano il Cielo discende come l’autentica primizia di Shavuot, per tutti coloro che, ingannati dal demonio, hanno inutilmente tentato di scalarlo.

venerdì 29 maggio 2020


αποφθεγμα Apoftegma

«Simone, mi ami tu?». 
Non hai detto: «Non peccare, non tradire, non essere incoerente». 
Non hai toccato nulla di questo. 
Hai detto: «Simone, mi ami tu?». 
Questa è la voce che echeggia dalla capanna di Betlemme: 
«Mi ami tu?». 
Ognuno di noi non riesce a sfuggire completamente 
al fatto che Cristo è amabile da noi esattamente così come siamo, 
più di qualsiasi altro essere di cui ci si innamori. 
Anzi, splendore diventa la preferenza 
solo se investita dallo sguardo che uno porta a Cristo: 
Cristo coincide con la preferenza più grande che possiamo avere nella vita. 
«O quam amabilis, dulcis Jesu». 

Don Giussani

FONDATI SULLA ROCCIA DEL PERDONO PER DIRE A CRISTO: "TI AMO"


Con il brano che chiude il Vangelo di Giovanni la Chiesa ci accompagna alle soglie del Cenacolo, dove scenderà di nuovo su di noi lo Spirito Santo. Anche sulle rive del lago di Tiberiade, infatti, Gesù aveva preparato un banchetto per gli apostoli. In quell’alba che sapeva di risurrezione, dopo una notte in cui “non presero nulla”, avevano pescato di nuovo una grande quantità di pesci, come quel giorno in cui, non a caso, proprio in quel luogo aveva moltiplicato i pani e i pesci. La Parola di Gesù aveva di nuovo reso feconda la loro incapacità. Scendendo dalla barca avevano visto “un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane”, e Gesù che, dopo averli invitati di nuovo “a mangiare” alla sua mensa, si “avvicinava” e “prendeva il pane per darglielo, e così pure il pesce”. Ora tutto appariva chiaro, e “nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore”. Tra la notte del Cenacolo e quell’alba in Galilea tutto si era infatti compiuto. Davvero il pane ricevuto nel Cenacolo era il corpo di Gesù consegnato alla morte per loro; realmente il vino che avevano bevuto era il suo sangue versato per loro e per tutti in remissione dei peccati, il sigillo delle nuova ed eterna Alleanza. Quel cibo donato da Gesù sulla riva del lago dove un giorno li aveva chiamati, era la sua stessa vita tratta dal mare della morte; ma ora gli Apostoli sapevano che non era solo la sua ma anche la loro morte, quella che avevano appena sperimentato inoltrandosi nella notte senza pescare nulla. Per questo quel pesce ardeva sul fuoco della misericordia che cancellava i loro tradimenti e i loro peccati. Non a caso Giovanni registra che “questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti”. La “terza volta”, come le “tre volte” che Pietro ha tradito Gesù, come i “tre giorni” passati da Gesù nel sepolcro. Come “tre volte” Gesù chiede a Pietro se lo “ama più” degli altri. Pietro lo aveva riconosciuto come “il Signore” vittorioso sulla morte, il Kyrios della vita. Aveva “mangiato”, cioè sperimentato, l’amore “sino alla fine” del suo Maestro. Ora poteva inoltrarsi con Lui nella verità. E’ sempre così: mentre nel mondo si cercano i traditori per fucilarli, Gesù prende per mano Pietro che lo aveva tradito, per accompagnarlo sino al fondo dei propri peccati per consegnargli, invece della condanna, il perdono.

Carissimi, anche noi in questo Tempo Pasquale abbiamo “mangiato” con Gesù sperimentando la forza della sua risurrezione. Come i “neofiti” (“nuove piante”) della Chiesa primitiva, abbiamo ci siamo nutriti al “banchetto degli insegnamenti più perfetti” (Cirillo di Gerusalemme), alla “mistagogia”, per cogliere “sempre meglio la profondità del mistero pasquale e traducendolo sempre più nella pratica della vita” (“Rica”, Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti). Per questo, prima di entrare nel Cenacolo della Pentecoste, Gesù ci chiede: "Mi ami tu? Mi ami più di costoro?". Lasciati trafiggere da questa domanda, oggi, ora. Dopo che nella Chiesa si è manifestato “tre volte” anche a te per annunciarti che è risuscitato con te dal sepolcro dove è stato “tre giorni” per te, Gesù ti chiede oggi per “tre volte” se lo ami.  Con questa domanda, infatti, il Signore ti chiede innanzitutto: “hai “mangiato” il mio amore fatto pane per te? Hai sperimentato nella tua famiglia, nella tua comunità, nella tua vita “quanto è buono il Signore”? Ricordando i tanti memoriali dell’amore con il quale Gesù ti ha chiamato e plasmato risponderai certamente di “sì”. Allora potrai scendere sino al fondo di te stesso e così, passando attraverso gli “strati” corrotti del tuo cuore, giungerai allo spazio più intimo e non compromesso dal peccato, quello della tua libertà dove anche il figlio prodigo è potuto “rientrare”. Scendi con Pietro, e con lui toccherai la Roccia, quella cosiddetta "del Primato" che ancora possiamo contemplare sulle rive del Lago di Galilea. Toccherai Cristo come lui, che in quel luogo ha potuto rinascere e fondare su quella Roccia la propria vita e il proprio ministero di pastore. Allora, non temere di scoprire chi sei; non restare chiuso nell’orgoglio ferito dai tuoi tradimenti. Rispondi “sì” al Signore. “Sì, tu sai che ti voglio bene, perché tu sai tutto di me” e non ho nulla più da nascondere. Coraggio allora, nonostante i tuoi tanti “no” oggi puoi dire a Gesù che “lo ami più di coloro” che non hanno avuto ancora la tua esperienza. Libero puoi dire un “sì” che desidera e spera di amare totalmente Colui che ha già detto il suo “sì” a te, quando eri un malvagio e un peccatore. Come Pietro ora lo puoi fare, perché il “sì” di Gesù, certificato dalla sua resurrezione che garantisce il tuo perdono, giunge a te come un dono da accogliere umilmente per crescere sino alla fede adulta. Quando “eravamo giovani” nel cammino di fede, infatti, “ci cingevamo la veste sa soli e andavamo dove volevamo”. Ci illudevamo cioè di essere liberi, e seguivamo le nostre concupiscenze, che magari scambiavamo per amore o per ispirazioni divine, come Pietro che non si conosceva. Ma quando “saremo vecchi”, quando cioè risuonerà nel nostro cuore umiliato e contrito il canto del gallo come in lui e le lacrime di pentimento ci apriranno per accogliere il suo perdono; quando avremo radicata in noi l’esperienza dell’amore di Dio e la vita di Cristo, "tenderemo" come agnellini “le nostre mani” allo Spirito Santo che, discendendo su di noi, ci “cingerà la veste” immagine dei pensieri e dei nostri gesti dei quali appunto ci “vestiamo”, per farci discernere in ogni “altro” il “tu” di Cristo al quale donarci.  Tuo marito o tua moglie per cominciare, e i tuoi figli, i fratelli della comunità, i colleghi e chiunque, ogni giorno, ci attende per farci "andare dove tu ed io non vogliamo". Lo Spirito Santo, infatti, vince le resistenze di quella parte di noi che ancora appartiene alla terra, spingendoci a mortificarla sulla Croce dove il Signore ci chiama a “seguirlo” perché, “pascendo i suoi agnellini e le sue pecorelle” sui pascoli del perdono che il mondo non conosce,  anche in questa generazione sia “glorificato Dio”. 

giovedì 28 maggio 2020

UNA SOLA COSA CON CRISTO E IL PADRE NELLA CHIESA, PERCHE' IL MONDO, VEDENDO POSSIBILE L'AMORE, CREDA IN DIO
Che tristezza, non possiamo nemmeno divertirci un paio d’ore con una partita. Il mondo è davvero un macello. E allora? Non abbiamo nulla da dire ai nostri figli, agli amici e ai colleghi che passano la vita a inveire e adirarsi con tutto e con tutti? Lo vediamo Dio nella storia o no? Ma se non sappiamo discernere la sua presenza negli eventi come potremo annunciarlo? Certo non è facile, per questo è necessario imparare a "contemplare la Gloria" che il Padre "ha dato a Cristo". E dove imparare se non nella comunità cristiana, l'assemblea convocata dalla Parola del Padre per la quale Gesù intercede prima di entrare nella Passione? La comunità di fratelli scelti e "santificati" da Dio proprio nel sangue di suo Figlio, diversi e spesso agli antipodi. Purtroppo si parla molto della Chiesa ma poco della reale comunità nella quale ogni cristiano è chiamato. E tu, hai compreso la Grazia immensa di essere chiamato a far parte di una comunità cristiana? Affermava San Cipriano che "Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre". E quanti cristiani sono orfani di Madre e di Padre, i cristiani "fai da te" di cui parla Papa Francesco. Ma è solo nella Chiesa che "Cristo è in noi" perché è in essa che Lui "è": "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro". 

Non sono belle parole, slogan da usare in un buon ecclesialese. Cristo risorto "è" vivo nella sua Chiesa, nel suo corpo mistico che è la comunità nella quale sei stato chiamato. E' fortissimo fratelli, non vi vengono i brividi? Gesù "vuole" con tutto se stesso "che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo". L'essere di Cristo è nella volontà del Padre che, accogliendo la sua obbedienza piena d'amore, abbraccia il Figlio sino ad essere "una cosa sola" con Lui. Aspetta, fermati, respira e contempla: Dio, capisci? l'Assoluto, il Totalmente Altro, l'Onnipotente, Colui che ancora oggi gli ebrei non possono neanche nominare, si è sbriciolato dinanzi all'umanità per amore. L'amore eterno del Padre per suo Figlio, la loro relazione d'amore che esisteva "prima della creazione del mondo" ha varcato l'infinito per farcene partecipi. Lo so, è difficile da capire, siamo limitati. 

Allora vediamo, è come se il figlio del più grande, ricco e potente sovrano della terra, in obbedienza al padre, uscisse dal suo Palazzo per recarsi nella prigione più malfamata del mondo, tipo quelle sudamericane, e, nel raggio dei criminali più pericolosi, offrisse se stesso come cauzione per liberare e accogliere nella sua casa come un fratello il peggiore di loro. Un pluriomicida, stupratore, ladro e tutto il peggio che potete pensare diviene così partecipe delle ricchezze e dell'intimità di quella famiglia. Ecco, così ha fatto il Padre con noi che, come Gesù, "eravamo suoi" da sempre, pensati, scelti e amati prima di apparire nel seno di nostra madre. Ci "ha dati" al Figlio perché il Figlio, obbedendo al Padre, ci strappasse dal peccato e dalla morte e ci riportasse a casa, per "essere dove Lui è". E tutto questo è avvenuto grazie alla predicazione degli Apostoli che è giunta sino a noi: "per la loro parola", infatti, abbiamo "creduto in Cristo" e questo ha fatto che, nella comunità, "tutti siano una sola cosa". 
La chiave dell'unità è dunque l'obbedienza di Gesù. Ma sappiamo che nella Scrittura "obbedienza" e "ascolto" coincidono. La comunione e l'unità nascono dunque dall'ascolto della Parola. Senza la predicazione e l'annuncio l'unità non è neanche immaginabile, perché la carne rende impotenti anche i desideri e i progetti più nobili. Solo nell’ascolto della Parola si dà la fede nella quel si sperimenta l'intimità dell'amore da cui sgorga, naturalmente, la comunione. Coraggio fratelli, anche in questo momento Gesù intercede presso il Padre mostrando le sue piaghe gloriose affinché nella comunità i discepoli possano accogliere la Parola, essere custoditi in essa, sperimentarne il potere, incarnarne la Verità e divenire così testimoni autentici della sua vittoria sulla morte. Per questo nella Chiesa ci dona il suo Spirito Santo che ci apre all’ascolto e sigilla in noi la Parola che ci è predicata, compiendola attraverso i sacramenti che realizzano nella nostra vita il Mistero Pasquale. 

Fratelli ancora pensiamo che la cultura, la politica, il successo nello studio e nel lavoro, gli affetti umani, il denaro, la salute e le vacanze possano colmare e dare pace e gioia alla nostra vita? Dai, rifletti un istante, con che pensieri e progetti ti sei alzato oggi? Hai pensato alla tua comunità, ai fratelli? No vero? Queste cose le riservi ai giorni e alle ore stabilite… Ecco perché le parole del Signore ti sembrano fantascienza: “io in loro e tu in me” e poi “la gloria”, la “consacrazione”, tutta roba che non c’entra nulla con gli affari e i problemi di ogni giorno. E invece sì che c’entrano, eccome. Abbiamo una missione fratelli, la nostra vita è decisiva perché il “mondo creda”! Se non la compiamo avremo fallito e gettato alle ortiche la nostra vita, perché saremo giudicati sull’amore. E l’amore è proprio sperimentare ogni giorno di “essere una cosa sola” nel Padre e nel Figlio per mezzo dello Spirito Santo, “come” Padre e Figlio sono uno nell’Altro, “perché il mondo creda” in Cristo e si salvi. 

Per questo nulla è più importante della comunità concreta che ci ha donato la Provvidenza, nella quale giorno dopo giorno, Gesù ci “fa conoscere il nome del Padre” entrando in noi e depositando nel nostro intimo “l'amore con il quale è amato da Lui”. Fratelli, la comunità è uno spicchio di Cielo dove Cristo vince ogni divisione che nel “mondo” distrugge le persone e semina morte. Nel mondo che “non conosce Dio” si confonde l’amore con l’omologazione e l’uguaglianza perché senza di Lui non si può accettare e amare l’altro così com’è, diverso e pieno di difetti. Ma noi siamo stati scelti e chiamati nella Chiesa come Noè scelse e fece entrare nell’Arca le diverse specie di animali… Tra di noi vi sono leoni e agnelli, galline e maiali, serpenti e muli, e ciascuno pensi a chi assomiglia… Ma, proprio come accadde nell’Arca, nessuno si uccide per nutrirsi, forse qualche graffio..., perché l’amore di Cristo ci sazia e ci unisce nella comunione che è un anticipo del Paradiso, realizzando quell’ “Io in loro e tu in me” che ha implorato nel Cenacolo. Per questo la Chiesa può solcare le acque del diluvio che sommerge il mondo, mostrando a ogni generazione la “perfezione nell'unità”; testimoniando cioè che a coloro che vivono la comunione non manca nulla perché vivono già le primizie del Paradiso. Con la tua comunità sei chiamato ad annunciare a tutti che il Cielo esiste perché è possibile ed esiste tra le persone l'amore celeste perché “il mondo saprà che” il Padre ha mandato Gesù vedendo nei cristiani lo stesso amore del Padre per il Figlio: "Tale unità”, infatti, “non è un prodotto mondanoGesù invoca un dono che proviene dal Cielo, e che ha il suo effetto – reale e percepibile – sulla terra... L’unità dei futuri discepoli, essendo unità con Gesù – che il Padre ha mandato nel mondo -, è anche la fonte originaria dell’efficacia della missione cristiana nel mondo" (Benedetto XVI). 

martedì 26 maggio 2020




αποφθεγμα Apoftegma


O Fuoco consumante, Spirito d'amore,
"discendi in me",

affinché si faccia nella mia anima come una incarnazione del Verbo:
che io sia per Lui un'aggiunta di umanità
nella quale Egli rinnovi tutto il suo mistero.

Beata Elisabetta della Trinità

CONSACRATI NELLA VERITA' DALLA PAROLA CHE FA LA VERITA' NELLA NOSTRA VITA


Diciamoci la verità, questo mondo non ci piace. Ne vorremmo un altro nel quale ci illudiamo che potremmo vivere felici; un mondo migliore dove poter essere cristiani migliori. Un mondo che assomigliasse al Paradiso, perché no? E' l'inganno tipico delle filosofie e delle ideologie che, avendo cancellato Dio, spengono nel materialismo e nell'immanentismo il desiderio di bene e di "gioia piena" che alberga nel cuore dell'uomo. L'ancor giovane teologo Joseph Ratzinger sintetizzava nel binomio "sapere-fare" la posizione di fronte alla realtà dell'uomo moderno che ha perso la fede: "la verità con cui l'uomo ha a che fare, non è la verità dell'essere, e neppure quella delle azioni da lui compiute. E' invece quella del cambiamento del mondo, della sua modellatura. Una verità insomma proiettata sul futuro e incarnata nell'azione". Per questo, nella realtà, ovvero la natura, - che non è più compresa come creazione - "non è il Creatore che si incontra prima di tutto, ma l'uomo incontra sempre se stesso", con la tragica conseguenza che “l'uomo attende la salvezza da se stesso e appare essere in grado di darsela". Ce n'è abbastanza per comprendere ciò che sta vivendo la società contemporanea, della quale, dobbiamo ammetterlo, siamo parte per nulla passiva. Non hai un figlio? Tranquilla, la scienza provvede. E così via, anche nella nostra vita di ogni giorno, nella quale cerchiamo di addomesticare e "modellare" la realtà per farne un piccolo paradiso personale. Un esempio? L'adorazione che riserviamo al corpo, alla salute e alla qualità della vita. Intendiamoci, fumare fa male eccome, ma questa demonizzazione del fumo che trasforma le persone e le istituzioni in inquisitori inflessibili che significa? Significa che nel nostro intimo più profondo abbiamo dimenticato Dio e chiediamo a una serie di regole di vita (spesso contraddette nel giro di pochi mesi perché indotte da interessi economici) la garanzia della salute, che ormai fa rima con immortalità. Non fumo, non bevo, niente grassi e quintali di verdure, e poi lo jogging e le sedute in palestra, vuoi che il cancro possa aggredirmi? Io le moltiplico le difese immunitarie, e tiè alla morte. Non scandalizzatevi per favore, le cosiddette nuove grandi e piccole "conquiste civili" hanno nella stragrande maggioranza dei casi la firma dell'Anticristo che promette senza mai mantenere il paradiso in terra. Che meraviglia una casa senza odore di tabacco che ingiallisce le tende, proprio un angolo di paradiso vero? Niente da eccepire, ma il cuore, è pure lui un angolo di paradiso o una bettola maleodorante? Non sarà per caso che buttiamo l’ospite in balcone a fumare perché già da tempo abbiamo cancellato nel risentimento un collega? Sembra una buffonata, eppure questo piegarsi ideologicamente al “salutarmente corretto” sa tanto di ipocrisia, ed è la cifra della nostra balbettante ricerca di verità e assoluto che abbiamo perduto ingannati dall’ideale insinuatoci dal demonio. L'ideale della perfezione di chi si illude di diventare come Dio.
Lo Spirito Santo, infatti, avendo trovato dimora in Gesù di Nazaret, cerca la nostra carne e non un ideale nel quale è così facile nascondersi e mascherare i propri fallimenti. L'ideale è sempre spostato nel futuro, è concepito nelle idee proprie o altrui. Invece "Caro Cardo Salutis - La carne è cardine della salvezza” (Tertulliano). Con la nostra stessa carne Gesù si è incuneato attraverso la morte, l'ha vinta, è entrato nel Cielo e ci ha introdotti nell'intimità con il Padre. Ha assunto la carne che pecca e ne ha fatto uno strumento per salvare l'umanità. Ecco il realismo di cui solo Dio e chi gli appartiene è capace: niente idealismi fratelli, "essi", cioè noi, "sono ancora nel mondo". Santa Teresa d’Avila lo aveva compreso bene: "Noi non siamo angeli, ma abbiamo un corpo. Volerla fare da angeli, mentre siamo sulla terra, è una vera pazzia”. Allora, siamo pazzi o no? Sì che lo siamo, perché, sforzandoci per "modellare" il mondo, stiamo lottando contro noi stessi e la nostra vocazione: vorremmo essere “del mondo” per cambiarlo con la sua sapienza proprio per non essere più “nel mondo”, in questo mondo che non ci piace. Ma succede che, nonostante tanti sforzi per “modellarlo”, il “mondo” continua a “odiarci”. Perché? Perché Gesù ci ha “dato la Parola del Padre” che ci ha scelti e chiamati a far parte della sua Chiesa. No fratelli, “non siamo del mondo, come Gesù non è del mondo”, e sta pregando anche ora perché il Padre ci “custodisca dal maligno” e dai suoi inganni. Per questo non basta vietare di fumare nella propria casa per sentirci in paradiso, o seguire diete ferree e sottoporci a mille check-up per non ammalarci. Per questo, anche se nascondiamo per anni il volto di un amico che ci ha tradito o vinciamo una causa contro chi ci ha ingiustamente tolto il denaro che ci apparteneva non troviamo pace. Nella Chiesa infatti siamo "custoditi" e allevati perché si compia in noi il Discorso della Montagna, carta di identità di ogni cristiano. Qualcosa di esso abbiamo cominciato a sperimentare, e allora non stupiamoci se, anche travestiti con abiti mondani, “il mondo ci odia”; esso riconosce immediatamente quelli che non sono suoi. E’ inutile, se abbiamo gustato almeno una volta l’amore di Dio, ogni tentativo di vivere gli affetti, il lavoro, lo svago come i pagani fallirà miseramente. E questo vale anche per i nostri figli, se davvero abbiamo loro trasmesso la fede. Tra gli amici saranno comunque una goffa caricatura che alla fine si toglieranno stanchi di fingere. Gesù, infatti, ha “consacrato se stesso”, ha cioè offerto la sua vita, perché tu ed io fossimo “consacrati nella Verità” che è la "Parola del Padre" fatta carne in Cristo e che la Chiesa ci predica e ci dona compiuta nei sacramentiCoraggio allora, perché il Signore ci ha "consacrati", cioè separati "dal mondo" e dalle sue concupiscenze per diventare "proprietà di Dio" (Benedetto XVI) "quando era ancora" con gli apostoli nei quali preparava per noi la Chiesa che ci ha accolto; in essa "non andremo perduti" perché potremo ogni giorno lasciar "perdere" nelle sue viscere di misericordia "il figlio della perdizione" immagine dell'uomo vecchio, e rivestirci di quello nuovo nella "Verità" che è l’amore rivelato in Cristo crocifisso. Per questo Gesù, "compiendo la Scrittura", chiede al Padre di “custodire" i cristiani "perché siano una cosa sola, come loro". Nell’amore e nell’unità realizzati nella comunità cristiana, infatti, appare "nel mondo" la "Verità" che smentisce ogni menzogna del diavolo che genera la divisione. Anche oggi il Signore ci "manda nel mondo come ha mandato il suo Figlio", cioè "come" gli ultimi e i più piccoli, perché non dobbiamo "modellarlo" ma salvarlo con l'amore attraverso la storia che ci dona. E che cosa c'è di più grande di questa missione? Nulla! Smettiamo allora di lamentarci e indignarci per come va il mondo e accogliamo con stupore, gratitudine e allegria la nostra vocazione: attraverso la Chiesa, infatti, il Signore ci ha rivelato "queste cose" proprio perché "abbiamo in noi stessi la pienezza della sua gioia", quella cioè di compiere "nel mondo" la volontà del Padre perché a tutti giunga la salvezza.