Ma quell'esperienza nel mare era necessaria, come per te e per me. Il punto è che non gli bastava restare nella "barca" dove la Parola di Gesù gli aveva "ordinato" di entrare; non gli era stata sufficiente la chiamata a "precederlo all'altra riva". Come a noi tante volte non basta la predicazione. Perché? Perché non era entrato nella barca con una fede adulta, ma, come tutti noi, stava nella comunità dubitando; "uomo di poca fede" lo era già prima di salire sulla barca. Gesù lo aveva "obbligato" ad entrarvi, e il verbo originale greco è molto più violento di come appare in italiano. E, come noi, quando le onde cominciano a "strozzare" la sua vita, secondo l'originale, l'incredulità gli impedisce di abbandonarsi alla Parola di Gesù che gli appare come una violenza. Ci accade spesso, vero? Quando la storia ci "obbliga" violentemente alla chemioterapia, alla disoccupazione, al restare soli, E ci sembra proprio che ci stia "torturando". Come Pietro e gli apostoli, strappati al successo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, perché essere cristiani non è questo, ma è entrare nella morte per risuscitare con Cristo! E' sperimentare il perdono dei peccati, che possiamo conoscere solo quando la storia ci "tortura", e riconoscere in essa l'amore di Dio! E questo non ci piace, e resistiamo, e la viviamo come un'ingiustizia. Altro che fede, nella "violenza" con cui Dio ci "obbliga" per strade che non sopportiamo non può esserci amore. Niente da fare, non riusciamo a discernere che proprio quei passaggi "obbligati" sgretolano "torturando" l'uomo vecchio e orgoglioso per far posto all'uomo nuovo e santo... Per questo, quando ha visto Gesù arrivare camminando sul mare in tempesta, lo ha creduto un "fantasma". Ma Gesù non lo ha rifiutato, anzi, come non rifiuta oggi noi con i nostri dubbi. Ci sta assecondando, e ci chiama ancora, per fare l'esperienza che il nostro cuore incredulo esige. Sino a sperimentare di non avere fede... Pietro pensava che, camminando sull'acqua, avrebbe ottenuto una prova tangibile che Gesù non fosse un fantasma; invece, ha avuto la prova della propria incredulità. Eppure proprio qui è cominciata la fede. C'è da preoccuparsi invece, quando la fede si dà per scontata; nelle parrocchie, nei seminari, nei monasteri. Basta essere in parrocchia, fare qualche servizio, e questa sembra fede. Ah sì? Vediamo quando si alza il vento e le onde si increspano, laggiù, lontano "qualche miglio" dalle sicurezze della terraferma. Vediamo nella sofferenza, nel disprezzo, nei fallimenti, vediamo dov'è la fede... Pietro invece, proprio nella sua debolezza ha conosciuto la potenza di Cristo. Affondando nella sua paura, nello scandalo della propria debolezza, Pietro ha toccato la mano tesa e crocifissa di Gesù che rivestiva di forza il suo niente facendolo risuscitare. Questo avrebbe testimoniato al mondo! La consapevolezza della sua povertà, infatti, aveva cancellato quel "se" che lo turbava: è questa l'esperienza decisiva senza la quale non si diventa cristiani. Se non l'hai fatta, se sei prete o vescovo, madre o padre, catechista o non so che, se vai a messa e preghi tanto e non hai questo sigillo dentro, beh, non potrai seguire Cristo sino al Calvario; continuerai a dubitare, incatenato al "se", incapace di passare alla certezza del "sei tu". Per questo non riesci a perdonare, ad amare l'altro così com'è; per questo ti disprezzi e giudichi gli altri; per questo i tuoi figli finiscono dentro situazioni pericolose, tra canne e sesso, menzogne e crisi. C'entra poco l'età... A quindici anni come a ottanta, a trenta come a cinquanta, il "se" impedisce la libertà di seguire il Signore. Ma coraggio, perché quella notte, sul mare di Galilea, Pietro ha compiuto profeticamente il salto nella fede che caratterizza i figli di Dio. Ha fatto l'esperienza della Pasqua, che davvero Cristo è risorto, che è vivo, che la morte è vinta. Ha toccato la mano di Dio, un appoggio saldo che gli ha impedito di affogare. Ha sperimentato che c'è qualcuno che lo poteva tirar fuori dalla morte. Così anche noi e i nostri figli dobbiamo scendere i gradini che conducono alle acque del battesimo, che significa inoltrarsi nell'abisso della propria incredulità per poter gridare a Cristo: "Signore salvami!". Possiamo essere padri, madri, fidanzati, operai e dirigenti, amici e studenti solo conoscendo la nostra debolezza: "Dio vi lascia in quelle tenebre per la sua gloria; qui è il vostro grande profitto spirituale. Dio vuole che le vostre miserie siano il trono della sua misericordia e le vostre impotenze il seggio della sua onnipotenza". (S. Pio da Pietrelcina). Solo un prete che sa di non avere nulla di speciale per poterlo essere, sarà libero di spendersi nella volontà di Dio senza seguire la propria. Solo un padre o una madre che hanno conosciuto la loro totale inadeguatezza, potranno affidare a Dio se stessi e i figli, docili alla storia di salvezza che Lui prepara per tutti. Allora nessun "se" ci ingannerà e, in virtù del cammino fatto nella barca, finalmente ci "prostreremo davanti" a Lui abbandonando il nostro orgoglio, per professare la nostra fede "esclamando: Tu sei veramente il Figlio di Dio!". E la fede ci farà "approdare a Genèsaret", che significa arrivare come figli di Dio risuscitati alle nostre città, al lavoro, a scuola, in famiglia, dove accogliere "la gente del luogo", i nostri figli per esempio. In noi, infatti, essi "riconosceranno Gesù" e saranno proprio loro a "diffondere la notizia in tutta la regione". E proprio perché brillerà sui nostri volti la luce della Pasqua fatta carne nella notte dell'incredulità e della paura. E così la Chiesa compirà la sua missione di sale, luce e lievito, e gli uomini "porteranno" a Cristo vivo in essa "tutti i malati" per "pregarlo di poter toccare almeno l'orlo del suo mantello", ovvero di ascoltare l'annuncio del Vangelo, perché "quanti lo toccheranno guariranno".
martedì 8 agosto 2017
DALL'ABISSO DELL'INCREDULITA' AL CIELO DELLA FEDE ADULTA
Pietro dà oggi voce a ciascuno di noi: Se sei tu... come dire, chi sei Signore, puoi davvero camminare sulle acque con una carne simile alla mia? Sei un fantasma, un'illusione, un'invenzione? E' la domanda che sorge prepotente di fronte agli eventi della storia, quelli che accolgono il cammino della Chiesa, come quelli che ci attendono nel dipanarsi dei giorni. E' la domanda che risuona nei territori di missione, soprattutto dove l'annuncio del Vangelo sembra sbattere contro un muro di indifferenza che spesso si fa ostilità e atroce persecuzione. Si tratta di una domanda seria, quella di una fidanzata innamorata che vuol conoscere il suo futuro sposo. Ma può nascondere la tentazione più grande, la stessa affiorata sulle labbra del tentatore, all'inizio e al culmine della missione di Gesù, tra il deserto e il Golgota: se sei Figlio di Dio... Se sei tu... Domanda ineludibile, crocevia fondamentale nel cammino della Chiesa e di ciascuno di noi. La conversione quotidiana a cui siamo chiamati, infatti, passa attraverso lo "scrutinio" di questa domanda. Rispondervi è questione di vita o di morte, per la Chiesa, per noi, per il mondo. Ma, per poterla porre con sincerità e non accademicamente, con il distacco e la superficialità dei sapienti di questo mondo, occorre avere obbedito con i discepoli all'ordine di Gesù, essere saliti sulla barca della Chiesa salpando verso il mare della storia e avere sentito in faccia le frustate del vento contrario. Occorre aver avuto paura per le onde che riempiono d'acqua la barca, e aver visto il Signore camminare accanto ad essa. Accanto, e non dentro con gli apostoli. Si tratta infatti di un'immagine che descrive bene il passaggio alla fede adulta a cui Pietro e tutti noi siamo chiamati. La predicazione ci annuncia Gesù risorto capace di camminare sul mare della morte. Ascoltiamo e vediamo, ma Lui è ancora "fuori" dalla nostra vita, che invece sembra affondare. Non ti trovi oggi in questa situazione? Sì, Gesù è risorto, ma io? Il matrimonio fa acqua, i figli non parliamone, la salute poi... E questa missione che non sembra dar alcun frutto, questo ufficio che è una routine insopportabile, le bollette che non riesco a pagare, e tutto tra i sorrisi beffardi e il rifiuto di chi mi sta intorno... Ed è proprio qui che sorge la domanda decisiva. Non ti scandalizzare se stai dubitando! Falla accidenti questa domanda, Gesù sta camminando accanto a te proprio per questo! E' tutto vero o è pura fantasia? Se sei tu chiamami, che abbia un sigillo, qualcosa che mi tolga il dubbio dal cuore. Chiamami Signore! E Gesù chiama Pietro, e chiama da venti secoli la sua Chiesa, e oggi anche ciascuno di noi: "Vieni!". E, come Pietro, come i suoi successori, come la teoria infinita di santi, conosciuti e sconosciuti, andiamo, ancora una volta obbedendo ad una sua Parola, e camminiamo, come Lui, sulla morte. Ma non basta: occorre sperimentare la verità. Pietro, per essere Pastore universale, deve scendere al fondo di se stesso e scoprire che, la domanda fondamentale, l'unica che schiuda alla rivelazione sull'autentica identità di Gesù, è quella che riguarda se stesso: chi sono? E non basterà quella volta sul mare di Galilea; dovrà scendere ancora, e scoprire sino in fondo il suo cuore adultero, traditore, apostata, complice dell'assassinio di Cristo; lui, che era convinto di non abbandonare mai quel profeta galileo che tanto amava, per conoscere Gesù e affidarsi completamente a Lui doveva giungere al capolinea della propria miseria.
Ma quell'esperienza nel mare era necessaria, come per te e per me. Il punto è che non gli bastava restare nella "barca" dove la Parola di Gesù gli aveva "ordinato" di entrare; non gli era stata sufficiente la chiamata a "precederlo all'altra riva". Come a noi tante volte non basta la predicazione. Perché? Perché non era entrato nella barca con una fede adulta, ma, come tutti noi, stava nella comunità dubitando; "uomo di poca fede" lo era già prima di salire sulla barca. Gesù lo aveva "obbligato" ad entrarvi, e il verbo originale greco è molto più violento di come appare in italiano. E, come noi, quando le onde cominciano a "strozzare" la sua vita, secondo l'originale, l'incredulità gli impedisce di abbandonarsi alla Parola di Gesù che gli appare come una violenza. Ci accade spesso, vero? Quando la storia ci "obbliga" violentemente alla chemioterapia, alla disoccupazione, al restare soli, E ci sembra proprio che ci stia "torturando". Come Pietro e gli apostoli, strappati al successo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, perché essere cristiani non è questo, ma è entrare nella morte per risuscitare con Cristo! E' sperimentare il perdono dei peccati, che possiamo conoscere solo quando la storia ci "tortura", e riconoscere in essa l'amore di Dio! E questo non ci piace, e resistiamo, e la viviamo come un'ingiustizia. Altro che fede, nella "violenza" con cui Dio ci "obbliga" per strade che non sopportiamo non può esserci amore. Niente da fare, non riusciamo a discernere che proprio quei passaggi "obbligati" sgretolano "torturando" l'uomo vecchio e orgoglioso per far posto all'uomo nuovo e santo... Per questo, quando ha visto Gesù arrivare camminando sul mare in tempesta, lo ha creduto un "fantasma". Ma Gesù non lo ha rifiutato, anzi, come non rifiuta oggi noi con i nostri dubbi. Ci sta assecondando, e ci chiama ancora, per fare l'esperienza che il nostro cuore incredulo esige. Sino a sperimentare di non avere fede... Pietro pensava che, camminando sull'acqua, avrebbe ottenuto una prova tangibile che Gesù non fosse un fantasma; invece, ha avuto la prova della propria incredulità. Eppure proprio qui è cominciata la fede. C'è da preoccuparsi invece, quando la fede si dà per scontata; nelle parrocchie, nei seminari, nei monasteri. Basta essere in parrocchia, fare qualche servizio, e questa sembra fede. Ah sì? Vediamo quando si alza il vento e le onde si increspano, laggiù, lontano "qualche miglio" dalle sicurezze della terraferma. Vediamo nella sofferenza, nel disprezzo, nei fallimenti, vediamo dov'è la fede... Pietro invece, proprio nella sua debolezza ha conosciuto la potenza di Cristo. Affondando nella sua paura, nello scandalo della propria debolezza, Pietro ha toccato la mano tesa e crocifissa di Gesù che rivestiva di forza il suo niente facendolo risuscitare. Questo avrebbe testimoniato al mondo! La consapevolezza della sua povertà, infatti, aveva cancellato quel "se" che lo turbava: è questa l'esperienza decisiva senza la quale non si diventa cristiani. Se non l'hai fatta, se sei prete o vescovo, madre o padre, catechista o non so che, se vai a messa e preghi tanto e non hai questo sigillo dentro, beh, non potrai seguire Cristo sino al Calvario; continuerai a dubitare, incatenato al "se", incapace di passare alla certezza del "sei tu". Per questo non riesci a perdonare, ad amare l'altro così com'è; per questo ti disprezzi e giudichi gli altri; per questo i tuoi figli finiscono dentro situazioni pericolose, tra canne e sesso, menzogne e crisi. C'entra poco l'età... A quindici anni come a ottanta, a trenta come a cinquanta, il "se" impedisce la libertà di seguire il Signore. Ma coraggio, perché quella notte, sul mare di Galilea, Pietro ha compiuto profeticamente il salto nella fede che caratterizza i figli di Dio. Ha fatto l'esperienza della Pasqua, che davvero Cristo è risorto, che è vivo, che la morte è vinta. Ha toccato la mano di Dio, un appoggio saldo che gli ha impedito di affogare. Ha sperimentato che c'è qualcuno che lo poteva tirar fuori dalla morte. Così anche noi e i nostri figli dobbiamo scendere i gradini che conducono alle acque del battesimo, che significa inoltrarsi nell'abisso della propria incredulità per poter gridare a Cristo: "Signore salvami!". Possiamo essere padri, madri, fidanzati, operai e dirigenti, amici e studenti solo conoscendo la nostra debolezza: "Dio vi lascia in quelle tenebre per la sua gloria; qui è il vostro grande profitto spirituale. Dio vuole che le vostre miserie siano il trono della sua misericordia e le vostre impotenze il seggio della sua onnipotenza". (S. Pio da Pietrelcina). Solo un prete che sa di non avere nulla di speciale per poterlo essere, sarà libero di spendersi nella volontà di Dio senza seguire la propria. Solo un padre o una madre che hanno conosciuto la loro totale inadeguatezza, potranno affidare a Dio se stessi e i figli, docili alla storia di salvezza che Lui prepara per tutti. Allora nessun "se" ci ingannerà e, in virtù del cammino fatto nella barca, finalmente ci "prostreremo davanti" a Lui abbandonando il nostro orgoglio, per professare la nostra fede "esclamando: Tu sei veramente il Figlio di Dio!". E la fede ci farà "approdare a Genèsaret", che significa arrivare come figli di Dio risuscitati alle nostre città, al lavoro, a scuola, in famiglia, dove accogliere "la gente del luogo", i nostri figli per esempio. In noi, infatti, essi "riconosceranno Gesù" e saranno proprio loro a "diffondere la notizia in tutta la regione". E proprio perché brillerà sui nostri volti la luce della Pasqua fatta carne nella notte dell'incredulità e della paura. E così la Chiesa compirà la sua missione di sale, luce e lievito, e gli uomini "porteranno" a Cristo vivo in essa "tutti i malati" per "pregarlo di poter toccare almeno l'orlo del suo mantello", ovvero di ascoltare l'annuncio del Vangelo, perché "quanti lo toccheranno guariranno".
Ma quell'esperienza nel mare era necessaria, come per te e per me. Il punto è che non gli bastava restare nella "barca" dove la Parola di Gesù gli aveva "ordinato" di entrare; non gli era stata sufficiente la chiamata a "precederlo all'altra riva". Come a noi tante volte non basta la predicazione. Perché? Perché non era entrato nella barca con una fede adulta, ma, come tutti noi, stava nella comunità dubitando; "uomo di poca fede" lo era già prima di salire sulla barca. Gesù lo aveva "obbligato" ad entrarvi, e il verbo originale greco è molto più violento di come appare in italiano. E, come noi, quando le onde cominciano a "strozzare" la sua vita, secondo l'originale, l'incredulità gli impedisce di abbandonarsi alla Parola di Gesù che gli appare come una violenza. Ci accade spesso, vero? Quando la storia ci "obbliga" violentemente alla chemioterapia, alla disoccupazione, al restare soli, E ci sembra proprio che ci stia "torturando". Come Pietro e gli apostoli, strappati al successo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, perché essere cristiani non è questo, ma è entrare nella morte per risuscitare con Cristo! E' sperimentare il perdono dei peccati, che possiamo conoscere solo quando la storia ci "tortura", e riconoscere in essa l'amore di Dio! E questo non ci piace, e resistiamo, e la viviamo come un'ingiustizia. Altro che fede, nella "violenza" con cui Dio ci "obbliga" per strade che non sopportiamo non può esserci amore. Niente da fare, non riusciamo a discernere che proprio quei passaggi "obbligati" sgretolano "torturando" l'uomo vecchio e orgoglioso per far posto all'uomo nuovo e santo... Per questo, quando ha visto Gesù arrivare camminando sul mare in tempesta, lo ha creduto un "fantasma". Ma Gesù non lo ha rifiutato, anzi, come non rifiuta oggi noi con i nostri dubbi. Ci sta assecondando, e ci chiama ancora, per fare l'esperienza che il nostro cuore incredulo esige. Sino a sperimentare di non avere fede... Pietro pensava che, camminando sull'acqua, avrebbe ottenuto una prova tangibile che Gesù non fosse un fantasma; invece, ha avuto la prova della propria incredulità. Eppure proprio qui è cominciata la fede. C'è da preoccuparsi invece, quando la fede si dà per scontata; nelle parrocchie, nei seminari, nei monasteri. Basta essere in parrocchia, fare qualche servizio, e questa sembra fede. Ah sì? Vediamo quando si alza il vento e le onde si increspano, laggiù, lontano "qualche miglio" dalle sicurezze della terraferma. Vediamo nella sofferenza, nel disprezzo, nei fallimenti, vediamo dov'è la fede... Pietro invece, proprio nella sua debolezza ha conosciuto la potenza di Cristo. Affondando nella sua paura, nello scandalo della propria debolezza, Pietro ha toccato la mano tesa e crocifissa di Gesù che rivestiva di forza il suo niente facendolo risuscitare. Questo avrebbe testimoniato al mondo! La consapevolezza della sua povertà, infatti, aveva cancellato quel "se" che lo turbava: è questa l'esperienza decisiva senza la quale non si diventa cristiani. Se non l'hai fatta, se sei prete o vescovo, madre o padre, catechista o non so che, se vai a messa e preghi tanto e non hai questo sigillo dentro, beh, non potrai seguire Cristo sino al Calvario; continuerai a dubitare, incatenato al "se", incapace di passare alla certezza del "sei tu". Per questo non riesci a perdonare, ad amare l'altro così com'è; per questo ti disprezzi e giudichi gli altri; per questo i tuoi figli finiscono dentro situazioni pericolose, tra canne e sesso, menzogne e crisi. C'entra poco l'età... A quindici anni come a ottanta, a trenta come a cinquanta, il "se" impedisce la libertà di seguire il Signore. Ma coraggio, perché quella notte, sul mare di Galilea, Pietro ha compiuto profeticamente il salto nella fede che caratterizza i figli di Dio. Ha fatto l'esperienza della Pasqua, che davvero Cristo è risorto, che è vivo, che la morte è vinta. Ha toccato la mano di Dio, un appoggio saldo che gli ha impedito di affogare. Ha sperimentato che c'è qualcuno che lo poteva tirar fuori dalla morte. Così anche noi e i nostri figli dobbiamo scendere i gradini che conducono alle acque del battesimo, che significa inoltrarsi nell'abisso della propria incredulità per poter gridare a Cristo: "Signore salvami!". Possiamo essere padri, madri, fidanzati, operai e dirigenti, amici e studenti solo conoscendo la nostra debolezza: "Dio vi lascia in quelle tenebre per la sua gloria; qui è il vostro grande profitto spirituale. Dio vuole che le vostre miserie siano il trono della sua misericordia e le vostre impotenze il seggio della sua onnipotenza". (S. Pio da Pietrelcina). Solo un prete che sa di non avere nulla di speciale per poterlo essere, sarà libero di spendersi nella volontà di Dio senza seguire la propria. Solo un padre o una madre che hanno conosciuto la loro totale inadeguatezza, potranno affidare a Dio se stessi e i figli, docili alla storia di salvezza che Lui prepara per tutti. Allora nessun "se" ci ingannerà e, in virtù del cammino fatto nella barca, finalmente ci "prostreremo davanti" a Lui abbandonando il nostro orgoglio, per professare la nostra fede "esclamando: Tu sei veramente il Figlio di Dio!". E la fede ci farà "approdare a Genèsaret", che significa arrivare come figli di Dio risuscitati alle nostre città, al lavoro, a scuola, in famiglia, dove accogliere "la gente del luogo", i nostri figli per esempio. In noi, infatti, essi "riconosceranno Gesù" e saranno proprio loro a "diffondere la notizia in tutta la regione". E proprio perché brillerà sui nostri volti la luce della Pasqua fatta carne nella notte dell'incredulità e della paura. E così la Chiesa compirà la sua missione di sale, luce e lievito, e gli uomini "porteranno" a Cristo vivo in essa "tutti i malati" per "pregarlo di poter toccare almeno l'orlo del suo mantello", ovvero di ascoltare l'annuncio del Vangelo, perché "quanti lo toccheranno guariranno".
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