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venerdì 18 agosto 2017

OMELIA NELLA SOLENNITA’ DI S. AGAPITO MARTIRE

parmeggianiSignor Sindaco, illustri autorità civili e militari dei Comuni del territorio diocesano, cari sacerdoti, diaconi, consacrati e consacrate, fratelli tutti nel Signore!


La Provvidenza ha voluto che il mio primo incontro liturgico con questa comunità prenestina - dopo la Santa Messa celebrata fuori programma dalla Clarisse nel giorno di Santa Chiara, cada nel giorno di Sant’Agapito. 

Un incontro liturgico sulla piazza. La piazza che è da sempre luogo di incontro tra persone diverse, luogo di scambi e relazioni reali e non virtuali. Relazioni che, nella verità, con spirito di leale corresponsabilità - pur nel rispetto dei ruoli e delle competenze di ciascuno -, è oggi quanto mai necessario tenere vive e possibilmente incrementare affinchè, insieme, perseguiamo quel bene comune tanto necessario non solo per la nostra città ed i Comuni della Diocesi ma anche per l’Italia, per la nostra Europa –sempre più stanca perché ha abbandonato le proprie radici cristiane -, per il bene del mondo intero sempre più minacciato da odi e fanatismi di varia matrice, da venti di guerra, da poco rispetto per la dignità della vita dal suo concepimento alla sua morte naturale. Il bene comune tanto necessario per la difesa e promozione della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna ed aperta alla vita e per il bene e la protezione di coloro che la cosiddetta cultura dello scarto ci vorrebbe indurre progressivamente a eliminare: i malati, gli anziani, i poveri, gli immigrati, i carcerati, coloro che non rendono più nulla…

Cari amici, sappiate che su questa piazza la Chiesa desidera esserci, vuole esserci per portare quel contributo tanto necessario all’uomo di oggi come lo è stato ieri e lo sarà sempre: Gesù Cristo ed il suo Vangelo! 

Non desidera esserci per lucrare favori, per curare i propri interessi economici o di altra natura ma perché tutti aprano le porte dei loro cuori a Cristo e Lui, con il Suo amore che dà fiducia a tutti coloro che lo cercano, possa attrarre a sé ancora tanti uomini e donne che non trovano il senso pieno da dare alla loro vita, la felicità che soltanto Cristo sa e può dare.

Un incontro liturgico, poi, - quello odierno – inserito nella massima forma di prenestinità: la festa di S.Agapito, giovane martire e patrono di questa Città e Diocesi. Festa che è espressione della pietà popolare di questo bel popolo. La pietà popolare la quale, scrive Papa Francesco nell’ Evangelii gaudium , ha in sé una forza evangelizzatrice da non banalizzare o sottovalutare con superficialità ma da considerare – egli dice – quale “autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio”. Se noi oggi siamo qui a rendere grazie al Padre, con Cristo, nello Spirito per la fede del giovane martire Agapito è perché la fede ricevuta dai nostri avi si è trasmessa fino a noi da una generazione all’altra tramite non soltanto una fede dotta ma con quella vera “spiritualità incarnata nella cultura dei semplici” che è “un modo legittimo di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa, e di essere missionari” (EG, 124).
Certamente la pietà popolare, nella nostra cultura neo-pagana, rischia spesso di rimanere priva di contenuto, di fondamento e anziché trasmettere la fede potrebbe essere di intralcio ad essa. Come insegna il Papa “Per capire questa realtà c’è bisogno di avvicinarsi ad essa con lo sguardo del Buon Pastore, che non cerca di giudicare ma di amare. Solamente a partire dalla connaturalità affettiva che l’amore dà possiamo apprezzare la vita teologale presente nella pietà dei popoli cristiani – scrive il Papa -, specialmente nei poveri…”. Le varie forme di pietà popolare con le sue espressioni, dice Papa Francesco, hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione.
Giunga dunque qui il mio grazie a chi, anche tramite la pietà popolare, ha trasmesso la fede cristiana fino ad oggi. Ora, senza nostalgie per un passato che non tornerà più, guardando alla grande fede del martire Agapito, testimoniata fino al martirio, impegnamoci a non sottovalutare la pietà popolare ma a innervarla con una maggiore “evangelicità”, “ecclesialità”, “missionarietà”. Senza ancoraggio nel Vangelo letto quotidianamente con la Chiesa e nella Chiesa; senza senso di appartenenza alla Chiesa – popolo di Dio guidato dal Vescovo quale successore degli Apostoli in mezzo a voi -; senza missionarietà ossia impegno per trasmettere la fede con la vita, la pietà popolare non regge come non regge nessuna altra forma che pur desiderosa di evangelizzare, mai potrà farlo veramente poichè mancante di queste dimensioni.
Chiedo pertanto a tutti, affinchè la trasmissione della fede nelle nostre terre sia la più incisiva possibile, che si intensifichino momenti di formazione alla vita cristiana, di incontro con la Parola di Dio, con i sacramenti – a partire da quelli dell’Eucaristia e della Confessione -, ci si senta Chiesa e non “chiesuole”, federazioni autonome dell’unica e sola Chiesa cattolica che qui, su questo territorio, deve vivere unita, in comunione, nell’amore e nella fraternità intorno al Vescovo e il proprio presbiterio per annunciare l’Unico che salva.

Questo incontro liturgico è poi segnato dalla memoria del giovane Martire Agapito. Figlio di questa terra che ha fecondato bagnandola con il suo sangue. Il grande Tertulliano diceva che “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”. E questo è stato sicuramente vero per questa comunità prenestina che ha mantenuto viva nei secoli la fiamma della fede nel Risorto testimoniata da Agapito.
Ma ora tocca a noi!
Mentre sulla piazza celebriamo il Risorto che ancora oggi viene a noi nell’Eucaristia, percorrendo tra poco le vie della nostra città in una processione che sarà manifestazione della nostra fede, impegnamoci a vivere le parole del Risorto agli undici discepoli che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Parole che valsero per loro ma che valgono anche per noi oggi: valgono per me, per i nostri sacerdoti, diaconi, consacrate ma anche per tutti i battezzati, per tutti coloro che tramite il Battesimo hanno ricevuto la forza dello Spirito Santo, frutto della Pasqua di morte e risurrezione del Signore.
Che tutti sentiamo forti e vere per noi le parole: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” con la certezza che non siamo soli ma come ha concluso Gesù e come si conclude il Vangelo di Matteo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.     

Si, cari amici, al termine della sua missione, Gesù chiede ai suoi discepoli di andare sul monte, luogo dell’incontro tra Dio e l’umanità, andare sul monte con anche i nostri dubbi, le nostre fatiche nel credere affinchè possiamo incontrare Gesù, adorarlo ossia respirando bocca a bocca con Lui riceviamo il suo Spirito, l’amore che c’è tra Lui e il Padre e conoscendo il Figlio, facendo una forte esperienza di comunione con Lui, tutti viviamo il suo stesso potere: quello di farsi fratello di tutti perché ogni uomo sia immerso nell’unico amore del Padre e del Figlio, amore che abilita a fare quanto Gesù ha ordinato.

Cari amici: il Crocifisso-risorto non ha esaurito il suo compito, né si assenta dal mondo. E’ presente come l’Emmanuele, il Dio-con-noi perché in ciascuno di noi si compia ciò che in Lui si è già compiuto e la Chiesa, nella fraternità, nell’amore, nella capacità di perdono, nella santità di vita dei suoi membri – a cominciare da quelli che il Signore ha chiamato a seguirlo più da vicino quali sacerdoti o consacrati – possa portare avanti nella storia ciò che Gesù ha detto e fatto, fino a che in ogni uomo rifulga la gloria di Dio.

Da un giovane, morto martire a soli 15 anni pur di rimanere fedele al Dio di Gesù Cristo, con umiltà impariamo a intessere tra noi relazioni buone accettando anche di morire a noi stessi; impariamo a trasmettere la fede donandola perché solo così essa si rafforza, impariamo la missionarietà che  non significa imporre il nostro Credo ma viverlo in comunione e amicizia affinchè chi ci vede si senta attratto dall’amore cristiano e desideri viverlo intensamente, anche fino al martirio se fosse necessario.

Il Signore, per intercessione di S.Agapito, ci doni quanto oggi, con fede e umiltà, in comunione gli chiediamo. Amen.

+ Mauro Parmeggiani

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