Il tennis in chiesa. Dicono che è arte
- 24-11-2017
A colmare la lacuna ci ha pensato il solito carneade dell'arte dal nome esotico che, evidentemente ossessionato dalla smania di stupire e ormai abbandonata ogni tipo di creatività che elevi lo spirito e lo occhio verso il bello, ha trasformato il sacro pavimento della chiesa di San Paolo converso a Milano in un campo da tennis. Nel tempio cinquecentesco di Piazza Sant’Eufemia c’è davvero tutto quel che serve per il match: la rete, le linee, i giocatori con le racchette e le palline e persino il tè al gelsomino.
Ovviamente di artistico non si sa bene che cosa ci si sia. Ma basta raccontarsela un po’ per far accorrere 300 persone in un batti baleno al suono del tam tam social. Surreale lo scopo: «L’obiettivo è quello di sovvertire le logiche della comunicazione tipiche del contesto religioso, sostituendo a un messaggio autoritario a senso unico, un’attività ricreativa e di scambio. Lo sport, nell’immaginario dell’artista, è metafora dell’importanza delle attività improduttive che si sottraggono alle logiche sociali incentrate sul lavoro».
Capito? ll tennis, con il suo ritmato pim pam pim pam come uno scambio da contrapporre al messaggio autoritario a senso unico della religione. Della serie: non bastava cacciare il Santissimo dalla casa nella quale ha dimorato per quasi 5 secoli. Bisognava anche esercitare lo sberleffo tipico dei barbari conquistatori: adesso ci siamo noi e ci facciamo quel che vogliamo. L’iniziativa sembra vantare anche i crismi della regolarità. La chiesa infatti viene definita sconsacrata. Ora, a parte la terminologia impropria, sarebbe interessante sapere quando l’ordinario del luogo ha firmato il decreto di perdita di benedizione del tempio, ma considerato che la chiesa venne smantellata da Napoleone e il culto soppresso ormai da quasi due secoli, qualche vescovo nel tempo ci avrà pensato. Che poi: in fondo si vede che l’antico altare è ancora perfettamente conservato. Chissà se è rimasta la pietra martyrum sulla quale sono state celebrate nei secoli migliaia di messe per la salvezza dell’umanità.
Ma non è soltanto questo il punto perché non è che se una chiesa perde la sua dedicazione, vi si possa fare tutto l’immaginabile. Sembra invece che ogni cosa sia ormai permessa. Infatti nel corso degli anni, prima di arrivare al match point, la chiesa è stata anche uno studio di registrazione e location di innumerevoli mostre fino a diventare la sede di uno studio di architetti i quali possono così mostrare quanto è cool il loro ufficio. Però quel che non torna è per quale motivo per lanciare un messaggio artistico-sociale condito di supercazzole futuriste, come la contrapposizione tra le attività improduttive e le logiche sociali (mai sentito parlare di trascendenza? di sacro?) si debba violentare la memoria di quello che è ancora un tempio di Dio.
Infatti viene chiamata ancora chiesa e non area polivalente destinata alla mollezza dei costumi. Perché? Forse perché troppo comodo visto il popò di bellezza che l’arte cristiana ha prodotto nei secoli e che questi artistisifaperdire non sono in grado di eguagliare per mancanza di ispirazione. Sfruttano la bellezza creata da altri aggiungendo da parte loro solo l’ideologia. Il messaggio esplicito che sta dietro questa pagliacciata spacciata per arte è all’insegna di un rinnovato retaggio anticristiano secondo il quale ormai la religione è soltanto un ferro vecchio del passato. Non serve citare Paolo VI agli artisti per constatare che se architetti e archistar si riducono a profanare la memoria più bella rimasta all’uomo di quando era collegato al suo creatore, vuol dire che c’è rimasto ben poco ormai da scandagliare e il business è tutto.
Perché, anche se non canonicamente, è chiaro che pure questo è un sacrilegio dato che una chiesa deve essere utilizzata per il culto: se la si sfrutta per altri scopi è evidente che la profanazione è già compiuta e a poco serve la scusa che il culto non si celebra da due secoli. Radical chic che non siete altro: andate a giocare a bocce al Partenone di Atene e vediamo se non vi prendono a racchettate.
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