SEGUIRE GESU' NELLA LIBERTA' DELLA SUA PASQUA PER LIBERARE I MORTI DALLE TOMBE
Gesù ci "ordina" oggi perentoriamente di "passare all’altra riva", ci "spinge" cioè ad entrare con Lui nella Pasqua, attirati nel suo passaggio dalla schiavitù alla libertà. Ciò significa che il desiderio di felicità e di pace che abbiamo dentro, la speranza di non restare invischiati tra le maglie dei problemi, delle preoccupazioni, delle angosce, è molto più di un desiderio e di una speranza: è un "ordine" del Signore, l'eco della "chiamata" che ci ha tratto all'esistenza, l'annuncio nel quale viviamo, esistiamo, siamo. Il "senso" profondo della nostra vita, ovvero la "direzione" che dà consistenza e pienezza a ogni istante, è quello che ci fa "passare all’altra riva", ogni giorno. Passare all’altra riva è l’unico modo di "seguire" il Signore.
Lui, infatti, non ci offre un cuscino borghese dove riposare, alienazioni come ce ne propone il mondo. Con Lui non si scappa dalla realtà per nascondersi nelle "tane" delle "volpi", supponendo stoltamente che la nostra astuzia ci possa preservare dal fallimento e dalle delusioni; si cammina nella storia, i piedi ben piantati in terra, non si vola come "gli uccelli" verso "nidi" di fantasie sognate nel mondo virtuale di internet, degli astrologi, dei talent scout, degli acquisti a rate e con carta di credito. Cristo ha pagato cash, per tutti: infatti, "non ha dove reclinare il capo", e lo farà solo sulla Croce, offrendo gratuitamente la propria vita. Su di essa ha disteso le braccia per accogliere e salvare ogni uomo, rivelandoci che, quando è crocifisso, ogni istante della vita è operoso e fecondo. Quando il Signore chiama è per condurci al vero riposo, quello del seme che, caduto in terra, muore per non restare solo e dare molto frutto. Il riposo che inizia qui sulla terra nell'amore che dimentica se stesso, prende la Croce d’ogni giorno e "segue" il Signore "ovunque", perché in ogni luogo e momento c'è qualcuno che aspetta la sua salvezza; il demonio, infatti, non va mai in vacanza, anche alle Maldive lavora come un matto... Quando Gesù passa e chiama è impossibile cercare di comprendere quello che accade se non ci lasciamo raggiungere e avvolgere dal suo amore; chi non ha l'esperienza del suo perdono, della Pasqua che fa risorgere dalla morte ogni relazione e situazione che sembrava spacciata, non potrà "seguire il Maestro ovunque vada"; non ha i parametri per ascoltare e obbedire, perché la carne ha altri criteri e cerca sempre e solo il proprio interesse e la propria soddisfazione; la carne ferita dal peccato non spera il Cielo.
Negli "ovunque" di Gesù, invece, che sono spazi e momenti di puro amore, vi saranno luoghi e persone che la carne rifiuterà, e le buone intenzioni di fedeltà e amore a Cristo si scioglieranno come neve al sole. Per questo, può "seguire ovunque" il Signore solo chi ha crocifisso la sua carne e i suoi desideri perché vive del suo amore e questo gli basta e lo sazia; solo chi in questo amore ama il prossimo come se stesso, che significa proprio "lasciare che i morti seppelliscano i propri morti". Ed è un modo per dire che chi "segue" il Signore si appoggia a Lui e gli consegna fiducioso tutte le situazioni irrisolte della propria storia. Spesso, infatti, neanche i rapporti chiamati ad essere i più santi, come quelli familiari o di una comunità religiosa, possono offrire un "luogo dove reclinare il capo". Anzi, vissuti nel limite angusto della carne, sono un ostacolo per l'obbedienza alla propria vocazione. E non c'è nulla da fare: più si tenta di "seppellire i morti", ovvero, più si cerca di riordinare e spazzare via i motivi delle contese, e più queste si moltiplicano. In questi casi, e sono la quasi totalità, c'è solo da convertirsi e rientrare in se stessi, ricordare di non essere migliori di nessuno, e accettare che la carne è ferita dal peccato ma è viva e vegeta, e, quando è schiava del volere del demonio, è più forte dei nostri buoni propositi. Quindi, ascoltare la chiamata di Gesù e "seguirlo", per "reclinare il capo", ovvero i pensieri e le angustie, gli tsunami della carne, i desideri e le speranze, sul legno della Croce. E restare crocifissi con Lui per amore dell'altro, sino a lasciargli intatta tutta la sua libertà. Amare, senza se e senza ma, perché solo nell'amore vi è il riposo, che abbraccia l'altro così com'è, senza esigenza, anche se non cambierà mai.
Solo in questo amore si può trovare pace, proprio lì, nella realtà, perché, passando con Cristo all'altra riva del Cielo, possiamo vederla trasfigurata e accoglierla docilmente. E non si tratta di superficialità, di rassegnazione e cinismo; è amore, amore purissimo che si dona senza riserve e senza sperare nulla per sé, anche se fosse umanamente legittimo; è amore che si offre in silenzio, muto come Gesù nella Passione, per non sporcare la purezza dell'amore di Dio, con il solo desiderio che l'altro possa percepirne, nella libertà di rifiutarlo, almeno un frammento. E' ovvio che Gesù non sta dicendo di non curare i propri cari e accompagnarli sino alla morte, anzi. Ma di amare ogni persona, anche le più care, di un amore celeste. E questo, a volte, ci conduce a superare le consuetudini umane e religiose. Quando, per amore a Cristo e al Vangelo - e quindi per amore vero e celeste all'altro, anche alla carne della propria carne - il coltello affonda la lama per circoncidere il cuore, è il momento dell'amore più puro, che si fa crocifiggere per non barattare la propria salvezza e quella dell'altro con un po' d'affetto e consolazioni umane, effimere come la rugiada del mattino. Seguire Gesù, infatti, è molto di più che seppellire i morti; anzi, è l'esatto contrario: è camminare nella morte per giungere alla vita e tirare fuori i morti dal sepolcro e accompagnagli in Cielo.
Seguendo Gesù siamo chiamati a spargere il suo profumo di vita e misericordia prendendo su di noi l'incomprensione, il rifiuto e i peccati degli altri, dando così compimento a ogni relazione; l'amore, infatti, non si limita alle pur dovute e desiderate attenzioni; esso va ben oltre il "minimo sindacale" del "religiosamente corretto". La vita cristiana è "seguire" l'Amato nelle ore infinite di "straordinario" spese per ascoltare e correggere un figlio, per accollarsi silenziosamente il lavoro che il collega non vuol fare, per amare la suocera o la nuora così come sono, per compiere cioè, per Grazia, il Discorso della Montagna; e, se Dio chiama a una missione particolare, per andare ad annunciare il Vangelo sino agli estremi confini della terra. Questi sono gli straordinari di un amore straordinario, che non ha altro stipendio in terra che la gioia del Cielo, che esplode quando un peccatore, il nostro fratello, si converte e crede all'amore di Dio. Per questo, come Giacobbe, siamo chiamati a "posare il capo" su di una pietra, nel "luogo" di Dio; perché - istante dopo istante - la famiglia, il lavoro, la scuola, tutti i "luoghi" che ci attendono "seguendo" il Signore, divengano le "porte del Cielo" che ha visto Giacobbe al risveglio dal sogno: “Le pietre che Giacobbe nostro padre aveva messo sotto il capo furono trasformate in un letto e un cuscino. Lì, con quella freschezza e quella asprezza, Egli benedisse” (GenR 68,43). Così il Midrash.
Così per la nostra vita, nella quale freschezza e asprezza caratterizzano le pietre del carattere del coniuge, delle difficoltà con i figli e i genitori, dei sacrifici per non restare invischiati nell'egoismo e nell'orgoglio; ma, proprio per quello che sono, i volti e i luoghi che ci attendono, si "trasformano in un letto e un cuscino" dove riposare dalle sterili fatiche della carne. Pietre come la pietra del sepolcro del Signore, aspra nella morte, fresca nella risurrezione. Come non è stato possibile che la morte tenesse in potere il Signore, così non è possibile riposare nella morte, nei fallimenti, nei dolori. Non è quello il nostro luogo. E’ un momento, un passo nel passaggio. Colui che è di Cristo non è un rassegnato, non accompagna all'eutanasia e non abortisce persone, relazioni ed eventi; non è un cultore macabro della sofferenza e della morte. Chi è di Cristo lo "segue ovunque", perché, risvegliatosi con Lui dal sonno della morte, sa che ogni "luogo" è "la casa di Dio, una porta sul Cielo". Dio farà di lui e della sua storia una benedizione "per tutte le famiglie della terra", perché "sarà con lui e lo guarderà ovunque andrà e non lo abbandonerà prima di aver compiuto ogni sua promessa" (Cfr. Gen 28,10-19). E proprio questo era il desiderio dello scriba, così simile al nostro celato in tutto quello che pensiamo e facciamo: stare con Gesù per sempre. Ma esso è il frutto dell’esser "passati all’altra riva", sorge dall'esperienza della Pasqua, le viscere battesimali della nostra nuova vita sempre protesa verso un’altra riva, nella quale camminare sereni tra le precarietà, sino a che non giunga l’ultima, la sponda del Cielo.
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